No, a infettare Bolsonaro non è stato il karma, ma solo l’idiozia sovranista…

 

 

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No, a infettare Bolsonaro non è stato il karma, ma solo l’idiozia sovranista…

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro è risultato positivo al COVID-19. Negli ultimi mesi ha minimizzato il problema, denigrato coloro che si opponevano alle sue tesi antiscientifiche, ha continuato a presenziare senza mascherina a raduni stringendo mani di più sostenitori possibile, ha spinto diversi ministri del suo governo a dimettersi esasperati per il suo modo di gestire la crisi, e il 7 luglio è caduto vittima della suo stesso negazionismo scientifico. Adesso i commenti da tutto il mondo ruotano intorno alla parola karma, che è stata già scritta e pronunciata al tempo del ricovero in terapia intensiva del primo ministro britannico Boris Johnson. Non si tratta però di destino, di nemesi o di chissà quale disegno celeste: è semplicemente ottusità. Parola che, come è stato dimostrato anche durante questa pandemia, è sempre più sinonimo di sovranismo.

A fine marzo, quando già diversi Stati contavano centinaia di morti al giorno, Bolsonaro commentava gli sviluppi sul Coronavirus continuando a definirlo “un raffreddore, un’influenzetta”, dichiarazioni penosamente simili a quelle del suo omologo statunitense. All’epoca in Brasile i casi erano pochi, mentre l’Europa si trovava nel punto più critico della pandemia. Il team del sovranismo era completato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán che assumeva su mandato del Parlamento i pieni poteri sospendendo la democrazia nel Paese, da Boris Johnson che indicava l’immunità di gregge come soluzione al virus invitando i suoi concittadini ad abituarsi a “perdere i propri cari”, e da Matteo Salvini che decideva di richiedere l’apertura o la chiusura dell’Italia con alternanza settimanale. Come previsto, l’oceano non ha fermato il virus, e oggi gli Stati Uniti e il Brasile sono i due Stati nel mondo dove ha causato più vittime

Quando in Italia i camion militari trasportavano le bare fuori da Bergamo, Bolsonaro continuava a minimizzare dichiarando che “L’Italia è un Paese pieno di vecchietti, in ogni palazzo ce ne sono almeno una coppia, per questo ci sono tanti morti”. Più che una mancanza di rispetto un attestato di futura idiozia, considerando che oggi la cronaca brasiliana è un susseguirsi di fosse comuni con cadaveri senza nome e índios lasciati morire in Amazzonia, dove il tasso di mortalità è superiore del 150% rispetto alla media brasiliana. Con l’arrivo del virus nel suo Paese, il presidente si è ancora più arroccato sulle sue tesi, mettendo in pericolo milioni di persone e scontrandosi contro i governatori dei singoli Stati brasiliani che in autonomia decidevano di imporre misure di lockdown (come previsto dalla legge e confermato dalla Corte suprema). È arrivato persino ad attaccare l’Oms accusandola di aver realizzato un piano per far fallire l’economia del Brasile.

“Mi dispiace per le vittime di Covid, ma moriremo tutti”, è la frase che Bolsonaro ha pronunciato il 3 giugno, con il Brasile in piena emergenza sanitaria. Schiavo del suo personaggio, il sovranista brasiliano non ha mai smesso di emulare Trump fino a diventarne una parodia ancora più grossolana. Come per il tycoon statunitense, la colpa dei suoi errori essere sempre degli altri, di qualche entità astratta che ha dato vita a cospirazioni contro il presidente. La sindrome dell’accerchiamento si è palesata quando Bolsonaro ha iniziato a non fidarsi nemmeno dei suoi collaboratori. Ad aprile è entrato in rotta di collisione con il suo ministro della Sanità, Luiz Henrique Mandetta, che ha rassegnato le dimissioni in aperto contrasto con le politiche del presidente. Il sostituto, Nelson Teich, si è dimesso meno di un mese dopo con le stesse motivazioni: era impossibile lavorare con un personaggio che al posto di focalizzarsi sulla sicurezza dei suoi cittadini è il primo a violare le norme di isolamento sociale e a comportarsi in modo irresponsabile. Più volte Bolsonaro è stato visto in mezzo alla folla, in piena epidemia, a scattare selfie senza mascherina. Questo ci porta a un macrotema ancora più inquietante: il pericolo non è soltanto Bolsonaro, ma tutti i Bolsonaro in giro per il mondo.

A Boris Johnson è servita la terapia intensiva per capire quanto le sue teorie fossero deleterie, con il Regno Unito che è balzato in cima alle classifiche di contagi e decessi in Europa, scavalcando nazioni come Spagna e Italia che per settimane sono state considerate i grandi malati del continente. Il problema è proprio la presunzione di chi non ha preso esempio da quello che avveniva nel mondo, coloro che avevano il vantaggio di avere più tempo a disposizione per prepararsi e che invece sono stati travolti proprio a causa di un’ignoranza di fondo mista a supponenza.

Bolsonaro non si è ammalato per il Covid a causa di una sfortunata coincidenza, ma perché da mesi non rispetta le regole elementari che ormai conosciamo a memoria. Il 4 luglio ha festeggiato la giornata dell’Indipendenza con l’ambasciatore statunitense in Brasile Todd Chapman e un gruppo di ministri, collaboratori e ospiti vari. Tutti abbracciati, stretti nella vicinanza della presunzione. Il giorno dopo Bolsonaro ha avvertito i primi sintomi – febbre alta, dolori alle ossa e ai muscoli – e subito ha fatto una radiografia ai polmoni e il tampone, risultato positivo la mattina dopo. Non si sa quando e dove abbia preso il virus, ma con i suoi bagni di folla ha messo a repentaglio la salute di centinaia di persone. Per non smentire la sua aura da uomo-tutto-d’un-pezzo, ha deciso di assumere idrossiclorochina e azitromicina, due farmaci dall’efficacia mai dimostrata per contrastare il COVID-19 e sconsigliati dall’Oms a causa delle loro controindicazioni. Lo stesso giorno Trump ha abbandonato ufficialmente l’Oms con una lettera, comunicando la sua intenzione di lasciare l’istituzione a partire dal luglio 2021.

L’augurio è che Bolsonaro possa riprendersi e accorgersi finalmente delle condizioni in cui versa il suo Paese, con oltre un milione e 600mila contagi e più di 66mila vittime; potrebbe capire che questi numeri sono al ribasso, perché nelle zone più emarginate non vengono fatti i tamponi né conteggiati i morti. Soprattutto, potrebbe rendersi conto che il COVID-19 non è “un’influenzetta”, e che se vieni contagiato non è per un complotto dell’Oms. C’è però la concreta possibilità che la sua guarigione non porti a nulla, se non a un rafforzamento del suo personaggio da telenovela: l’eroe che ha sconfitto il mostro e infonde coraggio alla nazione. Conoscendo il soggetto, è molto probabile.

Ciò che resta è l’ennesima débâcle del sovranismo, la prova che la demagogia può portare consensi ma non competenza. I principali leader dell’estrema destra hanno intortato i loro elettori seguendo i binari del pressapochismo per raggiungere una popolarità immediata, destinata ad affievolirsi quando sono necessarie le azioni, le competenze e tutti quegli strumenti fuori dall’orbita dei complotti e della gara a chi odia di più. Bolsonaro attecchisce su un popolo affamato, ma poi non lo sfama; Salvini o Trump riescono a incanalare la rabbia, ma poi se ne nutrono ingigantendola all’inverosimile, senza offrire alcuna soluzione per eliminarla, sempre che abbiano davvero intenzione di intervenire sul loro unico serbatoio elettorale. Hanno fallito perché invece dei loro nemici immaginari, ne hanno dovuto fronteggiare uno reale, il Coronavirus: non più una minaccia inventata a tavolino, ma un problema fin troppo concreto. E ne sono usciti sconfitti, sacrificando al loro ego migliaia di vite di loro concittadini.

 

 

fonte: https://thevision.com/coronavirus/bolsonaro-positivo-coronavirus/

L’omicidio di Marielle Franco, il “caso Matteotti” Brasiliano che leva il sonno al fascista Bolsonaro

Marielle Franco

 

 

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L’omicidio di Marielle Franco, il “caso Matteotti” Brasiliano che leva il sonno al fascista Bolsonaro

L’arresto di Fabrício Queiroz a Rio de Janiero è un brutto colpo per Jair Bolsonaro. Perché è un nuovo tassello del complesso puzzle che punta a ricostruire l’assassinio di Marielle Franco, la parlamentare dell’Assemblea legislativa e attivista sociale, raggiunta da decine di colpi di mitraglietta assieme al suo autista Anderson Gomes la sera del 14 marzo 2018 nel centro della capitale carioca. Ex agente della Polizia Militare, Queiroz ha lavorato a lungo con il figlio maggiore del presidente, Flávio Bolsonaro quando era deputato anche lui al Parlamento dello Stato di Rio, come Marielle, tra il 2007 e il 2018. Era il suo braccio destro e guidava l’ufficio che coordinava l’attività politica di quello che sarebbe stato eletto senatore al Congresso con il più alto numero di voti nella storia della Repubblica brasiliana.

