28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

 

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28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

28 giugno 1960 discorso di Sandro Pertini a Genova, piazza della Vittoria, prima dei fatti del 30 giugno

Leggi anche: “I Fatti di Genova” – 30 giugno 1960, contro il fascismo la più grande manifestazione di piazza che Genova ricordi…

Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza. Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza. Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui. La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero.
Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà. E’ necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”. E salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune. Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta? Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima. Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
E’ chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti, sudici voti neofascisti. Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni. Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza., il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia. Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre. Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista. A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi. Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.

* L’integrale del discorso è pubblicato su Rassegna Sindacale

La cloaca leghista non ha proprio fondo – Filippo Frugoli, consigliere comunale leghista, si permette di insultare Pertini: “Era un assassino e un brigatista rosso”

 

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La cloaca leghista non ha proprio fondo – Filippo Frugoli, consigliere comunale leghista, si permette di insultare Pertini: “Era un assassino e un brigatista rosso”

Il consigliere comunale leghista che insulta Pertini: “Era un assassino e un brigatista rosso”

Filippo Frugoli, giovane consigliere comunale di Massa appartenente alla Lega, è finito nella bufera per un suo post su Facebook nel quale ha preso di mira l’ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini, accusandolo di aver “ucciso una marea di persone” e di aver ammesso di “essere un brigatista rosso”.

Un consigliere comunale della Lega a Massa, Filippo Frugoli, è finito nella bufera dopo un suo post nel quale ha insultato l’ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Nel comune in cui è consigliere Frugoli si era avviata una discussione sull’intitolazione di un ponte a Pertini: lui si era opposto, soprattutto attraverso un post su Facebook che è stato poi rimosso da lui stesso. A denunciare quanto contenuto in quel post è stato il Pd di Massa. Frugoli, 21 anni, aveva accusato Pertini di aver “ucciso una marea di persone” e di aver ammesso “di essere un brigatista rosso”.

Il post del consigliere comunale contro Pertini:

Nel suo post Frugoli scriveva: “Ho appreso dalla stampa che un’associazione ha chiesto di intitolare un ponte a Sandro Pertini. Lo stesso Sandro Pertini che elogiò Stalin il giorno della morte, lo stesso Sandro Pertini che concesse la grazia al partigiano Toffanin che uccise molteplici persone, lo stesso Sandro Pertini capo partigiano che uccise una marea di persone accuse di essere fasciste o collaborazioniste con i fascisti (una sorta di caccia alle streghe, lo stesso Sandro Pertini che annunciò di essere un ‘brigatista rosso’. Ci vuole del coraggio a fare una richiesta simile! Se gli verrà dedicato un ponte chiederò di dedicare qualche via alle stragi partigiane, qualche via alle vittime dei partigiani e qualche via alle vittime delle brigate rosse. NO PERTINI”.

Le scuse del giovane leghista Frugoli – Il leghista, una volta finito al centro delle polemiche, ha deciso di scusarsi attraverso un altro post su Facebook… Una viscida marcia indietro forse impostagliu dall’alto, che comunque nulla toglie alla bassezza del suo pensiero:

Spero di mettere fine a ciò che si è sviluppato sui social in questi giorni, tra miei possibili errori, auguri di morte ed offese. Per quanto si possa rimediare visto che il sasso è lanciato. Chiedo SCUSA se qualcuno pensa io possa aver offeso la memoria di Sandro Pertini e ribadisco, probabilmente non avrei dovuto fare quel post. Chiedo SCUSA se ho sbagliato. Avevo cercato di rimediare subito, rimuovendo il post dopo 20 minuti ma era già stato fatto uno screen e quindi non ho potuto più rimediare.

Quando si fa un errore l’importante è rendersene conto ed andare avanti, se ho sbagliato me ne assumo le responsabilità e fine del discorso. Tutti sbagliano nella vita, a 21 anni forse è ancora più facile sbagliare e penso anche che esistano errori molto più gravi. Comunque, non cerco giustificazioni, sono una persona seria e non sono uno scemo, per questo mi assumo le mie responsabilità.

Concludo, ed il resto potrete leggerlo nell’articolo qui sotto, chiedendo scusa nel caso in cui questo post possa aver leso l’immagine dell’Amministrazione o del mio Partito, ma come detto la responsabilità va solo ed esclusivamente a me, Filippo Frugoli. Continuerò a lavorare con gli stessi principi, valori e serietà con cui ho lavorato fin’ora; pronto a sbagliare ancora, pronto a crescere ancora, ancora e ancora. Sbaglierò, come tutti, ma posso dire che non sarò mai come voi. Se qualcuno vuole continuare ad attaccarmi e/o offendere lo faccia pure, comprendo. Ho comunque le spalle larghe.

