L’omicidio di Marielle Franco, il “caso Matteotti” Brasiliano che leva il sonno al fascista Bolsonaro

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L’omicidio di Marielle Franco, il “caso Matteotti” Brasiliano che leva il sonno al fascista Bolsonaro

L’arresto di Fabrício Queiroz a Rio de Janiero è un brutto colpo per Jair Bolsonaro. Perché è un nuovo tassello del complesso puzzle che punta a ricostruire l’assassinio di Marielle Franco, la parlamentare dell’Assemblea legislativa e attivista sociale, raggiunta da decine di colpi di mitraglietta assieme al suo autista Anderson Gomes la sera del 14 marzo 2018 nel centro della capitale carioca. Ex agente della Polizia Militare, Queiroz ha lavorato a lungo con il figlio maggiore del presidente, Flávio Bolsonaro quando era deputato anche lui al Parlamento dello Stato di Rio, come Marielle, tra il 2007 e il 2018. Era il suo braccio destro e guidava l’ufficio che coordinava l’attività politica di quello che sarebbe stato eletto senatore al Congresso con il più alto numero di voti nella storia della Repubblica brasiliana.

Il nome di Queiroz spunta in una delle quattro indagini avviate dalla magistratura a carico dei tre figli più grandi del presidente. Una storia legata alla distrazione di fondi pubblici, pratica nota come rachadinha molto diffusa nel mondo parlamentare: ci si appropria di metà dello stipendio dei propri collaboratori facendolo figurare come intero. Era un’abitudine anche nell’ufficio di Flávio e la cosa non è sfuggita al Coaf, l’ente statale addetto al Controllo delle Attività Finanziarie. Alla fine del 2018 l’ufficio di Queiroz mostrava strani movimenti nei suoi conti: 1,2 milioni di reais, circa 225mila dollari transitati nel corso di un anno, una cifra che le autorità consideravano incompatibili con il suo salario e la sua attività. Si scava più a fondo e si scopre che sono stati investiti in una serie di negozi, intestati a nomi di comodo ma riconducibili al neoeletto senatore.

La cosa fa scalpore anche perché l’intera la campagna di Jair Bolsonaro e dei suoi figli, tutti eletti tra Parlamento federale e dello Stato di Rio, era stata incentrata nella lotta alla corruzione. Uno dei versamenti sospetti era un bonifico per la first lady, Michelle, e ammontava a 24mila reais, 4.500 dollari. Jair Bolsonaro si affrettò a precisare che si trattava di un prestito dato alla moglie che aveva poi restituito.

La scusa regge alle verifiche ma era chiaro che del denaro pubblico era stato usato a fini personali e che la gran parte di questo era finito in altri rivoli che si perdevano in investimenti rimasti nell’ombra. Le reazioni del clan Bolsonaro sono decise e dirette. Tutti parlano di attacchi pretestuosi e di manovre che puntano a colpire il presidente eletto a furor di popolo. Le indagini proseguono tra molti contrasti. Più volte ostacolate ma poi riprese su sollecitazione del potere giudiziario che rivendica la sua autonomia decisionale considerata un’interferenza da Bolsonaro.

Le dimissioni dell’ex giudice Sergio Moro da ministro della Giustizia nascono proprio da questo contrasto. Il presidente voleva essere informato in tempo reale sullo sviluppo dell’inchiesta. La pista del denaro apre scatole che ne nascondono altre e raggiunge quella di un ex capitano della polizia pluridecorato diventato un incallito criminale. Si chiamava Adriano Magalhãnes da Nóbrega, 43 anni, finito in carcere nel 2006, di nuovo uscito e poi interrogato, nel 2018, proprio in merito all’assassinio di Marielle Franco. L’uomo era noto per far parte dell’Ufficio del crimine, una vera agenzia di Rio a cui vengono appaltati gli omicidi su commissione.

Magalhãnes nega qualsiasi coinvolgimento ma vista l’aria pesante prende il largo e sparisce. Verrà rintracciato nel febbraio scorso grazie a una soffiata che indica dove si nasconde: una casa di un amico di Flavio Bolsonaro, in quel momento disabitata. Circondato dalla polizia non fa in tempo ad arrendersi ed è falciato da una raffica di proiettili. Molti pensarono all’eliminazione di un testimone che sapeva troppe cose. Il suo corpo non fu nemmeno sottoposto ad autopsia. Spariti i suoi cellulari come altri documenti compromettenti. Pulizia totale.

Restavano quelle tracce sui soldi che Queiroz dirottava verso altri investimenti e che la polizia riteneva finissero nelle mani dell’ex poliziotto diventato tra i più pericolosi criminali della città. Si scopre che Adriano Magalhãnes guidava una milizia paramilitare, tra le tante attive nei sobborghi, che aveva investito i suoi cospicui incassi fatti di tangenti, pizzi ed estorsioni, nell’edilizia. In particolare realizzando speculazioni immobiliari a Pedras Negras, una favela sorta alle spalle di Barra da Tijuca, quartiere benestante a ovest di Rio dove sorge la casa di Jair Bolsonaro. Uno di questi edifici del tutto nuovo era crollato due anni fa, seppellendo sotto le macerie 24 persone. Magalhãnes era amico di Flávio che lo aveva premiato, dopo essere uscito dalla polizia, con un raro encomio pubblico che il senatore rivendicò anche dopo il suo assassinio.