Il nome di Queiroz spunta in una delle quattro indagini avviate dalla magistratura a carico dei tre figli più grandi del presidente. Una storia legata alla distrazione di fondi pubblici, pratica nota come rachadinha molto diffusa nel mondo parlamentare: ci si appropria di metà dello stipendio dei propri collaboratori facendolo figurare come intero. Era un’abitudine anche nell’ufficio di Flávio e la cosa non è sfuggita al Coaf, l’ente statale addetto al Controllo delle Attività Finanziarie. Alla fine del 2018 l’ufficio di Queiroz mostrava strani movimenti nei suoi conti: 1,2 milioni di reais, circa 225mila dollari transitati nel corso di un anno, una cifra che le autorità consideravano incompatibili con il suo salario e la sua attività. Si scava più a fondo e si scopre che sono stati investiti in una serie di negozi, intestati a nomi di comodo ma riconducibili al neoeletto senatore.

La cosa fa scalpore anche perché l’intera la campagna di Jair Bolsonaro e dei suoi figli, tutti eletti tra Parlamento federale e dello Stato di Rio, era stata incentrata nella lotta alla corruzione. Uno dei versamenti sospetti era un bonifico per la first lady, Michelle, e ammontava a 24mila reais, 4.500 dollari. Jair Bolsonaro si affrettò a precisare che si trattava di un prestito dato alla moglie che aveva poi restituito.

La scusa regge alle verifiche ma era chiaro che del denaro pubblico era stato usato a fini personali e che la gran parte di questo era finito in altri rivoli che si perdevano in investimenti rimasti nell’ombra. Le reazioni del clan Bolsonaro sono decise e dirette. Tutti parlano di attacchi pretestuosi e di manovre che puntano a colpire il presidente eletto a furor di popolo. Le indagini proseguono tra molti contrasti. Più volte ostacolate ma poi riprese su sollecitazione del potere giudiziario che rivendica la sua autonomia decisionale considerata un’interferenza da Bolsonaro.

Le dimissioni dell’ex giudice Sergio Moro da ministro della Giustizia nascono proprio da questo contrasto. Il presidente voleva essere informato in tempo reale sullo sviluppo dell’inchiesta. La pista del denaro apre scatole che ne nascondono altre e raggiunge quella di un ex capitano della polizia pluridecorato diventato un incallito criminale. Si chiamava Adriano Magalhãnes da Nóbrega, 43 anni, finito in carcere nel 2006, di nuovo uscito e poi interrogato, nel 2018, proprio in merito all’assassinio di Marielle Franco. L’uomo era noto per far parte dell’Ufficio del crimine, una vera agenzia di Rio a cui vengono appaltati gli omicidi su commissione.

Magalhãnes nega qualsiasi coinvolgimento ma vista l’aria pesante prende il largo e sparisce. Verrà rintracciato nel febbraio scorso grazie a una soffiata che indica dove si nasconde: una casa di un amico di Flavio Bolsonaro, in quel momento disabitata. Circondato dalla polizia non fa in tempo ad arrendersi ed è falciato da una raffica di proiettili. Molti pensarono all’eliminazione di un testimone che sapeva troppe cose. Il suo corpo non fu nemmeno sottoposto ad autopsia. Spariti i suoi cellulari come altri documenti compromettenti. Pulizia totale.

Restavano quelle tracce sui soldi che Queiroz dirottava verso altri investimenti e che la polizia riteneva finissero nelle mani dell’ex poliziotto diventato tra i più pericolosi criminali della città. Si scopre che Adriano Magalhãnes guidava una milizia paramilitare, tra le tante attive nei sobborghi, che aveva investito i suoi cospicui incassi fatti di tangenti, pizzi ed estorsioni, nell’edilizia. In particolare realizzando speculazioni immobiliari a Pedras Negras, una favela sorta alle spalle di Barra da Tijuca, quartiere benestante a ovest di Rio dove sorge la casa di Jair Bolsonaro. Uno di questi edifici del tutto nuovo era crollato due anni fa, seppellendo sotto le macerie 24 persone. Magalhãnes era amico di Flávio che lo aveva premiato, dopo essere uscito dalla polizia, con un raro encomio pubblico che il senatore rivendicò anche dopo il suo assassinio.

Non sapeva, in quel momento, che il criminale era stato collegato ad altri due ex militari, della Polizia e dell’Esercito, arrestati perché ritenuti il killer di Marielle Franco e l’autista del commando. Facevano tutti e tre parte dell’“Ufficio del crimine”. Uno abitava nello stesso comprensorio della famiglia Bolsonaro. Nell’aprile scorso The Intercept Brasil, il sito investigativo del premio Pulitzer Glenn Greenwald, dimostrò documenti alla mano quello che la Polizia Federale non riusciva a provare: Flávio Bolsonaro pagava i suoi impiegati (due erano la madre e la moglie del sicario di Marielle in carcere) con i fondi del suo ufficio al Parlamento di Rio, il 40 per cento veniva sottratto da Fabrício Queiroz che ne passava una parte a Adriano Magalhãnes da Nóbrega. Se l’ex braccio destro e poi autista del figlio maggiore del presidente deciderà di rispondere alle accuse di riciclaggio, il filo nero che porta all’omicidio di Mirelle potrebbe unire mandanti e esecutori.

Daniele Mastrogiacomo per Repubblica

tratto da: https://raiawadunia.com/brasile-lomicidio-di-marielle-franco-leva-il-sonno-alla-famiglia-bolsonaro/

In Brasile, ogni minuto 25 malati in più di Covid, la catastrofe firmata Bolsonaro. Ed a noi non resta che ringraziare il cielo di non aver avuto, in questi momenti, gente come Salvini al governo!

 

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In Brasile, ogni minuto 25 malati in più di Covid, la catastrofe firmata Bolsonaro. Ed a noi non resta che ringraziare il cielo di non aver avuto, in questi momenti, gente come Salvini al governo!

Ogni minuto di ieri, ci sono stati venticinque malati di Covid in più, per un totale di 37.278. Il record assoluto da quando è cominciata la pandemia in Brasile, il 25 febbraio. Nelle ultime 24 ore, inoltre, le vittime sono state 1.388, per un totale di oltre 45mila. Sono questi gli ultimi dati del consorzio di ricerca indipendente creato dai principali media nazionali. Cifre un po’ superiori rispetto al bollettino del ministero della Salute che parla di 34.918 casi e 1.282 decessi. In ogni caso, di questo passo, entro la fine della settimana il Paese supererà il milione di contagi. E il ritmo non accenna a rallentare. Anzi, al contrario, sembra condannato ad incrementarsi ulteriormente secondo gli esperti poiché al picco sembrano mancare ancora diverse settimane. Il Gigante del sud è in ginocchio a causa del coronavirus. Eppure, su impulso del presidente Jair Bolsonaro, uno dopo l’altro, gli Stati cominciano a uscire dal lockdown, incluso Rio de Janeiro, quello con il tasso di letalità più elevato: il 10 per cento, quasi il doppio rispetto alla media nazionale, con quasi 8mila morti confermati e altri 1.163 sospetti. Da due giorni, anche nella regione carioca hanno riaperto i battenti i centri commerciali, ristoranti, bar e centri sportivi. Con buona pace dei medici che denunciano il collasso del sistema sanitario. Altro punto critico sono l’Amazzonia che sfiora ormai i 200mila casi, con più di 8.300 vittime, in base ai dati della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). Di questi, 249 sono indigeni: ben 75 dei 305 popoli nativi sono stati colpiti dall’infezione. E i numeri sono ovviamente sottostimati data la scarsità di test. Il Consiglio indigenista missionario – organismo della Conferenza episcopale brasiliana – ha denunciato con preoccupazione l’incremento del contagio nei villaggi indios del sud-est del Pará, dove i malati sono centinaia e centinaia. A preoccupare, in particolare, i popoli Suruí Aikewara, Assurini e Xikrin, non lontane dalla ferrovia del Carajás dell’azienda Vale, nel cui stabilimento, nel municipio di Parauapebas, c’è stata un’esplosione del virus. I Suruí devono, al contempo, affrontare un’emergenza alimentare, poiché l’epidemia ha impedito loro di svolgere i normali lavori, soprattutto la preparazione della farina di manioca, da cui traggono il sostentamento. «Ora dipendono dai rifornimenti di cibo, ma questi arrivano con il contagocce», ha affermato suor Zélia Maria Batista, delle religiose catechiste francescane. Il Covid, inoltre, ha raggiunto anche la remota frontiera del Pará con il Suriname, dove vivono due popoli in isolamento volontario. Secondo fonti locali, il focolaio sarebbe stata la base militare aerea del villaggio di Missão Tiriyó.

Lucia Capuzzi per AVVENIRE 

Tutti a criticare il governo Conte, ma mentre in Italia i dati sull’epidemia sono più che buoni, il resto del mondo tocca il record di contagi: 106mila in un solo giorno… Questo grazie ai Paesi a cui guardano le opposizioni come Usa, Brasile, Regno Unito e Russia… Facciamoci qualche domanda!

 

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Tutti a criticare il governo Conte, ma mentre in Italia i dati sull’epidemia sono più che buoni, il resto del mondo tocca il record di contagi: 106mila in un solo giorno… Questo grazie ai Paesi a cui guardano le opposizioni come Usa, Brasile, Regno Unito e Russia… Facciamoci qualche domanda!

Se c’è un’Italia che tira un sospiro di sollievo per i dati giornalieri sul coronavirus il 20 maggio, c’è il resto del mondo che continua ad affrontare in maniera preoccupante la sua battaglia contro il virus. L’epidemia nel mondo non accenna a fermarsi, anzi sembra essere ancora in fase espansiva. E se in Italia, il 20 maggio, si sono registrati 665 contagi (con la media di un tampone su 100 positivo, la più bassa dall’inizio della pandemia), nel mondo nelle ultime 24 ore i contagi sono stati 106mila.

