L’ultima idiozia di Salvini per adescare gli idioti che lo stanno a sentire… Ma TU quanti italiani in difficoltà ospiti a casa TUA? Nessuno? E allora stai zitto, imbecille!

 

idiozia di Salvini

 

 

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L’ultima idiozia di Salvini per adescare gli idioti che lo stanno a sentire… Ma TU quanti italiani in difficoltà ospiti a casa TUA? Nessuno? E allora stai zitto, imbecille!

Cari Comunisti, quanti migranti ospitate a casa vostra?

E gli ebeti se la bevono. Una massa di scimmie senza cervello che abboccano ad ogni idiozia che dice il loro capitano…

Perchè gli andrebbe risposto, lui che predica il “prima gli italiani”, ma quanti italiani in difficoltà ha ospitato a casa sua?

Nessuno? E allora che stesse zitto.

N.b. Per gli idioti che proprio non ci arrivano, io non ospito migranti in casa mia per lo stesso motivo per cui la mattina non vada a spazzare le strade o a ripianare le buche in autostrada… Per questo pago le tasse… E le pago anche affinché il mio Paese sia un Paese civile e non un Paese barbaro, cinico e assassino, come qualcuno vorrebbe.

By Eles

 

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Questa roba fa schifo.

Fa schifo come il picciotto della mafia che va dal negoziante a chiedere il pizzo dicendogli “io ti proteggo, lo Stato no”, perché come quel picciotto mina le più banali regole di convivenza di un Paese civile.

Fa schifo perché gioca sull’ignoranza di quelle persone che non sanno che le nostre tasse servono anche ad aiutare chi è in difficoltà, che nasca in Italia o in altri Paesi.

Fa schifo perché in un Paese civile lo Stato non lascia indietro nessuno, neanche i semi analfabeti che malgrado la scuola pubblica non sanno scrivere in italiano.

Fa schifo perché incita all’odio e alla violenza.

Fa schifo perché è pubblicato sul profilo Twitter di un nullafacente che di fatto “ospitiamo ogni mese a casa nostra”, quando lo Stato Italiano gli eroga un bonifico senza che abbia lavorato mezza giornata.

Fa schifo perché il soggetto in questione è il capo di un partito che deve al popolo italiano almeno 49 milioni di euro.

 

da: https://www.facebook.com/SalamidaFabio/photos/a.1597638687204308/2380589588909210/

Salvini rifiuta di mettere la mascherina in Senato, “Non la metto”… Come lui Trump (150.000 morti) e Bolsonaro (85.000 morti “ufficiali”)… qualcuno immagina quanti ne avrebbe ammazzato se fosse stato al governo al posto di Conte durante la Pandemia?

 

mascherina

 

 

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Salvini rifiuta di mettere la mascherina in Senato, “Non la metto”… Come lui Trump (150.000 morti) e Bolsonaro (85.000 morti “ufficiali”)… qualcuno immagina quanti ne avrebbe ammazzato se fosse stato al governo al posto di Conte durante la Pandemia?

Salvini rifiuta di mettere la mascherina in Senato, al convegno sul Covid: “Non la metto”!

Matteo Salvini partecipa a un incontro sul coronavirus alla biblioteca del Senato e si rifiuta di indossare la mascherina. I funzionari lo invitano più volte a mettere il dispositivo di protezione su naso e bocca. Il leader della Lega cerca la mascherina nelle tasche, ma poi sorride e sussurra: “Io non ce l’ho, non la metto”. Arriva un collaboratore che (invece di cacciarlo fuori a calci in culo, almeno per rispetto dei presenti) gliene porge una tricolore. Salvini la prende, ma la mette subito via rifiutandosi ancora di indossarla.

Ricordiamo che Salvini era quello che, quando il governo Conte aveva appena imposto il lockdown, era sui social (parliamo del 27 febbraio 2020) a urlare che si doveva riaprire tutto…

La domanda che tutti ci dovremmo fare: come Trump e Bolsonaro, quanti ne avrebbe ammazzati Salvini se fosse stato al governo al posto di Conte?

 

 

Prima gli italiani? No, prima la Svizzera…

 

 

Prima gli italiani

 

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Prima gli italiani? No, prima la Svizzera…

Abbiamo appreso, con l’inchiesta sulla fornitura di camici in Lombardia, che il padrone dell’azienda coinvolta sarebbe destinatario a sua insaputa di un bonifico di suo cognato, il presidente regionale Fontana.