Non sapeva, in quel momento, che il criminale era stato collegato ad altri due ex militari, della Polizia e dell’Esercito, arrestati perché ritenuti il killer di Marielle Franco e l’autista del commando. Facevano tutti e tre parte dell’“Ufficio del crimine”. Uno abitava nello stesso comprensorio della famiglia Bolsonaro. Nell’aprile scorso The Intercept Brasil, il sito investigativo del premio Pulitzer Glenn Greenwald, dimostrò documenti alla mano quello che la Polizia Federale non riusciva a provare: Flávio Bolsonaro pagava i suoi impiegati (due erano la madre e la moglie del sicario di Marielle in carcere) con i fondi del suo ufficio al Parlamento di Rio, il 40 per cento veniva sottratto da Fabrício Queiroz che ne passava una parte a Adriano Magalhãnes da Nóbrega. Se l’ex braccio destro e poi autista del figlio maggiore del presidente deciderà di rispondere alle accuse di riciclaggio, il filo nero che porta all’omicidio di Mirelle potrebbe unire mandanti e esecutori.

Daniele Mastrogiacomo per Repubblica

tratto da: https://raiawadunia.com/brasile-lomicidio-di-marielle-franco-leva-il-sonno-alla-famiglia-bolsonaro/

L’impero fascista che stuprava le bambine: ecco di cosa vanno fieri i nostalgici ed i neo fascisti…!

 

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L’impero fascista che stuprava le bambine: ecco di cosa vanno fieri i nostalgici ed i neo fascisti…!

Le spose bambine non erano normali. Gli stupri legalizzati degli italiani in Africa

Non fu solo Montanelli a sposare una dodicenne abissina. Nell’Africa conquistata dagli italiani stupri legalizzati, madamato e concubinato, anche rispetto a bambine e ragazze giovanissime, erano la “prassi” con cui si rivendicava la “supremazia dell’Impero”.

Questo post di Natalino Balasso, che per una volta sveste gli abiti del comico per concentrarsi su tutt’altro tipo di argomenti, fa riaffiorare una riflessione davvero dolorosa ma, al contempo, necessaria, per comprendere appieno cosa sia la guerra nella sua complessità e totalità, intesa non solo come armi da imbracciare e nemici da abbattere, ma soprattutto come azioni di crudeltà e violenza gratuite verso quelli che, molto sinteticamente (e crudamente) sono definite “vittime collaterali”.

Su Liberation trovo un’intervista che mi fa tornare alla mente la polemica su Indro Montanelli e la sua vicenda con la sposa-bambina africana. Montanelli disse che laggiù funziona così, che lui ha fatto né più né meno che quel che facevan tutti. Ma, come sempre, creare mostri ci allontana dalla visione dell’insieme. Si tratta in realtà di una rappresentazione mentale molto più ampia, che attiene all’idea di centralismo morale del colonialismo occidentale. Un’idea, logicamente, maschilista e prevaricatrice. Lo storico Pascal Blanchard ha scritto un libro in cui sono raccolte 1200 immagini come quella che vedete qui sopra (si tyratta di soldati portoghesi in Angola). Il libro è intitolato “Sexe, race et colonies”.

A cappello dell’intervista c’è questa dicitura:
“Per lo storico Pascal Blanchard, la pornografia utilizzata dalle potenze coloniali per promuovere una zona di pensiero in cui tutto è permesso, dev’essere mostrata allo scopo di decostruire un immaginario tuttora presente.”

Una domanda dell’intervista è questa:
Perché la scelta di pubblicare 1200 immagini di corpi colonizzati, dominati, sessualizzati, erotizzati? Non è troppo?

La risposta è:
“E’ proprio l’abbondanza d’immagini che deve farci porre domande. Essa sottolinea che non si tratta di aneddotica, ma che quelle immagini fanno parte di un sistema su grande scala. Quando si pensa alla prostituzione nelle colonie, nessuno immagina a che punto questo sistema sia stato pensato, mediatizzato e organizzato dagli stessi Stati colonizzatori.
Quelli che pensano che la sessualità è stata un’avventura periferica al sistema coloniale si sbagliano. La cartografia significa molto: sugli atlanti, le terre da conquistare sono sempre rappresentate allegoricamente come donne nude per simbolizzare le americhe, l’Africa o le isole del Pacifico. La nudità fa parte del marketing della spedizione coloniale, e modella l’identità stessa delle femmine indigene.
In tempi di conquiste, a partire dalla fine del XV secolo, le immagini che circolano evocano un paradiso terrestre popolato di buoni selvaggi che offrono i propri corpi nudi. Fanno parte della scenografia naturale del luogo.

