Pescara, aggressione omofoba a ragazzo gay – Indovinate chi non ha sottoscritto la mozione di solidarietà? – Ovviamente lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia… Perchè è dai tempi di mussolini che i fascisti nello scegliere tra gente perbene e pezzi di m….. non hanno dubbi da che parte stare!

 

aggressione omofoba

 

 

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Pescara, aggressione omofoba a ragazzo gay – Indovinate chi non ha sottoscritto la mozione di solidarietà? – Ovviamente lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia… Perchè è dai tempi di mussolini che i fascisti nello scegliere tra gente perbene e pezzi di m….. non hanno dubbi da che parte stare!

Pescara, consiglio comunale. Le opposizioni presentano una mozione per esprimere solidarietà – chiedendo anche una parte attiva del comune in un eventuale processo – al ragazzo gay che è stato aggredito il 27 giugno da un gruppo di persone per aver stretto la mano al suo compagno nel centro cittadino. Il consiglio comunale, però, respinge, con 11 voti contrari e 10 a favore.

Aggressione Pescara, il centrodestra vota contro la presa di posizione anti-omofobia

Questo l’elenco degli esponenti politici cittadini che hanno votato contro:

Antonelli Marcello – Lega
Carota Maria Rita – Lega
Croce Claudio – Forza Italia
D’Incecco Vincenzo – Lega
Di Pasquale Alessio – Forza Italia
Foschi Armando – Lega
Montopolino Maria Luigia – Lega
Orta Cristian – Lega
Rapposelli Fabrizio – Fratelli d’Italia
Renzetti Roberto – Forza Italia
Salvati Andrea – Lega

Come si può vedere, la composizione della maggioranza – 7 leghisti, 3 rappresentanti di Forza Italia e 1 consigliere di Fratelli d’Italia – ha avuto un ruolo determinante nella bocciatura della mozione. E dire che una aggressione a un ragazzo gay dovrebbe superare qualsiasi barriera politica. Tra l’altro, le conseguenze dell’azione violenta nei confronti del ragazzo di Pescara sono sotto gli occhi di tutti, con una prognosi molto seria e con la necessità di ricostruire la sua mascella fratturata dalla violenza degli aggressori.

 Il sindaco di Pescara Carlo Masci si è però rifiutato di attribuire un significato politico a questa votazione del consiglio comunale: «In attesa che gli inquirenti facciano piena luce e assicurino alla giustizia i responsabili della barbara aggressione e del ferimento – ha detto -, occorre ribadire che Pescara non è la città che si tenta strumentalmente di dipingere, creando e cavalcando polemiche puntualmente smentite dai fatti e indegne di chi ha davvero a cuore il bene comune. Sono stati proprio i pescaresi a intervenire per respingere e neutralizzare un folle attacco generato da ignoranza e intolleranza, e questo non va sottaciuto».

Nella mozione, oltre a solidarizzare con il ragazzo aggredito, si chiedeva anche la costituzione del comune come parte civile in un eventuale processo e l’impegno affinché Pescara potesse farsi portavoce di una seria presa di posizione a favore di una legge anti-omofobia. Ma il consiglio comunale ha deciso per il no. Con i voti di un centrodestra quantomai compatto.

 

fonte: https://www.giornalettismo.com/aggressione-pescara-mozione-respinta/

Quello Italiano è proprio un popolo strano: si meraviglia di come Sgarbi sia “uscito” dalla Camera, ma non si domanda come ci sia entrato…

 

 

Sgarbi

 

 

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Quello Italiano è proprio un popolo strano: si meraviglia di come Sgarbi sia “uscito” dalla Camera, ma non si domanda come ci sia entrato…

Poco prima del voto finale sul Dl Giustizia, il parlamentare Sgarbi è stato espulso dalla vicepresidente Mara Carfagna perché aveva insultato la collega Giusi Bartolozzi. Dato che non voleva lasciare i banchi, è stato preso dalle braccia e dalle gambe e portato fuori di peso.

Prima ha insultato con parolacce la collega Giusi Bartolozzi, poi è stato espulso dalla vicepresidente della Camera Mara Carfagna, infine è stato portato via dall’Aula di peso dai commessi. Protagonista della vicenda, il deputato Vittorio Sgarbi: dato che si è rifiutato di lasciare l’Emiciclo, è stato preso per le braccia e le gambe e accompagnato fuori di forza.