Il quale avrebbe in Svizzera un conto di 5,3 milioni euro “scudati” dalle Bahamas, cioé fiscalmente condonati.

Come tutti sanno questa è la condizione normale degli operai, dei lavoratori autonomi, dei pensionati, in particolare nella regione più ricca del paese.

Chi di noi non ha un conto di qualche milioncino in una banca Svizzera, che un sapiente e lautamente ricompensato esperto fiscale abbia protetto legalmente, grazie alle misure di comodo prese dai governi?

Non sappiamo come finirà l’inchiesta della magistratura, ma una sentenza c’è già.

Presentare la Lega di Salvini come “partito del popolo” ha la stessa limpidezza di uno scudo fiscale.

Altro che contrastare la globalizzazione! Questi pseudo-sovranisti ne godono i peggiori privilegi per ricchi…

Altro che “prima gli italiani”… No, no, prima la Svizzera.

La Lega ti frega.

fonte: https://contropiano.org/news/politica-news/2020/07/27/prima-gli-italiani-no-prima-la-svizzera-0130393?fbclid=IwAR17GyqrSx20qM49mMJRjMUtkGTQQos5pioN1nBBf5mmSLgl6FhrEM6ckjE

La politica, Matteo, lasciala agli adulti… Breve storia del Recovery Fund e del livello culturale del popolo fascio-leghista

 

Recovery Fund

 

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La politica, Matteo, lasciala agli adulti… Breve storia del Recovery Fund e del livello culturale del popolo fascio-leghista

A marzo, quando l’Italia, la Spagna, la Francia e pochi altri Stati (10 in totale) scrissero una lettera per richiedere l’introduzione dei Coronabond, l’unica proposta allora presente era quella del Mes, peraltro legato ai suoi vincoli originari.

La Germania era ancora su posizioni rigide, la Commissione Europea altrettanto, i Paesi del centro, del nord e dell’est Europa neanche a parlarne.

Ad aprile, poi, mentre Salvini e Meloni ruttavano “alto tradimento”, l’Eurogruppo trovava un nuovo accordo: creazione di un canale di credito ad hoc del Mes, privo di condizionalità, 100 miliardi di prestiti per il fondo Sure, 200 miliardi per il fondo Bei e una vaga proposta italo-francese di “un Fondo per la Ripresa finanziato da debito comune europeo”. Non solo, quindi, nuovi fondi fino ad allora inesistenti, ma anche un principio: “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”.

A maggio, la svolta. La maxi proposta della Commissione Europea e della sua presidente Ursula Von Der Layen che sì, dava ragione all’Italia: istituzione del Recovery Fund, composto da 750 miliardi di cui 172,7 destinati all’Italia e basato su 500 miliardi a fondo perduto.

Il primo muro era stato rotto. A permanere, invece, l’ostacolo del Consiglio europeo, composto dai capi di Governo dei vari Paesi membri.
Ma nel frattempo, quelli che all’inizio del percorso erano appena 10 Stati, trattati anche un po’ da sfigati, ne sono diventati 22, con la sola esclusione di Olanda, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia.

Nella notte, dopo 4 giorni di trattative, finalmente l’accordo storico: confermati i 750 miliardi del Recovery Fund (con un riequilibrio tra risorse a fondo perduto e in prestito) e aumento della quota destinata all’Italia: da 172,7 miliardi a 209.

Il tutto mentre il leader dell’opposizione, pubblicando un video in cui ingurgitava latticini di varie dimensioni, twittava testualmente: “Ma che ne sanno i frugali? Mozzarella e panzerotti pugliesi, olio buono, frutti di una terra stupenda che tutto il mondo ci invidia”. Un contributo al dibattito senza precedenti.

La politica, Matteo, lasciala agli adulti.

fonte: https://www.facebook.com/illivelloculturaledelpopolofascioleghista/photos/a.156939205002453/569209150442121/

Adinolfi non è una macchietta, le sue affermazioni non fanno ridere, sono pericolose!

 

Adinolfi
Adinolfi

 

 

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Adinolfi non è una macchietta, le sue affermazioni non fanno ridere, sono pericolose!