 

 

 

Piazza Fontana: quando Sandro Pertini non strinse le mani al questore di Milano Marcello Guida. Erano sporche per il suo passato da fascista e del sangue dell’anarchico Pinelli…

 

Piazza Fontana

 

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Piazza Fontana: quando Sandro Pertini non strinse le mani al questore di Milano Marcello Guida. Erano sporche per il suo passato da fascista e del sangue dell’anarchico Pinelli…

Poco dopo la strage di Piazza Fontana, Sandro Pertini, allora presidente della Camera dei deputati, si recò a Milano in visita ufficiale e, incontrando l’allora questore Marcello Guida, si rifiutò pubblicamente di stringergli la mano, ricordando il suo passato di fascista (Guida fu anche direttore del confino di Ventotene, proprio dove Pertini fu recluso sotto il fascismo).

Fu un gesto che ruppe il protocollo e che ebbe un forte rilievo mediatico.

Alcuni anni dopo, alla fine del ’73, lo stesso Pertini, intervistato da Oriana Fallaci, aggiunse che a determinare quel gesto fu anche che su Guida «gravava l’ombra della morte» dell’anarchico Giuseppe Pinelli, avvenuta appunto quando Guida era questore di Milano.
Dall’intervista di Oriana Fallaci a Sandro Pertini pubblicata il 27 dicembre del 1973 sul settimanale “L’Europeo”:

“Lei sa che al presidente della Repubblica, della Camera, del Senato, spetta viaggiare col saloncino, che poi è una vettura speciale attaccata al treno. Sicché vado a Milano e, quando il saloncino è fermo su un binario morto perché sto facendo colazione, il mio segretario dice: «Il questore Guida ha chiesto di ossequiarla, signor presidente». E io rispondo: «Riferisca al questore Guida che il presidente della Camera Sandro Pertini non intende riceverlo». 

Mica perché era stato direttore della colonia di Ventotene, sa? Non fosse stato che per Ventotene, avrei pensato: ormai tu sei questore e voglio dimenticare che hai diretto quella colonia, che vieni dal fascismo, che eri un fascista. Perché su di lui gravava, grava, l’ombra della morte di Pinelli. 

E a me basta che Pinelli sia morto in quel modo misterioso quando Guida era questore di Milano perché mi rifiuti di accettare gli ossequi di Guida. Oriana, io non sono capace di far compromessi!”.

«E’ anche un uomo che ha tanto da dire, senza esser sollecitato, infatti non si intervista Sandro Pertini. Si ascolta Sandro Pertini. Nelle sei ore che trascorsi con lui, sarò riuscita sì e no a piazzare quattro o cinque domande e due o tre osservazioni. Eppure furono sei ore di incanto». Ebbe a dire Oriana Fallaci

E sempre nella stessa intervista Pertini parla ancora di Piazza Fontana, di Guida e Pinelli, delle forze dell’ordine:

«De Gasperi sbarcò dal governo noi socialisti e si tenne solo i socialdemocratici e fece piazza pulita degli antifascisti che avevamo messo nelle prefetture, ad esempio, nella polizia. Noi avevamo creato elementi nuovi: questori non usciti dal fascismo o addirittura antifascisti, sa? Questori e prefetti che eran stati partigiani, su al nord. Ma lentamente, lentamente, il governo centrale di Roma ce li tolse. E rimise i vecchi arnesi, senza che noi riuscissimo a impedirlo».

«E il risultato è che oggi la polizia italiana è in gran parte fascista», ebbe a notare la Fallaci.

«Oriana, non è che voglia fare il difensore d’ufficio. Ci mancherebbe altro. Ma la colpa non è tutta dei poliziotti e dei carabinieri. La colpa è di chi non gli ha mai spiegato che non devono considerarsi al servizio della classe padronale, che la classe padronale non rappresenta l’ordine. Io gliel’ho detto in tanti comizi, invece: “Non dovete considerare malfattori i lavoratori che scendono in piazza. A parte il fatto che quel diritto gli è concesso dalla Costituzione, essi non sono malfattori. Sono lavoratori che protestano per difendere le loro famiglie. E quindi anche le vostre. Perché anche voi siete figli di contadini, anche voi siete figli di operai. Non lo capite che la classe padronale non scende in piazza perché non ne ha bisogno?”.

E agli operai ho detto: “Non dovete considerare i carabinieri e gli agenti di pubblica sicurezza come nemici da combattere. Non sono vostri nemici, sono figli di operai e contadini come voi!”.

“Il guaio è che i nostri carabinieri e ancor più i nostri poliziotti si mettono sull’attenti appena vedono un padrone. Sono rimasti al tempo in cui l’autorità era rappresentata dal parroco, dal feudatario, dal maresciallo dei carabinieri e tutti gli altri eran sudditi.

Però com’è che, quando gli spiego certe cose, capiscono?

