Per non dimenticare, 16 febbraio 1943 – “Vi bruceremo tutti”. Quando l’esercito fascista uccise a sangue freddo 175 uomini e ragazzi del villaggio greco di Domenikon: una storia che la Rai, nel 2008, rifiutò di raccontare

Domenikon

 

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Per non dimenticare – “Vi bruceremo tutti”. Quando nel 1943 l’esercito fascista uccise a sangue freddo 175 uomini e ragazzi del villaggio greco di Domenikon: una storia che la Rai, nel 2008, rifiutò di raccontare

La Grecia resistette caparbiamente all’invasione italiana che, senza l’intervento tedesco, non avrebbe avuto successo. Roma dopo la capitolazione di Atene controllava circa due terzi del territorio greco e affidò al generale Geloso il comando delle operazioni. Costui emanò una circolare in cui affermava con decisione che i villaggi andavano distrutti, i beni materiali requisiti e le comunità sottoposte ad un ferreo controllo militare; il tutto per bloccare il nascente movimento partigiano.

All’ordine seguirono, in particolare in Tessaglia, incendi, requisizioni, rastrellamenti e violenze sui civili.

In questo quadro si consumò la terribile strage di Domenikon del 16 febbraio 1943.

Nel corso della mattina alcuni partigiani greci della zona avevano attaccato una pattuglia italiana provocando alcune vittime. Nel pomeriggio gli italiani della divisione Pinerolo comandati dal generale Cesare Benelli circondarono Domenikon e costrinsero gli abitanti ad ammassarsi al centro del villaggio. “Vi bruceremo tutti” dissero alcuni soldati, mettendo in allarme un maestro che conosceva la lingua.

Subito dopo arrivò l’aviazione che scaricò sul paese bombe incendiarie distruggendo numerose case, fienili e stalle. I greci vennero tenuti in ostaggio fino al tramonto quando gli uomini sopra i 14 anni vennero separati dalle donne. Poi nel cuore della notte cominciarono le fucilazioni. Almeno 150 civili vennero uccisi sul posto, forse duecento, se si considerano i morti del giorno seguente, quando i soldati della Pinerolo andarono alla ricerca di pastori e contadini,.Perché questo erano gli abitanti di Domenikon che si erano nascosti prima del rastrellamento.

La strage fu la prima di altri eccidi consumati nella Primavera del ’43, tra cui ricordiamo quelli di Tsaritsani, Neapoli, Domokos, Farsala e Oxinia.

E nel 2008, quando venne pubblicato il documentario ‘La guerra sporca di Mussolini’ che raccontava le stragi italiane durante la guerra (incluso il massacro di Domenikon), la RAI si dichiarò ‘non interessata’ al progetto. In piena coerenza, a dire il vero, con un paese che ha sempre evitato di affrontare in maniera diretta le proprie responsabilità nel conflitto più orrendo che la storia ricordi.

I generali Benelli e Geloso la fecero franca. Il nostro governo infatti, seguendo la logica del “baratto delle colpe”, si premurò più di salvare i criminali nostrani che chiedere giustizia per le stragi nazifasciste in Italia.
E così Domenikon venne cancellata per lungo tempo dalla memoria, al pari di Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto.

 

Articolo di:

Cannibali e Re
Cronache Ribelli

 

4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

 

strage

 

 

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4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

Quanti conoscono la storia dell’eccidio di Kos, la cosiddetta “piccola Cefalonia”? Quanti sanno che nel 1943, in quell’isola greca del Dodecaneso, nel Mar Egeo, che allora era dominio italiano, furono trucidati 103 ufficiali italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti?

L’eccidio di Coo, o eccidio di Kos, fu un crimine di guerra perpetrato dall’esercito tedesco al comando del generale Friedrich-Wilhelm Müller ai danni dell’esercito italiano commesso tra il 4 ed il 7 ottobre 1943 sull’isola di Coo, che a quel tempo era territorio italiano, essendo parte del Dodecaneso. 103 ufficiali italiani vennero fucilati come rappresaglia per la resistenza opposta all’invasione tedesca dell’isola (la cosiddetta battaglia di Coo, parte della campagna del Dodecaneso).

