Che bella gente: un altro esponente di Fratelli d’Italia arrestato per mafia. È il quinto in otto mesi…!

 

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Che bella gente: un altro esponente di Fratelli d’Italia arrestato per mafia. È il quinto in otto mesi…!

Un neo consigliere regionale di Fratelli d’Italia in Calabria, Domenico Creazzo, è stato arrestato ieri e posto ai domiciliari nell’ambito di una operazione antindrangheta, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria. L’operazione ha determinato 65 ordinanze di custodia cautelare di cui 53 in carcere e 12 agli arresti domiciliari.

Domenico Creazzo non è però l’unico politico coinvolto, è stata infatti chiesta anche una autorizzazione a procedere, con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, per il senatore di Forza Italia Marco Siclari, fratello del sindaco di Villa San Giovanni, a sua volta coinvolto, nel dicembre scorso, in un’altra inchiesta della Procura di Reggio. Per il parlamentare sono stati invocati gli arresti domiciliari.

I 65 arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, vari reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, estorsioni, favoreggiamento reale, violenza privata, violazioni in materia elettorale, reati aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta, nonché di scambio elettorale politico mafioso.

Creazzo è il sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte e risultava fino a poco fa era vicino al centrosinistra calabrese (anche questo piuttosto “poroso” alle infiltrazioni ndranghetiste, ndr). Recentemente era passato nelle fila di Fratelli d’ Italia, grazie al quale il 26 gennaio scorso, per la prima volta è stato eletto in consiglio regionale, portandosi dietro un pacchetto di di 8mila preferenze personali.

Un caso isolato? Non si direbbe. E i ripetuti arresti sollevano legittimi dubbi sulla inquietante natura della crescita di consensi a Fratelli d’Italia. A luglio scorso, dopo alcuni arresti di esponenti politici del partito nel nord, il capogruppo di FdI alla Camera Francesco Lollobrigida aveva dichiarato a Il Fatto che “Gli anticorpi ci sono e funzionano”.

Ma passato appena un mese, i fatti sembrano aver smentito clamorosamente questa tesi.

Ad agosto Giorgia Meloni in Calabria aveva fatto Una sorta di “campagna acquisti” e il gruppo di Fratelli d’Italia alla regione era diventato in poche settimane il secondo, subito dopo quello del Partito Democratico. Poi a gennaio la georgrafia politica della Regione Calabria è nuovamente cambiata piuttosto brutalmente.

Con i nuovi acquisti calabresi la Meloni aveva organizzato addirittura una kermesse di presentazione a Roma per i 7 neoconsiglieri. In gran parte si tratta di ex Forzaitalia, vecchi centristi, trasformisti di vario tipo, pronti a salire sul carro del vincitore, fiutato il vento.

Tra questi spiccava, Alessandro Nicolò, ex berlusconiano, e detentore di un bel gruzzolo di voti nella provincia di Reggio Calabria. Meloni lo aveva sponsorizzato come capogruppo in regione ed era una sorta di fiore all’occhiello della campagna calabra di Fratelli d’Italia.

Ma ad agosto la polizia, su mandato della Dda di Reggio lo ha prelevato dalla sua abitazione e tradotto in carcere. Le accusa contestate a lui ed altri indagati sono a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno e tentata corruzione.

Ancora prima, a luglio, c’erano stati gli arresti nel giro di pochi giorni di altri esponenti di Fratelli d’Italia per inchieste legate alle infiltrazioni ndranghetiste nelle amministrazioni pubbliche. Erano finiti in carcere Giuseppe Caruso, presidente del consiglio comunale di Piacenza, e il consigliere comunale di Ferno (Varese) Enzo Misiano.

Più recentemente, nel dicembre 2019 invece era toccato al Piemonte, dove è stato arrestato l’assessore Roberto Rosso, anche lui approdato a Fratelli d’Italia e accusato di voto di scambio con la ‘ndrangheta. Il 59enne, in politica da 40 anni e per cinque legislature era stato parlamentare di Forza Italia, poi aveva deciso di passare a Fratelli d’Italia.

L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è stato ad esempio condannato a sei anni. La sentenza, connessa a uno dei filoni dell’inchiesta Mondo di mezzo, è stata emessa dai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma. Secondo il tribunale Alemanno avrebbe ottenuto illecitamente denaro dall’organizzazione capeggiata da Massimo Carminati. L’ex sindaco è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. E il movimento creato da Alemanno (Movimento Nazionale per la Sovranità), il 7 dicembre scorso ha deciso di aderire a Fratelli d’Italia. E sempre nel Lazio già nel 2013, agli esordi di Fratelli d’Italia, c’era stato un arresto eccellente, quello del consigliere regionale Giancarlo Righini.