Tutto è successo poco prima del voto finale sul dl Giustizia. Sgarbi ha detto che “quanto sta accadendo con le intercettazioni sul Csm è una nuova tangentopoli” e ha chiesto “una commissione parlamentare di inchiesta che indaghi su questa nuova tangentopoli, una ‘Palamaropoli’”. Poi ha citato Francesco Cossiga: “Definì l’Anm come una associazione a delinquere mafiosa”. A quel punto è intervenuta l’esponente di Forza Italia Giusi Bartolozzi, magistrato, che ha ribattuto: “Che si dica che la magistratura tutta sia mafiosa mi fa inorridire”. La reazione di Sgarbi è stata immediata: ha iniziato a insultare Bartolozzi con parolacce e parole incomprensibili. Quando Carfagna l’ha espulso dall’Aula, il deputato ha iniziato a insultare anche lei. Alla fine, tra gli applausi dei presenti, è stato trascinato fuori.

Ora, bisogna ammettere che il Popolo Italiano è proprio strano. Sono giorni  che si meraviglia di come Sgarbi sia “uscito” dalla Camera, ma non si domanda come ci sia entrato…

Ma veramente nessuno si chiede come un essere tanto ignobile e volgare possa sedere nel nostro Parlamento?

Veramente ci sentiamo rappresentati da uno come Sgarbi? (che poi, a dirla tutta, non è neanche il peggio del nostro Parlamentoo)

Salvini definisce chiunque lo contesta, dal Trentino a Lampedusa, “Figli di papà”… Sì proprio quel Salvini figlio di un dirigente, che non ha mai lavorato in vita sua, fidanzato con la figlia di Verdini, cresciuto sotto l’ala di Berlusconi e da sempre culo e camicia con Confindustria…

Salvini

 

 

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Salvini definisce chiunque lo contesta, dal Trentino a Lampedusa, “Figli di papà”… Sì proprio quel Salvini figlio di un dirigente, che non ha mai lavorato in vita sua, fidanzato con la figlia di Verdini, cresciuto sotto l’ala di Berlusconi e da sempre culo e camicia con Confindustria…

Ma ci avete fatto caso? Sono sempre “figli di papà” quelli che contestano Salvini… Andate a fare un giro tra i titoli dei giornali, ne abbiamo tirato fuori solo qualcuno.

Salvini contestato ad Andria: fischi e cori. Lui risponde: “Grazie anche ai 4 figli di papà che ululano, vi meritate Azzolina e Bellanova”

Salvini: “A Mondragone centri sociali e figli di papà pagati da camorra”

Salvini ad Avezzano: gruppo di contestatori, ”solo figli di papà”

Salvini: “30 figli di papà dei centri a-sociali hanno lanciato uova e arance contro i cittadini di Ancona che hanno accolto la Lega”.

Salvini contestato a Napoli: “centri sociali? Figli di papà”

Le costanti sono 2: 1) ovunque vada Salvini viene contestato. 2) secondo Salvini a contestarlo sono sempre i figli di papà…

Che poi uno che, figlio di un dirigente, che non ha mai lavorato in vita sua, fidanzato con la figlia di Verdini, cresciuto sotto l’ala di Berlusconi e da sempre culo e camicia con Confindustria… tentare di sminuire la contestazione con un “figli di papà” è davvero patetico.

Ecco come il Covid mette il luce la truffa dei dati Istat sulla disoccupazione con cui i politici ci pigliano per i fondelli. Ad aprile, in pieno lockdown, -3,9%, 500.000 disoccupati in meno… Possibile? No, ma è l’imbroglio degli “inattivi” che diventa spudoratamente evidente!

 

disoccupazione

 

 

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Ecco come il Covid mette il luce la truffa dei dati Istat sulla disoccupazione con cui i politici ci pigliano per i fondelli. Ad aprile, in pieno lockdown, -3,9%, 500.000 disoccupati in meno… Possibile? No, ma è l’imbroglio degli “inattivi” che diventa spudoratamente evidente!

I numeri parlano chiaro: la disoccupazione diminuisce, cioè aumenta

Cosa sta succedendo nell’economia e nel mercato del lavoro italiano durante la crisi, l’ennesima, innescata dal Covid-19? Cosa possiamo attenderci dai prossimi mesi? Il peggio è passato o la recessione deve ancora pienamente manifestarsi? La consueta nota mensile dell’ISTAT sul mercato del lavoro ha certificato, a inizio giugno, gli effetti drammatici che il lockdown ha già avuto sull’economia italiana. Riteniamo importante fare un po’ di chiarezza su questi dati e provare a immaginare cosa potrà accadere nei prossimi mesi, anche alla luce delle misure finora messe in campo dal Governo.