Com’è che a Rimini un colonnello di pubblica sicurezza mi ha detto: “Lei ha parlato come si deve parlare, senza asprezza né settarismo. Permetta che le stringa la mano”. Com’è che a Saluzzo un maresciallo dei carabinieri ha pianto per la commozione?

Io conosco un dirigente della polizia che dice: “Tocca a noi rieducarli, presidente. Da soli non possono rendersi conto che a spingere in piazza gli operai sono i padroni. Abbiamo avuto una polizia borbonica, poi una polizia papalina, poi una polizia fascista. Farli diventare democratici è un lavoro lento, faticoso, ma non impossibile”.

Oriana, non sono tutti fascisti. Non sono tutti Guida. E lo stesso discorso vale per l’esercito. Non bisogna dimenticare i seicentomila soldati e ufficiali che finirono nei campi di concentramento, i trentamila che vi morirono insieme a settemila carabinieri, la divisione Acqui che combatté a Cefalonia e a Corfù contro i tedeschi, la divisione Sassari che si batté a Porta San Paolo contro i tedeschi, il generale Perotti che fu fucilato insieme a due operai a Torino, gli alpini che andarono coi partigiani di Cuneo. Non devono dimenticarlo nemmeno loro. E, se lo dimenticano, bisogna ricordarglielo!».

«Sì, più degli sciagurati che volevano ammazzarci (Pertini era nella lista nera di milleseicento antifascisti da liquidare in caso di golpe della Rosa dei Venti, ndr) a me interessano i mandanti: non è possibile che le piste rosse si trasformino sempre in piste nere!

Strage di piazza Fontana: il questore Guida annuncia subito la pista rossa, Pinelli e Valpreda, poi viene fuori che è una pista nera. Bomba in via Fatebenefratelli: idem. Episodi di Padova: idem. Ora sono a Padova e non è possibile che si tratti di episodi isolati, indipendenti l’uno dall’altro. C’è dietro un’organizzazione che assomiglia tanto a quelle di altri paesi.

Ma è così chiaro che si vuol turbare l’ordine pubblico per ristabilire con la forza l’ordine pubblico! Come coi colonnelli in Grecia, coi generali in Cile. E noi non vogliamo che l’Italia diventi una seconda Grecia, un secondo Cile».

 

I fascisti anche contro Sandro Pertini – Genova, il veto di Fratelli d’Italia fa saltare l’intitolazione dell’aula al nostro Presidente Pertini

 

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I fascisti anche contro Sandro Pertini – Genova, il veto di Fratelli d’Italia fa saltare l’intitolazione dell’aula al nostro Presidente Pertini

Genova – Un veto del capogruppo di Fratelli d’Italia, Augusto Sartori, ha impedito che martedì il consiglio regionale della Liguria votasse un ordine del giorno «fuori sacco» per intitolare l’aula a Sandro Pertini. Lo denunciano, in una nota, i capigruppo di Partito democratico e Linea condivisa, Giovanni Lunardon e Gianni Pastorino. «Siamo sconcertati dal comportamento di Fratelli d’Italia, soprattutto dopo che il presidente Giovanni Toti aveva risposto positivamente all’idea lanciata alcuni giorni fa dal coordinatore regionale dell’Anpi ligure, Massimo Bisca – affermano i due consiglieri di opposizione -. Purtroppo non è la prima volta che il partito di Fratelli d’Italia dimostra di non riconoscersi nei valori della resistenza, su cui sono fondate le nostre istituzioni».

L’ordine del giorno sarà comunque messo nel calendario dei lavori di una delle prossime sedute votanti. «Vorremmo capire cosa intenda fare il presidente Toti, che si dipinge come un liberale – scrivono ancora Lunardon e Pastorino -. Fu lui a citare Pertini il giorno del suo insediamento in regione. Sarebbe importante che l’intitolazione della sala del consiglio regionale a Pertini fosse votata all’unanimità da tutti i consiglieri».

La delusione dei partigiani

Sul tema è intervenuto anche l’Anpi: «Lascia sconcertati la posizione assunta in consiglio regionale dal capogruppo di Fratelli d’Italia, che ha deciso di non firmare l’ordine del giorno presentato dai gruppi consiliari di Pd e Linea Condivisa – firmato anche da Italia Viva, dal Movimento 5 Stelle, dal Gruppo Misto e da Liguria Popolare – che chiedeva di intitolare l’aula del Consiglio regionale ligure a Sandro Pertini, come sollecitato nella proposta del Coordinamento di Anpi Liguria nelle scorse settimane, in maniera da onorare la memoria dell’indiscutibile presidente di tutti gli Italiani a trent’anni dalla scomparsa e nel luogo dove si promulgano le leggi regionali». L’iniziativa di Fratelli d’Italia, continua nella sua nota l’Anpi, segue la vicenda dell’intitolazione del ponte Firpo a Fabrizio Quattrocchi. «Sembrano cercare ancora una volta di dividere le forze politiche, puntando su visioni revisioniste della Resistenza. Ma a noi sta a cuore sapere se il presidente Toti, che subito ha accolto la proposta di Anpi, facendo sue molte volte le parole di Sandro Pertini, intenda mantenere la sua posizione: gli chiediamo di far valere la sua parola all’interno della maggioranza che lo sostiene. Sandro Pertini, grande ligure, antifascista, partigiano, medaglia d’oro al valor militare, parlamentare e presidente della Repubblica, dev’essere ricordato nel luogo centrale della politica regionale con il consenso di tutti».