Più tardi, il paradiso terrestre si trasformerà in paradiso sessuale. Gli occidentali partiranno per le colonie col sentimento che tutto è loro permesso. Laggiù non ci sono proibizioni, tutti i dettami morali saltano: abuso, stupro, pedofilia. La maggior parte delle immagini che pubblichiamo traccia questa storia, sono state nascoste, marginalizzate o dimenticate in seguito: l’80% di ciò che c’è nel libro non si trova in nessun museo dell’immagine.”

Quel che mi viene in mente è che esiste oggi una sorta di colonizzazione turistica. Non dimentichiamo che l’Italia è da molti anni ai primissimi posti nella classifica del turismo sessuale. Si tratta di migliaia di bravi padri di famiglia che, tornati a casa, faranno discorsi moralizzanti sulla decadenza del nostro paese.

Gli stupri sono da sempre stati uno degli aspetti più feroci e tremendi di ogni conflitto, soprattutto nella fase dell’espansione imperialistica e coloniale, anche se non devono essere dimenticate le testimonianze delle donne vietnamite durante la guerra, o la figura delle comfort women usate come schiave del sesso dall’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale.

A pagare il prezzo più alto, come spesso accade, sono state le donne, non solo costrette a vedere mariti, genitori, fratelli o figli uccisi dall’esercito rivale, o a fuggire dai propri villaggi, ma brutalizzate e ridotte al rango di oggetti di piacere sessuali da parte degli invasori, che in questo modo rivendicavano il loro diritto alla conquista, equiparando le femmine locali al territorio appena guadagnato, di cui potevano disporre come meglio credevano.

E gli italiani, in questo quadro mostruoso che racconta di barbarie e violenze senza tregua, si sono dimostrati tutt’altro che “brava gente”, nonostante per lungo tempo la verità sull’atteggiamento dell’esercito durante le operazioni di conquista in Libia o in Etiopia sia stato taciuto sotto una coltre di opportuna noncuranza.

La verità, quella di oggi, venuta alla luce, parla di un’Africa italiana devastata da stragi, torture e deportazioni  di intere popolazioni in campi di concentramento, con 100.000 morti nelle operazioni di conquista e riconquista della Libia tra il 1911 e il 1932, e addirittura 400.000 in Etiopia ed Eritrea tra il 1887 e il 1941. A questo si aggiunge, come detto, il quadro delle violenze di genere, che all’epoca erano vissute come perfettamente “normali” (ricordiamo che lo stesso Montanelli definì la sua sposa dodicenne un “animaletto docile”), perfettamente riassunto in un articolo di Chiara Volpato, ordinaria di psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca.

La “porno-tropics tradition”

Almeno fino al momento della conquista dell’Etiopia, gli italiani erano in linea con quella che McClintock, in uno studio del 1995, definì la “porno-tropics tradition”, ovvero la metafora della Venere nera, che riduceva l’immagine della donna africana al rango esclusivo di “sogno” esotico ed erotico. La donna nera non aveva perciò altra identità all’infuori di quella sessuale, per cui era del tutto naturale che gli italiani venissero allettati all’idea di trasferirsi nelle colonie con la  promessa di poter coltivare un vero e proprio “harem coloniale”.

Ma, dopo la creazione dell’impero in Etiopia, il regime fascista sostituì l’immagine della Venere nera con quella, assai meno aulica, dell’essere inferiore, che doveva essere sottomesso per riaffermare la superiorità occidentale ed europea e la legittimità della colonizzazione.

Le relazioni sessuali intrecciate tra donne africane, spesso appena bambine o poco più, e colonizzatori furono definite “madamato”, termine con cui si intende una relazione temporanea, pur se non occasionale, tra un cittadino e una “suddita indigena”. Anche in questo caso, dopo la creazione dell’impero vennero predisposti dei meccanismi giuridici tesi a riaffermare il prestigio dei bianchi, tra cui il divieto alle relazioni coniugali ed extraconiugali tra “razze diverse”, al riconoscimento legittimo e all’adozione dei figli nati dalle unioni tra cittadini e suddite, e l’instaurazione di una severa segregazione razziale che ricacciò i “meticci” nella comunità di appartenenza, sciogliendo ogni istituzione precedentemente creata per la loro assistenza.

Chiaro che, in un contesto del genere, le donne africane vennero stigmatizzate tre volte: per razza, per classe, per genere. Senza contare che il divieto di relazioni “legittime” tra conquistatori e loro acuì, in molti italiani, il desiderio di possederle comunque, aumentando a dismisura gli atti di violenza nei loro confronti.