Guardando ai disoccupati e al tasso di disoccupazione si rischierebbe infatti di cadere in un grossolano errore. Abbiamo letto sui giornali che il tasso di disoccupazione di aprile (6,3%) si è ridotto del 3,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (10,2%) e dell’1,7% rispetto a marzo (quando si attestava all’8%): insomma, tra marzo e aprile i disoccupati sarebbero diminuiti di ben 484 mila unità. Parrebbe, dunque, che la disoccupazione sia diminuita, ma questo cozza frontalmente con la logica della crisi e con quanto osserviamo tutti nella quotidianità. Come si spiegano questi dati e cosa possono permetterci di concludere? Facciamo un po’ di chiarezza su numeri e concetti.

Si definisce disoccupato un individuo che ha attivamente cercato lavoro o che sarebbe disposto fin da subito a lavorare. Non tutti coloro che non lavorano, dunque, sono disoccupati: la ricerca attiva di un’occupazione è la caratteristica necessaria per essere definito disoccupato.

Esiste, infatti, un’altra categoria che rappresenta situazioni individuali variegate e che è opportuno tenere in considerazione, tanto più in situazioni di crisi e incertezza come quella attuale: gli inattivi. Sono inattivi, secondo l’ISTAT, gli individui che non fanno parte della forza lavoro, ossia coloro che non sono né occupati né disoccupati. Gli inattivi si dividono a loro volta in due gruppi: quelli in età non lavorativa – ossia studenti sotto i 15 anni e anziani over 64 (circa 20 milioni di persone in totale) –  e quelli in età lavorativa, circa 13 milioni di persone. Tra questi ultimi, quelli che ci interessano maggiormente, troviamo peraltro anche i cosiddetti scoraggiati(circa 3 milioni), vale a dire persone che vorrebbero lavorare, ma hanno perso la fiducia circa la possibilità di cercare un impiego e quindi decidono di non cercarlo affatto.

Ad aprile si sono registrati, rispetto a marzo, 746 mila inattivi in più in Italia: una si tratta di una crescita imponente. In aggregato, è facile dedurre che la riduzione dei disoccupati di aprile (-484 mila) si sia tradotta principalmente in una crescita dell’inattività. I disoccupati, in altre parole, sono diventati inattivi poiché hanno interrotto la loro attività di ricerca di un impiego a fronte della chiusura delle attività imposta dalla pandemia.

La condizione di inattivo si lega, in maniera pericolosa e non sempre chiara, con un altro fenomeno, la disoccupazione di lunga durata. Spesso chi cerca lavoro da molto tempo, ed è dunque un disoccupato di lunga durata, vive una condizione a forte rischio di marginalità sociale tanto da diventare inattivo, cioè tanto da perdere le speranza di trovare un lavoro e rinunciare a cercarlo. L’aumento degli inattivi in età di lavoro, dunque, deve preoccupare e non poco poiché segnala un netto peggioramento non solo delle condizioni di vita e ma anche delle aspettative dei lavoratori.

Questa volta, inoltre, c’è qualcosa di più: come si spiega, infatti, la differenza tra il dato degli inattivi (+746 mila) e quello dei disoccupati (-484 mila)? Semplice: lo si spiega con la contestuale riduzione dell’occupazione. I dati destagionalizzati di aprile segnano, infatti, una caduta drammatica degli occupati: 274 mila in meno rispetto a marzo, che diventano 398 mila rispetto a febbraio.

Nei primi due mesi pieni dell’emergenza COVID quasi 400 mila persone hanno perso il lavoro. Possiamo ragionevolmente ipotizzare che in aggregato coloro che hanno perso il lavoro ad aprile (274 mila individui) non abbiano neanche tentato di trovarne uno nuovo, transitando direttamente verso l’inattività senza passare per lo status di disoccupati.

In definitiva, la riduzione dei disoccupati e della forza lavoro (dovuta alla contemporanea riduzione di occupati e disoccupati) ha fatto sì che si riducesse anche il tasso di disoccupazione, senza che ciò significhi un miglioramento della situazione del mercato del lavoro, anzi.

Il tasso di disoccupazione, infatti, corrisponde al rapporto tra disoccupati e forza lavoro e, anche alla luce di quanto detto circa l’inattività, rappresenta una statistica non del tutto soddisfacente a rappresentare la situazione complessiva del mercato del lavoro.

Siamo consapevoli che questa sia una condizione quasi fisiologica in una fase come quella che abbiamo vissuto: durante la quarantena, con l’impossibilità di uscire di casa e le attività produttive in gran parte chiuse, la stessa attività di ricerca di un impiego era praticamente impedita e sicuramente vana.