La reazione dei socialisti

L’intervento del Nuovo Psi: «Riteniamo inaccettabile il polverone sollevato dalle forze politiche rappresentate nel consiglio regionale della Liguria intorno alla figura di Sandro Pertini e all’opportunità di intitolargli la sala consiliare. In questo clima di continua campagna elettorale e di affermazione di valori identitari, anche i valori fondanti il patto democratico sancito nella Costituzione repubblicana sono posti in discussione o diventano momento di propaganda».

tratto da: https://www.ilsecoloxix.it/genova/2019/12/05/news/genova-il-veto-di-fratelli-d-italia-fa-saltare-l-intitolazione-dell-aula-a-sandro-pertini-1.38062133?fbclid=IwAR2aRPsE0VP7Sxla9uGfoUhMIjX_n3ztdreTU7oowq3nfIoPueR3mnpt1Qk

20 aprile 1945 – Veviva assassinato dai nazifascisti, dopo essere stato deportato e torturato, un Eroe della Resistenza che pochi ricordano: Eugenio Pertini, il fratello di Sandro…

 

Eugenio Pertini

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Tratto dalla da: Memory

20 aprile 1945 – Veviva assassinato dai nazifascisti, dopo essere stato deportato e torturato, un Eroe della Resistenza che pochi ricordano: Eugenio Pertini, il fratello di Sandro…

20 aprile 1945: Il partigiano Eugenio Pertini, fratello di Sandro Pertini, dopo essere stato deportato nel lager di Flossenbürg, viene torturato e assassinato dai nazisti

Nato a Stella (Savona) il 19 ottobre 1894, ucciso nel lager di Flossenbürg il 20 aprile 1945.

Fratello del futuro Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini.  Eugenio fu colto a Genova (dove, vedovo, abitava con la figlia Diomira di 10 anni), dagli eventi del settembre 1943.

Già di forti sentimenti antifascisti, fino ad allora non si era attivamente impegnato politicamente.

Lo fece quando, nell’inverno, si diffuse la voce che il fratello Sandro era stato fucilato a Regina Coeli dai tedeschi. L’impegno di Eugenio nella Resistenza non durò molto. Nell’aprile del 1944, mentre si trovava con la figlia in un ristorante genovese, fu arrestato dai fascisti e portato alla “Casa dello Studente”. Resistette agli interrogatori sotto tortura e, dopo qualche giorno, fu trasferito nel campo di Fossoli (MO).

Seguì la deportazione nel campo di Bolzano e, il 5 settembre 1944, la partenza per il lager di Flossenbürg. Qui Eugenio morì poco prima che i deportati fossero liberati dagli Alleati.Secondo il racconto dei superstiti – riferito nell’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza – “le SS si accingevano ad evacuare il campo per sfuggire alla morsa incombente delle avanguardie alleate.

Eugenio Pertini fu incolonnato con altri prigionieri. Claudicante, stremato dalle fatiche e dalle privazioni, non resse alla marcia. Più di una volta cadde e i compagni lo aiutarono a rialzarsi. Notato dalle SS, fu finito a colpi di fucile”.

Portano il nome di Eugenio Pertini una via a Zimella (VR), Istituti scolastici e Circoli culturali a Verona, Varazze (SV), Trapani, Roma.

Fonte: QUI

8 luglio 1978: Sandro Pertini è Presidente della Repubblica. La storia dell’elezione del Presidente più amato dagli Italiani

 

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8 luglio 1978: Sandro Pertini è Presidente della Repubblica. La storia dell’elezione del Presidente più amato dagli Italiani

 

8 luglio 1978: Sandro Pertini è Presidente della Repubblica.
Dopo 16 scrutini a vuoto a due mesi dalla morte di Moro, fu scelto come figura di garanzia per il proprio passato nella Resistenza. Fu il più amato e ricordato da (quasi) tutti gli Italiani

Alle 12:57 di sabato 8 luglio 1978 il Presidente della Camera Pietro Ingrao leggeva per la cinquecentoseiesima volta il nome dell’Avvocato Sandro Pertini (San Giovanni di Stella, Savona, 25 settembre 1896).