Di fronte a persone che lanciano messaggi pericolosi e carichi d’odio, l’errore più grande è quello di creare sulla loro figura un’aura cabarettistica, come se tutto fosse limitato alla sfera del folklore. Con il tempo si rischia di rendere divertenti personaggi che non fanno ridere per niente. Così Diego Fusaro diventa oggetto di turbo-meme o di qualche sketch alla Zanzara, Antonio Razzi si trasforma in un fenomeno da circo su Tiktok, Giorgia Meloni diventa una suoneria del cellulare di tendenza con il remix di “Io sono Giorgia, sono una donna, sono cristiana”. La stessa sorte è toccata a una delle figure politiche più discutibili degli ultimi anni: Mario Adinolfi.

Adinolfi, fondatore e presidente del Popolo della Famiglia in seguito alla rottura ideologica con il Pd (per cui si presentò anche alle primarie nel 2007, ottenendo lo 0,1% di voti), ha passato l’intera carriera a cacciare le streghe, con qualche secolo di ritardo. Ascoltare un suo comizio o leggere un suo post sui social è un’esperienza che trascende lo spazio e il tempo. Lo scopo del Popolo della Famiglia è quello di preservare i loro diritti contro minacce esterne, laddove per “loro diritti” si intendono quelli che nessuno ha mai messo in discussione, e per “minacce esterne” si parla di chi invece per quei diritti deve continuare a combattere. In poche parole: il Popolo della Famiglia nasce con l’intento di comprimere i diritti alle minoranze.

I messaggi di Adinolfi, soprattutto per il ruolo pubblico che ricopre, vanno considerati come dannosi per la comunità. Credere e affermare che il profilattico non abbia alcuna capacità di limitare il contagio delle malattie veneree, aggiungendo che “È solo propaganda, la soluzione è la sessualità responsabile”, vuole dire andare contro una verità scientifica con idee faziose e pericolose. Come risposta è stato oggetto di un presunto lancio di preservativi da parte di alcuni contestatori durante una presentazione del suo ultimo libro a Pomigliano d’Arco. Adinolfi ha il potere di far apparire progressista persino il Papa, che sui condom ha espresso un’opinione più moderna. Il punto è proprio questo: i comportamenti di Adinolfi non possono nemmeno considerarsi legati ai precetti del cristianesimo, ma a un fanatismo fine a se stesso, anacronistico ai limiti dell’oscurantismo. Non a caso, come gran parte dei militanti del Family Day, Adinolfi tenta di rivendere da anni la storiella della famiglia tradizionale, quando lui per primo ha alle spalle un divorzio, un secondo matrimonio in un hotel di Las Vegas e figli sia dalla prima che dalla seconda unione matrimoniale.

Viene da chiedersi quale sia il confine di tolleranza di un’idea in un contesto democratico. È lecito essere dei conservatori, dei bigotti, dei moralisti, fino a quando il pensiero non arriva a minare la libertà altrui e a cancellare, o a non riconoscere mai, i loro diritti. Non è più una questione di sinistra o destra, ma di progresso contro arretratezza culturale, di libertà contro discriminazione. Adinolfi non basa le sue azioni sulla protezione di una categoria, ma si arrocca sull’astrattismo dei valori per distruggere tutte le altre. La narrazione di una lobby gay che controlla l’intero Pianeta – la stessa portata avanti dalle parti più conservatrici della Cei, dai movimenti legati al Family day e da una buona fetta della destra – è stucchevole, o per lo meno bizzarra: si tratterebbe dell’unica lobby o gruppo di potere che in tutti questi decenni non è mai riuscita nemmeno a ottenere il riconoscimento dei diritti basilari per cui si batte.

Eppure per Adinolfi si tratta di una lobby “prepotente e feroce che ha conquistato Palazzo Chigi” a causa del ddl Zan. La legge intende sanzionare gesti violenti di stampo omotransfobico mettendo sullo stesso piano la discriminazione per orientamento sessuale a quello razziale. Adinolfi l’ha definito il ddl “liberticida”, usando le stesse parole della Cei. Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro, e il partito di Giorgia Meloni si è unito a questo lessico comune: “Fratelli d’Italia considera il testo unificato sull’omofobia un bavaglio alla libertà d’espressione e di opinione che apre la strada a pericolose derive liberticide”. Sembra un cortocircuito della ragione, considerando che lo scopo della legge è proprio il contrario, ovvero combattere le discriminazioni e punire chi quella libertà la vuole sopprimere. L’errore di Adinolfi, delle istituzioni ecclesiastiche e della destra sta proprio all’origine del loro pensiero: “libertà di espressione” non vuol dire avere il diritto di vessare il prossimo. Dire che l’omosessualità è un abominio contro natura non è un’opinione, ma un attacco alle libertà individuali e una menzogna smentita anche da scienza e studi psicologici.