Tuttavia, questa riflessione ci serve più che altro a tratteggiare i confini di una condizione di pericolosa precarietà per i lavoratori che si trovano a scontare gli effetti più duri della crisi economica. Una condizione che la crisi aggrava, ma che per certi versi affonda le sue radici in anni e anni di accanimento legislativo contro i diritti dei lavoratori.

Infatti, se andiamo più nel dettaglio, ci accorgiamo di come tra gli occupati che hanno perso il lavoro, il 47% aveva un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato, il 27% aveva un contratto a tempo indeterminato e il 25% erano lavoratori indipendenti. La maggior parte delle cessazioni dei rapporti hanno quindi riguardato la fascia contrattuale meno tutelata sia rispetto ai licenziamenti che rispetto ai sussidi di disoccupazione.

Per quanto riguarda i dipendenti a termine, si tratta in buona parte di mancati rinnovi contrattuali che, potenzialmente, hanno riguardato molti individui che non avevano ancora maturato il diritto alla NASPI (il sussidio alla disoccupazione) e che si sono trovati, improvvisamente, senza lavoro e senza nessuna forma di sussidio e di reddito. Una situazione che, ancora una volta, sottolinea gli effetti nefasti per i lavoratori del processo di deregolamentazione del lavoro e di attacco ai diritti acquisiti in anni di lotte.

A tutto questo dobbiamo aggiungere che, secondo i dati INPS, al 21 di maggio i beneficiari potenziali complessivi di Cassa Integrazione (CIG) ammontano a 7,7 milioni, che si dividono tra CIG ordinaria, CIG in deroga e assegno ordinario (FIS). Pur non lavorando, questi risultano statisticamente occupati poiché, formalmente, il loro rapporto di lavoro con il datore non si è interrotto.

Certamente alcuni di loro torneranno ad essere occupati a tutti gli effetti una volta terminata la crisi, ma cosa succederà a tutti quei lavoratori delle aziende che non sopravviveranno alla crisi? Che il quadro sia fosco viene confermato addirittura da Federmeccanica, l’associazione degli industriali metalmeccanici, che prevede tagli del personale per un terzo delle imprese.

I lavoratori in sofferenza dunque sono molti più di quelli che un semplice sguardo ai dati aggregati potrebbe far pensare. Il blocco dei licenziamenti, in vigore fino al 17 agosto, ha posto per fortuna un argine a effetti ancora più drammatici ma, senza un reale sforzo economico per rimettere in moto l’economia è più che legittimo temere che alla scadenza di questo divieto tra mancati rinnovi dei contratti a termine e licenziamenti andremo incontro a una disoccupazione di massa come mai sperimentata fino ad oggi.

Mentre le istituzioni europee continuano imperterrite la propria propaganda basata su cifre tanto astronomiche quanto fasulle e il Governo perde tempo tra Piano Colao e Stati Generali, rilanciando vecchie ricette ormai stantie, l’emergenza sociale sta montando nel paese e con la fine del blocco dei licenziamenti e della Cassa Integrazione non potrà che aggravarsi ulteriormente.

L’aumento degli inattivi e la riduzione degli occupati rappresentano la violenza subita dalla classe lavoratrice in questi mesi, l’esercito industriale di riserva che manterrà i salari a livelli bassissimi per gli anni a venire e il segno della povertà che dilagherà, se non si mette in discussione il modello neoliberista intorno a cui è organizzata la nostra società.

La propaganda europeista e governativa ci racconta, dati alla mano, che la situazione sta gradualmente migliorando: quei dati, letti correttamente, mostrano tuttavia che siamo in una situazione drammatica. Per uscirne dobbiamo cambiare il sistema alla radice.

Di Coniare Rivolta – un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/

Ogni 55 ore in Italia si consuma un omicidio. Quasi sempre un femminicidio. Quasi sempre in una famiglia tradizionale!

 

femminicidio

 

 

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Ogni 55 ore in Italia si consuma un omicidio. Quasi sempre un femminicidio. Quasi sempre in una famiglia tradizionale!

In due casi su 3, le vittime sono donne (la percentuale media degli ultimi quattro anni è pari al 66%).

Centocinquantotto omicidi in famiglia, uno ogni 55 ore: e in 19 casi le vittime sono state i figli. Gli ultimi dati anticipati all’Agi dall’Eures e aggiornati al 2019 confermano come – in costante calo gli omicidi legati alla criminalità organizzata – family e intimate homicide nel nostro Paese rappresentino ormai tendenzialmente poco meno della metà di quelli totali.