Epidemia nel mondo, il 20 maggio c’è il record di contagi

Si tratta del record dall’inizio dell’emergenza. Questo dato allarmante è stato comunicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e prende in considerazione diversi fattori. Innanzitutto, la diffusione dell’epidemia negli Stati Uniti che continua a creare problemi, con il numero altissimo di contagi a fronte dei 14 milioni di tamponi effettuati, ma poi anche i decessi in Brasile, altro stato fortemente colpito da aprile in poi. Non bisogna dimenticare la Russia e quei paesi europei, come la Svezia, che hanno scelto di affrontare il coronavirus senza le regole stringenti del lockdown. E non dimentichiamo neanche il Regno Unito, vittima dei tragici ritardi dovuti alle sciagurate teorie dell’immunità di gregge di Boris Johnson, ritirate prima che venisse linciato, ma troppo tardi per non far morire decine di migliaia di persone…

Guarda caso tutti paesi i cui leader sono osannati dall’opposizione Italiana con Salvini in testa e Meloni a ruota…

«Nelle ultime 24 ore – dichiara Tedros Adhanom Ghebreyesus, a capo dell’Organizzazione mondiale della Sanità – sono stati riportati all’Oms 106.000 nuovi casi di coronavirus, il numero più alto in un giorno da quando è iniziata la pandemia. Quasi due terzi di questi sono stati registrati in solo quattro Paesi».

Epidemia nel mondo, la preoccupazione dei contagi nei Paesi in via di sviluppo

Non soltanto, però, Stati Uniti, Russia e Brasile: l’Organizzazione mondiale della Sanità ha espresso enormi preoccupazioni per il dilagare della pandemia anche nei Paesi in via di sviluppo. Gli scienziati e gli analisti dello sviluppo della pandemia nel mondo sono concordi nell’affermare che, se i livelli dell’epidemia da coronavirus si dovessero ripetere anche nel continente Africano e in altri Paesi dell’America Latina, gli effetti del contagio potrebbero essere ancor più devastanti di quello che abbiamo visto da gennaio a maggio.

 

Bolsonaro: “I veri uomini non prendono il coronavirus”… Cari amici, ricordate: questo è il fascismo!

 

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Bolsonaro: “I veri uomini non prendono il coronavirus”… Cari amici, ricordate: questo è il fascismo!

Bolsonaro: «I veri uomini non prendono il coronavirus». L’opposizione: «Il Brasile non può essere distrutto da Bolsonaro»

Roussef: «Famigerato e irresponsabile». Guimarães: «Un idiota pericoloso». Greenpeace: «No a contrapposizione tra lavoro e salvare vite umane»

Se qualcuno volesse rendersi conto di cosa vuol dire avere un neofascista, ultraliberista, sovranista, omofobo e negazionista climatico alla guida di un Paese al tempo del coronavirus, restando nell’Unione europea, basterebbe pensare a quel che è successo in Ungheria, dove Orban si è fatto dare da un Parlamento ridotto a bivacco di manipoli quei pieni poteri che il suo amico Salvini chiedeva solo un’estate fa, dopo ver tentato di chiudere il Parlamento italiano, con una manovra di palazzo maldestramente concepita al Papeete di Milano Marittima dopo un mojito di troppo. Oppure basterebbe pensare a cosa stanno facendo tre governi di destra – Grecia, Turchia e Bulgaria – con il volenteroso aiuto dei carnefici nazifascisti, ai confini dell’Asia e dell’Europa, applicando le loro ricette (che sono le stesse reclamate dai loro amici e camerati italiani) alla tragedia dimenticata dei profughi siriani e kurdi, ostaggi del nulla e dell’indifferenza nella terra di nessuno. Ma se si vuole capire come, in poco più di un anno e mezzo, l’elezione di uno dei campioni della neo-destra mondiale – festeggiata a champagne e mortaretti dal centro-destra italiota – si è trasformata in tragedia e farsa, basterebbe ascoltare quel che dice e contraddice, ormai quotidianamente e caparbiamente, il presidente neofascista del Brasile, Jair Bolsonaro, che mentre i brasiliani muoiono e si ammalano, continua a minimizzare la portata dell’emergenza e che si è definito troppo “macho” per poter essere colpito dal Coronavirus.

Nella sua ultima apparizione alla televisione brasiliana, il 24 aprile, incurante delle critiche che lo sommergono e dell’irritazione che sta montando nel suo stesso governo e tra i militari che lo sostengono, Bolsonaro ha detto: «Non credo che affronteremo la stessa situazione degli Stati Uniti. I brasiliani devono essere studiati, non si ammalano. Possono saltare e tuffarsi nelle fognature e non gli succede nulla! Penso che in Brasile tanta gente sia stata contagiata, ma hanno gli anticorpi per resistere a questo virus».

Solo il giorno prima Bolsonaro, subissato dalle critiche, aveva revocato, direttamente dal suo profilo Twitter, l’articolo della Medida Provisória (MP 927) che avrebbe consentito alle aziende di sospendere il contratto di lavoro dei loro dipendenti per un massimo di quattro mesi durante lo stato di calamità pubblica. Ma, nonostante il ritiro parziale, la MP 927 resta in vigore e stabilisce che non verrà considerato un infortunio sul lavoro se chi lavora nel settore sanitario, dei trasporti e dei servizi essenziali contrarrà il coronavirus e non può provare il “nesso causale” con la funzione lavorativa svolta. Però gli operatori sanitari possono raddoppiare i loro turni, con una banca ore che dovrebbe essere compensata entro 180 giorni.

La ex presidente del Brasile Dilma Roussef ha definito «Famigerato e irresponsabile» il discorso di Bolsonaro» e ha detto che «Rivela il suo disprezzo per la scienza, la salute e la vita della popolazione. Bolsonaro fa una scommessa al buio. Scommette sul mantenimento del sostegno degli strati sociali che lo hanno eletto, e non solo della sua milizia. Pertanto, il suo discorso non include la società, solo i suoi. Per lui, non importa se i media che lo hanno sostenuto nelle elezioni non credono più in lui, né che gli esponenti del mercato non lo amino più intensamente come prima, o addirittura lo abbandonano, anche se i governatori che lo avevano sostenuto sono contro di lui».

Oggi in Brasile ci sarà un grande “panelaço”, con canti, slogan e sbattimento di pentole da finestre e balconi contro il governo, organizzato dal Frentes Brasil Popular e Povo Sem Medo che riuniscono partiti politici, movimenti sociali e sindacati, tutti uniti al grido di “ Fora Bolsonaro”. «Ci sono molte crudeltà che devono essere fermate. Dobbiamo seguire l’esempio di altri Paesi, garantire posti di lavoro e reddito. Se non lo facciamo, avremo 40 milioni di disoccupati, il caos sociale», ha avvertito il senatore Paulo Paim del Patido dos Trabalhadores (PT) e il presidente della Central Única dos Trabalhadores (CUT), Sérgio Nobre, ha detto che «La MP 927 è “opportunista” e serve solo gli interessi dei datori di lavoro. Questa MP è in linea con la lettera della Confederação Nacional da Indústria. E’ una proposta opportunistica, per smantellare la legislazione del lavoro e per le agevolazioni fiscali per gli imprenditori».

Uno degli ispiratori di Bolsonaro è Junior Durski, ex rampollo di una dinastia politica di destra, già a capo di un’impresa del legname e mineraria e ora proprietario della catena della ristorazione Madero (“melhor hambúrguer do mundo”) convinto che i politici, lo Stato democratico e le amministrazioni pubbliche siano arance marce che contaminano tutto quello che li circonda. Qualche giorno fa Durski ha detto che «In Brasile nei prossimi due anni moriranno 300, 400, 500 mila persone come conseguenza del danno economico derivato dalle restrizioni con le quali si cerca di combattere il coronavirus. Paralizzare l’economia nazionale a causa di 5.000 o 7.000 persone che moriranno per la febbre covid-19 non è realista. Gli effetti dell’isolamento sociale e la sospensione produttiva saranno peggiori dell’epidemia stessa». Sono le stesse cose che – con meno impudenza e sincerità – fino a pochi giorni o settimane fa dicevano Donald Trump, Boris Jhonson e, in Italia Salvini, la Meloni, i presidenti di centro-destra delle regioni del nord (e, con altri toni e motivazioni,il Sindaco di Milano Sala, l’unico a chiedere scusa) e è quel che in qualche modo chiedono Confindustria e Renzi.

Il problema è che il Brasile ha più di 210 milioni di abitanti e che, rispetto all’Italia, l’Europa e gli Usa ha condizioni socio-economiche e sanitarie molto peggiori: 40 milioni di disoccupati, centinaia di migliaia di persone che soffrono ancora (o di nuovo) la fame e la povertà, spesso in favelas dove domina la violenza e dove lo Stato brasiliano è assente. E ora anche l’ispiratore di Bolsonaro, Trump, si accontenterebbe che la pandemia negli Usa facesse “solo” 100.000 morti e i suoi amici e camerati Salvini e Meloni chiedono a Conte misure di confinamento ancora più restrittive e di stampare un fiume di denaro pubblico, portando ad esempio Paesi come la Svizzera che ha subito smentito il capo della Lega (ex Nord).

Secondo Greenpeace Brasil «Non dovrebbe esserci contrapposizione tra salvare posti di lavoro o salvare vite umane, sono due problemi incomparabili. Il sostegno finanziario dello stato deve prima andare alla salute e garantire che le popolazioni vulnerabili continuino a vivere, quindi a salvare l’economia e le grandi aziende. È lo Stato che deve agire per centralizzare gli sforzi e ridurre al minimo gli impatti sociali ed economici della pandemia sul popolo brasiliano, e non viceversa (…) Il nostro lavoro è orientato a garantire un ambiente equilibrato per tutti noi e le generazioni future. E in questo momento che richiede l’attenzione e la collaborazione di tutti, è in difesa della vita che prendiamo posizione».