Una documentazione sull’eccidio è stata ritrovata nel 1994 all’interno del cosiddetto armadio della vergogna.

Tra il 4 e il 6 ottobre i 148 ufficiali italiani catturati (che facevano parte del 10º Reggimento fanteria “Regina”, comandato dal colonnello Felice Leggio) subirono un processo sommario sotto la direzione di Müller, a conclusione del quale si decise che tutti gli ufficiali che avevano partecipato alla battaglia del 3 e 4 ottobre sarebbero stati fucilati (tale criterio peraltro non fu applicato molto rigorosamente, per esempio tra i condannati vi fu anche il veterinario dell’esercito, che non aveva avuto alcun ruolo nella difesa dell’isola).

Alla fine, dei 148 ufficiali, sette passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, dieci furono ricoverati in ospedale per poi essere trasferiti in Germania, mentre gli altri 103 furono fucilati dai militari della Wehrmacht a partire dalla sera del 4 ottobre fino al 7.

 

14 luglio 1943 – Il massacro di Biscari – Quando gli americani sbarcati in Sicilia assassinarono 80 prigionieri che si erano arresi – Un crimine di guerra spregevole quanto quelli nazisti, ma per il quale, complici i nostri politici, nessuno mai pagò!

 

massacro di Biscari

 

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14 luglio 1943 – Il massacro di Biscari – Quando gli americani sbarcati in Sicilia assassinarono 80 prigionieri che si erano arresi – Un crimine di guerra spregevole quanto quelli nazisti, ma per il quale, complici i nostri politici, nessuno mai pagò!

 

«Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! »

(George Smith Patton, comandante della 7ª Armata dell’esercito degli Stati Uniti d’America impegnata nello sbarco in Sicilia nel 1943)

«Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella ove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani del R° esercito, e questi ultimi in numero circa di 34. Tutti fummo schierati per due di fronte – un sottufficiale americano, mentre altri 7 ci puntavano con il fucile per non farci muovere, col fucile mitragliatore sparò a falciare i circa 50 militari che si trovavano schierati. Il dichiarante rimasto ferito al braccio destro [rimase] per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, dato che i militari anglo americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti.»

(Dalla relazione dell’aviere Giuseppe Giannola del 4 marzo 1947 al Comando Aeronautica della Sicilia)

Con massacro di Biscari si intendono in particolare due episodi accaduti durante la seconda guerra mondiale, configurabili come crimine di guerra, nel quale truppe dell’esercito degli Stati Uniti uccisero senza giustificazione giuridica 76 prigionieri di guerra tedeschi ed italiani.

Entrambi gli episodi avvennero il 14 luglio 1943 nelle campagne di Piano Stella, vicino a Biscari, oggi Acate, località siciliana a sud di Caltagirone ed in provincia di Ragusa.

In Sicilia durante la campagna d’Italia

Il 27 giugno 1943, durante la preparazione delle truppe statunitensi in vista dell’Operazione Husky, lo Sbarco in Sicilia, il comandante della 7ª Armata USA, generale G.S.Patton tenne un rapporto agli ufficiali della 45ª Divisione di fanteria nel corso del quale diede disposizione di uccidere – senza accettare le loro eventuali offerte di resa – i militari nemici che resistessero ancora quando le fanterie statunitensi fossero giunte a 200 iarde, circa 180 metri, di distanza da essi.

Durante la conquista dell’isola, le truppe anglo-americane si resero responsabili di alcuni crimini contro la popolazione civile e contro prigionieri italiani inermi. Su queste stragi, del tutto ingiustificate sul piano militare, per anni è scesa una cortina di silenzio. In alcuni casi i colpevoli non furono neppure cercati, mentre l’unica condanna all’ergastolo che fu comminata si risolse in una detenzione di pochi mesi