Insomma tra luglio e febbraio sono stati arrestati cinque esponenti di peso su quel “territorio” che Fratelli d’Italia e la Meloni iconizzano come terreno di crescita elettorale. Una crescita e una campagna acquisti che sembra con tutta evidenza molto legata a cordate/pacchetti di voti trasferibili dai contorni piuttosto inquietanti. Le connessioni tra organizzazioni fasciste con le reti malavitose su vari territori (la Calabria certo ma anche il Lazio) non sono certo un fulmine a ciel sereno, al contrario. Ma qui si delinea una proiezione politica generale di queste connessioni, e allora il discorso si fa enormemente più serio.

Da settimane la Meloni viene coccolata e amplificata – anche da un certo giornalismo “progressista” –  per farne un fattore di indebolimento di Salvini. Ma gli apprendisti stregoni non possono sottovalutare che, ancora una volta, potrebbero aiutare a covare le uova di un serpente.

Come noto abbiamo l’allergia alle campagne sulla legalità, ma l’allergia diventa totale soprattutto quando a farsene promotore sono partiti che stanno rivelando troppi scheletri nell’armadio, e poi magari chiedono di mettere fuorilegge… i comunisti.

 

fonte: http://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/26/un-altro-esponente-di-fratelli-ditalia-arrestato-per-mafia-e-il-quinto-in-otto-mesi-0124490?fbclid=IwAR2xe4qkUvS7BGDl5b8LNCviagmFX75uRnZ8RQmVBaD_-zQuxt_Dp1sOvLE

Il giudice Di Matteo: “Le rivelazioni di Graviano su Berlusconi (da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme, mi chiese una mano per scendere in campo)? Quando lo dicevo io mi diedero del fanatico”…!

 

 

 

 

Di Matteo.

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Il giudice Di Matteo: “Le rivelazioni di Graviano su Berlusconi (da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme, mi chiese una mano per scendere in campo)? Quando lo dicevo io mi diedero del fanatico”…!

Parla l’ex pm del processo trattativa Stato-Mafia: “Ricostruiti rapporti stabili e duraturi tra Berlusconi e Cosa nostra. Sembra che in questo Paese certe cose non possano nemmeno essere ricordate”.

In merito alle nuove dichiarazioni di Giuseppe Graviano, il boss mafioso che ha deciso di parlare oggi dopo tanti anni di silenzio su Berlusconi, sono state così commentate dal consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura Antonino Di Matteo, ex pm del processo trattativa Stato-Mafia: “Non entro nel merito delle nuove dichiarazioni di Giuseppe Graviano. È certo, però, che anche nella sentenza definitiva di condanna del senatore Marcello Dell’Utri sono stati ricostruiti rapporti stabili e duraturi tra Berlusconi e Cosa nostra. Sembra che in questo Paese certe cose non possano nemmeno essere ricordate e che chi si ostina a farlo sia destinato, come è capitato a me ed ai miei colleghi, per queste indagini, ad essere additato come un visionario fanatico”.
Le intercettazioni tra Graviano e il boss Umberto Adinolfi furono depositate al processo sulla trattativa Stato-mafia. Secondo i pm che rappresentavano l’accusa del dibattimento ”le parole del boss di Brancaccio evocano un rapporto di natura paritaria con Berlusconi”. ”In quelle intercettazioni tutti i riferimenti portano a Berlusconi, una persona che aveva deciso di entrare in politica – avevano ribadito i pm in aula – Graviano dice che Berlusconi nel 1992 voleva scendere in politica tramite Dell’Utri, e poi ancora dice ‘ci vorrebbe una bella cosa’ e ‘mi ha chiesto sta cortesia’. Nel proseguo Graviano dice che a causa del suo arresto non hanno potuto definire gli accordi”.

tratto da: https://www.globalist.it/news/2020/02/07/il-giudice-di-matteo-le-rivelazioni-di-graviano-su-berlusconi-quando-lo-dicevo-io-mi-diedero-del-fanatico-2052685.html

Il boss mafioso Graviano su Berlusconi: “da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme. Quando scese in campo mi chiese una mano”

 

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Il boss mafioso Graviano su Berlusconi: “da latitante lo vedevo spesso, cenavamo insieme. Quando scese in campo mi chiese una mano”

Il boss Giuseppe Graviano, dopo un silenzio lungo vent’anni, ha raccontato i rapporti della sua famiglia con Silvio Berlusconi. Rapporti d’affari e di investimenti nel settore immobiliare: “Ci incontrammo più volte. Berlusconi sapeva che ero latitante. Regalò anche un appartamento a mio cugino, poi gli raccontò di voler scendere in campo in politica. Chiese una mano in Sicilia”.