Contro Bolsonaro si sono espressi anche Dom Walmor Oliveira de Azevedo, presidente da Conferência Nacional dos Bispos do Brasil. Felipe Santa Cruz, presidente dell’Ordem dos Advogados do Brasil, José Carlos Dias, presidente della Comissão Defesa dos Direitos Humanos Dom Paulo Evaristo Arns, Luiz Davidovich, presidente da Academia Brasileira de Ciências, Paulo Jeronimo de Sousa, dell’Associação Brasileira de Imprensa e Ildeu de Castro Moreira, presidente da Sociedade Brasileira para o Progresso da Ciência, che in una nota congiunta avvisano «la popolazione di restare a casa rispettando le raccomandazioni della scienza, degli operatori sanitari e dell’esperienza internazionale. Le strategie di isolamento sociale, fondamentali per contenere la crescita accelerata del numero di persone colpite dal coronavirus, mirano all’organizzazione dei servizi sanitari per far fronte a questa situazione, che, sebbene grave, può essere ben affrontata da un sistema sanitario organizzato e ben gestito s tutti i livelli». Poi l’affondo finale contro Bolsonaro: «La campagna di disinformazione condotta dal Presidente della Repubblica, invitando la popolazione ad andare in piazza, costituisce una grave minaccia per la salute di tutti i brasiliani. E’ tempo di affrontare questa pandemia con lucidità, responsabilità e solidarietà. Non permettiamo che ci venga derubata la speranza».

Per Gleisi Hoffmann , presidente nazionale del PT, ed Enio Verri e Rogerio Carvalho, i leader PT alla Câmara dos Deputados e al Senado Federal, quello visto in televisione non è più il presidente della Repubblica disorientato e che per giorni ha fatto dichiarazioni contraddittorie: «Il Brasile ha visto in TV un Jair Bolsonaro senza maschera, che diceva le barbarie che pensa veramente nella sua irresponsabilità criminale. Contrariamente a scienziati, autorità mediche, Organizzazione mondiale della sanità e tutti i Paesi del mondo, Bolsonaro ha attaccato le misure di isolamento adottate dalle autorità statali e municipali per combattere il coronavirus. Non è stata solo un’altra dimostrazione di ignoranza, malafede e cinismo da parte di un presidente che pensa solo a se stesso, al suo potere e alla sua famiglia. E’ stato un gesto di totale disprezzo per la vita delle persone, per gli esseri umani, per la popolazione che ha l’obbligo di proteggere di fronte alla più grave crisi sanitaria che il mondo moderno abbia mai affrontato. Un incitamento al genocidio. E’ lo stesso Bolsonaro che ha fatto una campagna contro Mais Médicos e i medici cubani, a capo di un governo che ha indebolito il SUS (Sistema Único de Saúde, ndr) e la Estratégia Saúde da Família. Bolsonaro afferma che gli altri stanno creando isteria, ma il suo governo sta approfittando della crisi per togliere ancora più diritti ai lavoratori. Parla di difendere il lavoro ma il suo primo passo è stato autorizzare il licenziamento di massa dei lavoratori. Usa la crisi per una disputa politica con governatori e sindaci che stanno facendo i passi giusti che si è rifiutato di fare. Bolsonaro è più dannoso per la salute, per il Paese e per la democrazia di qualsiasi tipo di virus».

In un durissimo articolo pubblicato su Carta Capital intitolato “Um idiota perigoso” (Un idiota pericoloso), il leader della minoranza alla Camera José Guimarães (PT) scrive che «Il discorso del 24 del presidente dell’estrema destra Jair Bolsonaro, in cui ha invitato la popolazione a uscire dall’isolamento, ha dimostrato la sua follia e la sua impreparazione per governare il Brasile. Le sue affermazioni hanno dissipato ogni dubbio sul fatto che soffra di uno squilibrio psichico che non sia pronto a esercitare il suo ruolo. Senza responsabilità ed efficienza, alienato, getta il Paese nell’incertezza in un momento drammatico della vita nazionale, con la pandemia di coronavirus». Per Guimarães, il discorso di Bolsonaro «E’ stato sconcertante per tutti i brasiliani che hanno un minimo di sanità mentale» e «Ha dimostrato che gli svizzeri hanno fatto la diagnosi giusta: è il più pericoloso idiota del pianeta (…) Contro il mondo, Bolsonaro insiste su cose sciocche per inserirsi nella galleria dei presidenti più folli ed esilaranti dell’umanità. Se si fosse limitato ai suoi social network di fanatici e robot, non avremmo problemi. Ma è una vera minaccia per il popolo brasiliano. In questo momento, il Brasile ha bisogno di ampia coesione sociale, serietà, sensibilità e sforzi comuni, in tutte le sfere del potere e nella società, per affrontare la pandemia e i suoi riflessi su un’economia mal gestita. Bolsonaro e il ministro dell’Economia Paulo Guedes disprezzano il popolo brasiliano insistendo su un modello che si è già dimostrato inutile. Ostaggio della prospettiva obsoleta della Scuola di Chicago, la coppia genocida disprezza le persone che potrebbero morire a causa della mancanza di risorse nel Sistema Único de Saúde e dell’assenza di misure di mitigazione. L’insieme di misure annunciate per affrontare l’impatto economico causato da Covid-19 è un vero inganno in un momento cruciale. E’ insufficiente e incapace di proteggere l’economia, i posti di lavoro e gli strati più vulnerabili. Il pacchetto rivela solo una visione ultraliberista meschina e arretrata. I paraocchi impediscono loro di cedere al buon senso e di seguire ciò che altri Paesi hanno fatto per affrontare la pandemia (…) Usciremo dal pantano solo con il superamento dell’attuale modello neoliberista e con l’abrogazione dell’emendamento 95, derivante dal noto PEC da Morte, approvato dal famigerato governo Temer. L’emendamento indebolisce e limita gli investimenti nelle politiche sociali, indebolendo l’intera rete di protezione sociale. Solo l’anno scorso, il SUS ha perso quasi 10 miliardi di real del suo budget».

L’opposizione brasiliana ha proposto una serie di misure per far funzionare l’economia ed evitare il caos sociale. L’opposizione alla Camera ha proposto un progetto che istituisce un reddito d’emergenza sicuro per le famiglie che beneficiano della Bolsa Família, quelle iscritte al Cadastro Único e ai lavoratori informali e a basso reddito, che dovrebbero fino a che ci saranno la pandemia e il regime di confinamento sociale. Ne potrebbero beneficiare circa 100 milioni di brasiliani. L’importo proposto è un salario minimo di 1.045 real, 5 volte quello che il governo Bolsonaro ha annunciato a sostegno dei più vulnerabili.

Un altro disegno di legge stabilisce misure temporanee in materia di lavoro, vietando il licenziamento arbitrario o la risoluzione anticipata del contratto, mentre sono in vigore le misure di isolamento sociale o di quarantena.
Ieri i leader nazionali di PT, Partido Socialista Brasileiro, Partido Comunista Brasileiro (PCB), Partido Socialismo e Liberdade, Partido Comunista do Brasil (PCdoB), ex candidati alla presidenza e alla vicepresidenza e gli ex governatori degli Stati di Maranhão, Parà e Rio grande do Sul hanno firmato il manifesto dell’Opposizione intitolato “O Brasil não pode ser destruído por Bolsonaro” e nel quale si legge che «Il Brasile e il mondo sono di fronte a un’emergenza senza precedenti nella storia moderna, la pandemia di coronavirus , a conseguenze molto gravi per la vita umana, la salute pubblica e l’attività economica. Nel nostro Paese, l’emergenza è aggravata da un presidente della Repubblica irresponsabile. Jair Bolsonaro è il maggiore ostacolo per prendere decisioni urgenti per ridurre la diffusione del contagio, salvare vite umane e garantire il reddito delle famiglie, posti di lavoro e aziende. Attacca la salute pubblica, ignorando le determinazioni tecniche e le esperienze di altri Paesi. Anche prima dell’arrivo del virus, i servizi pubblici e l’economia brasiliana erano già drammaticamente indeboliti dall’agenda neoliberista che è stata imposta al Paese. In questo momento, è necessario mobilitare, senza limiti, tutte le risorse pubbliche necessarie per salvare vite umane. Bolsonaro non è in grado di continuare a governare il Brasile e affrontare questa crisi, che mette a repentaglio la salute e l’economia. Commette crimini, dà informazioni fraudolente, bugie e incoraggia il caos, approfittando della disperazione della popolazione più vulnerabile. Abbiamo bisogno di unità e comprensione per affrontare la pandemia, non di un presidente che va contro le autorità di salute pubblica e mette la vita di tutti al di sotto dei suoi interessi politici autoritari. Basta! Bolsonaro è più che un problema politico, è diventato un problema di salute pubblica. Bolsonaro manca di grandezza. Dovrebbe dimettersi, il che sarebbe il gesto meno costoso per consentire un’uscita democratica al Paese. Deve essere urgentemente fermato e rispondere ai crimini che sta commettendo contro il nostro popolo».