Per Adinolfi “due padri gay sono un abominio criminale”. Partendo da questo assunto, tutto diventa un pretesto per attaccare a prescindere, come quando ha criticato il cartone animato Kung Fu Panda 3 perché “Il protagonista ha due papà, così si fa il lavaggio del cervello gender ai bambini”. Ogni gesto o pensiero che lui considera diverso diventa un attentato a una presunta moralità, a un disegno che pretende sia esteso a tutta la popolazione e che viene minacciato da ciò che la sua chiusura mentale non contempla. Così trasforma le persone trans in “moderni ircocervi, uomini con finte tette di silicone che fanno solo tristezza”, l’eutanasia in un abominio, con “Hitler che almeno i disabili li eliminava gratis”, il mondo in una “società di troie e rottinculo in cui l’unica ribellione possibile è essere bigotti”.  L’unica ribellione possibile al bigottismo di Adinolfi è invece seguire la strada opposta alla sua, per poter vivere in una società più civile e tollerante.

Il problema di Adinolfi è il modo di concepire i canoni dell’uomo e della donna nella società. Ha dichiarato che “la donna nel matrimonio deve essere sottomessa al marito”, tentando poi di rimediare aggiungendo che “sottomessa non significa che non c’è la parità, sono due cose diverse”. Infatti non lo sono: la sottomissione è l’antitesi della parità, ed è esattamente l’immagine che Adinolfi ha della donna, relegata nel ruolo di angelo del focolare, procreatrice che accoglie il seme dell’uomo e alleva la prole, possibilmente in silenzio e servendo il marito. L’uomo, invece, non deve cedere ad alcuna fragilità: quella è roba da donne. “Mi piace questa idea di un maschio finalmente virile. Un bel maschio virile che non piange in tv è una cosa che ha un suo valore. La femminilizzazione del maschio è un problema della nostra società. Sinceramente non ricordo mio nonno o mio padre piangere”.

Un’altra ossessione di Adinolfi riguarda la comunicazione, con il terrore che vengano veicolati messaggi a suo dire devianti. “Abbiamo posto il tema dell’omosessualizzazione dei conduttori di Rai Uno: se alla guida di tutti i contenitori della principale rete televisiva del servizio pubblico pagato da decine di milioni di famiglie italiane ci sono conduttori gay o gay friendly, i contenuti che saranno veicolati non garantiranno il pluralismo delle idee. Rai Uno è una rete per famiglie, di 29 milioni di italiani sposati che assegnano un valore etico al matrimonio”. Non è facile spiegarsi il senso della frase sul pluralismo delle idee: l’orientamento sessuale non è una posizione politica, non ha bisogno della garanzia della par condicio. A questo punto lamentiamoci se ci sono più conduttori castani che biondi, se i cognomi iniziano più spesso con una consonante e non con una vocale; la valenza del discorso è identica. Adinolfi dovrebbe spiegarci l’origine delle sue paure, il motivo che lo porta a intimorirsi di fronte a un gay in televisione. Un omosessuale non gli toglierà il suo diritto di sposarsi con una donna e non sceglierà per lui quello che è giusto o sbagliato. Al contrario, il presidente del Popolo della Famiglia continua a pretendere di imporre i suoi dogmi come unica verità, intervenendo nel dibattito sui diritti civili con i suoi giudizi retrogradi.

