Durissimo attacco di Giampaolo Pansa – “Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto”

Giampaolo Pansa

 

 

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Durissimo attacco di Giampaolo Pansa – “Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto”

 

«Salvini è un fascista: verso i giudici nemmeno Berlusconi osò tanto». Parla Giampaolo Pansa

In una intervista esclusiva a L’Espresso in edicola da domenica, il giornalista e scrittore boccia il governo gialloverde «arrogante e impreparato», e spiega l’addio a La Verità
DI GOFFREDO PISTELLI
Giampaolo Pansa“Salvini è fascista”, parola di uno che, dell’antifascismo e di una certa retorica resistenziale, è stato un fustigatore: Giampaolo Pansa.

Nel numero de L’Espresso in edicola domenica, il giornalista e scrittore, intervistato da Goffredo Pistelli, spiega che ha lasciato La Verità di Maurizio Belpietro, proprio per l’endorsement del quotidiano al ministro degli Interni: «Non ci sto in un giornale che vedo in preda a una deriva salviniana pazzesca» e, ancora, riferito al direttore, aggiunge che «non si può concludere un editoriale scrivendo ‘Viva Salvini’».

Secondo Pansa, il ministro degli Interni «è muscolare, è accentratore, è fascista nei modi, nelle cose», è uno cui «si legge in volto la prepotenza» e parla di «arroganza e impreparazione, che si accoppiano con quella del M5s».

Pansa, classe 1935, uno dei decani del giornalismo italiano ancora in attività, dice la sua anche sull’inchiesta della Procura di Genova, sui milioni di finanziamento pubblico della Lega che oggi non si trovano più nelle casse del partito di Via Bellerio: «Salvini – dice il Pansa – ha fatto numeri terribili, fino a chiedere l’intervento di Sergio Mattarella. Ma andiamo! Senza dimenticare che quei soldi, sono danari del finanziamento pubblico, vengono dalle nostre tasche». «Neppure Silvio Berlusconi – prosegue Pansa – osò tanto».

Quanto al futuro politico del leader leghista, il giornalista dubita della prospettiva trentennale che lo stesso Salvini ha avanzato per sé : «Lo vedo incamminato lungo una strada che sarà disastrosa, per lui e per noi».

L’autore de Il sangue dei vinti, peraltro, non risparmia nemmeno l’omologo grillino di Salvini, definendo Luigi Di Maio «finto pauperista», aggiungendo che il vicepremier pentastellato sarebbe «istigato da Beppe Grillo, uno che pensa di estrarre a sorte i senatori, capisce?».

E su uno dei pochi atti del governo gialloverde che si deve proprio a Di Maio, il decreto ‘Dignità’, Pansa è sibillino: «Una parola che trasuda moralismo. Siamo alla morale fatta per legge».

fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/07/13/news/salvini-e-un-fascista-verso-i-giudici-nemmeno-berlusconi-oso-tanto-giampaolo-pansa-1.324798

Giampaolo Pansa: Renzi? Non è né di destra né di sinistra, è una carogna!

 

Giampaolo Pansa

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Giampaolo Pansa: Renzi? Non è né di destra né di sinistra, è una carogna!

 

Giampalo Pansa: il partito renzista sarà unico e autoritario

di Giampaolo Pansa

È un ingenuo Gianni Cuperlo, uno dei big del Partito democratico. Anche se ha passato la cinquantina, conserva la faccia del ragazzo bello e bravo che farebbe la gioia di tante madri con figlie a carico. Cuperlo è stato una giovane promessa del Pci, poi del Pds, sino ad arrivare al Pd odierno. Nel caos dei democratici, resta una delle voci ascoltate. E nella direzione del 20 ottobre, si è domandato con allarme se Matteo Renzi, partendo dalla convention della Leopolda, non stia meditando di costituire un partito parallelo a quello che oggi guida come segretario e, al tempo stesso, come premier.*

Cuperlo si sbaglia. Renzi non intende affatto dar vita a un bis del Pd. Più semplicemente, e brutalmente, vuole a prendersi tutto il partito attuale. Per trasformarlo dapprima in un partito personale e poi in un partito unico e autoritario. Con un solo uomo al comando: se stesso. E senza veri concorrenti.

Come lo chiamerà non lo sappiamo. I media hanno parlato di Partito della Nazione. Ma l’unica certezza e che sarà una costruzione diversa da tutte le altre che conosciamo, senza opposizioni, in grado di inchiodare la politica italiana a un regime personale. Dove conterà soltanto il verbo del leader.
I politici come Cuperlo dovrebbero dedicare le proprie energie intellettuali a domandarsi se Renzi abbia il carattere adatto, la tenacia giusta e la forza sufficiente per realizzare questo progetto. II Bestiario teme di si. E adesso cercherà di aiutare i Cuperlo d’Italia a scrutarlo molto da vicino. Per capire quante probabilità abbia di diventare Leader Solitario del nostro sfortunato paese.

Prima di tutto, Matteo è un soggetto impossibile da classificare. E’ di sinistra, di destra, di centro? Domande inutili. Renzi è Renzi, un Fregoli della politica, capace di tutti i travestimenti e di qualsiasi parte in commedia. Sempre più spesso, ho il sospetto che, da cattolico, sia convinto di essere un unto del Signore, destinato dal Padreterno a essere il padrone dell’Italia e guidarla verso traguardi luminosi. Per limitarmi ad altre figure della storia europea, la stessa convinzione animava Benito Mussolini, Adolf Hitler e persino Giuseppe Stalin. Anche se quest’ultimo, un marxista integrate, non credeva in Domineddio.