Dopo questo durissimo attacco politico l’opposizione brasiliana ricorda che, a differenza del governo del presidente neofascista, chiama le forze politiche popolari e democratiche ad unirsi intorno a un piano di emergenza nazionale per attuare le seguenti azioni: «Mantenere e qualificare le misure per ridurre i contatti sociali per tutto il tempo necessario, secondo criteri scientifici; Creazione di letti ICU provvisori e importazione massiccia di test e dispositivi di protezione per professionisti e popolazione; -Implementazione urgente del reddito di base permanente per i lavoratori disoccupati e informali, secondo il progetto di legge approvato dalla Câmara dos Deputados e con uno sguardo speciale rivolto a popoli indigeni, ai quilombola e ai senzatetto, che sono i più vulnerabili; Sospensione delle bollette, delle tariffe dei servizi di base per i più poveri fino a quando durerà la crisi; Divieto di licenziamenti, con assistenza statale nel pagamento dei salari ai settori più colpiti e aiuti sotto forma di finanziamenti agevolati, a medie, piccole e microimprese; Regolazione immediata delle imposte su grandi fortune, utili e dividendi; prestito obbligatorio che deve essere pagato dalle banche private e utilizzato dal Ministero del tesoro nazionale per coprire le spese di assicurazione sanitaria e sociale, oltre alla disposizione di una revisione selettiva e attenta delle agevolazioni fiscali, quando l’economia sarà normalizzata».

Il manifesto dell’Opposizione brasiliana conclude: «Di fronte a un governo che scommette irresponsabilmente sul caos sociale, economico e politico, è dovere del Congresso Nacional legiferare in emergenza, proteggere la popolazione e il Paese dalla pandemia. È dovere dei governatori e dei sindaci occuparsi della salute pubblica, agendo in modo coordinato, come molti hanno fatto in modo encomiabile. È anche dovere del Ministério Público e del Judiciário bloccare prontamente le iniziative criminali di un esecutivo che viola le garanzie costituzionali alla vita umana. È dovere di tutti agire con responsabilità e patriottismo».

 

fonte: http://www.greenreport.it/risorse/bolsonaro-i-veri-uomini-non-prendono-il-coronavirus-lopposizione-il-brasile-non-puo-essere-distrutto-da-bolsonaro/

Brasile – Lula libero: “Non hanno imprigionato un uomo, hanno imprigionato un’idea e un’idea non muore”

 

Lula

 

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Brasile – Lula libero: “Non hanno imprigionato un uomo, hanno imprigionato un’idea e un’idea non muore”

“Cari compagni, non riesco ad esprimere cosa significhi essere qui con voi”, queste le prime parole pronunciate dall’ex presidente brasiliano Lula ai militanti del PT accorsi a salutare la sua scarcerazione dopo 580 giorni di prigionia senza alcuna prova.

“Siete il cibo della democrazia di cui avevo bisogno per resistere alla malvagità”, ha poi aggiunto promettendo che continuerà a “lottare per il popolo brasiliano”.

Nonostante il tono festoso, durante il suo discorso, l’ex presidente ha criticato il ministro della Giustizia, Sergio Moro, responsabile della sua condanna, la Polizia Federale e la Procura che, secondo lui, hanno lavorato per criminalizzare la sinistra e il PT. “Non hanno arrestato un uomo, hanno voluto uccidere un’idea”.

“Io, che durante tutta la vita ho parlato con il popolo brasiliano, non pensavo che sarei stato con uomini e donne che, per 580 giorni, sono rimasti qui (…) indipendentemente da pioggia, caldo o freddo”.

Dopo aver salutato coloro che lo hanno accompagnato, tra cui il presidente del PT, Gleisi Hoffmann, e l’ex candidato alla presidenza Fernando Haddad, i suoi avvocati, tra gli altri; l’ex capo di Stato ha affermato che “non hanno imprigionato un uomo, hanno imprigionato un’idea e un’idea non muore”.

“Non ho modo di ripagarvi e sarò eternamente grato e fedele alla vostra lotta…

Grazie mille per aver ottenuto ‘Lula Livre’ che avete urlato per 580 giorni”, ha esclamato.

“Cento minuti in carcere con Lula” – Assolutamente da leggere…!

 

 

Lula

 

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“Cento minuti in carcere con Lula”

di Ignacio Ramonet *

All’ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, imprigionato nella città di Curitiba, nel sud del paese, sono consentite solo due visite alla settimana. Un’ora. Il giovedì pomeriggio, dalle quattro alle cinque. Dobbiamo aspettare il nostro turno. E la lista di coloro che desiderano vederlo è lunga… Ma oggi, 12 settembre, è il momento di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace, e il mio.

Lula è in carcere, scontando una condanna di 12 anni e 1 mese “per corruzione passiva e riciclaggio di denaro”, ma non è stato condannato definitivamente (può ancora appellarsi) e, soprattutto, i suoi accusatori non sono stati in grado di provare la sua colpevolezza. Era tutta una farsa. Come confermano le devastanti rivelazioni di The Intercept, una rivista di ricerca online gestita da Glenn Greenwald. Lula è stato vittima della più assoluta arbitrarietà. Un complotto giudiziario totalmente manipolato, destinato a rovinare la sua popolarità e ad eliminarlo dalla vita politica. Per assassinarlo sui media. Impedendogli di presentarsi e vincere le elezioni presidenziali del 2018. Una sorta di “colpo di stato preventivo” …

Oltre ad essere giudicato in modo assolutamente arbitrario e indecente, Lula è stato costantemente linciato dai grandi gruppi mediatici dominanti – in particolare O Globo – al servizio degli interessi dei maggiori uomini d’affari, con un odio feroce e revanscista contro il miglior presidente della storia del Brasile, che ha tolto quaranta milioni di brasiliani dalla povertà e creato il programma “zero fame” … Imperdonabili… Quando suo fratello maggiore, Genival ‘Vavá’, il più amato, morì, non gli fu permesso di partecipare al funerale, nonostante fosse un diritto garantito dalla legge. E quando morì di meningite il suo pronipote Arthur, 7 anni, il più legato, gli fu permesso di andare solo per un’ora e mezza (!) alla veglia. Umiliazione, soprusi, vendette miserabili…

Prima di dirigerci verso il carcere – situato a circa sette chilometri dal centro di Curitiba – abbiamo incontrato un gruppo di persone vicine all’ex presidente perché ci spiegassero il contesto.

Roberto Baggio, leader locale del Movimiento de los Sin Tierra (MST), ci racconta come è stata organizzata la mobilitazione permanente chiamata “Veglia”. Centinaia di persone del grande movimento “Lula Livre!” si accampano permanentemente davanti all’edificio del carcere, organizzando incontri, dibattiti, conferenze, concerti…. E tre volte al giorno – alle 9:00, 14:30 e 19:00 – lanciano un urlo verso l’alto a pieni polmoni: «Buona giornata», «Buon pomeriggio», «Buona notte, signor Presidente!» … «Affinchè Lula possa sentirci, per dargli coraggio», ci dice Roberto Baggio, «e fargli arrivare la voce della gente. All’inizio, pensavamo che sarebbe durata cinque o sei giorni e che la Corte Suprema avrebbe rilasciato Lula… ma ora siamo organizzati per una Protesta Popolare Prolungata».

Carlos Luiz Rocha è uno degli avvocati di Lula. Va a trovarlo quasi ogni giorno. Ci racconta che il team legale dell’ex presidente mette in discussione l’imparzialità del giudice Sergio Moro, ora premiato da Bolsonaro con il Ministero della Giustizia, e l’imparzialità dei pubblici ministeri. «Deltan Dallagnol, il procuratore capo, me lo ha confermato di persona, mi ha detto che “nel caso di Lula, la questione legale è una pura filigrana”. Il problema è politico».

Rocha è relativamente ottimista perché, secondo lui, a partire dal prossimo 20 settembre, Lula avrà completato la parte di pena sufficiente per poter uscire agli “arresti domiciliari”. «C’è un altro elemento importante» ci dice «mentre la popolarità di Bolsonaro sta diminuendo bruscamente, i sondaggi dimostrano che la popolarità di Lula sta tornando a crescere. Attualmente, più del 53 per cento dei cittadini pensa che Lula sia innocente. La pressione sociale sta diventando sempre più intensa a nostro favore».

Siamo stati raggiunti dalla nostra amica Mônica Valente, segretaria delle relazioni internazionali del Partido de los Trabajadores (PT) e segretario generale del Foro de Sao Paulo.

Insieme a questi amici, ci mettiamo in cammino verso il luogo di prigionia di Lula. L’appuntamento con l’ex presidente è fissato alle 16:00. Ma prima andremo a salutare i gruppi di Veglia, ed è necessario prevedere le formalità di ingresso nell’edificio del carcere. Non è una prigione ordinaria, ma la sede amministrativa della polizia federale, al cui interno è stata improvvisata una stanza che funge da cella.

Entreremo per vedere Lula, solo Adolfo Pérez Esquivel ed io, accompagnati dall’avvocato Carlos L. Rocha e Mônica Valente. Anche se il personale del carcere è amichevole, sono molto severi. I telefoni ci vengono sottratti. La ricerca è elettronica e approfondita. É permesso solo portare i libri e le lettere dell’imputato, e ancora… perché Adolfo gli porta 15.000 lettere di ammiratori in una chiavetta USB ma gliela confiscano per verificarla molto attentamente… poi gliela restituiranno.

Lula è al quarto piano. Non lo vedremo in una sala visite speciale, ma nella sua stessa cella dove è rinchiuso. Saliamo con l’ascensore fino al terzo piano, e raggiungiamo l’ultimo a piedi. Alla fine di un piccolo corridoio, sulla sinistra, si trova la sua porta. C’è una guardia armata seduta di fronte a noi che ci apre la porta. In nessun modo assomiglia a una prigione – tranne che per le guardie – sembra più un ufficio amministrativo e anonimo. Il capo carceriere, Jorge Chastalo (è scritto sulla sua camicia), alto, forte, biondo, con gli occhi azzurro-verdi e gli avambracci tatuati, ci ha accompagnato qui. Un uomo gentile e costruttivo che ha, vedo, rapporti cordiali con il suo prigioniero.