Alcune storie di violenza sulle donne africane
Sempre nell’articolo della Volpato si leggono alcuni episodi di violenza posti in essere dai conquistatori italiani nel Corno d’Africa. Nel 1891, nel processo portato avanti dalla Commissione reale d’inchiesta dopo la conquista di Asmara, teso a far luce su alcuni dei misfatti compiuti dall’esercito italiano, emerse che le cinque mogli del Kantibai Aman (morto in carcere) erano state sorteggiate, su disposizione del generale Baldissera, tra gli ufficiali italiani del presidio. Eppure, nessuno dei personaggi coinvolti fu punito, sulla base della decisione che non fosse stata violata la disciplina militare.

Una testimonianza di Alberto Pollera del 1922:

La legge indigena ammette la ricerca della paternità; anzi questo è uno dei cardini di quel diritto; la legge italiana la vieta; e basandosi su questo contrasto di diritto, molti Italiani, approfittando della ignoranza delle indigene su questo punto, ne fanno facilmente delle concubine, per abbandonarle quando ne abbiano prole.

Una lettera, inviata nel 1911 al console Piacentini, da parte di un colono che protestava per la richiesta delle ragazze bilene di cento talleri di Maria Teresa per la loro verginità; l’uomo si stupiva del fatto che

… In un paese di conquista, come l’Eritrea, non fosse permesso al dominatore bianco di impadronirsi colla violenza di queste ragazze, od almeno non fosse loro imposto un prezzo molto minore.

Testimoninaza di Tertulliano Gandolfi, operaio che ci ha lasciato le sue memorie d’Africa, del 1910:

Fra i tanti dolorosi casi osservati da me, eccone uno. Una volta vidi in pieno giorno un sottufficiale trombettiere curvo, come una bestia in calore, sopra un bimbo di circa otto anni, malaticcio, che non aveva altro che la pelle e ossa, che lo stuprava.

Testimonianza di Ladislav Sava, medico ungherese che era ad Addis Abeba al momento dell’occupazione italiana, al settimanale londinese New Times & Ethiopia News, nel 1940:

Ho assistito personalmente alla deportazione di donne etiopiche in case convertite con la forza dai militari italiani in postriboli.

Nelle interviste raccolte nel 1994 tra i reduci d’Africa uno degli intervistati ha dichiarato:

La colonia era un paradiso per gli uomini anziani che potevano avere rapporti con bambine di dodici anni.

Due sentenze emesse dal tribunale di Addis Abeba per stupro: nella prima la vittima, Desta Basià Ailù, è una bambina di appena nove anni, segregata per diversi giorni, contro la sua volontà, nell’abitazione dell’imputato, poi processato per violenza carnale, non per sequestro di persona. Ha ottenuto le attenuanti sulla base del fatto che la vittima fosse una bambina abbandonata, facile preda di chiunque.

Nella seconda parliamo di Lomi, di tredici anni, legata “per punizione”, dopo la violenza carnale. Il suo carnefice fu in prima istanza assolto, perché i giudici ritennero che a tredici anni si trattasse di un’abissina sessualmente maggiorenne. Venne condannato in appello, per non aver seguito i dettami della missione civilizzatrice della razza superiore.

fonte: https://www.robadadonne.it/180113/gli-stupri-legalizzati-degli-italiani-in-africa/2/?on=ref

Visto che molto probabilmente il nostro vicepremier Salvini avrà finito i giga, ve lo spieghiamo noi chi è la bestia che da ubriaco ha travolto un bambino a Marostica: RAZZISTA, OMOFOBO E NEMICO DELLE “ZECCHE ROSSE”

 

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Visto che molto probabilmente il nostro vicepremier Salvini avrà finito i giga, ve lo spieghiamo noi chi è la bestia che da ubriaco ha travolto un bambino a Marostica: RAZZISTA, OMOFOBO E NEMICO DELLE “ZECCHE ROSSE”

Ma cos’è? Salvini ha finito o giga? No perchè un giustiziere come lui non può tollerare un crimine del genere, avrebbe dovuto intasare i social, avrebbe dovuto twittare tutto il suo (e quello degli Italiani) rancore contro questo meschino bandito…

Che dite? Era bianco, ariano, razzista, omofobo e fascista? Ah, allora si spiega tutto…

Ve lo immaginate, invece, se fosse stato un negro o uno zingaro?

Invece il crimine lo ha commesso il suo elettore tipo, quindi ZITTO…

 

Da Globalist:

Razzista, omofobo e nemico delle ‘zecche rosse’: chi è il conducente ubriaco che ha travolto un bambino

I suoi social grondano di commenti contro gay, migranti e centri sociali, oltre che di elogi per Salvini e Meloni

Si chiama Pietro Dal Santo l’artigiano  58enne vicentino di Thiene che, da ubriaco, ha travolto un passeggino in cui si trovava un bambino di 14 mesi che, in condizioni gravissime, è stato trasferito al policlinico di Padova dove in tarda serata è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico a un gamba, anche se a preoccupare è pure un trauma cranico commotivo.

L’uomo è stato letteralmente “salvato” dalla polizia locale e dai carabinieri di Marostica, per poi essere trasferito nella caserma dell’Arma; qui tuttavia non ha collaborato con gli inquirenti e ha rifiutato di sottoporsi all’alcoltest.

