28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

 

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28 giugno 1960 – Sandro Pertini: dire no al fascismo riaffermando i valori della Resistenza – Eravamo nel 1960, la Dc permise il congresso dei neofascisti del Msi a Genova. La città si sollevò e Pertini tenne un discorso memorabile

28 giugno 1960 discorso di Sandro Pertini a Genova, piazza della Vittoria, prima dei fatti del 30 giugno

Leggi anche: “I Fatti di Genova” – 30 giugno 1960, contro il fascismo la più grande manifestazione di piazza che Genova ricordi…

Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza. Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza. Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui. La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero.
Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà. E’ necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”. E salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune. Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta? Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima. Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
E’ chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti, sudici voti neofascisti. Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni. Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza., il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia. Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre. Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista. A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi. Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.

* L’integrale del discorso è pubblicato su Rassegna Sindacale

Il consigliere di Forza Italia: “Il fascismo non era razzista ma portò la civiltà in Africa…” – Nella foto: qualche esempio di “civiltà” cosi come la intendono i fascisti…!

 

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Il consigliere di Forza Italia: “Il fascismo non era razzista ma portò la civiltà in Africa…” – Nella foto: qualche esempio di “civiltà” cosi come la intendono i fascisti…!

Il consigliere della Calabria: “Il fascismo non era razzista ma portò la civiltà in Africa…”.

Le imbarazzanti e ignoranti affermazioni di Domenico Tallini, presidente del Consiglio regionale della Calabria e considerato impresentabile dall’Antimafia. Falsi storici intrisi di razzismo e di nostalgie fasciste

Un ignorante. Dispensatore di ignoranza e che, dalle parole, si comprende bene quanto sia un nostalgico del fascismo e sia rimasto profondamente razzista, sul modello di quelli che dicevano che il colonialismo portava la civiltà tra i selvaggi.

A parlare non è un passante ma Domenico Tallini: il presidente del Consiglio regionale della Calabria, esponente di Forza Italia e considerato impresentabile dalla commissione Antimafia per essere stato rinviato a giudizio per corruzione.

In un video diventato virale Tallini inanella una serie di falsi storici conditi dal razzismo del ‘bianco’ che considera gli africani esseri inferiori che dovrebbero ringraziare di essere stati invasi e sottomessi dalle potenze imperialiste e coloniali.

Il tutto nella triste esibizione del nuovo razzismo contro i migranti che dovremmo aiutare a casa loro come fece il fascismo.

E che ha detto Tallini in un italiano un po’ traballante?

Il fascismo non era razzista, il fascismo è stato accusato in maniera volgare di essere andato in Africa e di aver civilizzato i paesi africani, più o meno la teoria che vorrebbero tanti oggi invece di consentire questa immigrazione e utilizzare questa carne da macello che arriva dai paesi del Nordafrica, andare a dare loro una mano nei loro paesi, questo avveniva in un momento in cui gli italiani andarono in Africa, portarono la civiltà in Africa, tant’è che forse voi dimenticate… lo so che… insomma… sono cose che non mi meraviglia se io ti dico che il nostro concetto di civiltà è questo… l’ultimo Negus d’Abissinia nell’ultima visita fatta a Roma e passando tra le strade di Roma salutava la gente con il saluto romano… ringraziando il popolo italiano per come si era posto nei confronti di quelle popolazioni“.

Domenico Tallini dimentica le stragi fasciste in Etiopia, l’uso dei gas sulla popolazione civile e i crimini del generale Graziani.

fonte: https://www.globalist.it/news/2020/06/21/il-consigliere-della-calabria-il-fascismo-non-era-razzista-ma-porto-la-civilta-in-africa-2060520.html

Caso Floyd, il Parlamento Europeo approva una risoluzione che condanna ogni forma di razzismo e odio. Ma i soliti fascisti Italiani si fanno riconoscere: ovviamente Lega di Salvini e Fdi di Meloni VOTANO CONTRO…!

 

 

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Caso Floyd, il Parlamento Europeo approva una risoluzione che condanna ogni forma di razzismo e odio. Ma i soliti fascisti Italiani si fanno riconoscere: ovviamente Lega di Salvini e Fdi di Meloni VOTANO CONTRO…!

Dicono di non essere razzisti, che è solo un’impressione.
Salvo, ogni qualvolta se ne presenti l’occasione, gettare ipocritamente la maschera.

Ieri il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione che condanna “l’atroce morte” di George Floyd e ogni forma di razzismo, odio e violenza.

In 493 hanno votato a favore di questa risoluzione che alla fine dei conti è solo un’affermazione dei principi umani su cui si fonda l’Europa.

In 104 hanno votato contro. E indovinate quali sono gli unici eurodeputati italiani ad aver votato contro? Già, quelli della Lega e di Fratelli d’Italia.

Loro non ce la fanno proprio a non strizzare l’occhio all’anima più razzista e violenta dell’elettorato.
Non ci riescono. E’ più forte di loro.

Però se glielo ricordi indossano nuovamente la maschera.
Non quella contro il Covid, quella la tengono sempre giù per i selfie.

La maschera dell’ipocrisia.

Floyd, Parlamento Ue approva risoluzione che condanna omicidio e razzismo: Lega e Fdi votano contro

Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che condanna ogni forma di razzismo, nonché l’uccisione di George Floyd. Gli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia, però, hanno votato contro la risoluzione. Favorevole il voto dei gruppi di Pd, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Italia Viva.

I parlamentari europei della Lega e di Fratelli d’Italia hanno votato contro la risoluzione che condanna ogni forma di razzismo e odio, ma anche “l’atroce morte di George Floyd negli Stati Uniti, nonché le uccisioni analoghe dovunque nel mondo”. A favore della risoluzione hanno invece votato gli eurodeputati dei gruppi di Pd, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Italia Viva. La risoluzione è stata approvata dal Parlamento europeo e prevede anche una esplicita richiesta, indirizzata alla Commissione europea e al Consiglio europeo, per “adottare una posizione forte e decisa contro il razzismo, la violenza e l’ingiustizia in Europa”. Ancora, secondo quanto si legge nel testo della risoluzione, si intende sostenere “le recenti proteste di massa nelle capitali e nelle città europee contro il razzismo e la discriminazione in seguito alla morte di George Floyd”.

