Fa piacere poterVi dare, ogni tanto, anche una bella notizia – Ecco l’arcivescovo di Palermo che prega in piazza contro l’omofobia!

Palermo

 

 

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Fa piacere poterVi dare, ogni tanto, anche una bella notizia – Ecco l’arcivescovo di Palermo che prega in piazza contro l’omofobia!

L’alto prelato parteciperà alla veglia giovedì 17 maggio. Un’iniziativa che si moltiplica in tutta Italia dopo la tragica morte di un adolescente di Torino, vittima di bullismo omofobo.

Sarà una preghiera dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ad aprire la dodicesima edizione della Veglia Ecumenica per il superamento dell’Omofobia che si svolgerà giovedì prossimo a Palermo, a partire dalle 19, in piazza Politeama. Le veglie si sono diffuse in Italia dopo la tragica morte di un adolescente di Torino, vittima di bullismo omofobo.

“Gesù di Nazareth, testimone delle viscere di misericordia di Dio per gli uomini,il Crocifisso risorto che libera dal peccato e dalla morte, ha fatto dell’accoglienza e del riconoscimento dell’altro il paradigma e il segno dell’irruzione del regno di Dio nel mondo – scrive Lorefice -. Mentre deploriamo con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente,preghiamo perché i cristiani, attingendo con ascolto discepolare alla grazia dell’Evangelo, testimonino e annuncino, con audacia profetica, l’incondizionato rispetto dovuto ad ogni persona e denuncino ogni forma di discriminazione ed emarginazione”.

 

fonte: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/14/l-arcivescovo-di-palermo-prega-in-piazza-contro-l-omofobia-2024235.html

Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!!

 

Giorgio Napolitano

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Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!

16 maggio 2016 – L’inizio del mandato di Giorgio Napolitano come 11° Presidente della Repubblica Italiana. Tra moniti e firme di leggi improbabili, ha fatto la storia del Paese… In negativo.

Da Il Fatto Quotidiano:

Napolitano, pensione dorata: chauffeur, maggiordomo. E ufficio da 100 mq

Nonostante i tagli annunciati nel 2007, per i presidenti emeriti della Repubblica rimane una lunga lista di benefit: una segreteria di almeno una decina di persone, un assistente “alla persona”, una serie di linee telefoniche dedicate. Ridurre i privilegi? Il suo ufficio stampa: “Ha avuto impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia”

Avrà di che consolarsi con il trattamento straordinario che lo aspetta: segreteria, guardarobiere, scorta. Con le dimissioni e l’uscita anticipata dal Quirinale, Giorgio Napolitano perderà la suprema carica, con un annuncio in arrivo probabilmente il 14 gennaio, ma non certo i servizi e i confort che hanno scandito la sua vita quirinalizia. Per lui, come da regolamenti in vigore, non si lesineranno mezzi e benefit, a cominciare dai telefoni satellitari, i collegamenti televisivi e telematici, lo staff nutritissimo e persino l’«addetto alla persona», sì, avete capito bene, proprio l’assistente-inserviente che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”. Insomma, un trattamento da vero monarca repubblicano al quale è riservato pure il diritto ad utilizzare un’auto con autista, privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti. Davvero niente male. E se ne era accorto lo stesso Napolitano che, nel 2007, tra le polemiche per le spese quirinalizie e le rivelazioni dei giornali sul trattamento degli ex annunciò tagli solenni. Ma, come Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare, quelle sforbiciate non sono mai arrivate e anche lui potrà dunque tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama.

BENTORNATO, PRESIDENTE – Lasciato il Quirinale, Napolitano assumerà infatti le vesti di senatore a vita, carica che ha già ricoperto per pochi mesi dal 23 settembre 2005, quando fu nominato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, fino alla sua elezione al Colle il 15 maggio 2006. Al Senato, dove insieme allo stesso Ciampi formerà la gloriosa coppia degli ex capi di Stato, Napolitano si sistemerà in una location diversa da quella che lo aveva ospitato per poco più di sette mesi prima di trasferirsi al Quirinale. Il suo vecchio ufficio, infatti, è stato nel frattempo assegnato ad un altro senatore a vita: quel Mario Monti da lui stesso nominato poco tempo prima di diventare presidente del Consiglio. Così, per Napolitano si sono dovuti tirare a lucido gli oltre cento metri quadrati degli uffici di Palazzo Giustiniani con vista su San Ivo a suo tempo occupati da un altro ex illustre inquilino del Colle, il defunto Oscar Luigi Scalfaro.