L’anno scorso, gli omicidi in famiglia sono stati 75 al nord, 30 al centro e 54 al sud, complessivamente il 10,2% in meno rispetto ai 176 dell’anno precedente: ma le vittime degli ultimi quattro anni sono complessivamente 682. In due casi su 3, le vittime sono donne (la percentuale media degli ultimi quattro anni è pari al 66%) anche perché nel 48,5% dei casi la relazione vittima-autore va ricercata nell’ambito del rapporto di coppia: delle 158 vittime dell’anno passato, 48 erano coniugi o conviventi, 16 partner o amanti, 14 ex coniugi o ex partner.

I figlicidi, dopo aver registrato una inquietante recrudescenza nel 2018 (da 20 a 33), sono scesi, come detto, a 19 nel 2019, con una incidenza del 12,1% sul totale. Sempre nell’ambito degli omicidi in famiglia, tra il 2016 e il 2019 quelli con due vittime sono stati 82 (7 nell’ultimo anno), quelli con tre o piu’ vittime 30. L’arma più usata si conferma l’arma da taglio (31,7%), seguita da quella da fuoco (27%) e dal soffocamento/strangolamento (15%) mentre la divisione in base alla fascia d’età rileva che ben 67 delle 682 vittime degli ultimi quattro anni – una su 10 – erano minorenni, e di questi 42 (il 6,2%) aveva meno di 5 anni.

fonte: https://www.globalist.it/news/2020/06/28/ogni-55-ore-in-italia-si-consuma-un-omicidio-quasi-sempre-un-femminicidio-in-una-famiglia-tradizionale-2060936.html

In una fantastica intervista Franca Valeri, prossima ai 100 anni, racconta la sua vita: “Volli andare a vedere se il Duce era davvero morto. Non ebbi nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute le cose. E noi avevamo sofferto troppo”.

 

Franca Valeri

 

 

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In una fantastica intervista Franca Valeri, prossima ai 100 anni, racconta la sua vita: “Volli andare a vedere se il Duce era davvero morto. Non ebbi nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute le cose. E noi avevamo sofferto troppo”.

Una vita ricca di esperienze, di dolore ma anche di gioia. Franca Valeri lo racconta in un’intervista in cui parte dalla sua infanzia, dai primi ricordi, quello dei nonni che le fanno regali che non ama (dolci e bambole) passando per la guerra e arrivando alla pandemia e a Mussolini: “Volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No”.

Una vita ricca di esperienze, di dolore ma anche di gioia. Franca Valeri lo racconta in un’intervista al Corriere della Sera in cui parte dalla sua infanzia, dai primi ricordi, quello dei nonni che le fanno regali che non ama (dolci e bambole) passando per la guerra e arrivando alla pandemia e all’idea della morte. Franca Valeri è uno dei tesori della televisione e del Cinema italiano, e tra poche settimane potrà spegnere 100 candeline: il 31 luglio, infatti, potrà festeggiare e intanto racconta la sua vita incredibile, fatta di successi, incontri, amicizie, tv, teatro, Cinema e anche di fughe e pericoli scampati, soprattutto in tempi di guerra.

Mussolini a Piazzale Loreto
Nell’intervista Franca Valeri non nasconde la soddisfazione che le diede vedere in Piazzale Loreto i corpi senza vita di Benito Mussolini e Clara Petacci, perché, spiega, lei solo sa quello che ha vissuto in quegli anni. Volle andare in piazza a controllare di persona se fosse vero che il Duce fosse realmente morto: “Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo”.

Gli incontri della vita
Fu in quel momento che cominciò la sua “giovinezza tardiva”, come l’ha definita lei stessa. Poco prima era sfuggita a un rastrellamento avvenuto in una casa di via Mozart, dove aveva vissuto per un periodo e dove aveva lasciato i gatti. Un giorno stava tornando da lor quando vide il cancello aperto, si insospettì e attese e dopo poco video i tedeschi scendere con alcuni sfollati. Di quel periodo ricorda anche la gioia di rivedere il padre e il fratello tornati dalla guerra: ” il citofono che suona, il trambusto sulle scale, la corsa gli uni incontro agli altri, le due donne che scendono, i due uomini che salgono, il volto del fratello Giulio, poi quello del padre” scrive Aldo Cazzullo, che si fa raccontare anche gli incontri e le amicizie, quelle con Strelher, ma anche con Alberto Sordi, con due personalità difficili come Eduardo De Filippo e Totò (“I cani. Parlavamo di cani”), la sua amicizia con Vittorio De Sica, gli incontri con Edith Piaf e l’amicizia con Maria Callas (“L’ho incontrata a Ischia. Era ancora sposata con Meneghini, prima dell’incontro con Onassis (…). Stava studiando Anna Bolena che doveva portare alla Scala, era molto preoccupata di non sfigurare). Oggi si prepara al compleanno ma guarda anche alla fine, talvolta con paura e altre con curiosità perché, dice, “voglio proprio vedere cosa c’è dall’altra parte”.