La risoluzione approvata dal Parlamento europeo
La risoluzione afferma anche un altro principio, più volte sentito durante queste proteste negli Usa e diventato lo slogan delle manifestazioni: “Black Lives Matter”. I voti favorevoli sono stati 493, quelli contrari 104, gli astenuti sono stati 67. Dura anche la condanna alla repressione da parte della polizia statunitense dei manifestanti pacifici, così come delle minacce di Trump di impiegare l’esercito, condannando anche il presidente Usa per la sua “retorica incendiaria”.

Fonti della Lega: perplessità su risoluzione
Fonti della Lega spiegano le motivazioni per cui hanno deciso di votare contrariamente alla risoluzione approvata dal Parlamento europeo: “Emergono numerose perplessità sulla proposta di risoluzione, che presenta molti obiettivi utopici e che rappresenta una realtà distorta”. Le stesse fonti spiegano: “Nello specifico, non si condivide l’impostazione del documento: si ritiene inopportuno paragonare la situazione Usa con quella Ue, spesso sovrapponendole in maniera errata, e non si condividono le prese di posizione e le strumentalizzazioni per attaccare indiscriminatamente i rappresentanti delle forze dell’ordine, il presidente Usa e forze politiche che esprimono pareri critici rispetto alla gestione dei fenomeni migratori”. Ancora, gli eurodeputati leghisti ritengono “che sia un tema di diritti civili trasversali, stravolto da una campagna mediatica che ha fomentato fenomeni di violenza e vandalismo ingiustificato, che dobbiamo condannare, contro simboli e rappresentazioni della storia europea e mondiale”.

fonti:

https://www.facebook.com/128744460563282/photos/pb.128744460563282.-2207520000../2693423167428719/?type=3&theater

https://www.fanpage.it/politica/floyd-parlamento-ue-approva-risoluzione-che-condanna-omicidio-e-razzismo-lega-e-fdi-votano-contro/
https://www.fanpage.it/

Giacomo Matteotti ammazzato dai Fascisti il 10 giugno del 1924 – La storia di chi pagò a caro prezzo la lotta per la libertà

 

 

Giacomo Matteotti

 

 

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Giacomo Matteotti ammazzato dai Fascisti il 10 giugno del 1924 – La storia di chi pagò a caro prezzo la lotta per la libertà

Esiste una famosa canzone popolare che iniziò a dilagare dopo il rapimento e l’uccisione di Giacomo Matteotti. Da sempre contro il fascismo e le sue nefandezze, l’uomo pagherà cara la sua lotta per la verità.

Or, se a ascoltar mi state,

canto il delitto di quei galeotti

che con gran rabbia vollero trucidare

il deputato Giacomo Matteotti.

Erano tanti:

Viola Rossi e Dumin,

il capo della banda

Benito Mussolini

 

Giacomo Matteotti nasce il 22 maggio del 1885 a Fratta Polesine: la sua carriera politica inizia molto presto e già nel 1919 viene eletto al parlamento; allora è ancora parte per PSI. Nel 1921 e nel 1924 la sua candidatura viene riconfermata: i compagni lo chiamano Tempesta, per la forza e la tenacia con cui conduce le sue battaglie. Nel 1921 pubblica la sua Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, che denunciava le azioni delle squadre fasciste prima delle elezioni del ’21. Nel 1922 viene escluso dal PSI e diventa segretario del Partito Socialista Unitario. Bel 1924 invece viene pubblicato a Londra (ovviamente non Italia) il suo libro Un anno di dominazione fascista, parlando ancora dello squadrismo e del trattamento imposto agli oppositori di regime.

La sua tacita condanna, e ne è consapevole, la firma il 30 maggio del 1924, quando condanna in Parlamento i brogli elettorali e le nefandezze compiute dalle camice nere, al fine di far vincere a Mussolini le elezioni. Il suo discorso, interrotto continuamente dalla destra, smaschera tanto le violenze quanto le scorrettezze durante le votazioni e gli scrutini. Chiede quindi di invalidare le elezioni, palesemente pilotate.

Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. […] Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) […] Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all’estrema sinistra – Vivi rumori)

La sua richiesta di invalidare le elezioni viene respinta dalla Camera, ma la sua voce di opposizione è troppo forte, troppo importante, troppo per il duce. Che ne ordina l’esecuzione da parte della CEKA.

Terminato il discorso, disse rivolto ai compagni:

Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.

Ed è così che il 10 giugno 1924, mentre si stava recando in Parlamento, Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo lo attendono a bordo in una Lancia Lamba. Il giorno successivo aveva già anticipato che avrebbe denunciato le tangenti della compagnia americana Sinclair Oil al regime. La borsa che portava con sé, e tutti i documenti da lui raccolti, non verranno mai trovati.

La scena venne vista da due ragazzini che raccontarono poi l’accaduto: Matteotti, braccato da due uomini, si ribellò al punto da dover farne intervenire un terzo a stordirlo con un pungo sul volto.  Caricato a forza in macchina, durante la lotta che scaturì all’intero del veicolo, riuscì a gettare fuori dal finestrino il tesserino di partito. Verrà ucciso a pugnalate e seppellito, piegato a metà, in un campo. Ritrovato dopo due mesi, il 16 agosto, il funerale verrà celebrato a Fratta Polesine, luogo di provenienza. Durante il trasporto in treno della salma da Roma al Trentino, si riunirono sui binari uomini e donne silenziose, giunte a salutarlo per l’ultima volta.

Il 26 giugno del 1924, visto che Mussolini si afferma estraneo ai fatti e addolorato per l’avvenuto, i deputati antifascisti affermano di non voler continuare le proprie attività fino a che il governo non si sarà esposto sulla sua posizione riguardo la questione Matteotti: inizia la Secessione dell’Aventino.

Il 3 gennaio del 1925 ottengono una risposta più che chiara, che passerà alla storia: il duce si addossa tutta la responsabilità dell’omicidio di Matteotti.

Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. […] Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!

E, rivolto ai secessionisti: «State certi che entro quarantott’ore la situazione sarà chiarita su tutta l’area».