BENEFIT A VITA – Un “buen retiro” dorato che, allo stipendio dovuto ai comuni senatori eletti, circa 15mila euro mensili netti, tra indennità, rimborsi e ammennicoli vari, sommerà anche una lunga serie di benefit a carico del bilancio della presidenza della Repubblica. Documenti alla mano, si scopre infatti che in forza di un vecchio decreto del 1998 a ciascun presidente emerito spetta innanzitutto il diritto ad utilizzare un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretariato generale del Quirinale con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff. Altri due dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti, con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona. Poi ci sono le cosidette “risorse strumentali”: un telefono cellulare o satellitare, un fax e un’altra connessione urbana ultraprotetta, una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale, un’altra per quello con la batteria del Viminale e un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni, predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente; quindi, collegamenti telematici (anche in questo caso doppi), consultazione delle agenzie di stampa e banche dati, oltre a connessioni televisive a bassa frequenza per la trasmissione dei lavori di Camera e Senato; per ultima, non poteva mancare, ecco l’auto con telefono e chauffeur riservata, vai a capire perché, pure alla vedova o al primogenito dell’ex capo di Stato. E non è finita.

PAGA IL SENATO – Una volta traslocato dal colle del Quirinale agli uffici del Senato, a Napolitano, come a tutti i presidenti emeriti della Repubblica, spettano altre cospicue dotazioni. Ci sono quelle della presidenza del Consiglio, mobilitata per l’utilizzo di treni, navi e aerei; ma ci sono soprattutto le altre poste a carico di Palazzo Madama. Si tratta di una munitissima segreteria composta da una decina di unità: un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi, altri due a quelle ausiliari e, a scelta, addirittura un consigliere diplomatico o militare. Una pletora di persone alla quale obbligatoriamente si aggiungono gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente. A conti fatti, una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore. Non spetta, invece, agli ex inquilini del Colle alcuna liquidazione, assimilabile al Tfr dei comuni lavoratori o all’assegno previsto per i parlamentari non rieletti. Interpellato dal ilFattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del Quirinale spiega che «al momento della cessazione dell’incarico di presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non riceverà alcuna indennità di fine mandato». L’attuale capo dello Stato, aggiungono dal Colle, «ha maturato 38 anni di contributi ma non ha mai beneficiato né beneficerà del vitalizio previsto per gli ex parlamentari in quanto incompatibile dapprima con l’assegno percepito in qualità di eurodeputato (Napolitano lo è stato dal 1999 al 2004, ndr), poi con quello di presidente della Repubblica e, infine, anche con quello di senatore a vita, carica che tornerà a rivestire una volta lasciato il Quirinale».

CHI SPENDING DI PIU’ – Quanto ai tagli ai privilegi degli ex capi di Stato annunciati qualche anno fa, i comunicatori del Colle spiegano a ilfattoquotidiano.it che «il mandato di Napolitano è stato finora caratterizzato da impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia, ma qualora dovesse decidere di farlo prima della cessazione del suo incarico non intende fare della sua determinazione oggetto di campagna promozionale». Anche per ragioni di opportunità rispetto all’operato dei suoi predecessori. E, in ogni caso, «non è detto che, una volta esaurito il mandato, Napolitano si avvarrà indiscriminatamente delle prerogative previste per gli ex presidenti della Repubblica».
Insomma, prerogative rinunciabili ma solo se l’avente diritto vorrà.

 

L’arroganza di Elsa Fornero – Schiaffo al nuovo governo: “La riforma delle pensioni non si tocca, ci penserà Sergio Mattarella”

 

Elsa Fornero

 

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L’arroganza di Elsa Fornero – Schiaffo al nuovo governo: “La riforma delle pensioni non si tocca, ci penserà Sergio Mattarella”

Chiunque sarà al governo, assicura Elsa Fornero, “non potrà abrogare la riforma delle pensioni che porta il mio nome”. Inizia così l’urticante intervista della ex ministra del Welfare a Repubblica, da leggere con cautela perché può produrre notevoli dosi di irritazione tra i politici (specialmente grillini e leghisti) e italiani.