A quel punto è stato accompagnato in ospedale a Bassano del Grappa, dove attraverso i prelievi del sangue è stato possibile confermare l’assunzione di alcolici, non compatibili con la possibilità di mettersi alla guida. A quel punto per lui sono scattate le manette.

La bacheca facebook dell’uomo è un assortimento delle più barbare affermazioni contro donne, gay, migranti e centri sociali: lui stesso aveva messo un annuncio di lavoro in cui tra i requisiti aveva inserito ‘non gay’, rilanciava continuamente i post della destra più estrema ed era un sostenitore social di Salvini e della Meloni.

Per questo, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana oggi scrive: “Anche oggi il ministro Salvini sui social parla di tutto e di tutti. Mi sarei aspettato un suo severo commento su quel camionista ubriaco che in Veneto ha travolto una famiglia, ha quasi ucciso un bimbo di 14 mesi, e non contento è pure scappato, anche se poi fortunatamente è stato arrestato dai carabinieri. E invece nulla. Mi ero illuso, perché questo camionista non è di colore nero, non è un profugo e quindi non merita la sua attenzione”.

“È un serenissimo veneto, molto attento alla difesa della razza – prosegue Fratoianni – campione sui social nell’insultare i migranti, i gay e quelle zecche dei centri sociali, molto attento a rilanciare post leghisti e della destra peggiore. Insomma agli occhi del pensiero leghista evidentemente un cittadino modello”, conclude.

tratto da:https://www.globalist.it/news/2019/03/09/razzista-omofobo-e-nemico-delle-zecche-rosse-chi-e-il-conducente-ubriaco-che-ha-travolto-un-bambino-2038490.html

Roma, anno Domini 2019: un fascista sputa in faccia a una donna perché pensa sia ebrea… Ma allora cosa cavolo stiamo commemorando?

 

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Roma, anno Domini 2019: un fascista sputa in faccia a una donna perché pensa sia ebrea… Ma allora cosa cavolo stiamo commemorando?

Roma, 2019: un fascista sputa in faccia a una donna perché pensa sia ebrea

La vicenda è raccontata da Alessandra Veronese, docente di storia medievale ed ebraica all’Università di Pisa: “prove di antisemitismo, che schifo”

Alessandra Veronese, professoressa di Storia medievale ed ebraica all’Università di Pisa, ha raccontato in un post su Facebook una storia sconcertante di antisemitismo, che sembra provenire direttamente dai bui anni ’40. La vicenda risale allo scorso 17 gennaio, ma solo in questi giorni ha acquisito una risonanza nazionale a causa della denuncia alla digos.
Scrive la docente su facebook: “Oggi a Roma: sono ferma davanti a Feltrinelli, aspettando una persona. Un tizio, con croce uncinata sul braccio, mi si avvicina e mi sputa in faccia. Io sono rimasta così allibita che non ho neppure reagito. Ho poi capito cha probabilmente lo ha fatto perché avevo una borsa di tela del corso di yiddish fatto a Tel Aviv. Prove di antisemitismo. Che schifo”.
Intervistata, la docente ha spiegato che ha raccontato quanto accaduto perché “volevo si sapesse, mi è sembrato un gesto grave, enorme.” Secondo i testimoni l’uomo aveva una svastica tatuata, è un fascista conosciuto nella zona non nuovo a simili aggressioni”.

tratto da: https://www.globalist.it/news/2019/01/25/roma-2019-un-fascista-sputa-in-faccia-a-una-donna-perche-pensa-sia-ebrea-2036544.html

Costei nella foto è Francesca Mambro. Lei è in libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… E voi ancora pensate a Battisti…!

 

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Costei nella foto è Francesca Mambro. Lei è in libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… E voi ancira pensate a Battisti…!

E’ di questi giorni la lamentela di Cesare Battisti sul trattamento in carcere: “poco cibo e di pessima qualità” e la perentoria risposta di Salvini: “Ti lamenti del menù nel carcere? Taci e digiuna, vigliacco”…

Giusto? Forse, ma non troppo… Ma il buon padano cuor di leone potrebbe togliere i paraocchi e guardarsi intorno. Mica c’è solo Battisti, peraltro anche in carcere.

C’è tanto più schifo in giro… Pensiamo a Francesca Mambro. In libertà nonostante sia stata condannata per 96 omicidi… Ma lei, per il padano, l’attenuante ce l’ha: è fascista!

Terrorista italiana ed esponente di spicco del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari.

Arrestata a Roma il 5 marzo 1982 e processata, é stata ritenuta colpevole di diversi reati e dell’omicidio di 96 persone. NOVANTASEI OMICIDI.

Condannata complessivamente a nove ergastoli, 84 anni e 8 mesi di reclusione. È LIBERA, la sua pena si è estinta dal 2013, dopo essere stata messa in libertà condizionale nel 2008.