La cella-camera è rettangolare, si entra da uno dei piccoli lati e ci si presenta in tutta la sua profondità. Poiché i nostri telefoni sono stati confiscati, non posso scattare foto e prendo nota mentale di tutto ciò che osservo.

Si tratta di circa sei o sette metri di lunghezza per circa tre metri e mezzo di larghezza, cioè circa 22 metri quadrati di superficie. Appena a destra, entrando, si trova il bagno, con doccia e servizi igienici; si tratta di una stanza separata. Sul retro, di fronte, due grandi finestre quadrate con barre metalliche orizzontali dipinte di bianco. Le tende da sole grigio-argento all’esterno lasciano entrare la luce naturale ma impediscono di vedere l’esterno.

Nell’angolo sinistro della cella c’è il letto singolo ricoperto da un copriletto nero e sul pavimento un piccolo tappeto. Sopra il letto, inchiodato al muro, ci sono cinque grandi fotografie a colori del nipote Arthur recentemente scomparso, e degli altri nipoti di Lula insieme ai loro genitori. Accanto, sulla destra e sotto una delle finestre, c’è un comodino in legno chiaro, stile anni ’50, con due cassetti sovrapposti, rosso quello sopra. Ai piedi del letto, un mobile in legno sostiene anche una piccola TV a schermo piatto nero da 32 pollici. A fianco, sempre contro la parete sinistra, c’è un tavolo basso con una caffettiera e quello che serve per fare il caffè. Attaccato ad essa, un altro mobile quadrato e più alto, serve da supporto per una fontana d’acqua, una bottiglia verde smeraldo come quelle che si vedono negli uffici. La marca dell’acqua è “Prata da Serra”.

Nell’altro angolo del fondo, a destra, si trova la zona palestra, con una panca rivestita di finta pelle nera per gli esercizi, elastici per il bodybuilding e un grande tapis roulant. Sul lato, tra il letto e il deambulatore, c’è un piccolo riscaldatore elettrico nero su ruote. Nella parte superiore della parete posteriore, sopra le finestre, c’è un condizionatore d’aria bianco.

Al centro della stanza, un tavolo quadrato di 1,20 metri di lato, rivestito in gomma bianca e blu, e quattro comode sedie, con braccioli, nere. Una quinta sedia o poltrona è disponibile contro la parete destra. Infine, incollato alla parete divisoria che separa la stanza dal bagno: un grande armadio a tre sezioni, in rovere chiaro e bianco, con un piccolo ripiano sul lato destro che funge da libreria.

Tutta modesta e austera, anche spartana, per un uomo che per otto anni è stato presidente di una delle prime dieci potenze del mondo… ma tutto era molto ordinato, molto pulito, molto organizzato.

Con il suo solito amore, con abbracci caldi e parole di amicizia e affetto, Lula ci accoglie con la sua voce caratteristica, rauca e potente. Indossa una camicia Adidas del Corinthians, la sua squadra di calcio paulista preferita, pantaloni Nike grigio chiaro e infradito bianche in stile Havaian. Sembra molto sano, robusto e forte: «Cammino nove chilometri al giorno», ci dice. E in ottime condizioni psicologiche: «Aspetteremo tempi migliori per essere pessimisti» dice «Non sono mai stato depresso, mai, da quando sono nato; e non lo sarò adesso».

Ci siamo seduti intorno al tavolino, lui davanti alla porta, con la schiena alle finestre, Adolfo alla sua destra, Mônica davanti, l’avvocato Rocha un po’ distante tra Adolfo e Mônica, ed io alla sua sinistra. Sul tavolo ci sono quattro tazze piene di matite e penne colorate.

Gli consegno i due libri che gli ho portato, le edizioni brasiliane di “Cento ore con Fidel” e “Hugo Chavez. La mia prima vita”. Scherza sulla sua stessa biografia che il nostro amico Fernando Morais scrive da anni: «Non so quando la finirà… Tutto è iniziato quando ho lasciato la Presidenza nel gennaio 2011. Pochi giorni dopo, sono andato ad un incontro con i cartoneros di San Paolo… Ero sotto un ponte, e lì una bambina mi ha chiesto se sapevo cosa avevo fatto per i cartoneros. Mi ha sorpreso, e le ho detto che, beh, i nostri programmi sociali, nell’istruzione, nella salute, negli alloggi, ecc. E lei mi disse: “No, quello che ci hai dato è la dignità”. Una bambina! Ne sono rimasto impressionato, ne ho discusso con Fernando. Le ho detto: “Guarda, sarebbe bello fare un libro con quello che la gente pensa di ciò che abbiamo fatto al governo, quello che pensano i funzionari, i commercianti, gli uomini d’affari, i lavoratori, i contadini, gli insegnanti? Chiedere loro, raccogliere le risposte… Fare un libro non con quello su cui posso contare nella mia presidenza, ma con quello che dicono i cittadini stessi… Quello era il progetto, ma Fernando si è gettato in un’opera titanica perché vuole essere esaustivo. Ha scritto solo del periodo 1980-2002, cioè prima che io diventassi presidente… ed è già un volume colossale! Perché in quel periodo di 22 anni sono successe tante cose… abbiamo fondato la CUT (Central Única de Trabajadores), il PT, il MST, abbiamo lanciato le campagne “Direitas ja!” a favore della Costituente… abbiamo trasformato il paese… Il PT è diventato il primo partito del Brasile. E devo chiarire che ancora oggi, in questo paese, c’è un solo partito veramente organizzato: il nostro, il PT».

Gli abbiamo chiesto del suo umore. «Oggi sono passati 522 giorni da quando sono entrato in questa prigione sabato 7 aprile 2017. Ed è stato esattamente un anno fa quando ieri ho dovuto prendere la decisione più difficile, scrivere la lettera in cui ho rinunciato a candidarmi alle elezioni presidenziali del 2018. Ero in questa cella, da solo… dubitando… perché mi sono reso conto che stavo cedendo a ciò che i miei avversari volevano, impedendomi di essere un candidato. É stato un momento difficile, uno dei più difficili… ed io ero tutto solo qui. Ho pensato: è come partorire con molto dolore e nessuno che ti tiene la mano».

Apre il libro “Cento ore con Fidel” e mi dice: «Ho incontrato Fidel nel 1985, esattamente a metà luglio del 1985… Sono stato all’Avana per la prima volta partecipando alla Conferenza sindacale dei lavoratori latinoamericani e caraibici sul debito estero. Avevo già lasciato la CUT, non ero più sindacalista, ero segretario generale a tempo pieno del PT e l’anno successivo ero candidato alle elezioni legislative. Ma in quella Conferenza non c’erano solo sindacalisti. Fidel aveva invitato anche intellettuali, professori, economisti e leader politici. Ricordo che erano già le cinque del pomeriggio, al Palacio de Congresos, presieduto da Fidel, che si stava annoiando. Poi Fidel, che non conoscevo personalmente, mi ha mandato un messaggio chiedendomi se stavo per parlare. Ho risposto di no, che non era previsto… Poi mi ha quasi dato un ordine: “Devi parlare, e sarà l’ultimo intervento, chiuderemo con te”. Ma la CUT non voleva che prendessi la parola in alcun modo, quindi non sapevo cosa fare. Verso le sette del pomeriggio, dalla presidenza del tavolo, Fidel annuncia, a sorpresa, che ho la parola… Sono stato quasi costretto a parlare, mi sono alzato, sono andato alla tribuna… e ho cominciato a parlare, senza traduzione. Ho fatto un lungo discorso e ho finito col dire: “Compagno Fidel, voglio dire agli amici qui riuniti che gli Stati Uniti stanno cercando in tutti i modi di convincerci che sono invincibili. Ma Cuba li ha sconfitti, il Vietnam li ha sconfitti, il Nicaragua li ha sconfitti e anche El Salvador li sconfiggerà! Non dobbiamo aver paura di loro”. C’è stato un forte applauso. Beh, la giornata finì e io andai nella mia casa assegnata a Laguito. Quando sono arrivato, chi mi stava aspettando nel soggiorno della casa? Fidel e Raùl! Entrambi erano lì seduti ad aspettarmi. Fidel cominciò a chiedermi dove avevo imparato a parlare così… Ho raccontato loro la mia vita… Ed è così che siamo diventati amici per sempre».

«Devo dire» aggiunge Lula «che Fidel è sempre stato molto rispettoso, non mi ha mai dato consigli irrealistici. Non mi ha mai chiesto di fare cose folli. Sempre prudente, moderato, un uomo saggio, un genio».

Lula chiede poi a Pérez Esquivel, che presiede il comitato internazionale a favore dell’assegnazione del Premio Nobel per la pace all’ex presidente brasiliano, come procede il progetto. Adolfo fornisce dettagli sul grande movimento mondiale a sostegno di questa candidatura e dice che il premio è annunciato, in generale, all’inizio di ottobre, cioè in meno di un mese…. E che secondo le sue fonti quest’anno sarà per un latinoamericano. Sembra ottimista.