Il boss Giuseppe Graviano, dopo un silenzio durato vent’anni, ha deciso di raccontare i rapporti della sua famiglia con Silvio Berlusconi nel processo “Ndrangheta stragista”: non solo avrebbe incontrato più volte il Cavaliere, ma la sua famiglia sarebbe stata in società con lui, frequentandolo da ben prima dell’entrata di Forza Italia nell’universi politico. “Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Venne invitato a investire soldi al nord, perché era in contatto con Silvio Berlusconi”, ha detto Graviano, come riporta Repubblica. “Mio nonno mi disse che era in società con queste persone, mi propose di partecipare pur specificando che mio padre non voleva. Io e mio cugino Salvo abbiamo chiesto un consiglio a Giuseppe e Michele Greco, che mi dissero che qualcuno doveva portare avanti questa situazione e abbiamo deciso di sì. E siamo partiti per Milano. Siamo andati dal signor Berlusconi, mio nonno era seguito da un avvocato di Palermo che era il signor Canzonieri”.

Il primo incontro, spiega Graviano, è avvenuto nel 1983. Si sono incontrati all’Hotel Quark: “C’erano Berlusconi, mio nonno e mio cugino Salvatore. Noi affiancavamo mio nonno perché era anziano e dovevamo essere pronti a prendere il suo posto. Siamo andati con questa situazione, di tanto arrivavano un po’ di soldi e mio cugino non li divideva, ma li reinvestiva”. Dall’anno seguente Graviano è latitante. Nel 1993 un nuovo incontro: ” Si era arrivati alla conclusione che si dovesse regolarizzare la situazione e far emergere il nome dei finanziatori. Ci siamo incontrati con Berlusconi, con lui c’erano altre persone che non mi sono state presentate. Berlusconi sapeva che ero latitante. Stavo ad Omegna, ma Milano mi serviva per gli incontri e la frequentavo, senza usare particolari precauzioni. Andavo a fare shopping in via Montenapoleone, andavo al cinema e a teatro”.

Lo scopo dell’incontro era quello di far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi a cui partecipava il nonno di Graviano: “I loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino”. Al quale Berlusconi avrebbe anche regalato un appartamento, continua a raccontare Graviano. Proprio in quell’occasione, nell’incontro del 1993, Berlusconi avrebbe informato i suoi soci in affari delle sue ambizioni politiche: “Lo dice a mio cugino Salvo, a cui chiede una mano in Sicilia”. Poi Graviano accusa il Cavaliere: “Berlusconi fu un traditore, perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell’ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose”. E ancora: “Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell’abolizione dell’ergastolo”.

Ghedini smentisce la ricostruzione: “Priva di fondamento”
“Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonchè palesemente diffamatorie”. A dirlo è Niccolò Ghedini, legale di Silvio Berlusconi, replicando a quanto dichiarato dal boss Graviano.

“Si osservi – sottolinea Ghedini – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti. Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione, improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia.Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.

tratto da: https://www.fanpage.it/politica/il-boss-graviano-sui-rapporti-con-berlusconi-lo-vidi-piu-volte-da-latitante-cenavamo-insieme/
https://www.fanpage.it/

È vero, non tutti i Sì-Tav sono mafiosi. Però è vero anche che tutti i mafiosi sono Sì-Tav.

 

 

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È vero, non tutti i Sì-Tav sono mafiosi. Però è vero anche che tutti i mafiosi sono Sì-Tav.

Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna“, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.