Dal 1985 è sposata con il terrorista Valerio Fioravanti, suo compagno sin dagli anni settanta e da cui, nel 2001, ha avuto una figlia, Arianna.

Come Fioravanti, si è assunta la responsabilità morale di tutti i delitti dei NAR.

Fioravanti e Mambro sono stati condannati in primo grado nel 2014 a risarcire 2 miliardi, 134 milioni e 273 mila euro, da versare alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Interno.

Risarcimento che non pagheranno mai, risultando incapienti (cioè nullatenenti).

Questa é la Giustizia in ITALIA… NOVANTASEI MORTI, 2 MESI DI GALERA PER OGNI MORTO.

E non ci pare che gli “amici” fascisti abbiano fatto tanto clamore per questa criminale assassina in Libertà.

Bisognerebbe veramente vergognarsi di essere Italiani…

E qualcuno si dovrebbe vergognare ancora di più…

 

 

Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista – Sembra assurdo ma è successo…!

 

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Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista

Intervista Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn:”Sembra assurdo ma è successo”

Decine di migliaia di donne sono scese in piazza la settimana prima delle elezioni dell’ottobre 2018 in tutto il Brasile per protestare contro il candidato di estrema destra alle presidenziali, Jair Bolsonaro che poi vinse. Ma fu troppo tardi.
‘Ele nao’ (non lui) fu la scritta visibile sulle spille e sui cartelli portati dal gruppo di manifestanti in diverse città del Brasile oltre alla capitale, Brasilia. Il movimento di protesta venne creato su Facebook da un gruppo che riuscì a raccogliere 4 milioni di persone. In America Latina il movimento femminista, pensiamo anche all’Argentina che nel 2018 ha visto scendere in piazza contro l’aborto clandestino milioni di donne, è molto forte. Ma non basta. Purtoppo La Chiesa universale e la classe ricca e conservatrice riescono spesso a bloccare innumerevoli riforme progressiste di civiltà che migliorerebbero le condizioni della donna.
Bolsonaro rientra in un profilo che molti troveranno familiare: sostenitore delle armi, fervente religioso e a favore della famiglia tradizionale, anti-gay e sessista, il suo slogan è “Il Brasile sopra ogni cosa e Dio sopra tutti”. E’ il loro Trump, il nostro Salvini. Nel corso della sua non brillante carriera politica (ha visto convertiti in legge solo due dei 171 disegni di legge che ha proposto in 26 anni da parlamentare) Bolsonaro ha svelato più volte di che pasta è fatto, come quando disse a una deputata dell’opposizione “non ti stupro perché non te lo meriti”, oppure quando definì “vagabondi” gli attivisti per i diritti umani. Bolsonaro è inoltre negazionista, in quanto sostiene che la dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, tra il 1964 e il 1985 non sia mai avvenuta.
Ma chi ha votato Bolsonaro? Se ha vinto anche tante donne avranno scelto lui? Il Presidente riscuote successo grazie alla sua strategia di comunicazione infatti si muove soprattutto sui social network e fa un abbondante uso di meme e filmati per Facebook e Youtube. I giovani, specie i ricchi sui 25 anni, la fascia di popolazione che in Brasile ha maggior accesso a internet, sono sedotti sia dal modo di parlare schietto di Bolsonaro sia da una costante nostalgia della dittatura che hanno i padri di questi ragazzi che fanno parte della classe dei latifondisti. Va anche detto che il Brasile non ha mai fatto i conti con il suo passato violento. Non ha infatti mai condannato i responsabili di 21 anni di dittatura. Anzi, per molti il regime era preferibile alla situazione di odierna.
Ma Lula e Dilma sono davvero i corrotti che i media locali dipingono? In verità quello che è accaduto è stato un vero colpo di stato racconta la collega Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn: “Lula è stato condannato a 12 anni di carcere per una montatura. L’inchiesta ruotava attorno alla proprietà di un attico di 216 mq a Guaruja, una delle migliori località balneari sul litorale paulista, che secondo l’accusa è stato donato dal colosso delle costruzioni Oas all’ex presidente in cambio di importanti commesse con la compagnia petrolifera statale Petrobras. Dobbiamo però ricordare che i giudici in Brasile sono latifondisti che non tolleravano più le politiche socialiste dell’uno e dell’altra. Lula e Dilma hanno strappato dalla miseria 30 milioni di persone in Brasile e i ricchi che hanno ancora una cultura padronale della terra non hanno vissuto questo ascensore sociale in modo sereno”. Continua Martínez Pardíes: “Il Brasile è stato l’ultimo paese del continente ad abbolire la schiavitù, questo è molto significativo. Bolsonaro quindi è riuscito a vincere grazie a una vera alleanza tra “padroni” e Chiesa universale che ha convinto le classi più povere e ingnoranti a voltare le spalle al candidato di Lula, Haddad. Nonostante quelli stessi poveri dal governo precedente abbiano ottenuto tanto in termini di politiche sociali e migliori condizioni di vita”. Dunque non è stato votato dalle donne in massa come alcuni sostengono? Chiedo io. “No. Le donne in Brasile si sono mosse in modo organizzato per fermare il candidato fascista ma non è bastato perché le donne molto ricche mogli dei latifondisti e quelle povere che hanno subito il lavaggio del cervello da parte della Chiesa Universale – e sono tantissime- non ne hanno compreso il vero pericolo, può sembrare assurdo ma è successo”.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/world/2018/10/29/dalla-condanna-di-lula-alla-vittoria-di-bolsonaro-il-colpo-di-stato-di-latifondisti-e-chiesa-per-un-brasile-fascista-2032902.html

Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay” – Estremista di destra, omofobo, sessista, razzista e nostalgico della dittatura militare…

 

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Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay”

Jair Bolsonaro, neo presidente del Brasile di estrema destra e nostalgico della dittatura militare eletto oggi con oltre il 55% delle preferenze, è conosciuto in tutto il Paese per le sue posizioni omofobe, razziste e sessiste. “Preferisco avere un figlio morto che gay” ha dichiarato una volta parlando di omosessualità.

Estremista di destra omofobo e sessista, profondamente razzista nei confronti degli afro latino-americani, nostalgico della dittatura militare degli anni 70-80. E’ il profilo di Jair Bolsonaro, 63 anni, il neo-presidente nazionalista del Brasile che ha vinto le elezioni presidenziali battendo lo sfidante Fernando Haddad, sostenuto anche dall’ex presidente Lula.

Jair Messias Bolsonaro, figlio di genitori di origini italiane, è un ex militare noto per le sue posizioni di destra radicale, da mesi in testa a tutti i sondaggi dopo l’esclusione dell’ex presidente Lula dalla corsa alla guida del Brasile. Candidato dal Partito Social Liberale (Psl), è considerato un razzista con posizioni omofobe e populiste che non ha mancato di esprimere ripetutamente in questi mesi di campagna elettorale, ad esempio quando propose di usare il pugno di ferro per combattere la criminalità: “Se un poliziotto uccide 20 delinquenti non lo metto sotto inchiesta, gli do una medaglia”, ha dichiarato proponendo che siano abolite le leggi che puniscono le forze dell’ordine che commettono abusi. E ancora: “La violenza va combattuta con una violenza più forte”. Come se non bastasse, secondo Bolsonaro è giusto che lo stipendio delle donne sia più basso di quello degli uomini. E per finire l’immancabile frase omofoba: “Preferisco avere un figlio morto che gay”. Posizioni estremiste, in qualche modo sostenute dal ministro degli interni italiano Matteo Salvini, che poche settimane fa ha commentato il risultato elettorale del brasiliano: “Anche in Brasile si cambia. Sinistra sconfitta e aria nuova”.

Come Salvini anche Bolsonaro ha un grande seguito sui social network dove risulta essere il politico più amato con 8,5 milioni di sostenitori. Nato nel 1955 a Campinas, nello Stato di San Paolo, dopo essersi diplomato all’Academia Militar das Agulhas Negras ha servito per un breve periodo nelle unità di paracadutismo dell’esercito ed è sempre stato descritto come aggressivo e ambizioso. Sposato per tre volte, la sua ultima moglie  Michelle de Paula Firmo Reinaldo dopo essere stata assunta come semplice segretaria ha scalato posizioni e ruoli triplicando in pochi anni il suo stipendio, fin quando dei giudici non ne hanno stabilito il licenziamento spiegando che aveva beneficiato dei favori del marito, nel frattempo diventato un politico di successo.

fonte: https://www.fanpage.it/brasile-chi-e-bolsonaro-favorito-alla-presidenza-disse-meglio-un-figlio-morto-che-gay/p1/

Durissimo attacco di Giampaolo Pansa – “Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto”

Giampaolo Pansa

 

 

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Durissimo attacco di Giampaolo Pansa – “Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto”

 

«Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto». Parla Giampaolo Pansa

In una intervista esclusiva a L’Espresso in edicola da domenica, il giornalista e scrittore boccia il governo gialloverde «arrogante e impreparato», e spiega l’addio a La Verità
DI GOFFREDO PISTELLI
Giampaolo Pansa“Salvini è fascista”, parola di uno che, dell’antifascismo e di una certa retorica resistenziale, è stato un fustigatore: Giampaolo Pansa.

Nel numero de L’Espresso in edicola domenica, il giornalista e scrittore, intervistato da Goffredo Pistelli, spiega che ha lasciato La Verità di Maurizio Belpietro, proprio per l’endorsement del quotidiano al ministro degli Interni: «Non ci sto in un giornale che vedo in preda a una deriva salviniana pazzesca» e, ancora, riferito al direttore, aggiunge che «non si può concludere un editoriale scrivendo ‘Viva Salvini’».

Secondo Pansa, il ministro degli Interni «è muscolare, è accentratore, è fascista nei modi, nelle cose», è uno cui «si legge in volto la prepotenza» e parla di «arroganza e impreparazione, che si accoppiano con quella del M5s».