tratto da: https://tv.fanpage.it/franca-valeri-non-ho-provato-alcuna-pieta-per-la-morte-di-mussolini-avevo-sofferto-troppo/
https://tv.fanpage.it/

28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

 

Pertini

 

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28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

28 giugno 1960 discorso di Sandro Pertini a Genova, piazza della Vittoria, prima dei fatti del 30 giugno

Leggi anche: “I Fatti di Genova” – 30 giugno 1960, contro il fascismo la più grande manifestazione di piazza che Genova ricordi…

Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza. Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza. Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui. La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero.
Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà. E’ necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”. E salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune. Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta? Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima. Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
E’ chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti, sudici voti neofascisti. Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni. Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza., il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia. Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre. Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista. A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi. Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.

* L’integrale del discorso è pubblicato su Rassegna Sindacale

Gallera ringrazia la sanità privata lombarda per aver messo a disposizione le loro lussuose stanze – che abbiamo pagato noi – anche a noi pezzenti. Che gran cuore questa sanità privata (ribadiamo, pagata da noi)

 

Gallera

 

 

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Gallera ringrazia la sanità privata lombarda per aver messo a disposizione le loro lussuose stanze – che abbiamo pagato noi – anche a noi pezzenti. Che gran cuore questa sanità privata (ribadiamo, pagata da noi)

Ci mancava. Era un po’ che Giulio Gallera non ne sparava una delle sue e non so voi, ma io ero inquieta. Sono rassicuranti, le boiate di Gallera. Sono come dormire col rumore del phon acceso. Se non le senti, all’inizio stai bene, poi ti assale una strana ansia, un po’ come quando hai un neonato in casa che non smette di urlare e se una notte sta zitto per 2 ore di seguito ti alzi per vedere se è vivo. Ecco, Gallera è vivo. E il suo ultimo vagito è di quelli che ti svoltano la nottata. E anche la giornata. Ieri, durante un talk online su Rcs Academy, ha dichiarato: “Gli ospedali sono stati sommersi da pazienti Covid e il privato ha aperto le sale di terapie intensive e le loro stanze lussuose a pazienti ordinari che venivano trasferiti dal pubblico”.

Ora a parte che vorrei sottolineare il coraggio nell’essersi sottoposto al terribile fuoco di domande e al durissimo contraddittorio di Rcs Academy, giuro che ho dovuto rileggere almeno 5 volte la frase, anche al contrario, per convincermi che l’avesse pronunciata davvero. Pensavo occorressero almeno due sprovveduti come Gallera per sparare una perla del genere, ma di Gallera ne basta perfino uno solo. Quindi dovremmo essere grati ai privati lombardi perché durante una pandemia mondiale, pagati, anziché respingere sulla porta pazienti ORDINARI, con milze ordinarie, con cistifellee qualunque, con prostate consuete, magari anche un po’ pezzenti, i privati li hanno fatti entrare e accolti nelle loro stanze, tra arazzi d’epoca e mezzibusti bronzei di Formigoni. Il Covid a 5 stelle in pratica. Ha ragione Gallera a sottolineare la generosità di questi privati lombardi. Perfino le terapie intensive ai pezzenti, hanno aperto. Li avranno intubati con tubi in platino e iridio, intarsiati di pietre preziose, in cui soffiava ossigeno puro Gallera stesso, dandosi il turno con Fontana (che ovviamente dopo due soffiate si assottigliava di 50 cm e finiva sottovuoto, come i maglioni nel cambio stagione).

In pratica, sotto Covid, in Lombardia essere trasferiti dal pubblico al privato era una specie di upgrade. Un po’ come quando hai prenotato una doppia standard in un 3 stelle ma ti fanno l’upgrade e ti danno la suite. In effetti ho un amico che a marzo è stato tre settimane in una struttura privata in sub-intensiva col Covid e il casco Cpap e ora ha chiesto se hanno la stessa camera libera ad agosto che ci porta anche la moglie e i bambini. E’ un peccato che Gallera, già che c’era, non abbia ringraziato anche il Trivulzio e altre strutture che per eccesso di generosità, per dimostrare di non avere pregiudizi e di non escludere davvero nessuno nell’altruista, caritatevole Lombardia non hanno esitato a spalancare le porte perfino al Covid! Una sanità davvero inclusiva. Forse anche troppo inclusiva. Poi dice che questo sistema misto pubblico/privato non funziona. Eccome se ha funzionato. Ha funzionato almeno quanto il talento comunicativo di Giulio Gallera.