Inizia la repressione della libertà di stampa e di opinione, che chiude giornali e circoli. Il 14 gennaio viene approvato, senza discussione o obiezione, quel blocco di norme che prenderà storicamente il nome di Leggi Fascistissime.

Matteotti, ultimo barlume di ribellione interna, che provò a denunciare quanto stava avvenendo, conscio del pericolo che correva, lottò fino all’ultimo. Il suo omicidio segna pubblicamente l’inizio delle violenze di regime, è uno spartiacqueche segna definitivamente le intenzioni di Mussolini: chi è contro, è eliminato. Ma la potenza del regime era già così stabile da poter permettere al duce di rivendicare la responsabilità dell’uccisione, senza che il regime cadesse. Non c’era più possibilità di ribellarsi, senza finire nelle mani degli squadristi.

La storia, alle volte, sembra beffarda e sembra giocare con il nostro destino: il 10 giugno, non è solo la data del delitto Matteotti. Nel 1940, in quello stesso giorno, a Palazzo Venezia, Mussolini informava il popolo italiano dell’entrata in guerra contro Francia e Inghilterra.

Wiston Churchill definirà questo passo la tragedia della storia italiana, per mano di colui che definì come il criminale che ha tessuto queste festa di follia e vergogna.

Tanto il 10 giugno del 1924, quanto del 1940.

fonte: https://bandabassotti.myblog.it/2019/06/09/giacomo-matteotti/

Per la serie: “Ha fatto anche cose buone” – Quando c’era lui denunciare un bambino, e quindi condannarlo a morte, valeva 1500 lire…!

 

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Per la serie: “Ha fatto anche cose buone” – Quando c’era lui denunciare un bambino, e quindi condannarlo a morte, valeva 1500 lire…!

La propaganda fascista aveva bisogno di titoli e di senso di appartenenza, far percepire alla popolazione gli ebrei come diversi e nemici. Il tutto con la difficoltà di cambiare l’istintiva morale cristiana dovendo far prevalere il senso di legalità.

A tal fine si affiancarono nel 1943 due provvedimenti, uno atto a multare chi dava ospitalità o nascondeva le origini ebraiche, dall’altra a premiare economicamente chi denunciava dei conoscenti di origini ebraiche.

Una tragedia che la Comunità ebraica di Roma ricorda bene e che ha portato a una lunga indagine per stilare l’elenco di quanti ebbero un ruolo in quella “caccia”.

Un bambino valeva 1.500 lire, una donna 3.000. Per un uomo si potevano ottenere 5.000 lire. Tutto in cambio del nome di un esponente della comunità ebraica, da consegnare ai nazisti perché fosse inviato ai campi di concentramento.

A Roma è stata ricostruita la lista nera di quanti contribuirono a vendere gli ebrei. Un elenco costato una lunga indagine e che la comunità della Capitale assicura non verrà mai reso noto. Furono 747 le persone denunciate dopo il primo rastrellamento, che andarono a sommarsi alle 1.022 catturate il 16 ottobre. Quasi 1.800 persone in totale, su 8.000 vittime italiane.

Particolarmente esposti erano gli adulti maschi, costretti a lasciare i loro rifugi per trovare di che fare sopravvivere le loro famiglie. Tra i delatori c’erano vicini di casa, colleghi di lavoro.

L’85% degli ebrei romani riuscì, nonostante tutto, a salvarsi. Secondo Claudio Procaccia, uno degli autori dello studio della Comunità ebraica, il merito fu in molti casi dei privati che li nascosero. “Per la maggior parte non c’era scambio di denaro. Negli istituti religiosi, invece, uno su due pagava un affitto”.

Qualcuno arrivò a battezzarsi per salvarsi. Circa una persona su dieci. Altri fecero perdere le loro tracce scappando o cambiando cognome.

Con questa propaganda le persone non vedevano più nei loro gesti un paese che condannava a morte famiglie e bambini ma faceva prevalere quella sensazione di rispetto della legge. La storia però ricorda e giudica le persone per i loro gesti e la vergogna di quello che fanno diventa indelebile.

Tra le ore 05:30 e le ore 14:00 di sabato 16 ottobre del 1943(il sabato nero), le SS invadono le strade del Ghetto di Roma e rastrellano 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini e bambine.

Tornarono in Italia solo 15 uomini, tra cui Cesare Segni ed una donna, Settimia Spizzichino che sopravvisse al campo di concentramento di Bergen-Belsen e morì nel 2000.

Nessuno dei bambini è mai tornato. 

“I Fatti di Genova” – 30 giugno 1960, contro il fascismo la più grande manifestazione di piazza che Genova ricordi…

 

I Fatti di Genova

 

 

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“I Fatti di Genova” – 30 giugno 1960, contro il fascismo la più grande manifestazione di piazza che Genova ricordi…

Quanti ricordano cosa accadde a Genova il 30 giugno 1960? Una pagina di storia forse marginale rispetto a tante altre, che i nati negli ultimi decenni a malapena conoscono, ma che può essere interessante riportare alla mente per scoprire una pagina in più della città in cui viviamo.

Genova è rossa per tradizione. Le amministrazioni politiche che si sono succedute hanno sempre avuto bandiere di sinistra – che fosse più o meno rivolta al centro, rispettando le attuali definizioni di partito – e la sinistra in Italia del dopoguerra è anzitutto sinonimo di antifascismo.

Il 30 giugno 1960 è avvenuta una delle più grandi manifestazioni di piazza che il capoluogo ligure ricordi, proprio allo scopo di contrastare ciò che rimaneva del Fascismo in Italia. In quei giorni sono anche avvenuti scontri tra la polizia e i manifestanti che hanno portato numerosi feriti, alcuni processi e un’emergenza nazionale di “ordine pubblico” che ricorda da vicino quanto accadde quarant’anni dopo nel corso del G8.

A Genova si doveva infatti tenere il VI Congresso Nazionale del Movimento Sociale Italiano, una decisione che tutta l’opposizione di sinistra (all’epoca alla guida della città c’era infatti la Dc) ha contrastato partecipando a un corteo organizzato da ANPI e dalla Camera del Lavoro nelle giornate del 24 e 25 giugno. La contrarietà al congresso era soprattutto dovuta al fatto che Genova è una città decorata di medaglia d’oro della Resistenza e proprio da qui è partita l’insurrezione del 25 aprile 1945.