Pansa, classe 1935, uno dei decani del giornalismo italiano ancora in attività, dice la sua anche sull’inchiesta della Procura di Genova, sui milioni di finanziamento pubblico della Lega che oggi non si trovano più nelle casse del partito di Via Bellerio: «Salvini – dice il Pansa – ha fatto numeri terribili, fino a chiedere l’intervento di Sergio Mattarella. Ma andiamo! Senza dimenticare che quei soldi, sono danari del finanziamento pubblico, vengono dalle nostre tasche». «Neppure Silvio Berlusconi – prosegue Pansa – osò tanto».

Quanto al futuro politico del leader leghista, il giornalista dubita della prospettiva trentennale che lo stesso Salvini ha avanzato per sé : «Lo vedo incamminato lungo una strada che sarà disastrosa, per lui e per noi».

L’autore de Il sangue dei vinti, peraltro, non risparmia nemmeno l’omologo grillino di Salvini, definendo Luigi Di Maio «finto pauperista», aggiungendo che il vicepremier pentastellato sarebbe «istigato da Beppe Grillo, uno che pensa di estrarre a sorte i senatori, capisce?».

E su uno dei pochi atti del governo gialloverde che si deve proprio a Di Maio, il decreto ‘Dignità’, Pansa è sibillino: «Una parola che trasuda moralismo. Siamo alla morale fatta per legge».

fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/07/13/news/salvini-e-un-fascista-verso-i-giudici-nemmeno-berlusconi-oso-tanto-giampaolo-pansa-1.324798

Il fascio-leghista Luca Traini con il suo odio è riuscito a fare quello che neanche l’Isis aveva tentato: portare il terrorismo nelle nostre strade.

 

Luca Traini

 

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Il fascio-leghista Luca Traini con il suo odio è riuscito a fare quello che neanche l’Isis aveva tentato: portare il terrorismo nelle nostre strade.

Neanche l’Isis aveva portato il terrorismo nelle nostre strade. C’è riuscito questo fascio-leghista. Luca Traini, un omuncolo che sarebbe anche ridicolo, un personaggetto da satira, se non avesse commesso uno dei crimini più gravi della nostra storia.

Non per il fatto in sè, fortunatamente il bilancio delle vittime non è grave, ma per il fatto, appunto, di aver portato a casa nostra il terrorismo dell’odio.

Aver emulato i cazzoni dell’Isis.

Loro, quelli dell’Isis, con il loro “Allah Akbar” che distorcono il valore ed il significato del sacro Coramo. Questo omuncolo con il suo “saluto romano” che si maschera dietro un tricolore, distorcendone il significato…

Perchè vorrei ricordare a questo idiota che il Tricolore è il simbolo della Repubblca Italiana che, con la sua Costituzione, ripudia ogni forma di fascismo…

E permettetemi un’ultima considerazione. Chi semina odio raccoglie tempesta. La penso come Saviano. “È Salvini il mandante morale dei fatti di Macerata”. Salvini ed i fascisti come lui…

Spero (ma dubito) che anche gli organi di informazione definiscano i fatti di Macerata per quello che sono: un atto terroristico di matrice fascista.

Ogni tentativo di edulcorare o rendere neutra la notizia è connivenza.

By Eles

Roberto Saviano: “Il mandante morale dei fatti di Macerata è Matteo Salvini”

 

Roberto Saviano

 

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Roberto Saviano: “Il mandante morale dei fatti di Macerata è Matteo Salvini”

Lo scrittore: “Un pericolo mortale per la tenuta democratica”. Grasso: “Il segretario Lega causa della spirale d’odio”

“Il mandante morale dei fatti di Macerata è Matteo Salvini. Lui e le sue parole sconsiderate sono oramai un pericolo mortale per la tenuta democratica. Chi oggi, soprattutto ai massimi livelli istituzionali, non se ne rende conto, sta ipotecando il nostro futuro”. Lo scrive su Twitter Roberto Saviano commentando la sparatoria di Macerata, dove un uomo di 28 anni, legato all’estrema destra, ha ferito 6 persone di origini straniere a colpi di pistola.

“Invito gli organi di informazione a definire i fatti di Macerata per quello che sono – continua – un atto terroristico di matrice fascista. Ogni tentativo di edulcorare o rendere neutra la notizia è connivenza”.

Una linea condivisa da Pietro Grasso: “Le notizie che arrivano da Macerata mi lasciano attonito e inorridito – scrive il leader di Liberi e Uguali – Chi, come Salvini, strumentalizza fatti di cronaca e tragedie per scopi elettorali è tra i responsabili di questa spirale di odio e di violenza che dobbiamo fermare al più presto. Odio e violenza che oggi hanno rischiato di trasformarsi in una strage razziale. Il nostro paese ha già conosciuto il fascismo e le sue leggi razziali. Non possiamo più voltarci dall’altra parte, non possiamo più minimizzare”.