Lo stesso Rosso aveva esortato il centrodestra a non disertare la seconda manifestazione delle Madamine, il 17 maggio, per non lasciare al solo Chiamparino «il verbo SìTav» (per Forza Italia ci sarà Lara Comi, ora arrestata «con l’accusa di corruzione e truffa ai danni dell’Ue», e per il Pd sarà presente Maria Elena Boschi). Ancora lo scorso 10 novembre, continua Revelli, Rosso (nel frattempo promosso assessore regionale “alla legalità” nella giunta di Alberto Cirio), aveva festeggiato il compleanno della prima manifestazione SìTav «con una bicchierata insieme al collega Mino Giachino e al forzista Paolo Zangrillo, ancora una volta invocando il pugno duro della “giustizia” contro i delinquenti dei centri sociali e i “fautori dell’illegalità” della val di Susa». Mai fare d’ogni erba un fascio, ammette Revelli, per di più se – nel caso di Rosso – si parla di un procedimento giudiziario ancora all’inizio, ben lontano da una condanna. «Sono convinto che, in quella piazza sbagliata, erano certo tante le persone in buona fede, quelli che credevano davvero alla “fake” secondo cui senza il super-treno e soprattutto il super-tunnel da 57 chilometri Torino resterebbe del tutto scollegata dall’Europa», scrive Revelli. In tanti s’erano bevuto la bufala di Chiamparino, «secondo cui al fondo di quella galleria si potrebbe contemplare il sol dell’avvenire anziché il ghigno degli affaristi transfrontalieri».

Di fatto, però, «dal momento in cui sono incominciate le maxi-indagini sulla penetrazione della ‘ndrangheta in Piemonte, non ce n’è stata una che non abbia tirato nella rete qualche pesce più o meno grosso di ‘ndrina coinvolto con gli appalti Tav o fortemente interessato ad essi, tanto da interferire più o meno pesantemente con le politiche locali, comunali, regionali, di valle o di comprensorio». Così – continua Revelli – è stato per la maxi-indagine “Minotauro”, in cui era incappato Giovanni Toro, condannato a sette anni (quello del «la mangio io la torta Tav»), la cui ditta aveva asfaltato la strada per i mezzi della polizia nel cantiere della Val Clarea «e il cui uomo di fiducia, Bruno Iaria (condanna a cinque anni), capo della locale ‘ndrina di Cuorgné, era stato capocantiere per la ditta di Fernando Lazzaro (anch’egli finito in carcere) che eseguiva i primi lavori di insediamento a Chiomonte». Così anche per l’indagine “San Michele” della procura di Torino, che portò a rivelare le azioni intimidatorie compiute dalla ‘ndrina di San Mauro Marchesato al fine di favorire ditte vicine «agli interessi della cosca nei lavori di costruzione della Tav Torino-Lione». In quel caso, aggiunge Revelli, è stata la stessa Corte di Cassazione a certificare che «la ‘ndrangheta era interessata a lavori di costruzione del Tav Torino-Lione in valle di Susa».

L’ultima retata, nell’ambito dell’inchiesta “Fenice”, non ha portato solo all’arresto di Rosso: ha scoperchiato anche «un fitto intreccio di interessi, da parte della ‘ndrangheta, a che i lavori per il Tav in valle Susa riprendessero e “il cantiere di val Clarea andasse avanti”». Interessi documentati dall’impegno di due presunti ‘ndranghetisti di rango, Francesco Viterbo (quello che dice «io i giudici li metterei tutti sopra una barca e poi gli sparerei») e Onofrio Garcea, «figura importante della ’ndrangheta a Genova (condannato in attesa di Cassazione), ma da tempo attivo a Torino», dove sarebbe stato «spedito a riorganizzare le file dell’organizzazione mafiosa nell’area di Carmagnola, scompaginate a marzo dall’operazione “Carminius”». C’erano anche loro, nella piazza torinese delle Madamine, a tutelare i propri affari futuri? Forse, semplicemente, «se ne stavano tranquilli a casa a sghignazzare – come gli imprenditori ignobili per il terremoto dell’Aquila – a vedere tanta brava gente lavorare per loro e a contemplare lo scempio paesaggistico e sociale del cantiere in Val Clarea».

tratto da: https://www.libreidee.org/2020/01/tutti-i-mafiosi-sono-si-tav-la-ndrangheta-nella-torino-lione/

La mafia adesso dirige onlus per i diritti umani – Antonello Nicosia, in stato di fermo per associazione mafiosa, è direttore di una onlus per i diritti dei carcerati e nel tempo libero messaggero per i clan, con il silenzioso beneplacito delle nostre istituzioni.