Il corteo, che ha riguardato l’intera area del centro cittadino, si è concluso con scontri tra i manifestanti e la polizia. Il 28 giugno si è tenuta una nuova manifestazione con circa 30.000 partecipanti e il 29 giugno è stato indetto uno sciopero generale per il giorno seguente.

Infine il 30 giugno si è tenuta l’ultima manifestazione, con una numerosissima presenza di persone e che ha però visto scatenarsi gli scontri più accesi tra polizia e manifestanti, anche dovuti alla scelta del governo centrale di scegliere la “linea dura” contro i manifestanti, con un bilancio conclusivo di 162 feriti tra gli agenti e circa 40 tra i manifestanti. Per ragioni di ordine pubblico il congresso fu annullato e il capo del governo Fernando Tambroni si dimise subito dopo.

25 aprile divisivo? CERTO CHE È DIVISIVO – Da una parte chi sta con il criminale della dittatura, degli assassini di stato, della violenza contro gli avversari, dell’odio razziale, della guerra con mezzo milioni di morti. Dall’altra chi ha lottato contro tutto questo… Dovrebbe essere facile capire da che parte stare!

 

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25 aprile divisivo? CERTO CHE È DIVISIVO – Da una parte chi sta con il criminale della dittatura, degli assassini di stato, della violenza contro gli avversari, dell’odio razziale, della guerra con mezzo milioni di morti. Dall’altra chi ha lottato contro tutto questo… Dovrebbe essere facile capire da che parte stare!

Sono fascisti nell’animo anche se non hanno il coraggio di dirlo apertamente.

Festeggiano la marcia su Roma, difendono le sceneggiate di Predappio, mettono in lista gente che si chiama Mussolini, ossia parenti e discendenti del criminale che ha firmato le leggi razziali e portato l’Italia alla distruzione con oltre 500.000 morti e alla creazione di una repubblica-fantoccio asservita ai nazisti e fautrice di ignobili e orribili stragi.

E i Fascisti tornano alla carica: il 25 aprile non va festeggiato perché è “divisivo”

Il 25 aprile rappresenta la liberazione dal periodo più nero, squallido e schifoso della storia Italiana. Tutti gli Italiani dotati di un po’ di intelligenza, umanità e dignità dovrebbero prendere le distanze da quello che è successo in quel ventennio.

Se c’è qualcuno che non lo fa, anzi palesa vergognose nostalgie e inaudito apprezzamento per quello che, come la storia ha sancito, non è stato altro che un ignobile criminale è bene che resti separato dalla parte sana del Paese.

Se c’è qualcuno che non lo fa dovrebbe solo vergognarsi e stare zitto.

Sì, il 25 aprile è “divisivo”, ma non sembra difficile capire da quale parte stare…

Nota – Ecco da cosa ci divide il 25 aprile:

42 fucilati nel ventennio su sentenza del Tribunale Speciale.

28.000 anni di carcere e confino politico agli avversari politici.

80.000 libici sradicati dal Gebel con le loro famiglie e condannati a morire di stenti nelle zone desertiche della Cirenaica dal generale Graziani.

700.000 abissini barbaramente uccisi nel corso della impresa Etiopica e nelle successive “operazioni di polizia”.

tutti i combattenti antifascisti caduti nella guerra di Spagna.

350.000 militari e ufficiali italiani caduti o dispersi nella Seconda Guerra mondiale.

tutti i combattenti degli eserciti avversari ed i civili che soffrirono e morirono per le aggressioni fasciste.

45.000 deportati politici e razziali nei campi di sterminio, 15.000 dei quali non fecero più ritorno.

640.000 internati militari nei lager tedeschi di cui 40.000 deceduti ed i 600.000 e più prigionieri di guerra italiani che languirono per anni rinchiusi tra i reticolati, in tutte le parti del mondo.

110.000 caduti nella Lotta di Liberazione in Italia e all’estero.

migliaia di civili sepolti vivi tra le macerie dei bombardamenti delle città.

quei giovani che, o perché privi di alternative, o perché ingannati da falsi ideali, senza commettere alcun crimine, traditi dai camerati tedeschi e dai capi fascisti, caddero combattendo dall’altra parte della barricata.

…E tanti altri ancora…

By Eles

 

Bolsonaro: “I veri uomini non prendono il coronavirus”… Cari amici, ricordate: questo è il fascismo!

 

Bolsonaro

 

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Bolsonaro: “I veri uomini non prendono il coronavirus”… Cari amici, ricordate: questo è il fascismo!

Bolsonaro: «I veri uomini non prendono il coronavirus». L’opposizione: «Il Brasile non può essere distrutto da Bolsonaro»

Roussef: «Famigerato e irresponsabile». Guimarães: «Un idiota pericoloso». Greenpeace: «No a contrapposizione tra lavoro e salvare vite umane»

Se qualcuno volesse rendersi conto di cosa vuol dire avere un neofascista, ultraliberista, sovranista, omofobo e negazionista climatico alla guida di un Paese al tempo del coronavirus, restando nell’Unione europea, basterebbe pensare a quel che è successo in Ungheria, dove Orban si è fatto dare da un Parlamento ridotto a bivacco di manipoli quei pieni poteri che il suo amico Salvini chiedeva solo un’estate fa, dopo ver tentato di chiudere il Parlamento italiano, con una manovra di palazzo maldestramente concepita al Papeete di Milano Marittima dopo un mojito di troppo. Oppure basterebbe pensare a cosa stanno facendo tre governi di destra – Grecia, Turchia e Bulgaria – con il volenteroso aiuto dei carnefici nazifascisti, ai confini dell’Asia e dell’Europa, applicando le loro ricette (che sono le stesse reclamate dai loro amici e camerati italiani) alla tragedia dimenticata dei profughi siriani e kurdi, ostaggi del nulla e dell’indifferenza nella terra di nessuno. Ma se si vuole capire come, in poco più di un anno e mezzo, l’elezione di uno dei campioni della neo-destra mondiale – festeggiata a champagne e mortaretti dal centro-destra italiota – si è trasformata in tragedia e farsa, basterebbe ascoltare quel che dice e contraddice, ormai quotidianamente e caparbiamente, il presidente neofascista del Brasile, Jair Bolsonaro, che mentre i brasiliani muoiono e si ammalano, continua a minimizzare la portata dell’emergenza e che si è definito troppo “macho” per poter essere colpito dal Coronavirus.