Era dunque ufficiale: dopo 16 scrutini andati a vuotol’ottantaduenne socialista, già Presidente della Camera, veniva eletto al Quirinale. Un lungo scroscio di applausi riempì l’aria di Montecitorio.

Era la prima volta dal 1946 che un Socialista veniva eletto Presidente della Repubblica.

Alla fine dello spoglio alle 13,30 circa, l’esito finale parlava di un successo schiacciante: 832 voti su 995 (121 le schede bianche), anche questo era un dato inedito nella storia della Repubblica. Pertini, nel frattempo, si trovava nella sua abitazione-studio nei pressi della Fontana di Trevi. Era stato sul punto di rinunciare definitivamente alla candidatura per le divergenze e le pressioni attorno alla sua figura. Sul letto, le valigie già pronte per un periodo di riflessione nella sua amata Nizza, che lo vide manovale durante la fuga dalla giustizia fascista.

Come si arrivò all’elezione di Pertini: il fantasma di Aldo Moro

Il percorso che portò il vecchio partigiano Pertini a ricoprire la più alta carica dello Stato fu lungo e tutt’altro che semplice, intrapreso in uno dei periodi più difficili per le Istituzioni repubblicane a soli due mesi dall’assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro avvenuto il 9 maggio del 1978.

Proprio l’esito drammatico dei 55 giorni di prigionia dello statista democristiano nella prigione delle Brigate Rosse aveva segnato profondamente il corso della politica italiana.

La sconfitta dello Stato e le gravissime spaccature tra i sostenitori della fermezza nei confronti dei terroristi in contrasto tra i fautori del dialogo (in primis Craxi) resero ancora più precario l’equilibrio politico di un paese atterrito dall’omicidio di Moro e dall’escalation di violenze degli anni di piombo, ora dirette al “cuore dello Stato”. Ad aggiungere peso alle incognite, Aldo Moro aveva portato con sé nella tomba l’idea del “compromesso storico” tra il suo partito ed il Pci.

La fine ingloriosa di Giovanni Leone

Contemporaneamente ai cupi giorni di quella tarda primavera del 1978, sulla figura dell’ormai ex Capo dello Stato era calata l’ombra dello scandalo. Giovanni Leone aveva infatti rassegnato le dimissioni il 15 giugno 1978, travolto dalla pressione dello scandalo Lockheed. Date queste premesse, si rivelava assolutamente necessaria la figura di un futuro Presidente di indubbia moralità e dotato di carisma, che fosse in grado di unificare attorno alla sua figura un Paese che rischiava una pericolosa deriva istituzionale ed una spaccatura insanabile nelle forze politiche del paese.

Le candidature che furono avanzate durante il mese di giugno rispecchiavano sostanzialmente le forti divisioni tra partiti e quelle all’interno delle correnti degli stessi.

Il primo a fare il nome di Sandro Pertini è Giacomo Mancini in un’intervista al quotidiano “Paese Sera“. E’ il 21 giugno 1978 e la proposta pare subito piacere al Segretario della Dc Benigno Zaccagnini, seguito prontamente dal Pci di Berlinguer. La destra dorotea della Dc non gradiva invece la candidatura dell’anziano socialista ligure, in quanto espressione diretta dell’esperienza “frontista” dei primi anni del secondo dopoguerra. Risolutamente contrario si espresse il Msi per l’esperienza resistenziale di Pertini, mentre il Segretario socialista Bettino Craxi si incaricava di candidare ufficialmente l’ottantaduenne padre politico del Psi a insaputa di quest’ultimo.

Pertini arrabbiato con Craxi

Alla mossa decisionista e spregiudicata di Craxi, il carattere impulsivo e irascibile di Pertini ebbe uno scatto: non avrebbe voluto offrire la propria figura come candidato alla Presidenza non ritenendosi accettato come “Presidente di tutti”, essendo avversato dalla destra Dc e anche da una parte degli stessi Socialisti che avevano proposto nel frattempo le candidature di Giuliano Vassalli e di Antonio Giolitti. Nello stesso momento i Repubblicani candidavano Ugo La Malfa ma Sandro Pertini con una mossa a sorpresa ritirava la propria candidatura con una lettera di rinuncia. La mossa dell’anziano socialista si rivelerà presto vincente perché in Aula si stava consumando la paralisi dovuta ai veti incrociati dei partiti e delle correnti.

Il Pci bocciava Vassalli per il suo ruolo di giurista a difesa degli imputati dello scandalo Lockheed (Cossutta arrivò a dire che votarlo “equivaleva a votare Lefebvre”); il Psi dal canto suo attaccava la candidatura di La Malfa, che piaceva invece ad una parte della Dc.