Elsa, appena andata in pensione a 70 anni in quanto insegnante universitaria (categoria non toccata dalla sua sanguinosa riforma), definisce Lega e M5s“venditori di illusioni”, poco coerenti in quanto in campagna elettorale hanno promesso l’abolizione della legge Fornero e ora, quasi al governo, parlano più prudentemente di un “superamento”, una transizione in almeno 5 anni. Ma di una cosa è sicura, l’ex ministra, il presidente della Repubblica Sergio Mattarellabloccherà la strada ad ogni scorciatoia populista, come, sottintende, l’abolizione della sua legge. “Mattarella si farà garante della stabilità dell’Italia”, si mostra tranquilla la Fornero spiegando che, in fondo, qualche blanda modifica alla sua intoccabile legge si può pure ipotizzare: “Forse si potrà realizzare una maggiore flessibilità nell’età di pensionamento, con una variazione dell’assegno mensile che sarà più alto per chi va in pensione più tardi. Ma ci vorrà tempo”. Forse, sempre che lei lo voglia.

fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13338072/elsa-fornero-ultimo-sputo-italiani-riforma-pensioni-non-si-tocca-sergio-mattarella-argine-populisti-matteo-salvini-luigi-di-maio.html

È Ancora attentato a Parigi – Accoltella passanti, un morto e diversi feriti

 

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È Ancora attentato a Parigi – Accoltella passanti, un morto e diversi feriti

L’assalitore è stati ucciso dalla polizia, urlava ‘Allah Akbar mentre pugnalava’. Indaga l’antiterrorismo.

E’ tornato il terrore a Parigi, in pieno centro, a due passi dal teatro dell’Opera: un uomo, gridando “Allah Akbar!” ha accoltellato i passanti di una via piena di gente al sabato sera, per una serata di primavera. La polizia ha reagito in pochi secondi, abbattendo l’assalitore. Una donna è morta e quattro persone sono ferite, due in maniera grave.  Ed è l’antiterrorismo che indaga sugli accoltellamenti avvenuti in serata nel centro della capitale francese: lo ha annunciato il procuratore di Parigi, Francois Molins, in una brevissima conferenza stampa. Nessun particolare sull’aggressore, sulla sua identità e sui suoi eventuali legami con complici.

Attorno alle 21, nell’affollata rue Saint-Augustin, che è celebre per i molti ristoranti – spesso frequentati da un gran numero di turisti – si è scatenata la furia dell’uomo, di cui si ignora la reale motivazione e lo stato mentale: secondo la radio Europe 1, ha gridato a più riprese “Allah Akbar”, pugnalando a ripetizione i passanti e seminando il panico in tutta la zona del 2/o arrondissement della capitale. In tutto, l’assalitore ha colpito 8 persone, prima che la polizia, che ha aperto il fuoco dopo una manciata di secondi, lo uccidesse. L’uomo è rimasto a terra, secondo le fonti – che devono essere confermate ufficialmente – ed è morto in pochi minuti. L’accoltellatore gridava ai poliziotti, subito intervenuti, “uccidetemi o vi ammazzo!”. Le persone colpite, secondo un ultimo bilancio, sono 5: una donna, che è morta, due persone che sono gravi, altre due ferite in modo più leggero. Altre quattro sono state coinvolte ma per loro le conseguenze sono soprattutto psicologiche e sono sotto shock.

Fonte Ansa

(http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/05/12/accoltella-passanti-a-parigi-4-feriti_f0764a90-52a4-4a7e-bbf9-fa35c33a15ce.html)

Sudan – Salvate Noura Houssein, la sposa bambina condannata a morte perché uccise il suo stupratore! – Firma anche Tu la petizione…!!

 

sposa bambina

 

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Sudan – Salvate Noura Houssein, la sposa bambina condannata a morte perché uccise il suo stupratore! – Firma anche Tu la petizione…!!

Sudan, sposa bambina condannata a morte per aver ucciso il marito stupratore. Il mondo si mobilita per salvarla

Ha 19 anni, Noura Houssein. Un’età in cui si vive di sogni, speranze, aspettative per il futuro. Noura Houssein, giovedì scorso, è stata condannata a morte per impiccagione. Ha ucciso un uomo, Noura, gli ha piantato un coltello nel cuore mentre questi cercava di stuprarla, come ogni notte da sei, lunghissimi giorni. Quest’uomo era suo marito.

Noura aveva solo 13 anni quando i genitori la costrinsero a un matrimonio con un lontano cugino, cui lei si oppose con tutte le sue forze. Ma per sfuggire al suo triste destino Noura era dovuta scappare da una zia, dove ha vissuto nascosta per anni prima che i genitori la ritrovassero e la consegnassero al marito-padrone.

Dopo il matrimonio, per punirla forse per aver pensato di poter essere libera, il marito l’ha ripetutamente violentata, finché Noura non ha scelto di reagire, uccidendolo. Ma ovviamente è incappata nell’assurda giustizia del Sudan, che nella donna vede solo un pezzo di carne da macellare.