Lula insiste sul fatto che il sostegno dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, presieduto da Michelle Bachelet, è decisivo. Dice che questa è la «battaglia più importante». Ma che non la vede facile. Ci racconta un aneddoto: «Qualche anno fa, quando ho lasciato la presidenza, ero già stato nominato per il Premio Nobel per la pace. Un giorno, ho incontrato la Regina Consorte di Svezia, Silvia, moglie del re Carlo XVI Gustavo. Lei è la figlia di una brasiliana, Alice Soares de Toledo, quindi abbiamo parlato in confidenza. E mi disse: “Finché sei amico di Chavez, non credo che tu possa fare molti progressi. Stai lontano da Chavez e avrai il Premio Nobel per la pace”. É così che vanno le cose».

Gli chiedo come giudica questi primi otto mesi di regime di Jair Bolsonaro. «Bolsonaro sta svendendo il paese» risponde «E sono convinto che tutto ciò che sta accadendo è pilotato da Petrobras… A causa del super giacimento off-shore Pre-Sal di petrolio, il più grande del mondo, con favolose riserve, di altissima qualità, scoperto nel 2006 nelle nostre acque territoriali. Anche se è a grande profondità – più di seimila metri – la sua ricchezza è di dimensioni tali da giustificare tutto… Posso anche dire che la riattivazione della IV Flotta, da parte di Washington, che pattuglia lungo le coste atlantiche del Sud America, è stata decisa quando è stato scoperto il deposito Pre-Sal. Ecco perché, con Argentina, Venezuela, Uruguay, Ecuador, Ecuador, Bolivia, ecc… abbiamo creato il Consiglio di Sicurezza di UNASUR: è un elemento determinante».

«Il Brasile» continua Lula «è sempre stato un paese dominato da élite che si sono volontariamente presentate agli Stati Uniti. Solo quando siamo arrivati al potere nel 2003, il Brasile ha iniziato a giocare un ruolo di primo piano… Siamo entrati nel G-20, abbiamo fondato i BRICS (con Russia, India, Cina e Sudafrica), organizzato – per la prima volta in un paese emergente – i Giochi Olimpici, la Coppa del Mondo di calcio… Non c’è mai stata così tanta integrazione regionale in America Latina! Per esempio, i nostri scambi all’interno del Mercosur erano di 15 miliardi di dollari; quando ho finito i miei due mandati erano di 50 miliardi di dollari. Anche con l’Argentina, quando sono arrivato c’erano 7 miliardi, quando ho finito 35 miliardi. Gli Stati Uniti non vogliono che noi siamo protagonisti, che abbiamo sovranità economica, finanziaria, politica, industriale e ancor meno militare. Non vogliono, ad esempio, che il Brasile firmi accordi con la Francia sui sottomarini nucleari… Avevamo fatto progressi al riguardo, con il presidente François Hollande, ma con Bolsonaro è crollato. Anche questa miserabile dichiarazione, così spaventosamente antifemminista, contro Monique, moglie del Presidente francese Emmanuel Macron, deve essere collocata in questo contesto».

Parliamo di molti dei suoi amici che hanno ancora responsabilità politiche di alto livello in vari paesi o in organizzazioni internazionali. Ci chiede di trasmettere a tutti loro il suo ricordo più affettuoso e li ringrazia per la loro solidarietà. Insiste: «Dite che sto bene, come potete vedere. Sono consapevole del perchè sono in prigione. Lo so benissimo. Non ignoro il numero di cause contro di me. Non credo che mi libereranno. Se la Corte Suprema mi giudica innocente, ci sono già altri processi in corso contro di me, così non me ne andrò mai via da qui. Non vogliono che io sia libero per non correre alcun rischio…. Questo non mi spaventa. Sono pronto ad essere paziente. E per quanto mi riguarda, sono fortunato… Cento anni fa, sarei stato impiccato, o ucciso, o smembrato… per far dimenticare ogni momento di ribellione. Sono consapevole del mio ruolo… non ho intenzione di abdicare. Conosco le mie responsabilità verso il popolo brasiliano. Sono in prigione, ma non mi lamento. Mi sento più libero di milioni di brasiliani che non mangiano, non lavorano, non hanno un alloggio… sembra che siano liberi ma sono prigionieri della loro condizione sociale, da cui non possono uscire».

«Preferirei essere qui innocente piuttosto che colpevole… A tutti coloro che credono nella mia innocenza, dico: “Non difendermi solo con fede cieca. Leggete le rivelazioni di The Intercept”. È tutto lì, discusso, testato, dimostrato. Difendetemi con argomentazioni… preparate una narrazione, una storia… Chi non elabora una narrazione, nel mondo di oggi, perde la guerra. Sono convinto che i giudici e i pubblici ministeri che hanno messo in atto la manipolazione per imprigionarmi non dormono con la tranquillità che ho io. Non hanno la coscienza pulita. Sono innocente. Ma io non mi siedo a braccia incrociate senza fare nulla. Ciò che conta è la lotta».

Curitiba, 12 settembre 2019

Ignacio Ramonet è un accademico, giornalista e scrittore spagnolo che ha vissuto Parigi per gran parte della sua vita. É stato caporedattore di Le Monde Diplomatique dal 1991 al 2008. Tra le sue opere in italiano, segnaliamo i libri “Marcos. La dignità ribelle” (Asterios Editore, 2001), “Il mondo che non vogliamo. Guerra e mercato nell’era globale” (Mondadori, 2003), “Fidel Castro, autobiografia a due voci” (Mondadori, 2007). L’intervista in spagnolo è stata pubblicata da Cubadebate.

*Fonte: Opera Mundi

tratto da:

http://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/09/22/cento-minuti-in-carcere-con-lula-0118931?fbclid=IwAR2T8a9TIGdwqwsHfAdJ4SRf3kfmQ3nzfxgIHH17IHhdJYQ321WRqQ-Dtjc

Cesare Battisti arrestato in Bolivia: aveva barba finta e non ha opposto resistenza. Possibile estradizione in Italia tra oggi e domani

 

Cesare Battisti

 

 

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Cesare Battisti arrestato in Bolivia: aveva barba finta e non ha opposto resistenza. Possibile estradizione in Italia tra oggi e domani

Condannato all’ergastolo in Italia nei confronti dell’ex terrorista era stato firmato un ordine di arresto ed era stata accolta la richiesta di estradizione dell’Italia. L’uomo, 64 anni, si è lasciato portare via senza dire una parola. Finisce così una vicenda che nel corso degli anni ha acceso, a volte, pesantemente il dibattitto politico. Il figlio di Bolsonaro, Eduardo: “La sinistra piange”

L’ipotesi di chi lo cercava da più di un mese è che avesse trovato riparto in Bolivia. Ed è a Santa Cruz, secondo quanto rivelato dal Corriere della Sera, che Cesare Battisti è stato arrestato da una squadra dell’Interpol. Condannato in contumacia all’ergastolo in Italia, per quattro omicidi risalenti alla metà degli anni Settanta, l’ex membro del gruppo Proletari Armati per il Comunismo era da tempo nel mirino delle autorità italiane. E dal 14 dicembre scorso anche da quelle brasiliane perché nei suoi confronti era stato firmato un ordine di arresto ed era stata accolta la richiesta di estradizione dell’Italia. Battisti, che stando al quotidiano di via Solferino, aveva una barba finta ma un documento brasiliano con i suoi dati. Si è lasciato portare via senza dire una parola. Finisce così una vicenda che nel corso degli anni ha acceso, a volte, pesantemente il dibattito politico. E secondo quanto riportano fonti del governo all’Ansa, potrebbe essere estradato verosimilmente domani in Italia, ma non è escluso che il rientro possa avvenire già oggi. Le autorità stanno valutando se l’estradizione debba avvenire direttamente dalla Bolivia – dove è stato catturato – o via Brasile. E anche Eduardo Bolsonaro, deputato e figlio del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, esulta via twitter per l’arresto: “Ha ucciso un poliziotto, ha ucciso un padre davanti al figlio, ha sparato e lasciato un uomo paralitico, è stato condannato a vita per 4 omicidi e ha fatto parte del gruppo terroristico di sinistra in Italia Pac (proletari armati per il comunismo). Ciao Battisti, la sinistra piange!”.

Battisti si era inizialmente rifugiato in Francia, doveva aveva vissuto dagli anni Ottanta, protetto dalla “dottrina Mitterrand”, secondo cui la Francia non avrebbe valutato “la possibilità di non estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili”. In Brasile dal 2004, Battisti fu arrestato nel 2007 e rimasto nel carcere brasiliano di Papuda, a Brasilia, fino al giugno 2011. Nel 2009 il Tribunale Supremo Federale (Stf) aveva autorizzato la sua estradizione in Italia, ma la decisione fu bloccata dal pronunciamento dell’allora presidente Luiz Inacio Lula da Silva che, alla fine del suo mandato, il 31 dicembre 2010, gli concesse lo status di rifugiato. Dopo la decisione da parte della Stf di respingere un ricorso dell’Italia, Battisti è stato scarcerato, ottenendo in agosto il permesso di residenza permanente.

Il presidente brasiliano uscente Michel Temer, che si è insediato dopo l’impeachment della presidente Dilma Rousseff, erede politica di Lula, aveva manifestato l’anno scorso l’intenzione di estradare Battisti in Italia. In questo quadro, il 4 ottobre 2017 Battisti fu fermato a Corumbà, nello stato di Mato Grosso del Sud – alla frontiera con la Bolivia – mentre cercava di attraversare il confine con dollari ed euro non dichiarati. Accusato di voler fuggire dal Brasile, è stato privato del passaporto e ha l’obbligo di residenza nello stato di San Paolo.