Come detto, Pertini era avversato dalla destra democristiana e da tutto il Msi. Negli ultimi giorni la partita sembrò giocarsi tra Giolitti e La Malfa. Ma anche in questo caso si arrivò alla paralisi perché la scelta obbligata per la Dc avrebbe dovuto essere tra due laici, mentre il Pci pose un veto definitivo su La Malfa. A questo punto lo stallo sembrava essere destinato a minare la stabilità del governo di solidarietà nazionale di Giulio Andreotti, nato dall’emergenza del dopo Moro. 

La lettera di rinuncia di Pertini sparigliava le carte e si rivelava decisiva perché otteneva l’effetto contrario: il Pci decideva di rimetterlo in corsa, trascinando con sé la sinistra Dc di Zaccagniniche aveva sempre supportato l’anziano socialista e parte del Psi che avrebbe comunque avuto un illustre rappresentante del partito nonostante la candidatura di Giolitti.

La volata del Presidente partigiano: 8 luglio 1978

Fu in questo quadro di fibrillazione che si giunse allo scrutinio finale, quello del’ 8 luglio 1978. Le voci dissonanti della Dc di Forlani (che mirava a indebolire la segreteria di Benigno Zaccagnini) e dei Repubblicani che sostennero fino all’ultimo La Malfa furono alla fine messe a tacere. Craxi dal canto suo avrebbe più volentieri sostenuto Antonio Giolitti, per le note divergenze nate dopo la svolta del Midas con la vecchia dirigenza del Psi di cui Pertini era espressione piena.

Tuttavia la prospettiva di un socialista al Quirinale fu determinante per la scelta finale del Segretario del garofano. I Comunisti dal canto loro accettarono il rientro in gioco di Pertini senza condizioni, sapendo bene che il possibile nuovo Presidente non avrebbe preso ordini da Craxi.

Il salvataggio degli equilibri politici e l’idea di un Presidente di garanzia fece crollare le pesanti barriere erette dagli elettori negli ultimi giorni prima dell’elezione.

Quando Pertini venne a conoscenza della sua schiacciante vittoria mentre era in casa davanti ad un film western, era ancora risentitocon Bettino Craxi per avere alimentato le trame di Montecitorionel periodo tra la sua rinuncia ed il successo finale. Il giorno seguente, il 9 luglio 1978, fu fissata la data del giuramento davanti alla Costituzione. Un uomo profondamente differente prendeva il posto di Giovanni Leone, per storia e cultura personali. Un simbolo dell’antifascismo e dei valori della Costituzione caratterizzato dall’avversione al compromesso e dalla fermezza. Portava con sé gli anni di carcere e di confino, l’attività ai vertici del CLN, incarnazione di una vittoria contro un nemico dello Stato che nel 1978 si chiamava terrorismo.

La nota capacità dialettica e retorica accompagnò la figura di Pertini per tutto il mandato, e attirò sia favori che critiche: soprattutto da chi lo accusava di narcisismo presenzialista e di forti ingerenze politiche esplicitate sotto la maschera di “Presidente degli Italiani”. Fu in particolare modo accusato dagli avversari di efferatezza in alcuni episodi legati alle giornate dell’insurrezione di Milano nell’aprile 1945 (presunto ordine di fucilazione per gli attori Osvaldo Valenti e Isa Ferida). Fu criticato per l’omaggio a Stalin in un discorso al Parlamento all’indomani della morte del dittatore comunista nel 1953. In seguito anche per i toni incendiari che gli avversari politici gli imputavano in occasione del comizio tenuto a Genova nel 1960, nel quale avrebbe incitato gli operai e i portuali alla violenza per impedire il Congresso dell’Msi nel capoluogo ligure Medaglia d’Oro della Resistenza, che costò la poltrona al breve Governo Tambroni. Durante la carica di Presidente della Repubblica, gli furono mosse  critiche di eccessivo protagonismo in particolare durante la straziante agonia del piccolo Alfredo Rampi nel pozzo di Vermicino nel giugno 1981.

“Moro, non io, se fosse vivo, parlerebbe oggi a voi”

Pertini tiene il proprio discorso inaugurale davanti alle Camere alle 11:40 del 9 luglio 1978. Oltre alle formule di giuramento sulla Costituzione, il nuovo Presidente si soffermò su alcuni temi dominanti il suo pensiero: la dignità fondata sul lavoro, l’eguaglianza dei diritti e l’assoluta inalienabilità della libertà, non sindacabile con alcun tipo di vantaggio sociale o economico. Dopo avere salutato le Forze dell’Ordine, Pertini rivolge un pensiero ed un elogio agli emigranti italiani nel mondo, per poi tornare con la memoria alla propria esperienza di antifascista della prima ora. “Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti con i quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza” (…), è l’incipit del passo riservato al passato partigiano. Tuttavia Pertini smorzava subito i toni infiammati che riportavano ai drammatici giorni e alla violenza dell’insurrezione, rassicurando gli Italiani con questa frase: ” Ricordo questo con orgoglio non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce né in morale, Nè in politica. Ma da oggi io cesserò di essere uomo di parte. Intendo essere solo il Presidente della Repubblica di tutti gli Italiani, fratello a tutti nell’amore di Patria e nell’aspirazione costante alla Libertà e alla Giustizia. Onorevoli Senatori e Deputati, signori Delegati Regionali: viva la Repubblica, viva l’Italia!“.