A onor del vero, il giudice aveva chiesto alla famiglia dell’uomo ucciso di mostrare clemenza per la ragazza. I segni delle violenze erano chiari e forse anche quest’uomo aveva capito che Noura non aveva avuto scelta. Ma la famiglia non vuole sentire ragioni: questa ragazzina che ha osato ribellarsi al suo stupratore va punita e i familiari hanno fatto sapere che non accetteranno nemmeno del denaro per cambiare idea.

Il mondo, nel mentre, si è mobilitato, a cominciare da Amnesty International ed Equality Now. Su Change.org è stata lanciata una petizione che ha già raccolto diecimila firme.

Noura, intanto, aspetta che il suo destino si compia in carcere. I suoi avvocati hanno già presentato ricorso, ma le speranze si affieviloscono ogni minuto che passa e la vita di una giovane donna sta per essere spezzata per aver pensato di poter essere padrona del proprio corpo e della propria libertà.

Online è partita la petizione con l’hashtag #justiceforNoura

tratto da: http://www.globalist.it/world/articolo/2018/05/11/salvate-noura-houssein-la-sposa-bambina-che-ha-ucciso-il-suo-stupratore-2024142.html

 

Il Sindaco di Bagheria rifiuta intervista a Le Iene: “Non parlo di mafia con i dipendenti di Berlusconi”

 

mafia

 

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Il Sindaco di Bagheria rifiuta intervista a Le Iene: “Non parlo di mafia con i dipendenti di Berlusconi”

Sindaco rifiuta intervista a Le Iene: “Non parlo di mafia con i dipendenti di Berlusconi”

A rivelarlo è lo stesso primo cittadino di Bagheria, Patrizio Cinque, che guida un’amministrazione Cinque Stelle

Il sindaco di Bagheria Patrizio Cinque ha fatto sapere di non aver voluto rilasciare un’intervista agli inviati di Le Iene di Italia Uno perché lui non parla “con dipendenti di Silvio Berlusconi, anche indiretti”, visto che “secondo una recente sentenza e attraverso le parole del pm Di Matteo è emerso che ‘è stato stipulato un patto con Cosa nostra, intermediato da Marcello dell’Utri, che è stato mantenuto dal 1974 fino al 1992 dall’allora imprenditore Silvio Berlusconi'”.

A spiegarlo è lo stesso primo cittadino del comune in provincia di Palermo, a guida di un’amministrazione Cinque Stelle, in un post su Facebook. Il motivo della visita a Bagheria degli inviati del programma di Italia 1, ha riassunto Cinque, “riguardava un bene confiscato alla mafia che da circa un anno è stato occupato abusivamente da delle famiglie”. Cinque ricorda di essersi “immediatamente mosso di concerto con la Prefettura e le Forze Dell’Ordine per un intervento mirato allo sgombero. Tenendo presente che all’interno dell’immobile sono presenti anche dei minorenni”, considerano che “la volontà chiara, di tutte le pubbliche istituzioni coinvolte nella vicenda, è quella di liberare l’immobile e poterlo riconsegnare, una volta riqualificato, alla collettività. Tutto è assolutamente documentabile e riscontrabile”.

Citando la sentenza sulla trattativa Stato-Mafia, Cinque si è quindi rifiutato di “trattare l’argomento mafia con dipendenti di Berlusconi per rispetto dei morti uccisi dalla mafia e per rispetto di chi ha lottato contro la mafia, giornalisti inclusi”.

Il post ha ricevuto più di quattrocento commenti di utenti divisi tra chi loda la decisione di Cinque (“Bravissimo!!!! così avrebbe dovuto fare il presidente della Repubblica!… da notare che solo il M5S ha preso le distanze da chi ha collaborato con i mafiosi”, scrive uno di loro) e chi invece lo critica (“Non condivido il messaggio inviato alle Iene, messaggio che offende le tantissime famiglie che vivono grazie al lavoro che le aziende di Berlusconi danno! Alle domande dei giornalisti non bisognerebbe mai sottrarsi e le scuse sono pessime!”).

 

 

fonte: http://www.today.it/politica/patrizio-cinque-sindaco-bagheria-rifiuta-intervista-iene-berlusconi.html

…Ma Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani come fino ad oggi ci hanno voluto far credere?

 

Aldo Moro

 

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…Ma Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani come fino ad oggi ci hanno voluto far credere?

Aldo Moro fu davvero rapito in via Fani?
Aldo Moro fu davvero rapito in via FaniPrendo spunto da una lettera pubblicata oggi da Il Fatto Quotidiano per rispondere all’interrogativo posto da Ugo Mattei. Primo, basilare interrogativo dei tanti che ancora avvolgono i misteri sulla fine del presidente della Democrazia cristiana.