Nella sua ultima apparizione alla televisione brasiliana, il 24 aprile, incurante delle critiche che lo sommergono e dell’irritazione che sta montando nel suo stesso governo e tra i militari che lo sostengono, Bolsonaro ha detto: «Non credo che affronteremo la stessa situazione degli Stati Uniti. I brasiliani devono essere studiati, non si ammalano. Possono saltare e tuffarsi nelle fognature e non gli succede nulla! Penso che in Brasile tanta gente sia stata contagiata, ma hanno gli anticorpi per resistere a questo virus».

Solo il giorno prima Bolsonaro, subissato dalle critiche, aveva revocato, direttamente dal suo profilo Twitter, l’articolo della Medida Provisória (MP 927) che avrebbe consentito alle aziende di sospendere il contratto di lavoro dei loro dipendenti per un massimo di quattro mesi durante lo stato di calamità pubblica. Ma, nonostante il ritiro parziale, la MP 927 resta in vigore e stabilisce che non verrà considerato un infortunio sul lavoro se chi lavora nel settore sanitario, dei trasporti e dei servizi essenziali contrarrà il coronavirus e non può provare il “nesso causale” con la funzione lavorativa svolta. Però gli operatori sanitari possono raddoppiare i loro turni, con una banca ore che dovrebbe essere compensata entro 180 giorni.

La ex presidente del Brasile Dilma Roussef ha definito «Famigerato e irresponsabile» il discorso di Bolsonaro» e ha detto che «Rivela il suo disprezzo per la scienza, la salute e la vita della popolazione. Bolsonaro fa una scommessa al buio. Scommette sul mantenimento del sostegno degli strati sociali che lo hanno eletto, e non solo della sua milizia. Pertanto, il suo discorso non include la società, solo i suoi. Per lui, non importa se i media che lo hanno sostenuto nelle elezioni non credono più in lui, né che gli esponenti del mercato non lo amino più intensamente come prima, o addirittura lo abbandonano, anche se i governatori che lo avevano sostenuto sono contro di lui».

Oggi in Brasile ci sarà un grande “panelaço”, con canti, slogan e sbattimento di pentole da finestre e balconi contro il governo, organizzato dal Frentes Brasil Popular e Povo Sem Medo che riuniscono partiti politici, movimenti sociali e sindacati, tutti uniti al grido di “ Fora Bolsonaro”. «Ci sono molte crudeltà che devono essere fermate. Dobbiamo seguire l’esempio di altri Paesi, garantire posti di lavoro e reddito. Se non lo facciamo, avremo 40 milioni di disoccupati, il caos sociale», ha avvertito il senatore Paulo Paim del Patido dos Trabalhadores (PT) e il presidente della Central Única dos Trabalhadores (CUT), Sérgio Nobre, ha detto che «La MP 927 è “opportunista” e serve solo gli interessi dei datori di lavoro. Questa MP è in linea con la lettera della Confederação Nacional da Indústria. E’ una proposta opportunistica, per smantellare la legislazione del lavoro e per le agevolazioni fiscali per gli imprenditori».

Uno degli ispiratori di Bolsonaro è Junior Durski, ex rampollo di una dinastia politica di destra, già a capo di un’impresa del legname e mineraria e ora proprietario della catena della ristorazione Madero (“melhor hambúrguer do mundo”) convinto che i politici, lo Stato democratico e le amministrazioni pubbliche siano arance marce che contaminano tutto quello che li circonda. Qualche giorno fa Durski ha detto che «In Brasile nei prossimi due anni moriranno 300, 400, 500 mila persone come conseguenza del danno economico derivato dalle restrizioni con le quali si cerca di combattere il coronavirus. Paralizzare l’economia nazionale a causa di 5.000 o 7.000 persone che moriranno per la febbre covid-19 non è realista. Gli effetti dell’isolamento sociale e la sospensione produttiva saranno peggiori dell’epidemia stessa». Sono le stesse cose che – con meno impudenza e sincerità – fino a pochi giorni o settimane fa dicevano Donald Trump, Boris Jhonson e, in Italia Salvini, la Meloni, i presidenti di centro-destra delle regioni del nord (e, con altri toni e motivazioni,il Sindaco di Milano Sala, l’unico a chiedere scusa) e è quel che in qualche modo chiedono Confindustria e Renzi.

Il problema è che il Brasile ha più di 210 milioni di abitanti e che, rispetto all’Italia, l’Europa e gli Usa ha condizioni socio-economiche e sanitarie molto peggiori: 40 milioni di disoccupati, centinaia di migliaia di persone che soffrono ancora (o di nuovo) la fame e la povertà, spesso in favelas dove domina la violenza e dove lo Stato brasiliano è assente. E ora anche l’ispiratore di Bolsonaro, Trump, si accontenterebbe che la pandemia negli Usa facesse “solo” 100.000 morti e i suoi amici e camerati Salvini e Meloni chiedono a Conte misure di confinamento ancora più restrittive e di stampare un fiume di denaro pubblico, portando ad esempio Paesi come la Svizzera che ha subito smentito il capo della Lega (ex Nord).

Secondo Greenpeace Brasil «Non dovrebbe esserci contrapposizione tra salvare posti di lavoro o salvare vite umane, sono due problemi incomparabili. Il sostegno finanziario dello stato deve prima andare alla salute e garantire che le popolazioni vulnerabili continuino a vivere, quindi a salvare l’economia e le grandi aziende. È lo Stato che deve agire per centralizzare gli sforzi e ridurre al minimo gli impatti sociali ed economici della pandemia sul popolo brasiliano, e non viceversa (…) Il nostro lavoro è orientato a garantire un ambiente equilibrato per tutti noi e le generazioni future. E in questo momento che richiede l’attenzione e la collaborazione di tutti, è in difesa della vita che prendiamo posizione».