 

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La mafia adesso dirige onlus per i diritti umani – Antonello Nicosia, in stato di fermo per associazione mafiosa, è direttore di una onlus per i diritti dei carcerati e nel tempo libero messaggero per i clan, con il silenzioso beneplacito delle nostre istituzioni.

Oggi ci sono pochi eroi perché sono quasi tutti morti. Falcone e Borsellino scusateci, ma non siamo all’altezza della vostra eredità.

Tralasciando i fatti – che verranno accertati dalla Procura di Palermo – le parole di Antonello Nicosia uccidono ancora e offendono la memoria di chi con religioso impegno ha servito lo Stato. Quando si parla a sproposito di Falcone e Borsellino le parole sono macigni e quelle pronunciate da Nicosia devono essere pesate e giudicate a dovere:

“All’aeroporto bisogna cambiare il nome eh! Non va bene Falcone e Borsellino. Ma perché dobbiamo spiegare chi sono, scusami? Perché dobbiamo mescolare sempre la stessa merda? Sono vittime di incidenti sul lavoro. [Risata]. Ma poi Falcone non era più magistrato quando è stato ammazzato, aveva già un incarico politico”.

Intercettato dai Carabinieri così parlava Nicosia, radicale di Sciacca, direttore di una onlus che si occupa dei diritti dei detenuti e assistente parlamentare di Giuseppina Occhionero (Italia Viva), che grazie a questo incarico riusciva ad accedere facilmente alle carceri come lui stesso affermava:

“Mi giro le carceri, visto che non potevo entrare così [come radicale] con lei [Giuseppina Occhionero] entro. Faccio un sacco di cose, hai capito? Ho trovato questo escamotage. Vado al 41 bis. Entro di notte pure ad Agrigento ci sono andato di notte”.

L’Italia è un paese assurdo in cui le cose funzionano al contrario: ci preoccupiamo dei colpevoli, ma trascuriamo le vittime. Dopo che la Corte di Strasburgo ha mostrato di non comprendere cosa sia e come si combatta la mafia, prevedendo benefici di pena anche per quei terroristi e mafiosi che si rifiutino di collaborare, in Italia permettiamo non a detenuti qualunque, ma a carcerati eccellenti di avere contatti con l’esterno addirittura servendosi delle istituzioni attraverso pizzini intestati Camera dei Deputati e consegnati da Nicosia in qualità di tramite.

Ecco allora che il lavoro lasciatoci in eredità da Falcone viene miseramente svilito, con il danno – rimuovere l’ergastolo ostativo anche per i non collaboratori di giustizia – oltre che con la beffa – definirlo un politico vittima di un incidente sul lavoro. La verità è che di Mafia si parla ancora troppo poco – salvo rare ed eccellenti eccezioni, vedasi Nicola Gratteri- e che nonostante il temerario lavoro a valle svolto dalle forze dell’ordine, la legislazione statale e ancor di più quella sovrannazionale non hanno i mezzi giuridici a monte necessari per affrontare una battaglia impari che merita ugualmente di essere combattuta.

 

 

fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/cartucce/nicosia-mafia-onlus-diritti-umani/?fbclid=IwAR0OiV1Xar6cD-8u_eqTl3pA1QjWKUkZgcgg1UvrR2Jx9pSoEgmdpe0VlzU

Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

 

Antonio Ingroia

 

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Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

B. e Dell’Utri mandanti? Non mi stupisco

di Antonio Ingroia
La notizia dell’indagine su B. e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ’93 è stata accolta dai politicanti, Renzi in testa, con fastidio o addirittura stupore. Io, al contrario, sono stupito dallo stupore, e quindi provo a fare un’operazione “memoria”, visto che alcuni fatti sono noti da decenni e altri, che hanno imposto la nuova indagine, sono più recenti. La ricostruzione della strategia stragista, emersa da anni di indagini e processi a Palermo, Firenze, Caltanissetta e Reggio Calabria, è quella consacrata in sentenze, anche definitive, che dicono che si trattava di stragi a moventi e mandanti “multipli”, ove la mafia militare ebbe un ruolo non solo esecutivo, ma che un ruolo determinante lo ebbero soprattutto quei “mandanti esterni”, quelle “menti raffinatissime”, come le chiamava Giovanni Falcone, fino a oggi non identificati con sentenze, ma più volte indagati sulla base di elementi probatori che negli anni si sono stratificati.