Il professore pone “due quesiti e un dubbio”. Come mai Moro non è stato ucciso o perlomeno ferito dalla gragnuola di colpi sparati in via Fani contro la Fiat 130, come gli è stato possibile uscire illeso da quel volume di fuoco che è costato la vita ai suoi cinque agenti di scorta? E come mai, pur essendo legato da grande amicizia e affetto agli uomini che quotidianamente proteggevano la sua vita, nelle tante lettere pubbliche e private che ha scritto nei 55 giorni della sua prigionia, non parla mai del loro sacrificio cui pure avrebbe assistito prima di essere prelevato e portato via?

La logica deduzione di Mattei è che Moro non era in via Fani e non è mai salito sulla 130 crivellata dai colpi, più semplicemente è stato rapito “prima”, fatto salire su un’altra vettura da “qualcuno” che lo aveva avvisato del pericolo imminente. Aggiungo, quel qualcuno che doveva avere il volto rassicurante di un uomo delle istituzioni. Diversamente da quanto afferma il professore la questione è stata posta più volte nel corso delle indagini, pur essendo talmente imbarazzante per le soluzioni che sottendeva da non essere mai stata troppo divulgata. Sono quesiti e dubbi che ho coltivato anche io, come cronista presente in via Fani il 16 marzo 1978 e negli approfondimenti successivi da me fatti in articoli e libri, senza arrivare ad alcuna certezza e tuttavia collezionando vari tasselli che ora cercherò di mettere in fila.

Qualora fosse esatta l’ipotesi di Mattei,  il “vero” rapimento di Aldo Moro non può che essere avvenuto nella chiesa di Santa Chiaradove attorno alle 8 quella mattina il presidente si era recato prima di dirigersi a Montecitorio per affrontare la prova più importante della sua vita politica: il varo di un governo con l’appoggio esterno del Pci che dava vita a quel “compromesso storico” che era stato (negli ultimi tempi) il suo obiettivo primario. La testimonianza (da me raccolta quel giorno) di una signora che – affacciata alla finestra della sua casa in via Fani – si disse convinta di aver visto Moro scendere dalla Fiat 130 mi impedisce di accettare in toto tale ipotesi, anche se non l’ho mai scartata del tutto ben sapendo quanto poco siano attendibili le testimonianze di persone che si trovano ad assistere ad eventi tanto devastanti.

Ma nella chiesa di Santa Chiara qualcosa di molto importante quel giorno è successo, ne sono certa. Lo prova il fatto che il caposcorta – il maresciallo Oreste Lonardi  decise di imboccare proprio il percorso che conduceva in via Fani, che pure non era il più logico e neppure il più rapido per arrivare in centro, cadendo nel tranello di passare proprio dove l’agguato era stato preparato nei giorni precedenti e dove erano già ad attendere Moro una ventina o più di killer tra cui “anche” alcuni brigatisticome ha scritto di recente la commissione di Giuseppe Fioroni nella relazione finale. Quel “anche” basta a far capire il ruolo subalterno dei terroristi delle Brigate rosse rispetto ad altre entità presenti sul posto.

Ma ciò conferma anche che quel “qualcuno” – che potrebbe aver prelevato Moro nella chiesa di Santa Chiara e/o aver ordinato al maresciallo Lonardi di passare in via Fani – non poteva che essere un suo diretto superiore, ben conosciuto dal responsabile della scorta di Moro che non avrebbe mai consegnato il presidente a chi si fosse presentato con un semplice distintivo e neppure avrebbe mutato il percorso che come sempre decideva all’ultimo momento senza neppure anticiparlo ai suoi uomini.  Ho molto elucubrato su quale argomento possa essere stato usato per convincere Lonardi e alla fine mi sono convinta che possa essere stato l’allarme lanciato da Radio Città futura pochi minuti prima con cui si annunciava la possibilità che Moro potesse essere rapito, spacciato dal “qualcuno” come conferma di voci raccolte in ambienti estremisti.

Quel poco che sappiamo è che in via Fani c’era il colonnello Camillo Guglielmi, responsabile dei reparti di sbarco e assalto di Capo Marrargiu. Sappiamo anche che con tutta probabilità Lonardi era stato addestrato nella base sarda degli apparati Gladiodella Nato come altri sottufficiali destinati alla protezione di alte personalità politiche. Nessuna conferma  ufficiale, soltanto dubbi e deduzioni. Il colonnello Guglielmi è morto prima della conclusione del primo processo. Una dipartita salutata con un gran funerale che ebbe molta risonanza, quasi a sottolineare l’estraneità dell’ufficiale agli eventi cui aveva accidentalmente assistito nonché la definitiva chiusura di una vicenda processuale oltremodo imbarazzante..