Contro Bolsonaro si sono espressi anche Dom Walmor Oliveira de Azevedo, presidente da Conferência Nacional dos Bispos do Brasil. Felipe Santa Cruz, presidente dell’Ordem dos Advogados do Brasil, José Carlos Dias, presidente della Comissão Defesa dos Direitos Humanos Dom Paulo Evaristo Arns, Luiz Davidovich, presidente da Academia Brasileira de Ciências, Paulo Jeronimo de Sousa, dell’Associação Brasileira de Imprensa e Ildeu de Castro Moreira, presidente da Sociedade Brasileira para o Progresso da Ciência, che in una nota congiunta avvisano «la popolazione di restare a casa rispettando le raccomandazioni della scienza, degli operatori sanitari e dell’esperienza internazionale. Le strategie di isolamento sociale, fondamentali per contenere la crescita accelerata del numero di persone colpite dal coronavirus, mirano all’organizzazione dei servizi sanitari per far fronte a questa situazione, che, sebbene grave, può essere ben affrontata da un sistema sanitario organizzato e ben gestito s tutti i livelli». Poi l’affondo finale contro Bolsonaro: «La campagna di disinformazione condotta dal Presidente della Repubblica, invitando la popolazione ad andare in piazza, costituisce una grave minaccia per la salute di tutti i brasiliani. E’ tempo di affrontare questa pandemia con lucidità, responsabilità e solidarietà. Non permettiamo che ci venga derubata la speranza».

Per Gleisi Hoffmann , presidente nazionale del PT, ed Enio Verri e Rogerio Carvalho, i leader PT alla Câmara dos Deputados e al Senado Federal, quello visto in televisione non è più il presidente della Repubblica disorientato e che per giorni ha fatto dichiarazioni contraddittorie: «Il Brasile ha visto in TV un Jair Bolsonaro senza maschera, che diceva le barbarie che pensa veramente nella sua irresponsabilità criminale. Contrariamente a scienziati, autorità mediche, Organizzazione mondiale della sanità e tutti i Paesi del mondo, Bolsonaro ha attaccato le misure di isolamento adottate dalle autorità statali e municipali per combattere il coronavirus. Non è stata solo un’altra dimostrazione di ignoranza, malafede e cinismo da parte di un presidente che pensa solo a se stesso, al suo potere e alla sua famiglia. E’ stato un gesto di totale disprezzo per la vita delle persone, per gli esseri umani, per la popolazione che ha l’obbligo di proteggere di fronte alla più grave crisi sanitaria che il mondo moderno abbia mai affrontato. Un incitamento al genocidio. E’ lo stesso Bolsonaro che ha fatto una campagna contro Mais Médicos e i medici cubani, a capo di un governo che ha indebolito il SUS (Sistema Único de Saúde, ndr) e la Estratégia Saúde da Família. Bolsonaro afferma che gli altri stanno creando isteria, ma il suo governo sta approfittando della crisi per togliere ancora più diritti ai lavoratori. Parla di difendere il lavoro ma il suo primo passo è stato autorizzare il licenziamento di massa dei lavoratori. Usa la crisi per una disputa politica con governatori e sindaci che stanno facendo i passi giusti che si è rifiutato di fare. Bolsonaro è più dannoso per la salute, per il Paese e per la democrazia di qualsiasi tipo di virus».

In un durissimo articolo pubblicato su Carta Capital intitolato “Um idiota perigoso” (Un idiota pericoloso), il leader della minoranza alla Camera José Guimarães (PT) scrive che «Il discorso del 24 del presidente dell’estrema destra Jair Bolsonaro, in cui ha invitato la popolazione a uscire dall’isolamento, ha dimostrato la sua follia e la sua impreparazione per governare il Brasile. Le sue affermazioni hanno dissipato ogni dubbio sul fatto che soffra di uno squilibrio psichico che non sia pronto a esercitare il suo ruolo. Senza responsabilità ed efficienza, alienato, getta il Paese nell’incertezza in un momento drammatico della vita nazionale, con la pandemia di coronavirus». Per Guimarães, il discorso di Bolsonaro «E’ stato sconcertante per tutti i brasiliani che hanno un minimo di sanità mentale» e «Ha dimostrato che gli svizzeri hanno fatto la diagnosi giusta: è il più pericoloso idiota del pianeta (…) Contro il mondo, Bolsonaro insiste su cose sciocche per inserirsi nella galleria dei presidenti più folli ed esilaranti dell’umanità. Se si fosse limitato ai suoi social network di fanatici e robot, non avremmo problemi. Ma è una vera minaccia per il popolo brasiliano. In questo momento, il Brasile ha bisogno di ampia coesione sociale, serietà, sensibilità e sforzi comuni, in tutte le sfere del potere e nella società, per affrontare la pandemia e i suoi riflessi su un’economia mal gestita. Bolsonaro e il ministro dell’Economia Paulo Guedes disprezzano il popolo brasiliano insistendo su un modello che si è già dimostrato inutile. Ostaggio della prospettiva obsoleta della Scuola di Chicago, la coppia genocida disprezza le persone che potrebbero morire a causa della mancanza di risorse nel Sistema Único de Saúde e dell’assenza di misure di mitigazione. L’insieme di misure annunciate per affrontare l’impatto economico causato da Covid-19 è un vero inganno in un momento cruciale. E’ insufficiente e incapace di proteggere l’economia, i posti di lavoro e gli strati più vulnerabili. Il pacchetto rivela solo una visione ultraliberista meschina e arretrata. I paraocchi impediscono loro di cedere al buon senso e di seguire ciò che altri Paesi hanno fatto per affrontare la pandemia (…) Usciremo dal pantano solo con il superamento dell’attuale modello neoliberista e con l’abrogazione dell’emendamento 95, derivante dal noto PEC da Morte, approvato dal famigerato governo Temer. L’emendamento indebolisce e limita gli investimenti nelle politiche sociali, indebolendo l’intera rete di protezione sociale. Solo l’anno scorso, il SUS ha perso quasi 10 miliardi di real del suo budget».