È accertato che l’accordo di reciproco supporto stipulato dalla mafia con i referenti tradizionali, la Dc andreottiana in testa, si era usurato e andava ristrutturato, di pari passo al processo di ristrutturazione del quadro politico, a cavallo fra Prima e Seconda Repubblica. E siccome la mafia “ristruttura” i propri rapporti a suon di bombe e omicidi, tutto era iniziato con il delitto Lima e l’azzeramento dei rapporti con la Dc, per proseguire con le stragi di Falcone e Borsellino, premesse per intavolare una “trattativa” e ricontrattare analogo accordo con un soggetto politico “nuovo”. È materia già accertata nel processo Dell’Utri, che ho seguito da pm dal 1997 al 2004, sette lunghi anni di un’istruttoria assai approfondita, che Dell’Utri fin dal 1992 si prodigò per il nuovo soggetto politico che poi fu Forza Italia, naturale approdo nel 1994 col primo governo B.

E siccome bisognava “convincere” con tutti i mezzi B. a scendere in campo per accogliere i desiderata del Sistema Criminale, è più che sostenibile, sulla base delle prove finora acquisite, che la mafia, assieme a Dell’Utri, definito nel processo come “l’ambasciatore di Cosa Nostra alla corte di B.”, abbia ritenuto Maurizio Costanzo come un ostacolo, così come tanti altri consiglieri di B. del tempo contrari alla sua discesa in campo, per realizzare il “piano”. Bisognava dare un segnale a B. perché capisse e un attentato a Costanzo era il modo migliore per farlo: contava che B. capisse, anche perché qualcuno a lui vicino glielo avrebbe spiegato, e che nessun altro comprendesse il vero movente del delitto. E chi meglio dunque di Maurizio Costanzo che aveva dato fastidio con i suoi programmi antimafia? Ed è significativo, come ha dichiarato Costanzo a Marco Lillo, che B., subito dopo l’attentato, gli raccomandò di “stare attento”. Quindi B. aveva ben capito l’avvertimento.

E ci sono poi le rivelazioni di Giuseppe Graviano prima a Gaspare Spatuzza, che le racconta in aula, e poi a un detenuto in carcere mentre viene intercettato, che spiega che le stragi furono “una cortesia” chiesta da B. e che nel gennaio 1994 occorreva il “colpo di grazia” per mettere definitivamente sottosopra il Paese e così favorire B. che qualche giorno dopo, il 26 gennaio, annuncia la sua discesa in campo. A quel punto i giochi sono fatti, e si può rinunciare all’attentato all’Olimpico, il più terribile progettato ma fallito il 23 per un guasto del telecomando. Dopo il 26 non serve più, perché, come diceva trionfalmente Graviano, con B. “loro”, gli stragisti, si stavano “mettendo l’Italia nelle mani”.

Ce n’è abbastanza per riaprire l’indagine su B. e D.U. come mandanti di quella stagione da cui è nata la politica dei decenni successivi. Verrebbe da ridere a sentire le dichiarazioni di Renzi e C., ma non c’è da ridere. È stato versato tanto sangue innocente, che attende giustizia, in quel tragico biennio da cui è nato tutto.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

La mafie in giacca e cravatta del Nord Italia sono più spietate di quelle del Sud

 

 

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La mafie in giacca e cravatta del Nord Italia sono più spietate di quelle del Sud

di Biagio Maimone
“Esse sono insediate nei territori del settentrione ed operano all’interno della compagine politica che amministra i beni pubblici”

La mafia, o meglio le varie “mafie”, nascono nel Sud Italia, tuttavia esse sono proliferate ed operano anche nel Nord Italia. Le mafie più subdole e spietate sono insediate nei territori del settentrione, si mimetizzano all’interno della compagine politica che amministra i beni pubblici, molto ambiti dagli imprenditori ai quali permettono l’aggiudicazione di appalti di valore economico vertiginoso mediante procedure truccate, in cambio di somme ingenti.
La mafia è presente anche nelle Società pubbliche nelle quali fa vivere ed alimenta subdoli favoritismi, permette facili assunzioni, clientelismo e strepitosi avanzamenti di carriera. E ’quest’ultima la mafia “in giacca e cravatta”, espressione di persone insospettabili, ben vestite e profumate.
Spesso, tale forma di mafia, è rappresentata da politici giovani e rampanti, osannati da migliaia di persone, le cui campagne elettorali sono sorrette economicamente da personaggi mafiosi. La mafia del Nord è quella che ha rapporti con le banche e l’alta finanza, quella che decide chi deve lavorare e chi no. Certo non uccide fisicamente, ma uccide il sistema economico, la meritocrazia ed il rispetto del diritto e della giustizia. La mafia che opera nel Sud intimorisce con le armi ed è al servizio di quella radicata al Nord, che dà ordini di sotterrare nei territori del meridione veleni tossici e morte.