C’è una parte di storia ancora tutta da scrivere, rimasta sommersa da ragioni in qualche modo intuìbili ma ancora da indagare, interpretare e comprendere. È la pagina oscura delle stragi di civili e di prigionieri compiute non solo dai soldati tedeschi in Italia dopo l’8 settembre, ma anche dai soldati americani del generale Patton durante l’occupazione della Sicilia nell’estate del 1943. In questo estremo lembo dell’Italia fascista, il 10 luglio 1943 misero piede 160 mila uomini angloamericani. Si portarono dietro 600 carri armati, 1.800 cannoni e 14 mila automezzi. La supremazia alleata era evidente, ma non sufficiente a sgominare in pochi giorni, così come previsto nei piani del maresciallo Montgomery, comandante delI’VIII armata britannica, la difesa italo-tedesca dì presidio nell’isola. Occorsero 38 giorni di dure battaglie per occupare totalmente questo piccolo lembo di terra e per raggiungere Messina, tappa finale della campagna siciliana. Senza dubbio una vittoria amara, che fece registrare agli Alleati più di 4 mila morti e 13 mila feriti.

I cinegiornali dell’epoca mostrano i boy americani che marciano sorridenti in mezzo alla gente che sventola fazzoletti, pezzi di stoffa bianca e grida «liberatori». Una folla che accoglie festosa quei ragazzi alti un metro e ottanta e che masticano chewing gum. Nell’iconografia che illustra quelle giornate di avanzata tra città e paesi dell’isola, ricorre l’immagine di parecchi siciliani che s’incamminano trionfalmente accanto ai baldanzosi militari statunitensi, mostrando sorrisi soddisfatti conditi solo raramente di sorniona acquiescenza. Quei soldati sbarcano in Sicilia portando la libertà soppiantata per anni dal regime fascista. Arrivano con in tasca la democrazia e i diritti inalienabili dell’uomo, primo fra tutti quello della vita umana.

Eppure, quei giorni sono giorni di eccidi.

E tra tanti, ricordiamo la porcheria di Biscari.

La data è il 14 luglio 1943, gli Alleati sono appena sbarcati in Sicilia.

Il 180º Reggimento della 45ª Divisione di fanteria USA si dirige, secondo gli ordini, all’aeroporto di San Pietro, vicino al paesino di Biscari.

Li, soldati italiani, insieme a pochi tedeschi, fecero una accanita resistenza.

Però, il Generale Patton, aveva fatto un discorso riguardante i soldati italiani, nel giugno dello stesso anno:

“Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!”<

Cosa successe allora?

Successe che il primo gruppo di prigionieri italiani, ed  un paio di tedeschi appena arresisi, venne disarmato, messo al muro e fucilato per ordine del capitano Compton.

Una quarantina di prigionieri circa, di cui due riuscirono a scappare.

Il secondo gruppo, altri quaranta circa, venne portato in campagna.
Li, sotto l’ordine del sergente Horace West, allineati e mitragliati.

Anzi, West li fece fuori personalmente con una mitragliatrice.

Uno dei progionieri tentò la fuga, ma venne colpito alla schiena dal caporale americano al quale il sergente West aveva ordinato a sua volta di sparare!

Bisogna dire che la procura americana aprì una inchiesta, e i due, il capitano ed il sergente vennero processati.

Curiosamente entrambi asserirono di aver agito per ordini superiori, ovvero il discorso di Patton.

Seguendo una tradizione di giustizia e di rigore tipicamente americana, il sergente West venne condannato all’ergastolo, mentre il Capitano Compton, naturalmente fu assolto.

Tranquilli, giustizia fu fatta, dato che West nel 1944 venne liberato e mandato al fronte.

In fondo aveva solo fucilato dei prigionieri di guerra, una quarantina di italiani ed un tedesco, cosa volete che sia…

Patton, interpellato, asserì che non aveva dato veramente l’ordine di uccidere i prigionieri, voleva solo incitare i suoi uomini.

Riassumiamo in una unica parola la reazione di Patton: “ooops!”.

Bisogna riconoscere che uno straccio di processo venne fatto e che un ispettore del Ministero della guerra Usa addirittura andò ad intervistare Patton.

Delle vittime non si conosce nulla. Non si conoscono i nomi né se fossero tutti militari. Si sa soltanto che furono seppelliti in una fossa comune sul luogo dell’eccidio. Probabilmente la notizia della loro morte, a guerra finita, è giunta ai parenti con l’amara motivazione di «caduto in combattimento».