Se Adinolfi continua ad avere credito e a creare emuli, è perché non riusciamo a controbattere nel modo corretto. Invece di criticarlo per le sue idee disumane e per l’astio che riesce a irradiare, spesso tutto si riduce a una caratterizzazione grottesca del personaggio. Anche le pagine più geniali del web, come Lercio, lo attaccano sul suo aspetto fisico. Adinolfi è in sovrappeso, quindi viene ridicolizzato per questo. Il body shaming non sarà mai l’arma per sconfiggere le idee malsane. Lo stesso vale per Mario Giordano, sbeffeggiato per la sua voce più che per le sue posizioni ultra reazionarie propinate in prima serata con lo stile di un film dei fratelli Vanzina. Rendere Adinolfi “il ciccione bigotto” e Giordano “l’eunuco sovranista” non fa altro che rafforzarli. Da sempre certi personaggi negativi hanno ammorbidito la loro immagine grazie alla comicità o a una parodia all’acqua di rose. Andreotti ha sempre gradito e appoggiato le sue apparizioni sul palco del Bagaglino per imbonirsi il pubblico. Ignazio La Russa per anni è stato visto come il buffo siciliano che urlava “Diciamolo”, grazie all’imitazione di Fiorello, e non come un neofascista. Certi personaggi vanno presi molto sul serio: non dovremmo ridere di Adinolfi, ma inquadrare la pericolosità delle sue affermazioni e sconfiggerlo sul piano culturale. Altrimenti facciamo solo il suo gioco.

fonte: https://thevision.com/attualita/adinolfi/

Il sindaco di Lampedusa: “Salvini mentitore seriale, quando era ministro gli sbarchi c’erano eccome”

 

Salvini

 

 

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Il sindaco di Lampedusa: “Salvini mentitore seriale, quando era ministro gli sbarchi c’erano eccome”

Totò Martello, che Salvini ha definito un ‘poveretto’: “Non frequento lidi balneari alla moda in giro per l’Italia, sono un pescatore e sono orgoglioso di esserlo”

Alla provocazione di Matteo Salvini che lo ha definito ‘un poveretto’, il sindaco di Lampedusa Totò Martello ha risposto: “L’onorevole Salvini continua a comportarsi da mentitore seriale, sostenendo che quando lui era ministro ‘non c’erano più sbarchi’: nulla di più falso. Quando Salvini era ministro gli sbarchi a Lampedusa sono sempre proseguiti, basterebbe leggere i report del Ministero degli Interni per verificare quello che sto affermando”.

“Se Salvini fosse venuto a Lampedusa in quel periodo – aggiunge – quando da sindaco ho più volte chiesto una interlocuzione istituzionale con il Ministero che allora guidava, senza mai avere risposta, avrebbe visto con i suoi occhi le imbarcazioni dei migranti entrare in porto. Forse allora non è venuto a Lampedusa proprio per questo motivo, per non dovere ammettere la realtà e continuare a negare l’evidenza. E venuto adesso per pura propaganda politica, comportandosi come un pericoloso ‘giullare di piazza’ che fomenta odio e rabbia”.

“Quanto alle sue dichiarazioni nelle quali mi definisce un ‘poveretto’ – conclude Martello – ebbene sì, forse lo sono: mio padre era pescatore, mi ha insegnato ad andare per mare quando ero ancora un ragazzino. Non frequento lidi balneari alla moda in giro per l’Italia, non mi sono arricchito con la politica e vivo ogni giorno insieme ai miei concittadini, nella mia Lampedusa. Sono un pescatore e sono orgoglioso di esserlo. Lui invece si fa chiamare ‘capitano’, ma capitano di cosa?”.

Fonte: https://www.globalist.it/news/2020/07/25/il-sindaco-di-lampedusa-salvini-mentitore-seriale-quando-era-ministro-gli-sbarchi-c-erano-eccome-2062373.html

Maltempo in Padania, Lombardia in ginocchio, Milano allagata, esonda il Seveso… Salvini parla! Dicci qualcosa… Sono sempre i migranti?

 

Salvini

 

 

 

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Maltempo in Padania, Lombardia in ginocchio, Milano allagata, esonda il Seveso… Salvini parla! Dicci qualcosa… Sono sempre i migranti?

Nubifragio Palermo, Matteo Salvini ci pensa due volte e come uno sciacallo si avventa contro Orlando: “Pensa solo a immigrati”.

Un modo vergognoso di fare politica. Se ne frega che ci sono stati anche dei morti. Tutto va bene per essere strumentalizzato… Qualcuno ha usato il termine “sciacallo”, come dargli torto?

Ma quando la Padanissima Lombardia è messa in ginocchio dal maltempo si gira dall’altra parte.