Era cominciata l’era del “Presidente più amato dagli Italiani” (o,meglio, da buona parte), che salvava il Governo Andreotti oltre agli gli equilibri politici dei partiti minati dai colpi di maglio delle bombe e da un terrorismo tutt’altro che sconfitto. Forse la persona meno entusiasta dell’elezione del Presidente partigiano fu sua moglie Carla Voltolina, l’ex staffetta partigiana che proprio non ne voleva sapere dei futuri obblighi da first lady, preoccupata com’era per i tanti impegni di lavoro al servizio dei tossicodipendenti e alcolisti ricoverati al Policlinico Gemelli.

fonte: https://www.panorama.it/news/politica/8-luglio-1978-sandro-pertini-e-presidente-della-repubblica-storia-e-foto/

ECCO CHI E’ IL NOSTRO PRESIDENTE – Sandro Pertini: “Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo” !!

Pertini

 

 

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ECCO CHI E’ IL NOSTRO PRESIDENTE – Sandro Pertini: “Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo” !!

 

Dall’intervista rilasciata da Sandro Pertini a Nantas Salvalaggio della  “La Domenica del Corriere”:
Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo. L’opinione pubblica non lo tollererebbe. Io, neppure. Ho già detto alla mia Carla: tieni pronte le valigie, potrei piantare tutto…
Io spero che i documenti dei famosi ‘pretori d’assalto’ siano vagliati con rigore. Spero che tutto sarà discusso in aula, e nessuna copertura sarà frettolosamente inventata dai padrini dell’assegno sottobanco… Mi fanno pena i magistrati e i politici che cercano di tagliare le gambe ai pretori dell’inchiesta sullo scandalo del petrolio. Dicono che sono troppo giovani: ma da quando la giovinezza è un reato? Se mai è un sintomo esaltante e meraviglioso: significa che il Paese ha una riserva di coraggio e di onestà nelle nuove generazioni. E poi, mi creda: questi giovani (beati loro!) sono stati esemplari, rapidissimi. In tredici giorni hanno vagliato quintali di documenti. Hanno perduto ciascuno tre o quattro chili, mi dicono.

Ma è quel sudore, quella fatica, che possono ora lavare le macchie dei piccoli e grandi corruttori. Nel mio partito mi accusano di non avere souplesse. Dicono che un partito moderno si deve ‘adeguare’. Ma adeguare a che cosa, santa Madonna? Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo. Meglio allora il partito non adeguato e poco moderno. Meglio il nostro vecchio partito clandestino, senza sedi al neon, senza segretarie dalle gambe lunghe e dalle unghie ultralaccate… Dobbiamo tagliarci il bubbone da soli e subito. Non basta il borotalco a guarire una piaga. Ci sono i ladri, gli imbroglioni? Bene, facciamo i nomi e affidiamoli al magistrato.

Ecco, io non so perché ancora qualcuno si stupisca che la classe politica attuale goda di così poca stima presso i cittadini… quel che è certo è che se ci fossero un po’ più Sandro Pertini, questo Paese sarebbe certamente migliore. E se non ci sono, non stiamo a lamentarci e a piangerci addosso: cominciamo noi nel nostro piccolo a fare i Sandro Pertini. Cominciamo a non adeguarci, a protestare ogni volta che le cose vengono fatte “secondo il sistema” e non “secondo coscienza”. Forse non cambierà nulla, ma se l’onestà di una persona sola come Pertini ai vertici dello Stato ha fatto tanto, figuriamoci se a quei vertici ce ne fossero almeno un centinaio.

Quella, nel paese che non ha mai risolto la Questione Morale, sarebbe la vera rivoluzione.