L’opposizione brasiliana ha proposto una serie di misure per far funzionare l’economia ed evitare il caos sociale. L’opposizione alla Camera ha proposto un progetto che istituisce un reddito d’emergenza sicuro per le famiglie che beneficiano della Bolsa Família, quelle iscritte al Cadastro Único e ai lavoratori informali e a basso reddito, che dovrebbero fino a che ci saranno la pandemia e il regime di confinamento sociale. Ne potrebbero beneficiare circa 100 milioni di brasiliani. L’importo proposto è un salario minimo di 1.045 real, 5 volte quello che il governo Bolsonaro ha annunciato a sostegno dei più vulnerabili.

Un altro disegno di legge stabilisce misure temporanee in materia di lavoro, vietando il licenziamento arbitrario o la risoluzione anticipata del contratto, mentre sono in vigore le misure di isolamento sociale o di quarantena.
Ieri i leader nazionali di PT, Partido Socialista Brasileiro, Partido Comunista Brasileiro (PCB), Partido Socialismo e Liberdade, Partido Comunista do Brasil (PCdoB), ex candidati alla presidenza e alla vicepresidenza e gli ex governatori degli Stati di Maranhão, Parà e Rio grande do Sul hanno firmato il manifesto dell’Opposizione intitolato “O Brasil não pode ser destruído por Bolsonaro” e nel quale si legge che «Il Brasile e il mondo sono di fronte a un’emergenza senza precedenti nella storia moderna, la pandemia di coronavirus , a conseguenze molto gravi per la vita umana, la salute pubblica e l’attività economica. Nel nostro Paese, l’emergenza è aggravata da un presidente della Repubblica irresponsabile. Jair Bolsonaro è il maggiore ostacolo per prendere decisioni urgenti per ridurre la diffusione del contagio, salvare vite umane e garantire il reddito delle famiglie, posti di lavoro e aziende. Attacca la salute pubblica, ignorando le determinazioni tecniche e le esperienze di altri Paesi. Anche prima dell’arrivo del virus, i servizi pubblici e l’economia brasiliana erano già drammaticamente indeboliti dall’agenda neoliberista che è stata imposta al Paese. In questo momento, è necessario mobilitare, senza limiti, tutte le risorse pubbliche necessarie per salvare vite umane. Bolsonaro non è in grado di continuare a governare il Brasile e affrontare questa crisi, che mette a repentaglio la salute e l’economia. Commette crimini, dà informazioni fraudolente, bugie e incoraggia il caos, approfittando della disperazione della popolazione più vulnerabile. Abbiamo bisogno di unità e comprensione per affrontare la pandemia, non di un presidente che va contro le autorità di salute pubblica e mette la vita di tutti al di sotto dei suoi interessi politici autoritari. Basta! Bolsonaro è più che un problema politico, è diventato un problema di salute pubblica. Bolsonaro manca di grandezza. Dovrebbe dimettersi, il che sarebbe il gesto meno costoso per consentire un’uscita democratica al Paese. Deve essere urgentemente fermato e rispondere ai crimini che sta commettendo contro il nostro popolo».

Dopo questo durissimo attacco politico l’opposizione brasiliana ricorda che, a differenza del governo del presidente neofascista, chiama le forze politiche popolari e democratiche ad unirsi intorno a un piano di emergenza nazionale per attuare le seguenti azioni: «Mantenere e qualificare le misure per ridurre i contatti sociali per tutto il tempo necessario, secondo criteri scientifici; Creazione di letti ICU provvisori e importazione massiccia di test e dispositivi di protezione per professionisti e popolazione; -Implementazione urgente del reddito di base permanente per i lavoratori disoccupati e informali, secondo il progetto di legge approvato dalla Câmara dos Deputados e con uno sguardo speciale rivolto a popoli indigeni, ai quilombola e ai senzatetto, che sono i più vulnerabili; Sospensione delle bollette, delle tariffe dei servizi di base per i più poveri fino a quando durerà la crisi; Divieto di licenziamenti, con assistenza statale nel pagamento dei salari ai settori più colpiti e aiuti sotto forma di finanziamenti agevolati, a medie, piccole e microimprese; Regolazione immediata delle imposte su grandi fortune, utili e dividendi; prestito obbligatorio che deve essere pagato dalle banche private e utilizzato dal Ministero del tesoro nazionale per coprire le spese di assicurazione sanitaria e sociale, oltre alla disposizione di una revisione selettiva e attenta delle agevolazioni fiscali, quando l’economia sarà normalizzata».

Il manifesto dell’Opposizione brasiliana conclude: «Di fronte a un governo che scommette irresponsabilmente sul caos sociale, economico e politico, è dovere del Congresso Nacional legiferare in emergenza, proteggere la popolazione e il Paese dalla pandemia. È dovere dei governatori e dei sindaci occuparsi della salute pubblica, agendo in modo coordinato, come molti hanno fatto in modo encomiabile. È anche dovere del Ministério Público e del Judiciário bloccare prontamente le iniziative criminali di un esecutivo che viola le garanzie costituzionali alla vita umana. È dovere di tutti agire con responsabilità e patriottismo».

 

fonte: http://www.greenreport.it/risorse/bolsonaro-i-veri-uomini-non-prendono-il-coronavirus-lopposizione-il-brasile-non-puo-essere-distrutto-da-bolsonaro/

Per non dimenticare, 16 febbraio 1943 – “Vi bruceremo tutti”. Quando l’esercito fascista uccise a sangue freddo 175 uomini e ragazzi del villaggio greco di Domenikon: una storia che la Rai, nel 2008, rifiutò di raccontare

Domenikon

 

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Per non dimenticare – “Vi bruceremo tutti”. Quando nel 1943 l’esercito fascista uccise a sangue freddo 175 uomini e ragazzi del villaggio greco di Domenikon: una storia che la Rai, nel 2008, rifiutò di raccontare

La Grecia resistette caparbiamente all’invasione italiana che, senza l’intervento tedesco, non avrebbe avuto successo. Roma dopo la capitolazione di Atene controllava circa due terzi del territorio greco e affidò al generale Geloso il comando delle operazioni. Costui emanò una circolare in cui affermava con decisione che i villaggi andavano distrutti, i beni materiali requisiti e le comunità sottoposte ad un ferreo controllo militare; il tutto per bloccare il nascente movimento partigiano.