E’ possibile che Renzi sia convinto di aver ricevuto mandato da un’entità superiore. Ed è proprio questo che lo spinge a essere super sicuro di se spesso. Protervo. Sfrontato. Ironico. Sfottente. Persino bullo. Osservatelo alla tivù quando sta in un consesso internazionale. In maniche di camicia e la faccia da ragazzo che la sa lunga, sembra il nipote degli altri leader europei. Persino la cancelliera Angela Merkel mette da parte la sua mutria da walkiria per diventare una zia cautelosa di questo enigmatico bamboccione italico.

Perché Renzi potrebbe riuscire nell’intento di diventare il solo dominus della politica italiana? Prima di tutto perché ha il carattere del leader di animo cattivo, per non dire da carogna. Chi è obbligato a trattare con lui racconta che è vendicativo al massimo, pronto a rappresaglie anche personali. Non ha pietà per nessuno. Pensate alla fine che ha fatto a Matteo Richetti, renzista della prima ora, liquidato in un amen come competitor alla carica di presidente dell’Emilia Romagna: «Vai a fare altro». O al licenziamento di Carlo Cottarelli, il tecnico incaricato da Enrico Letta di indicare i tagli della spesa pubblica.

Politico del Duemila, Renzi sa approfittare come pochi dell’unico media vincente in quest’epoca dove il fumo conta più dell’arrosto: la televisione. Secondo Il Fatto quotidiano, nel solo mese di ottobre è stato in tivù per ben 77 ore. Ha invaso anche i programmi del suo ex avversario naturale, lo spompato Silvio Berlusconi. II suo cicì e ciciò con Barbara D’Urso su Canale 5 resterà nella storia come il primo caso di un cuculo che s’insinua nel nido di un altro pennuto. E lo devasta, con l’aria di fargli un favore.

Renzi sta già nel pieno della propria guerra lampo, il Blitzkrieg di hitleriana memoria. La velocità nell’azione è l’arma decisiva per la conquista totalitaria del potere. Qualcuno deve avergli spiegato che Benito Mussolini sconfisse le sinistre e s’impadroni dell’Italia nel giro di soli due anni, il 1921 e il 1922. Dallo squadrismo al regime passarono appena ventiquattro mesi. Poi ebbe inizio una dittatura destinata a durare un ventennio.

Chi lo affianca in questa corsa non ha dubbi né sulla tattica né sulla strategia del premier. E lavora con entusiasmo alla costruzione di un sisterna a cerchi concentrici. II punto focale è Renzi. Poi viene il primo cerchio magico, tutto di fedelissimi arrivati da Firenze. Il secondo cerchio, più largo, messo insieme alla belle meglio, zeppo di mediocri, e altrettanto pronto a seguirlo. II terzo è ancora in costruzione e lo vedremo affollato da un battaglione di signori che hanno favori da chiedere al premier e sono disposte a dare qualsiasi cosa in cambio.

Il Blitzkrieg renziano, se mai vincerà, trasformerà in peggio il sistema istituzionale italiano. Tutte le democrazie si reggono su un sistema di pesi e contrappesi indispensabili, che trovano nel Parlamento il luogo delle decisioni. Winston Churchill era solito dire: «La democrazia è un pessimo sistema di governo, ma finora non è stato inventato niente di meglio». Renzi, ormai è chiaro, disprezza il Parlamento. Preferisce parlare alla gente, ossia al popolo. Senza distinzioni di ceto, fede politica, condizione sociale.

In realtà è il primo leader populista che appaia sulla scena italiana. Al confronto, Beppe Grillo è un mister nessuno. Per trovare qualcosa di simile al Matteo di oggi bisogna risalire al primissimo dopoguerra, al Guglielmo Giannini nel momento di massima espansione del suo Uomo Qualunque. Una fiammata che si spense molto presto.

Dal momento che Giannini non aveva nessun potere, mentre Renzi ne ha persino troppi. Non credo che Partito Renzista, unico e autoritario, tramonterà presto. Siamo appena alle primissime sequenze di un film che durerà a lungo. Matteo può essere mandato al tappeto soltanto da qualche incidente pesante in Parlamento o nelle piazze. O dall’improvviso aggravarsi di una crisi economica e sociale che nessuno sarebbe in grado di contenere.

Ma se l’Italia proseguirà ad affondare lentamente in un declino senza scosse, Renzi continuerà a vincere. Per l’assenza o l’estrema fragilità degli oppositori. Il centrodestra in coma e un patetico Berlusconi sogna rimonte impossibili. Beppe Grillo rischia il tramonto. II Pd ostile a Matteo verrà risucchiato dalla Cgil che ha un nuovo leader in agguato: Maurizio Landini.

Nel caso di elezioni anticipate, il renzismo autoritario prenderà gran parte dei voti di quel cinquanta per cento di italiani impauriti dalla crisi e ancora disposti ad andare ai seggi. Affidarsi a un uomo solo è una pessima abitudine italiana. Dunque la domanda è una sola: Renzi avrà un’opposizione degna di questo nome? Bisogna sperare di sì. Contrastare un sistema che rischia di diventare oppressivo è una necessità democratica.

Quanti se ne rendono conto nel ceto politico, imprenditoriale, burocratico e nei media? Non ho risposte. Se è vero che il futuro è solo I’inizio, come strilla lo slogan della Leopolda, dobbiamo toccare ferro. E sperare in un soprassalto di orgoglio in quel che resta dell’Italia repubblicana.

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