Fonte: Antimafiaduemila

http://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/239-parla/75636-la-mafie-in-giacca-e-cravatta-del-nord-italia-sono-piu-spietate-di-quelle-del-sud.html

La scomoda verità del Giudice Gratteri: ”La ‘Ndrangheta non spara più, ma compra tutto – Ormai compie più bonifici e operazioni bancarie che conflitti a fuoco”

 

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La scomoda verità del Giudice Gratteri: ”La ‘Ndrangheta non spara più, ma compra tutto – Ormai compie più bonifici e operazioni bancarie che conflitti a fuoco”

 

di AMDuemila

Intervista del procuratore capo di Catanzaro alla rivista “Famiglia Cristiana”

La ‘Ndrangheta compie più bonifici e operazioni bancarie che conflitti a fuoco. A sostenerlo è il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, che vive sotto scorta dal 1989, in un’intervista alla rivista “Famiglia Cristiana”  che sarà pubblicata nel prossimo numero che uscirà domani. Il magistrato ha fatto il punto della situazione riguardo la ‘Ndrangheta quella che a oggi è la mafia più potente, la più ramificata, una holding capace di fatturare 50 miliardi di euro all’anno, in grado di reinvestire il 75 per cento dei suoi guadagni nell’economia legale. “Con i proventi del traffico di droga e di altri reati oggi la ‘Ndrangheta sta acquistando quante più attività imprenditoriali può da Roma in su, in tutti i Paesi d’Europa, in Australia e a New York: alberghi, ristoranti, pizzerie – ha detto – La ‘Ndrangheta non spara più, ma compra tutto”. Durante l’intervista il procuratore capo ha spiegato come mai nel Paese si sia abbassata la guardia: “Il modo d’agire della ‘Ndrangheta non prevede sparatorie, auto bruciate o omicidi. Non crea allarme sociale. L’opinione pubblica, al Nord ma non solo, e’ convinta anche oggi che nel proprio quartiere non ci sia la Mafia. Adesso, invece, anche le mafie sudamericane stanno comprando al Nord. I cartelli, soprattutto quelli colombiani, che portano la cocaina in Europa, solo per il 9 per cento dell’importo vogliono essere pagati in Europa, investendo qui i loro proventi”. Nel concludere, il magistrato ha detto: “La ‘Ndrangheta ha fatto un grande salto di qualità negli anni Settanta con la fondazione della ‘Santa’, un ulteriore grado gerarchico dell’organizzazione che ha consentito la doppia affiliazione alla ‘Ndrangheta e alla massoneria deviata. Questo ha comportato contatti sempre più stretti tra i mafiosi e i quadri della classe dirigente e delle istituzioni. Al netto dei buoni risultati investigativi, la situazione è sfuggita di mano un po’ a tutti: alle forze dell’ordine, alla Magistratura, agli educatori, anche alla Chiesa. E’ un segnale culturale inquietante”.

 

tratto da: http://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/75365-gratteri-la-ndrangheta-non-spara-piu-ma-compra-tutto.html?fbclid=IwAR0yerLKrDBaZ8WeI2eIPXfam9BiQDFrJoF1ToPMDZKK5C2dsEK8NOuV11Y

E no Matteo, questo è troppo… Continua a farti propaganda con Nutella e salsicce, ma a Falcone lo lasci in pace – Qua si mischia cacca e cioccolata – Lui combatteva la mafia a costo della vita, tu te ne guardi bene dal rischiare e al massimo te la prendi con quattro disgraziati che non possono neanche difendersi!

 

Falcone

 

 

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E no Matteo, questo è troppo… Continua a farti propaganda con Nutella  e salsicce, ma a Falcone lo lasci in pace – Qua si mischia cacca e cioccolata – Lui combatteva la mafia a costo della vita, tu te ne guardi bene dal rischiare e al massimo te la prendi con quattro disgraziati che non possono neanche difendersi!

Udite udite cosa posta il sig. Matteo Salvini: “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.” Giovanni Falcone. Io non mi arrendo, a difesa degli Italiani!