A questi tasselli ne va aggiunto un ultimo che lungi dal chiarire la scena criminis del rapimento Moro allunga nuove, gravissime ombre. L’ultima perizia balistica sull’uccisione dei cinque agenti di scorta ordinata dalla commissione Fioroni sancisce che a tutti fu inflitto il colpo di grazia, quasi a scongiurare la loro sopravvivenza. Che interesse potevano avere i brigatisti rossi a un simile ulteriore massacro? Gli agenti erano tutti o morti o gravemente feriti, non più in grado di reagire aprendo il fuoco contro di loro. Il successivo dubbio è che quel “qualcuno” dovesse eliminare il rischio della sopravvivenza di un testimone in grado di raccontare cosa era davvero accaduto nella chiesa di Santa Chiara.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/11/aldo-moro-fu-davvero-rapito-in-via-fani/4348946/

Per non dimenticare – Il caso del tenente Di Bello “Io rovinato per aver fatto il mio dovere”… Scopre che l’acqua potabile viene da un lago inquinato: SOSPESO. Continua a non farsi i “fatti suoi” e scopre un altro caso di terreni inquinati con cancerogeni… LICENZIATO !!!

Di Bello

 

 

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Per non dimenticare – Il caso del tenente Di Bello “Io rovinato per aver fatto il mio dovere”… Scopre che l’acqua potabile viene da un lago inquinato: SOSPESO. Continua a non farsi i “fatti suoi” e scopre un altro caso di terreni inquinati con cancerogeni… LICENZIATO !!!

 

“Io rovinato per aver fatto il mio dovere. E per aver raccontato i veleni del petrolio in Basilicata prima di tutti”

In un colloquio con Il Fatto Quotidiano lo sfogo di Giuseppe Di Bello, tenente di polizia provinciale ora spedito a fare il custode al museo di Potenza per le sue denunce sull’inquinamento all’invaso del Pertusillo.

“Mi chiamo Giuseppe Di Bello, sono tenente della polizia provinciale ma attualmente faccio il custode del Museo di Potenza. Da sei anni sono stato messo alla guardia dei muri, trasferito per punizione perché ho disonorato la divisa che porto. L’ho disonorata nel gennaio del 2010 quando mi accorgo che la ghiaia dell’invaso del Pertusillo si tinge di un colore opaco. Da bianca che era la ritrovo marrone. Affiora qualche pesciolino morto. L’invaso disseta la Puglia e irriga i campi della Lucania. Decido, nel mio giorno di riposo dal lavoro, di procedere con le analisi chimiche. Evito di far fare i prelievi all’Arpab, l’azienda regionale che tutela la salute, perché non ho fiducia nel suo operato. Dichiara sempre che tutto è lindo, che i parametri sono rispettati e io so che non è così. L’Eni pompa petrolio nelle proprie tasche, e lascia a noi lucani i suoi veleni. Chiedo la consulenza di un centro che sia terzo e abbia tecnologia affidabile e validata. Pago con soldi miei. Infatti le analisi confermano i miei sospetti. C’è traccia robusta di bario, c’è una enorme concentrazione di metalli pesanti, tutti derivati da idrocarburi. E’ in gioco la salute di tutti e scelgo di non attendere, temo che quei documenti in mano alla burocrazia vadano sotterrati, perduti, nascosti. Perciò le analisi le affido a Maurizio Bolognetti, segretario dei radicali lucani, affinchè le divulghi subito. Tutti devono sapere, e prima possibile!

Decido di denunciare i fatti alla magistratura accludendo le analisi che ho fatto insieme a quelle precedenti e ufficiali dell’Arpab molto più ottimistiche e tranquillizzanti ma comunque anch’esse costrette a rilevare delle anomalie. Alla magistratura si rivolge anche l’assessore regionale all’Ambiente che mi denuncia per procurato allarme. Il presidente della Regione, l’attuale sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, dichiara pubblicamente che serve il pugno duro. Infatti così sarà. I giudici perquisiscono l’abitazione di Bolognetti alla ricerca delle analisi, che divengono corpo di reato. Io vengo denunciato per violazione del segreto d’ufficio, sospeso immediatamente dall’incarico e dallo stipendio (il prefetto mi revocherà per “disonore” anche la qualifica di agente di pubblica sicurezza) mentre l’invaso del Pertusillo si colora improvvisamente di rosso, con una morìa di pesci impensabile e incredibile. Al termine dei due mesi di sospensione vengo obbligato a consumare le ferie. Parte il procedimento disciplinare, mi contestano la lesione dell’immagine dell’ente pubblico e mi pongono davanti a un’alternativa: andare a fare l’addetto alla sicurezza del museo o attendere a casa la conclusione del processo. E’ un decreto di umiliazione pubblica. Ma non mi conoscono e non sanno cosa farò.