Salvini parla! Dicci qualcosa… Sono sempre i migranti?

Forse le eccelse menti leghiste-lonbarde sono troppo impegnate a preoccuparsi di come difendersi dall’invasione dei migranti (sicuramente anche infetti) per preoccuparsi del territorio?

Dicci qualcosa, avevi tanta voglia di parlare quando il maltempo colpiva Palermo!

by Eles

 

Recovery Fund, Lega e Fdi boicottano l’Italia e non votano a favore! – Perchè a loro degli Italiani non frega niente! Hanno solo bisogno che stiano male per potersi lamentare e dare la colpa a qualcuno!

 

 

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Recovery Fund, Lega e Fdi boicottano l’Italia e non votano a favore! – Perchè a loro degli Italiani non frega niente! Hanno solo bisogno che stiano male per potersi lamentare e dare la colpa a qualcuno!

Nonostante l’Italia sia la prima beneficiaria netta dei fondi stanziati (209 miliardi di euro), Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti dal voto.

La plenaria del Parlamento Europeo vota oggi una risoluzione di maggioranza sull’esito dei negoziati sul Recovery Fund e sul Quadro finanziario pluriennale. Nonostante l’Italia sia la prima beneficiaria netta dei fondi stanziati (209 miliardi di euro), Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti dal voto. “Per loro vengono prima i sovranisti e poi l’Italia” attacca l’eurodeputata M5s Laura Ferrara. Forza Italia invece vota a favore.

 “Ho votato a favore”, ha dichiarato Berlusconi, “Ci siamo battuti fin dal principio per questo risultato e ora l’Italia avrà a disposizione 209 miliardi: si tratta di un compromesso, ma è un compromesso positivo, che toglie tra l’altro argomenti ai nemici dell’Europa. Per utilizzare questi aiuti l’Italia dovrà predisporre un piano di riforme che deve essere orientato allo sviluppo e non alla spesa assistenziale. È una occasione che il Paese non può permettersi di sprecare”.

Però l’ex Cavaliere chiede all’esecutivo di essere coinvolto nelle discussioni: “Chiediamo al governo che l’opposizione, pur nella distinzione dei ruoli, sia davvero coinvolta nelle decisioni che disegneranno l’Italia del futuro”.

“Sono invece contrario e preoccupato per i tagli annunciati al bilancio Ue 2021-2027 che avrebbero conseguenze negative anche sull’Italia in settori decisivi come quelli dell’agricoltura, della difesa, della salute e diminuirebbero inoltre la portata di programmi importanti come quello per il controllo delle frontiere contro l’immigrazione illegale” ha concluso.

Salvini accusa il Governo: “Importa migranti infetti per prorogare stato di emergenza” – Sì Salvini, quello che a marzo voleva aprire tutto. Sì Salvini, quello che elogia l’operato dell’amico Trump. Sì Salvini, il leader del partito che amministra le regioni in cui abbiamo avuto l’80% degli infetti… Sì, Salvini!

 

 

Salvini

 

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Salvini accusa il Governo: “Importa migranti infetti per prorogare stato di emergenza” – Sì Salvini, quello che a marzo voleva aprire tutto. Sì Salvini, quello che elogia l’operato dell’amico Trump. Sì Salvini, il leader del partito che amministra le regioni in cui abbiamo avuto l’80% degli infetti… Sì, Salvini!

Il leader della Lega, Matteo Salvini, chiama in causa i migranti sbarcati in Italia per attaccare il governo sulla gestione dell’emergenza Coronavirus: “Il governo sta importando infetti. Magari è una strategia per tenerci sotto lo stato di emergenza fino al 31 ottobre. Noi non li facciamo uscire dall’aula se questi vogliono tenere sotto ricatto gli italiani fino al 31 ottobre. Non c’è nessuna emergenza sanitaria”.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, torna all’attacco del governo. E lo fa tirando in ballo il suo storico cavallo di battagli: i migranti. Un tema da sempre caro all’ex ministro dell’Interno. Ovviamente ritiene che siano loro i colpevoli dei nuovi casi di Coronavirus registrati in Italia.

Salvini accusa: “Il governo sta importando infetti. Magari è una strategia per tenerci sotto lo stato di emergenza fino al 31 ottobre. (Qui una domanda qui dovrebbe sorgere spontanea: se le regioni amministrate dalla lega ne producono così tanti, che bisogno c’è di importarli?)

