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L’omicidio di Marielle Franco, il “caso Matteotti” Brasiliano che leva il sonno al fascista Bolsonaro
L’arresto di Fabrício Queiroz a Rio de Janiero è un brutto colpo per Jair Bolsonaro. Perché è un nuovo tassello del complesso puzzle che punta a ricostruire l’assassinio di Marielle Franco, la parlamentare dell’Assemblea legislativa e attivista sociale, raggiunta da decine di colpi di mitraglietta assieme al suo autista Anderson Gomes la sera del 14 marzo 2018 nel centro della capitale carioca. Ex agente della Polizia Militare, Queiroz ha lavorato a lungo con il figlio maggiore del presidente, Flávio Bolsonaro quando era deputato anche lui al Parlamento dello Stato di Rio, come Marielle, tra il 2007 e il 2018. Era il suo braccio destro e guidava l’ufficio che coordinava l’attività politica di quello che sarebbe stato eletto senatore al Congresso con il più alto numero di voti nella storia della Repubblica brasiliana.
Il nome di Queiroz spunta in una delle quattro indagini avviate dalla magistratura a carico dei tre figli più grandi del presidente. Una storia legata alla distrazione di fondi pubblici, pratica nota come rachadinha molto diffusa nel mondo parlamentare: ci si appropria di metà dello stipendio dei propri collaboratori facendolo figurare come intero. Era un’abitudine anche nell’ufficio di Flávio e la cosa non è sfuggita al Coaf, l’ente statale addetto al Controllo delle Attività Finanziarie. Alla fine del 2018 l’ufficio di Queiroz mostrava strani movimenti nei suoi conti: 1,2 milioni di reais, circa 225mila dollari transitati nel corso di un anno, una cifra che le autorità consideravano incompatibili con il suo salario e la sua attività. Si scava più a fondo e si scopre che sono stati investiti in una serie di negozi, intestati a nomi di comodo ma riconducibili al neoeletto senatore.
La cosa fa scalpore anche perché l’intera la campagna di Jair Bolsonaro e dei suoi figli, tutti eletti tra Parlamento federale e dello Stato di Rio, era stata incentrata nella lotta alla corruzione. Uno dei versamenti sospetti era un bonifico per la first lady, Michelle, e ammontava a 24mila reais, 4.500 dollari. Jair Bolsonaro si affrettò a precisare che si trattava di un prestito dato alla moglie che aveva poi restituito.
La scusa regge alle verifiche ma era chiaro che del denaro pubblico era stato usato a fini personali e che la gran parte di questo era finito in altri rivoli che si perdevano in investimenti rimasti nell’ombra. Le reazioni del clan Bolsonaro sono decise e dirette. Tutti parlano di attacchi pretestuosi e di manovre che puntano a colpire il presidente eletto a furor di popolo. Le indagini proseguono tra molti contrasti. Più volte ostacolate ma poi riprese su sollecitazione del potere giudiziario che rivendica la sua autonomia decisionale considerata un’interferenza da Bolsonaro.
Le dimissioni dell’ex giudice Sergio Moro da ministro della Giustizia nascono proprio da questo contrasto. Il presidente voleva essere informato in tempo reale sullo sviluppo dell’inchiesta. La pista del denaro apre scatole che ne nascondono altre e raggiunge quella di un ex capitano della polizia pluridecorato diventato un incallito criminale. Si chiamava Adriano Magalhãnes da Nóbrega, 43 anni, finito in carcere nel 2006, di nuovo uscito e poi interrogato, nel 2018, proprio in merito all’assassinio di Marielle Franco. L’uomo era noto per far parte dell’Ufficio del crimine, una vera agenzia di Rio a cui vengono appaltati gli omicidi su commissione.
Magalhãnes nega qualsiasi coinvolgimento ma vista l’aria pesante prende il largo e sparisce. Verrà rintracciato nel febbraio scorso grazie a una soffiata che indica dove si nasconde: una casa di un amico di Flavio Bolsonaro, in quel momento disabitata. Circondato dalla polizia non fa in tempo ad arrendersi ed è falciato da una raffica di proiettili. Molti pensarono all’eliminazione di un testimone che sapeva troppe cose. Il suo corpo non fu nemmeno sottoposto ad autopsia. Spariti i suoi cellulari come altri documenti compromettenti. Pulizia totale.
Restavano quelle tracce sui soldi che Queiroz dirottava verso altri investimenti e che la polizia riteneva finissero nelle mani dell’ex poliziotto diventato tra i più pericolosi criminali della città. Si scopre che Adriano Magalhãnes guidava una milizia paramilitare, tra le tante attive nei sobborghi, che aveva investito i suoi cospicui incassi fatti di tangenti, pizzi ed estorsioni, nell’edilizia. In particolare realizzando speculazioni immobiliari a Pedras Negras, una favela sorta alle spalle di Barra da Tijuca, quartiere benestante a ovest di Rio dove sorge la casa di Jair Bolsonaro. Uno di questi edifici del tutto nuovo era crollato due anni fa, seppellendo sotto le macerie 24 persone. Magalhãnes era amico di Flávio che lo aveva premiato, dopo essere uscito dalla polizia, con un raro encomio pubblico che il senatore rivendicò anche dopo il suo assassinio.
Non sapeva, in quel momento, che il criminale era stato collegato ad altri due ex militari, della Polizia e dell’Esercito, arrestati perché ritenuti il killer di Marielle Franco e l’autista del commando. Facevano tutti e tre parte dell’“Ufficio del crimine”. Uno abitava nello stesso comprensorio della famiglia Bolsonaro. Nell’aprile scorso The Intercept Brasil, il sito investigativo del premio Pulitzer Glenn Greenwald, dimostrò documenti alla mano quello che la Polizia Federale non riusciva a provare: Flávio Bolsonaro pagava i suoi impiegati (due erano la madre e la moglie del sicario di Marielle in carcere) con i fondi del suo ufficio al Parlamento di Rio, il 40 per cento veniva sottratto da Fabrício Queiroz che ne passava una parte a Adriano Magalhãnes da Nóbrega. Se l’ex braccio destro e poi autista del figlio maggiore del presidente deciderà di rispondere alle accuse di riciclaggio, il filo nero che porta all’omicidio di Mirelle potrebbe unire mandanti e esecutori.
Daniele Mastrogiacomo per Repubblica
tratto da: https://raiawadunia.com/brasile-lomicidio-di-marielle-franco-leva-il-sonno-alla-famiglia-bolsonaro/