Infatti accetto l’imposizione, vado al museo a osservare il nulla, ma nel tempo libero continuo a fare quel che facevo prima. Costituisco un’associazione insieme a una geologa, una biologa e a un ingegnere ambientale e procedo nelle verifiche volontarie. Vado col canotto sotto al costone che ospita il pozzo naturale dove l’Eni inietta le acque di scarto delle estrazioni petrolifere. In linea d’aria sono cento metri di dislivello. Facciamo le analisi dei sedimenti, la radiografia di quel che giunge sul letto dell’invaso. Troviamo l’impossibile! Idrocarburi pari a 559 milligrammi per chilo, alluminio pari a 14500 milligrammi per chilo. E poi manganese, piombo, nichel, cadmio. E’ evidente che il pozzo dove l’Eni inietta i rifiuti non è impermeabile. Anzi, a volerla dire tutta è un colabrodo!

La striscia di contaminazione giunge fino a Pisticci, novanta chilometri a est, e tracce di radioattività molto superiori al normale e molto pericolose sono rintracciate nei pozzi rurali da dove i contadini traggono l’acqua per i campi, per dissetare gli animali quando non proprio loro stessi. La risposta delle istituzioni è la sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi alle regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazioneannulla la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina. Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?”.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/04/io-rovinato-per-aver-fatto-il-mio-dovere-e-per-aver-raccontato-i-veleni-del-petrolio-in-basilicata-prima-di-tutti/2607697/

Io mi ricordo di te, Marta Russo, uccisa a vent’anni che era di maggio

Marta Russo

 

 

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Io mi ricordo di te, Marta Russo, uccisa a vent’anni che era di maggio

9 di maggio del 1997 quando noi giovani cronisti corremmo alla Sapienza: sembrava un incidente ed era un omicidio nella più grande università d’Europa. Lo sgomento, il dolore e un telefono a gettoni

Marta, si chiamava Marta. Accadeva di maggio. 9 maggio 1997. Accadde nel più grande ateneo d’Europa, La Sapienza a  Roma. Mi ricordo che in redazione arrivò la telefonata di Lanfranco, il nostro informatore in Questura, giornalista in pensione che avvertiva tre, quattro, cinque testate che era accaduto un fatto brutto, un fattaccio. Accadde che disse che una studentessa era stata colpita da un sasso. Ci precipitammo tutti: giornali, radio, tv, i media di quel mondo antico e analogico dove c’erano ancora i telefoni a gettone. Era 21 anni fa, e faceva caldo a Roma, sotto la Minerva della Sapienza, in quell’angolo dell’università  che ha attraversato chiunque abbia studiato in quell’ateneo. Il mio. L’ateneo dove anche io mi sono laureata.
Poi la versione cambiò in breve, in poche ore. Non era un sasso, era un proiettile. Eravamo giovani anche noi, allora, quando accadde. Giovani giornalisti sgomenti davanti a una cosa gigantesca, mostruosa e terribile. I grandi inviati arrivarono dopo, molto dopo. All’inizio fummo noi cronistini a tenere botta, chiamare i capi con il gettone, spiegare: “L’hanno colpita qui alla Sapienza, è in coma, è gravissima, si chiama Russo Marta, nata a Roma, 13 aprile 1975. Non è un sasso, qualcuno ha fatto fuoco”.

Mi ricordo che quell’angolo dell’università dove Marta fu uccisa senza un motivo,  in breve divenne una piazza, migliaia di studenti sconvolti e attoniti, chi portava un peluche, chi un fiore. Mi ricordo lo sgomento di tutti quei ragazzi che marciarono per Marta alla Sapienza che ventuno anni dopo resta il medesimo fortino di baronati. E marciammo anche noi cronisti giovani all’ospedale, in Questura, a piazzale Clodio, tra le stanze di Filosofia del diritto. Mi ricordo che Marta, Marta Russo, aveva un fidanzato. Entrò al Policlinico dove lei era ricoverata con un disco di Ramazzotti in mano, una canzone. La loro. Sarà sarà l’aurora, vedrai che presto tornerai dove adesso non ci sei… In quella corsia io mi ricordo un ragazzino che piangeva come si piange a vent’anni, diceva per sempre amore mio, svegliati per sempre amore mio. Per sempre è un tempo breve. Dura un respiro, dura il tempo di una margherita dall’università al Verano. Marciammo ai funerali, attoniti, con i genitori di Marta, due giganti tagliati in due eppure scolpiti nella dignità, questa piccola famiglia distrutta e senza pace, i sacrifici per mandarla a studiare e poi un proiettile e addio Marta, per sempre Marta, così piccola in una bara gigante. La famiglia Russo donò tutti gli organi della loro figlia appena ragazza, bellissima e bionda: fegato, reni, cornee. Il pancreas fu utilizzato per estrarre insulina e salvare altre persone. Con il cuore di Marta vive ancora oggi Domenica Virzì, casalinga di Catania.
Io mi ricordo di te Marta, per sempre ragazza. E tutto il chiaro, e di più ancora che purtroppo non hai potuto avere.