Il 13 ottobre 2017 una sentenza dello stesso giudice Fux aveva stabilito che la magistratura non può revocare quanto deciso da Lula, a meno di una pronuncia della prima sezione dell’Stf. Ma da allora la prima sezione non è stata investita del caso. Nel frattempo il procuratore generale brasiliano della Repubblica, Raquel Dodge, ha argomentato che la decisione di non estradare Battisti era “un atto altamente politico”. Una tesi accolta dal giudice Luxche, sottolineando la natura “strettamente politica” di quella decisione, ha quindi affermato che il nuovo presidente potrà rivederla. “È nella stessa natura degli atti prodotti nell’esercizio del potere sovrano la loro reversibilità”, aveva affermato il togato. A fine ottobre il figlio dell’allora appena eletto Jair Bolsonaro aveva dichiarato al ministro dell’Interno Salvini che sul caso Battisti stava per giungere all’Italia “un regalo”. 

In una intervista all’Ansa (“perdono” per le vittime degli attentati) nel 2011 l’ex militante dei Pac ammise le proprie “responsabilità politiche”, precisando però di escludere del tutto quelle “dirette” e alla parola pentimento rispose: “È una parola che non mi piace, è una ipocrisia, è sinonimo di delazione, è legata alla religione”. Non mancò una critica alla lotta armata. “Alla luce di oggi, illudersi che si potessero cambiare le cose in Italia così è stato un errore“, ammise, difendendo d’altro lato le sue fughe all’estero, dalla Francia, al Messico, al Brasile: altrimenti, disse, “avrei rischiato di pagare con l’ergastolo in Italia delitti che non ho mai commesso”. “Mi porto dentro l’Italia del passato, quella che ancora sognava, un paese che lottava per la giustizia”, aggiunse ricordando che era “stato trattato come il mostro da sbattere in prima pagina”.

DA: Il Fatto Quotidiano

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/13/cesare-battisti-arrestato-in-bolivia-aveva-barba-finta-e-non-ha-opposto-resistenza-possibile-estradizione-in-italia-tra-oggi-e-domani/4893631/

Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista – Sembra assurdo ma è successo…!

 

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Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista

Intervista Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn:”Sembra assurdo ma è successo”

Decine di migliaia di donne sono scese in piazza la settimana prima delle elezioni dell’ottobre 2018 in tutto il Brasile per protestare contro il candidato di estrema destra alle presidenziali, Jair Bolsonaro che poi vinse. Ma fu troppo tardi.
‘Ele nao’ (non lui) fu la scritta visibile sulle spille e sui cartelli portati dal gruppo di manifestanti in diverse città del Brasile oltre alla capitale, Brasilia. Il movimento di protesta venne creato su Facebook da un gruppo che riuscì a raccogliere 4 milioni di persone. In America Latina il movimento femminista, pensiamo anche all’Argentina che nel 2018 ha visto scendere in piazza contro l’aborto clandestino milioni di donne, è molto forte. Ma non basta. Purtoppo La Chiesa universale e la classe ricca e conservatrice riescono spesso a bloccare innumerevoli riforme progressiste di civiltà che migliorerebbero le condizioni della donna.
Bolsonaro rientra in un profilo che molti troveranno familiare: sostenitore delle armi, fervente religioso e a favore della famiglia tradizionale, anti-gay e sessista, il suo slogan è “Il Brasile sopra ogni cosa e Dio sopra tutti”. E’ il loro Trump, il nostro Salvini. Nel corso della sua non brillante carriera politica (ha visto convertiti in legge solo due dei 171 disegni di legge che ha proposto in 26 anni da parlamentare) Bolsonaro ha svelato più volte di che pasta è fatto, come quando disse a una deputata dell’opposizione “non ti stupro perché non te lo meriti”, oppure quando definì “vagabondi” gli attivisti per i diritti umani. Bolsonaro è inoltre negazionista, in quanto sostiene che la dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, tra il 1964 e il 1985 non sia mai avvenuta.
Ma chi ha votato Bolsonaro? Se ha vinto anche tante donne avranno scelto lui? Il Presidente riscuote successo grazie alla sua strategia di comunicazione infatti si muove soprattutto sui social network e fa un abbondante uso di meme e filmati per Facebook e Youtube. I giovani, specie i ricchi sui 25 anni, la fascia di popolazione che in Brasile ha maggior accesso a internet, sono sedotti sia dal modo di parlare schietto di Bolsonaro sia da una costante nostalgia della dittatura che hanno i padri di questi ragazzi che fanno parte della classe dei latifondisti. Va anche detto che il Brasile non ha mai fatto i conti con il suo passato violento. Non ha infatti mai condannato i responsabili di 21 anni di dittatura. Anzi, per molti il regime era preferibile alla situazione di odierna.
Ma Lula e Dilma sono davvero i corrotti che i media locali dipingono? In verità quello che è accaduto è stato un vero colpo di stato racconta la collega Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn: “Lula è stato condannato a 12 anni di carcere per una montatura. L’inchiesta ruotava attorno alla proprietà di un attico di 216 mq a Guaruja, una delle migliori località balneari sul litorale paulista, che secondo l’accusa è stato donato dal colosso delle costruzioni Oas all’ex presidente in cambio di importanti commesse con la compagnia petrolifera statale Petrobras. Dobbiamo però ricordare che i giudici in Brasile sono latifondisti che non tolleravano più le politiche socialiste dell’uno e dell’altra. Lula e Dilma hanno strappato dalla miseria 30 milioni di persone in Brasile e i ricchi che hanno ancora una cultura padronale della terra non hanno vissuto questo ascensore sociale in modo sereno”. Continua Martínez Pardíes: “Il Brasile è stato l’ultimo paese del continente ad abbolire la schiavitù, questo è molto significativo. Bolsonaro quindi è riuscito a vincere grazie a una vera alleanza tra “padroni” e Chiesa universale che ha convinto le classi più povere e ingnoranti a voltare le spalle al candidato di Lula, Haddad. Nonostante quelli stessi poveri dal governo precedente abbiano ottenuto tanto in termini di politiche sociali e migliori condizioni di vita”. Dunque non è stato votato dalle donne in massa come alcuni sostengono? Chiedo io. “No. Le donne in Brasile si sono mosse in modo organizzato per fermare il candidato fascista ma non è bastato perché le donne molto ricche mogli dei latifondisti e quelle povere che hanno subito il lavaggio del cervello da parte della Chiesa Universale – e sono tantissime- non ne hanno compreso il vero pericolo, può sembrare assurdo ma è successo”.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/world/2018/10/29/dalla-condanna-di-lula-alla-vittoria-di-bolsonaro-il-colpo-di-stato-di-latifondisti-e-chiesa-per-un-brasile-fascista-2032902.html

Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay” – Estremista di destra, omofobo, sessista, razzista e nostalgico della dittatura militare…

 

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Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay”

Jair Bolsonaro, neo presidente del Brasile di estrema destra e nostalgico della dittatura militare eletto oggi con oltre il 55% delle preferenze, è conosciuto in tutto il Paese per le sue posizioni omofobe, razziste e sessiste. “Preferisco avere un figlio morto che gay” ha dichiarato una volta parlando di omosessualità.

Estremista di destra omofobo e sessista, profondamente razzista nei confronti degli afro latino-americani, nostalgico della dittatura militare degli anni 70-80. E’ il profilo di Jair Bolsonaro, 63 anni, il neo-presidente nazionalista del Brasile che ha vinto le elezioni presidenziali battendo lo sfidante Fernando Haddad, sostenuto anche dall’ex presidente Lula.

Jair Messias Bolsonaro, figlio di genitori di origini italiane, è un ex militare noto per le sue posizioni di destra radicale, da mesi in testa a tutti i sondaggi dopo l’esclusione dell’ex presidente Lula dalla corsa alla guida del Brasile. Candidato dal Partito Social Liberale (Psl), è considerato un razzista con posizioni omofobe e populiste che non ha mancato di esprimere ripetutamente in questi mesi di campagna elettorale, ad esempio quando propose di usare il pugno di ferro per combattere la criminalità: “Se un poliziotto uccide 20 delinquenti non lo metto sotto inchiesta, gli do una medaglia”, ha dichiarato proponendo che siano abolite le leggi che puniscono le forze dell’ordine che commettono abusi. E ancora: “La violenza va combattuta con una violenza più forte”. Come se non bastasse, secondo Bolsonaro è giusto che lo stipendio delle donne sia più basso di quello degli uomini. E per finire l’immancabile frase omofoba: “Preferisco avere un figlio morto che gay”. Posizioni estremiste, in qualche modo sostenute dal ministro degli interni italiano Matteo Salvini, che poche settimane fa ha commentato il risultato elettorale del brasiliano: “Anche in Brasile si cambia. Sinistra sconfitta e aria nuova”.

Come Salvini anche Bolsonaro ha un grande seguito sui social network dove risulta essere il politico più amato con 8,5 milioni di sostenitori. Nato nel 1955 a Campinas, nello Stato di San Paolo, dopo essersi diplomato all’Academia Militar das Agulhas Negras ha servito per un breve periodo nelle unità di paracadutismo dell’esercito ed è sempre stato descritto come aggressivo e ambizioso. Sposato per tre volte, la sua ultima moglie  Michelle de Paula Firmo Reinaldo dopo essere stata assunta come semplice segretaria ha scalato posizioni e ruoli triplicando in pochi anni il suo stipendio, fin quando dei giudici non ne hanno stabilito il licenziamento spiegando che aveva beneficiato dei favori del marito, nel frattempo diventato un politico di successo.

fonte: https://www.fanpage.it/brasile-chi-e-bolsonaro-favorito-alla-presidenza-disse-meglio-un-figlio-morto-che-gay/p1/