Ricordiamo anche la reticenza delle istituzioni italiane nel parlare e nell’investigare su questo, ed altri avvenimenti, e che a nessuno è mai venuto in mente di processare i militari americani.

Chissà come mai.

 

By Eles

 

 

Ed ora la Grecia chiede i danni di guerra alla Germania… Mi sa che i crucchi dovranno restituire, con gli interessi, tutto quello che hanno rubato alla Grecia con la scusa dell’austerity…!

 

Grecia

 

 

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Ed ora la Grecia chiede i danni di guerra alla Germania… Mi sa che i crucchi dovranno restituire, con gli interessi, tutto quello che hanno rubato alla Grecia con la scusa dell’austerity…!

Atene chiede alla Germania un risarcimento miliardario: “È per i danni di guerra”

La richiesta di risarcimento avanzata da Tsipras a carico di Berlino ha subito ricevuto elogi da parte delle autorità polacche.

Il parlamento della Grecia ha avanzato formalmente alla Germania un’ingente richiesta di risarcimento in merito ai danni arrecati al Paese ellenico dalle truppe hitleriane.

L’assemblea legislativa di Atene ha ultimamente approvato il documento presentatole da una commissione parlamentare istituita appositamente per calcolare le riparazioni che Berlino dovrebbe pagare per l’invasione nazista del territorio greco, avvenuta durante la Seconda guerra mondiale. Tale relazione quantifica il risarcimento a carico dell’esecutivo tedesco in oltre 300 miliardi di euro.

I membri della commissione sono pervenuti a stabilire tale cifra dopo avere valutato tutti i danni causati alla Grecia dalla Wermacht: distruzione di infrastrutture, abbattimento di edifici, smantellamento di fabbriche, decimazione di manodopera. L’indennizzo addossato alle autorità tedesche da Atene viene quindi presentato dalla stessa relazione come “ragionevole e doveroso”.

Con l’approvazione parlamentare del documento redatto dalla commissione sulle responsabilità storiche della Germania, il governo Tsipras è stato autorizzato dallo stesso organo legislativo ad attivare tutti i canali diplomatici e giudiziari disponibili per costringere Berlino a corrispondere allo Stato ellenico la somma miliardaria. Il primo ministro greco ha poi giustificato con le seguenti parole le pretese finanziarie della sua nazione verso la Repubblica federale: “Questa richiesta è un nostro dovere storico e morale. Per costruire un futuro migliore dobbiamo chiudere al più presto le ferite del passato e la Germania deve fare lo stesso.”

L’esecutivo Merkel ha reagito all’iniziativa di Atene affermando di avere “già abbondantemente indennizzato” le autorità elleniche. Jörg Kukies, sottosegretario al ministero delle Finanze, ha infatti precisato che la questione delle riparazioni per i danni causati dalla Wermacht è stata già risolta da Germania e Grecia nel 1960.

In quell’anno, Berlino, spiega Kukies, versò al Paese di Tsipras un risarcimento di 50,8 milioni di dollari, al fine di chiudere in maniera definitiva la controversia relativa ai danni di guerra arrecati dalle truppe hitleriane. Le istituzioni elleniche di allora, a detta del sottosegretario, avrebbero giudicato la somma in questione come “più che adeguata”. Dopo avere rispolverato l’accordo siglato dalle due nazioni nel 1960, l’esecutivo Merkel ha quindi, sempre per bocca di tale alto funzionario, bollato come una “mera provocazione” la richiesta di oltre 300 miliardi di euro avanzata recentemente dal leader di Syriza.

L’iniziativa di Tsipras, etichettata dai media internazionali come una “ripicca” per le misure di austerità ai danni della Grecia promosse finora da Berlino, ha però subito ricevuto elogi da parte delle istituzioni di Varsavia. Arkadiusz Mularczyk, presidente della commissione parlamentare polacca sulle riparazioni di guerra, ha infatti definito la mossa di Atene come un “atto di estremo coraggio” e ha poi assicurato che a breve anche il suo Paese presenterà ufficialmente alla Germania un’ingente pretesa di risarcimento per le devastazioni subite dalla Polonia durante l’occupazione nazista.