 

fonte: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/09/io-mi-ricordo-di-te-marta-russo-uccisa-a-vent-anni-che-era-di-maggio-2024003.html

Salvini con il giubbetto dei fascisti di CasaPound: crediamo proprio che non ci sia proprio nient’altro da dire…!

 

Salvini

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Salvini con il giubbetto dei fascisti di CasaPound: crediamo proprio che non ci sia proprio nient’altro da dire…!

Salvini con il giubbetto dei fascisti di CasaPound: segnale forte e chiaro

Il brand si chiama Pivert e titolare dell’azienda è un picchiatore di Blocco Studentesco. Il leader della Lega strizza l’occhio all’estrema destra…!

“L’uomo Pivert non è un uomo elitario, non si ritira nei piani alti di un grattacielo per osservare dall’alto verso il basso. Si sporca le mani ma non sopporta la massa, gli standard, le cose di tutti e per tutti…. L’uomo Pivert combatte, sul ring o sulla vita non fa differenza. Lui combatte: per le proprie idee, per opporsi a ciò che non gli sta bene”. Ricordiamo la visione dell’uomo Pivert – azienda di abbigliamento sportivo di cui andremo a parlare – perchè mercoledì sera alla finale di Coppa Italia tra Juventus e Milan, Matteo Salvini era in tribuna d’onore allo stadio Olimpico di Roma con cappellino del suo Milan in testa e indosso una giacca impermeabile della Pivert. L’azienda, caratterizzata dal logo di un picchio bianco, è quasi una divisa tra i neofascisti, quelli di CasaPound, ma non solo. Per mettere a posto tutti i tasselli, CasaPound è quella realtà neofascista le cui gesta si possono ripassare scorrendo la cronaca nera, anzi nerissima, di Roma ma non solo. Suoi esponenti, come Iannone e Di Stefano, quando non erano politicamente  ingombranti , erano culo e camicia ( nera ) con Salvini.
E l’uomo che vorrebbe tanto divenire da qui a breve ministro dell’Interno mercoledì era in tribuna d’onore dell’Olimpico a far da testimonial alla linea d’abbigliamento più amata dai neofascisti. Non distante, la presidente del Senato, seconda carica dello Stato, espressione di quel parti
to di proprietà di Silvio Berlusconi che ha dato il lasciapassare alla possibile alleanza tra Lega di Salvini e 5Stelle di Di Maio.
Andiamo alla Pivert. Il titolare dell’azienda (il logo è, appunto, un picchio stilizzato) è Francesco Polacchi, già responsabile nazionale di Blocco Studentesco (la costola giovanile di CasaPound), condannato a un anno e quattro mesi per i violenti scontri in piazza Navona, a Roma, nel 2008  e ora indagato per gli scontri seguiti al blitz di CasaPound a Milano contro il sindaco Beppe Sala. Era il 29 giugno 2017. Secondo i magistrati, Polacchi avrebbe aggredito con calci e pugni due persone.
La Pivert  oggi ha una rete vendita con negozi sia in Italia che all’estero. Un successo, in pochi anni, considerando che nacqua nel vicino 2015. Il marchio di fatto è una costola commerciale di CasaPound- Pivert sul nascere pounta immediatamente ai giovani della destra estrema, pur non avendo riferimenti espliciti all’iconografia fascista. Pivert è un  segno di riconoscimento. Protagonisti delle campagne pubblicitarie sono ragazzi coi capelli rasati ritratti davanti al Vittoriale o all’Altare della Patria. Per essere chiari e diretti.  E mercoledì sera all’Olimpico di Roma Salvini a far bella mostra del suo Pivert. Che non gli ha portato bene.

tratto da: http://www.globalist.it/politics/articolo/2018/05/10/salvini-con-il-giubbetto-dei-fascisti-di-casapound-segnale-forte-e-chiaro-2024052.html