Un talento ordinario finito nelle stanze lussuose della notorietà durante il Covid e tutt’oggi in condizioni disperate, in una situazione che ormai è un palese accanimento terapeutico, mentre perfino Salvini è dell’idea che sia ora di staccargli la spina. Non mollano, Giulio e il suo talento comunicativo. Ogni tanto, nel suo letto lussuoso nella stanza lussuosa del lussuoso palazzo della regione alza la testa con lo sguardo vitreo e il fiato corto e balbetta “Il sistema ha tenuto!”. Dopo poco ripiomba in uno stato di semi-incoscienza per poi rialzare la testa all’improvviso e “le abbiamo azzeccate tutte!”, poi sembra non essere più lucido e all’improvviso: “Se ti dimettono vuol dire che sei guarito!”. Insomma, il paziente è grave ma stabile. L’ultima uscita, è vero, sembra un debole segnale di peggioramento, ma a questo punto, se è ancora lì anche dopo questa, vuol dire che in regione stanno solo decidendo in quale stanza lussuosa metterlo per toglierselo di torno. Qualcuno sostiene che Gallera covi ancora la segreta speranza di diventare sindaco, per cui ci aspettiamo da un momento all’altro una dichiarazione felice delle sue.

Magari un definitivo : “Sì, mi piacerebbe fare il sindaco, ma a Milano mi dicono mi sia fatto troppi nemici. Pensavo di candidarmi ad Alzano Lombardo”.

 

Il senatore Leghista Pillon batte ogno record: 3 Fake News in un solo post! …ma attenzione, il coglione non è lui, non possiamo dare del coglione ad uno che con 4 balle si porta a casa uno stipendio da senatore da 10.000 Euro al mese! Il coglione è chi lo vota!

 

Pillon

 

 

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Il senatore Leghista Pillon batte ogno record: 3 Fake News in un solo post! …ma attenzione, il coglione non è lui, non possiamo dare del coglione ad uno che con 4 balle si porta a casa uno stipendio da senatore da 10.000 Euro al mese! Il coglione è chi lo vota!

Tre è il numero perfetto. Se poi si aggiunge anche un’immagine fuori contesto si riescono a raggiungere altissime vette. Il tutto condito da un racconto «di un mio amico medico che mi ha detto…», senza conferme ufficiali. Il tutto accade sulla pagina Facebook del senatore della Lega Simone Pillon, in un unico post. Tre bufale sulla Cina: la prima sugli anziani che non vengono curati e rimandati a casa (parlando di «eutanasia di Stato); la seconda sul fatto che ci sia (ancora) la legge sul figlio unico per ogni famiglia cinese; la terza sull’aborto selettivo sulle bambine. Insomma, un pot-pourri di cose non reali e non attuali.

Partiamo dal suo racconto che, poi, sconfina in altri ambiti. Simone Pillon racconta di aver saputo da un fidato medico bresciano una notizia sconvolgente: «A quanto riferivano, in Cina chi ha meno di 70 anni non viene neppure ricoverato. Le guardie armate di mitra che custodiscono le porte degli ospedali hanno l’ordine di ‘convincere’ gli anziani a tornarsene a casa».

Un medico bresciano di cui ho grande fiducia mi raccontava della meraviglia espressa dai medici cinesi davanti al fatto che qui da noi si curassero gli anziani colpiti dal Covid.
A quanto riferivano, in Cina chi ha meno di 70 anni non viene neppure ricoverato. Le guardie armate di mitra che custodiscono le porte degli ospedali hanno l’ordine di “convincere” gli anziani a tornarsene a casa.
Figlio unico di Stato.
Aborto selettivo sulle bambine.
Eutanasia per decreto e stop delle cure agli over 70
Ecco le meraviglie della sinistra al potere…

Una cosa gravissima e che non può che provocare indignazione. Ma è vera? Come spiega Butac, innanzitutto, la foto utilizzata dal senatore leghista è fuori contesto: i militari non sono fuori dagli ospedali per fare ‘selezione all’ingresso’, ma fuori da una stazione ferroviaria di Wuhan per controllare che le persone contagiate non lasciassero la città (al tempo del primo focolaio cinese). Inoltre non c’è alcun riscontro sul fatto che gli anziani (gli over 70) vengano respinti all’ingresso degli Ospedali (e un senatore della Repubblica non può diffondere messaggi che esordiscono dicendo «mi hanno detto»).