All’ordine seguirono, in particolare in Tessaglia, incendi, requisizioni, rastrellamenti e violenze sui civili.

In questo quadro si consumò la terribile strage di Domenikon del 16 febbraio 1943.

Nel corso della mattina alcuni partigiani greci della zona avevano attaccato una pattuglia italiana provocando alcune vittime. Nel pomeriggio gli italiani della divisione Pinerolo comandati dal generale Cesare Benelli circondarono Domenikon e costrinsero gli abitanti ad ammassarsi al centro del villaggio. “Vi bruceremo tutti” dissero alcuni soldati, mettendo in allarme un maestro che conosceva la lingua.

Subito dopo arrivò l’aviazione che scaricò sul paese bombe incendiarie distruggendo numerose case, fienili e stalle. I greci vennero tenuti in ostaggio fino al tramonto quando gli uomini sopra i 14 anni vennero separati dalle donne. Poi nel cuore della notte cominciarono le fucilazioni. Almeno 150 civili vennero uccisi sul posto, forse duecento, se si considerano i morti del giorno seguente, quando i soldati della Pinerolo andarono alla ricerca di pastori e contadini,.Perché questo erano gli abitanti di Domenikon che si erano nascosti prima del rastrellamento.

La strage fu la prima di altri eccidi consumati nella Primavera del ’43, tra cui ricordiamo quelli di Tsaritsani, Neapoli, Domokos, Farsala e Oxinia.

E nel 2008, quando venne pubblicato il documentario ‘La guerra sporca di Mussolini’ che raccontava le stragi italiane durante la guerra (incluso il massacro di Domenikon), la RAI si dichiarò ‘non interessata’ al progetto. In piena coerenza, a dire il vero, con un paese che ha sempre evitato di affrontare in maniera diretta le proprie responsabilità nel conflitto più orrendo che la storia ricordi.

I generali Benelli e Geloso la fecero franca. Il nostro governo infatti, seguendo la logica del “baratto delle colpe”, si premurò più di salvare i criminali nostrani che chiedere giustizia per le stragi nazifasciste in Italia.
E così Domenikon venne cancellata per lungo tempo dalla memoria, al pari di Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto.

 

Articolo di:

Cannibali e Re
Cronache Ribelli

 

Il 22 gennaio del 1891 nasceva Antonio Gramsci – Un ricordo con il suo celebre discorso alla Camera del 1925 che racchiude tutto il suo pensiero: “Ecco cos’è davvero il fascismo”

Antonio Gramsci

 

 

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Il 22 gennaio del 1891 nasceva Antonio Gramsci – Un ricordo con il suo celebre discorso alla Camera del 1925 che racchiude tutto il suo pensiero: “Ecco cos’è davvero il fascismo”

Gramsci: ecco cos’è davvero il fascismo – La ‘rivoluzione’ fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale. Il discorso alla Camera a 77 dalla morte di Antonio Gramsci

di Antonio Gramsci (16 maggio 1925)

Il problema è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fenomeno fascista? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico-massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo?

Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè la impossibilità per la borghesia di creare in Italia una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d’opera esuberante. In secondo luogo la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi la impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo, la questione meridionale, cioè la questione dei contadini, legata strettamente al problema della emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere…

[Interruzioni].

Il significato dell’emigrazione in massa dei lavoratori è questo: il sistema capitalistico, che è il sistema predominante, non è in grado di dare il vitto, l’alloggio e i vestiti alla popolazione, e una parte non piccola di questa popolazione è costretta ad emigrare… Noi abbiamo una nostra concezione dell’imperialismo e del fenomeno coloniale, secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale finanziario. Finora l’imperialismo italiano è consistito solo in questo: che l’operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri paesi, cioè finora l’Italia è solo stata un mezzo dell’espansione del capitale finanziario non italiano.

Voi vi sciacquate sempre la bocca con le affermazioni puerili di una pretesa superiorità demografica dell’Italia sugli altri paesi; voi dite sempre, per esempio, che l’Italia demograficamente è superiore alla Francia. È una questione questa che solo le statistiche possono risolvere perentoriamente ed io qualche volta mi occupo di statistiche; ora una statistica pubblicata nel dopoguerra, mai smentita, e che non può essere smentita, afferma che l’Italia di prima della guerra, dal punto di vista demografico, si trovava già nella stessa situazione della Francia dopo la guerra; ciò è determinato dal fatto che l’emigrazione allontana dal territorio nazionale una tal massa di popolazione maschile produttivamente attiva, che i rapporti demografici diventano catastrofici.

Nel territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte di popolazione passiva che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia. È questa la debolezza fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l’emigrazione italiana, per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a inquadrare.

I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere questi problemi? Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani politici della borghesia per risolvere la questione del governo del popolo italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione borghese-proletaria la massa dei contadini italiani specialmente nel Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo.

Nell’Italia settentrionale si costituisce difatti una coalizione borghese-proletaria attraverso la collaborazione parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative: nell’Italia meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri…

[Interruzione del deputato Greco]

Voi fascisti siete stati i maggiori artefici del fallimento di questo piano politico, poiché avete livellato nella stessa miseria l’aristocrazia operaia e i contadini poveri di tutta l’Italia. Abbiamo avuto il programma che possiamo dire del Corriere della Sera, giornale che rappresenta una forza non indifferente nella politica nazionale: ottocentomila lettori sono anch’essi un partito. 

[Voci “Meno…”. Mussolini “La metà! E poi i lettori dei giornali non contano. Non hanno mai fatto una rivoluzione. I lettori dei giornali hanno regolarmente torto!]

Il Corriere della Sera non vuole fare la rivoluzione.

[Farinacci: Neanche l’Unità!].

Il Corriere della Sera ha sostenuto sistematicamente tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, ad Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi, ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le isole, e perciò altrettanto pericolosa che l’attuale fascismo per la stessa unità materiale dello Stato italiano, il Corriere della Sera ha sostenuto sempre un’alleanza tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente meridionale sul terreno del libero scambio. L’una e l’altra soluzione tendevano essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella originaria, tendevano a sviluppare le “conquiste” del Risorgimento.
Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La “rivoluzione” fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale”.