Per carità, vogliamo astenerci da ogni commento… E così ne prendiamo qualcuno raccolto velocemente su Twitter che dicono tutto:

  • Chi lo spiega a Salvini che Falcone sarà sempre ricordato come un eroe coraggioso, simbolo della lotta alla mafia, mentre di lui ricorderemo la vigliaccheria, l’incoerenza e la nullafacenza?

  • Signor Salvini,non solo è inopportuno ma proprio schifoso richiamarsi a Falcone per rivendicare il fatto di lasciare donne e bambini sul ponte di una barchetta sotto il sole cocente…Falcone è morto per la giustizia, lei sta operando una enorme ingiustizia

  • Vorrei far presente a Salvini che #Falcone la mafia la combatteva.

  • Mettiamola così, che mi pare il modo più chiaro e semplice di dirlo: Salvini sta a Falcone, come Hitler sta ad Anna Frank. Notte.

  • Chiedo: ‘sto Matteo Salvini che cita Falcone è lo stesso Salvini che in data 16 dic 2018 ha salutato amichevolmente un pregiudicato per spaccio di droga e che è alla guida di un partito che ha scippato 49 milioni agli italiani ?

  • Non ho parole… NO HO PAROLE!!! Quest’essere immondo di #Salvini che fa il gradasso e il duro con quattro disgraziati cita Falcone che c’ha rimesso la pelle per combattere la mafia paragonandosi a lui?!?! BASTA!!! MERDA LUI E CHI LO VOTA!!!

  • Che #salvini si senta come Falcone è un insulto all’Italia

  • Falcone ha perso la vita combattendo la mafia, tu ogni giorno perdi dignità per fare inutile propaganda sulla pelle degli esseri umani.

  • Salvini spiega al tuo staff che tu sei un CODARDO , e non meriti di menzionare UOMINI come Falcone e Borsellino !!!

  • Twitter sta andando in crash: non regge il nome di Falcone e Salvini in uno stesso tweet

  • Salvini che si paragona a Falcone è come se Cicciolina si paragonasse a Madre Teresa di Calcutta.

  • de cazzate ne hai dette tante, ma proprio tante tante! Ma questa supera tutte le altre messe insieme…

  • Falcone ti avrebbe sputato in faccia , non nominarlo neanche sordido e viscido omino becero che non sei altro ! #Salvini sei quanto di più marcio abbia questo miserabile Paese di dementi convertiti all’odio.

 

Concludiamo con una citazione di Giovanni Falcone che dice tutto:

“Dove comanda la mafia i posti nelle istituzioni sono tendenzialmente affidati ai cretini”

Salvini avverte Saviano: “Stiamo rivedendo i criteri per l’assegnazione delle scorte”. D’altra parte è del tutto inutile impiegare 2000 agenti per la sicurezza di chi combatte le mafie, quando ci sono tutti quegli striscioni da staccare…

 

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Salvini avverte Saviano: “Stiamo rivedendo i criteri per l’assegnazione delle scorte”. D’altra parte è del tutto inutile impiegare 2000 agenti per la sicurezza di chi combatte le mafie, quando ci sono tutti quegli striscioni da staccare…

Matteo Salvini “avvisa” di nuovo Roberto Saviano: “Sto rivedendo l’assegnazione delle scorte”

Matteo Salvini torna ad affermare la volontà di “rivedere i criteri per l’assegnazione delle scorte che impegnano gli uomini e le donne delle forze dell’ordine”. Nessuna ragione politica, ci tiene a precisare il ministro, spiegando che non si interverrà sui casi personali ma “ci saranno criteri oggettivi per verificare chi corre un rischio e chi no”.

Intanto però manda un bacione a Roberto Saviano.

“Un bacione a Saviano. Sto lavorando, insieme a tutti gli uomini del ministero dell’Interno e della polizia di Stato anche per la revisione dei criteri per le scorte che impegnano ogni giorno in Italia più di 2.000 donne e uomini delle forze dell’ordine”: così il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, annuncia di voler rivedere i criteri che determinano l’assegnazione della protezione personale in una diretta Facebook.

E il capitano ha ragione!

Sapete quanto ci costano 2000 agenti impegnati a difendere 4 deficienti che non hanno niente di meglio da fare che andare a rompere le palle alle mafie?

…E poi, con tutti quegli striscioni da tirare giù! Quella sì che è emergenza.

Forza Capitano, non ti fermare, siamo tutti con TE…!

 

By Eles