Simone Pillon e le tre bufale in un solo post Facebook

Il post social di Simone Pillon trascende, poi, su altri temi che, come quello sopracitato, servono solamente ad acuire l’indignazione contro la Cina. Si parla di «figlio unico di Stato». Ma di cosa parla il senatore leghista? Si fa riferimento a una legge del governo cinese per evitare il sovrappopolamento, consentendo alle famiglie di fare un solo figlio. Peccato che Pillon non dica che quella legge fu abolita nel 2015, cinque anni fa.

Le fake news su eutanasia di Stato e aborto selettivo femminile

Passiamo all’ultimo aspetto, sui cui Simone Pillon sembra avere ragione, ma non nei modi e nella spiegazione. Il senatore del Carroccio parla di «aborto selettivo femminile». Ma le leggi, in questo caso, non c’entrano nulla. Il governo cinese non è mai intervenuto su questo ambito e si tratta di una scelta – probabilmente sbagliata – di alcune famiglie che decidono autonomamente di mettere al mondo solo figli maschi.

 

 

fonte: https://www.giornalettismo.com/simone-pillon-bufale-cina/

Verona, reparto neonatale ospedale di Borgo Trento: 3 neonati morti e 9 cerebrolesi: un’altro incredibile risultato dell’eccellenza leghista – In 10 mesi nessuno a pensato di chiuderlo e portare via i bambini. Troppo impegnati a mangiare ciliegie o aspettavano che lo facesse Conte?

 

ospedale di Borgo Trento

 

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Verona, reparto neonatale ospedale di Borgo Trento: 3 neonati morti e 9 cerebrolesi: un’altro incredibile risultato dell’eccellenza leghista – In 10 mesi nessuno a pensato di chiuderlo e portare via i bambini. Troppo impegnati a mangiare ciliegie o aspettavano che lo facesse Conte?

Solo dopo dieci mesi dal primo caso i responsabili si decidono a chiuderlo. Nella foto, il Gotha dell’A.O. di Verona

Sulle prime pagine di tutti i giornali e l’apertura di ogni sito… il COVID 19… E intanto in uno degli ospedali più importanti del Veneto, nessuno pensava a bloccare un disastro che si annunciava ogni giorno più terribile.

L’ospedale Borgo Trento di Verona chiude solo dopo dieci mesi dal primo caso il reparto di neonatologia. E sentite in che modo il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di Verona, il dottor Francesco Cobello, dà notizia del motivo: “Le abbiamo provate tutte, in questi mesi, ma non siamo ancora riusciti a debellare questo insidioso Citrobacter“.

Tutte le hanno provate, tranne che chiudere di gran carriera il reparto e portare via tutti i bambini prima che il morbo dilagasse. D’altra parte, Cobello ha anche aggiunto un “dobbiamo capire cosa sia successo” che, a dieci mesi dal primo caso, chiarisce il suo livello di competenza e intelligenza.

Ma che volete farci? la dottoressa Giovanna Ghirlanda, responsabile della Direzione Medica Aoui

(relatrice nel 2017 a un importante convegno su come prevenire le infezioni ospedaliere) ha detto in una dichiarazione al giornale di Verona, l’Arena: “Sì, il Citrobacter nella rianimazione neonatale circola e abbiamo provveduto più volte a fare la disinfestazione del reparto e la bonifica proprio per fermare le microepidemie che questo germe provoca una volta che attacca un ambiente”. Capito? hanno provato con la disinfestazione.

Per inciso, la dottoressa Ghirlanda è niente meno che responsabile del “Comitato controllo Infezioni Ospe­daliere Michele Somma­villa”.

Intanto che loro provavano,anziché chiudere il reparto di gran carriera, i neonati colpiti dal batterio sono stati almeno 12: tre sono morti, e 9 hanno riportato lesioni gravissime al cervello.

I responsabili sapevano che c’era l’infezione e non hanno detto nulla: quale madre avrebbe partorito nella loro struttura? Quali interessi sono stati coperti e salvaguardati in spregio a ogni minima scelta di buon senso?. Ora, come sempre, una commissione ‘esterna’ ricercherà le responsabilità, ma la Magistratura non ha ancora neppure emesso un avviso di garanzia, e questo ci sembra veramente incredibile.

Franco Slegato

tratto da: https://ovidionews.it/3-neonati-morti-e-9-cerebrolesi-lincredibile-reparto-neonatale-di-borgo-trento-a-verona/?fbclid=IwAR1ux7iAQrXKK7b0Rkys5-l5Gsa7-ye-94wANb7vxDNIbtnHGLOpY4fo51k