 

tratto da: http://siamolagente2.altervista.org/ecco-chi-e-il-nostro-presidente-sandro-pertini-se-adeguarsi-vuol-dire-rubare-io-non-mi-adeguo/

La profezia di Sandro Pertini: “l’Unione Europea ha il solo scopo di fare dell’Europa occidentale il campo di sfruttamento della finanza americana”

Sandro Pertini

 

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La profezia di Sandro Pertini: “l’Unione Europea ha il solo scopo di fare dell’Europa occidentale il campo di sfruttamento della finanza americana”

“Ormai a tutti è noto che l’Unione Europea e gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa Occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana“.
Frase sorprendente, che è stata pronunciata da Sandro Pertini nel 1949, all’alba di quelpiano Marshall (dal nome del segretario di Stato Usa che lo annunciò il 5 giugno 1947) con cui gli Stati Uniti iniziavano ad esportare, in un’Europa distrutta, il loro modello economico e sociale al fine di sottometterla e colonizzarla. Pertini, compreso questo, ritirò anche la sua adesione dal manifesto di Ventotene, ovvero al progetto di Europa unita scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann tra il 1941 ed il 1944 durante il loro confino sull’isola di Ventotene. Il manifesto si diversificava dal progetto di Pan-Europa del Conte Kalergi, che nel 1922 immaginava un’Europa a conduzione tecnocratica e non un’Europa in cui un Parlamento sovrano, eletto a suffragio universale, determinasse le politiche comuni.
Cosa comprese dunque Pertini già nel 1949? Che tra il dire ed il fare c’era di mezzo il mare… Nello specifico c’era di mezzo l’interesse dei poteri economici americani, che già alla fine della seconda guerra mondiale erano così forti e strutturati da creare un vero e proprio potere politico con mire di controllo e dominio globale. Il piano Marshall, fin dal suo esordio, avviava un vero e proprio processo di trasformazione strutturale delle economie europee di cui svilupparono i consumi e la dipendenza dall’estero, piuttosto che una vera e propria ricostruzione industriale e produttiva che avrebbe dato forza ed autonomia al vecchio continente. Appuntoaffrontavano la situazione con la chiara idea di colonizzarci.
Il piano però dovette essere rapidamente abbandonato perché la minaccia sovietica iniziava a farsi pesante, ciò avvenne nel 1951. Con il senno del poi è chiara la ragione del cambio di strategia, avvenuto in esclusiva chiave antisovietica. Era necessaria una nuova impostazione:prima della colonizzazione definitiva del continente bisognava disattivare il nemico comunista altrimenti i Paesi europei avrebbero potuto strizza l’occhio ad est. L’azione antisovietica possibile era logicamente solo quella che passava per l’abbandono delle politiche del piano, dunque era quella di fornire al vecchio continente una legislazione fortemente tutelante dei più deboli, al fine di battere il Comunismo dove esso avrebbe dovuto essere più forte, nel sociale e nel lavoro. Ciò implicava necessariamente dare forza produttiva all’Europa, renderla una potenza libera.
Quello che ovviamente era efficace in chiave anti sovietica però lo diveniva anche in chiave anti americana.Caduto il muro non si poteva lasciare che l’Europa proseguisse nella direzione intrapresa, diveniva pericoloso per gli interessi della finanza americana proseguire su questa strada, l’Europa non avrebbe avuto più ragioni per essere subalterna. Così si è ripartiti con una nuova strategia di aggressione del vecchio continente da parte della finanza americana. Ecco che in quest’ottica l’Europa unità è diventata, come avrebbe dovuto esserlo fin dal piano Marshall, solo un metodo più semplice di controllo di un vasto territorio, risultando molto più facile imporre la propria influenza con una leadership europea unica, piuttosto che imporla ad una pluralità di nazioni sovrane.
Ciò che Pertini intuì era dunque il percorso che aveva preso l’Unione fin dai suoi albori, quando era solo un pensiero, percorso che poi è diventato evidente e via via più chiaro con il Trattato di Maastricht e quell’insieme di regole che ha definitivamente fatto dell’Europa il campo di sfruttamento della finanza americana. Dopo il grande sviluppo delle democrazie europee, appunto al fine di evitare che i nostri Paesi passassero al comunismo, il lavoro per la finanza americana era diventato ben più complesso, era difficile far tornare indietro le democrazie senza quella che Mario Monti definirebbe “una crisi visibile e conclamata”. Tale crisi, escludendo l’invasione militare dell’Europa che non avrebbe avuto il consenso dell’opinione pubblica americana, poteva essere causata solo con mezzi non comprensibili alle masse. Ecco il ruolo dei parametri di convergenza europei (3% percento deficit/pil, ecc…), essi sono perfetti per causare la fine dell’indipendenza e della sovranità delle nazioni europee, senza che le opinioni pubbliche nazionali possano capire con precisione quanto sta accadendo.
D’altronde, proprio come diceva ancora Pertini, un uomo senza lavoro, che vive nella misera, non può essere certamente considerato libero. Questo comporta che esso non sarà neppure un uomo in grado di capire la sua condizione e reagire ad un nemico così occulto, subdolo e purtroppo per noi strategicamente molto preparato.
Tutto questo avviene oggi, alla luce del sole…