Salvini accusa: “Il governo sta importando infetti. Magari è una strategia per tenerci sotto lo stato di emergenza fino al 31 ottobre. Noi non li facciamo uscire dall’aula se questi vogliono tenere sotto ricatto gli italiani fino al 31 ottobre. Non c’è nessuna emergenza sanitaria, chiunque voglia prorogare lo stato d’emergenza è un nemico dell’Italia e degli italiani”. Salvini parla in conferenza stampa prima di andare a Lampedusa, dove è arrivato nel primo pomeriggio. Salvini, in mattinata, parla di un’azione “criminale” da parte del governo sul tema dei migranti: “Stanotte ne sono sbarcati 400. C’è un governo che sta ammazzando la Sicilia. Il governo odia la Sicilia, evidentemente. Il Pd e i 5 stelle odiano la Sicilia. È l’anno più difficile dal dopoguerra per il turismo, spalancare i porti ed essere sui Tg di tutto il mondo come il campo profughi d’Europa è una roba criminale, da criminali”.

Salvini: governo è complice dei criminali
Il leader leghista prosegue: “Temo che non sia incapacità, temo sia complicità. Questo governo è nato perché l’Italia tornasse a essere il campo profughi d’Europa: è complice dei criminali, questo è il giudizio politico. Con quelli di stanotte siamo a 1.400 arrivi in 48 ore. Ma dove siamo? E spargono gli infetti. E poi alcuni giornalisti scrivono: allarme, focolai, stato di emergenza. Ci credo, se importi non lavoratori ma infetti. Magari è una strategia per tenerci sotto lo stato di emergenza fino al 31 ottobre”.

Salvini a Lampedusa: qui situazione drammatica
Salvini parla poi con l’Adnkronos, ribadendo il concetto: “In tempo di virus gli ultimi focolai sono tutti arrivati grazie a questa gente. La politica di questo governo è doppiamente criminale”. Arrivato a Lampedusa rincara la dose: “La politica dei porti aperti del governo è assolutamente criminale. Sono quadruplicati gli sbarchi rispetto all’anno scorso”. Poi su Facebook scrive: “Qui hotspot di Lampedusa. Come potete vedere la situazione drammatica, ci sono 800 persone invece di 190, quasi tutti adulti, maschi, giovani, in forma e belli robusti. Questi non sono naufraghi, c’è un vergognoso traffico di esseri umani di cui il Governo italiano è complice in maniera criminale”. “Questa non è immigrazione, ma caos. Ho trovato quasi 800 persone, ovunque: sui tetti, a terra. Poche donne, pochi bambini e tutti gli altri belli e forti”, conclude.

E noi continuiamo a chiederci: Ma questo è un uomo?

Vi raccontiamo le furbizie fiscali degli Olandesi, quelli che ci fanno la morale, quelli che non vogliono “regalare soldi agli Italiani”

 

Olandesi

 

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Vi raccontiamo le furbizie fiscali degli Olandesi, quelli che ci fanno la morale, quelli che non vogliono “regalare soldi agli Italiani”

L’Olanda beneficia di rendite di posizione fondate sullo sfruttamento della competizione fiscale al ribasso tra Paesi del vecchio continente. Per tutelare questo vantaggio competitivo, l’Olanda ha lucida e utilitaristica. Tutti i dettagli nell’analisi di Francesco Giuliani, tributarista partner Studio Fantozzi & Associati

L’Europa, durante il Coronavirus, ha dimostrato di saper guardare la realtà e di non essere incatenata alle sue regole. Una Unione Europa spesso raffigurata come una sorta di totem della tecnocrazia o come una matrigna crudele inchiodata agli zero virgola ha dimostrato di conoscere il significato della parola flessibilità con la sospensione delle regole di bilancio, la politica monetaria espansiva, i “piani di recupero”.

Quell’identità marmorea a cui i suoi detrattori la inchiodano resiste però quando si affronta il tema fiscale. Se la necessità di rispondere alla più grande crisi del Dopoguerra ha messo in discussione certezze apparentemente inscalfibili e ha offerto il pretesto per ridisegnare i capisaldi dell’organizzazione del lavoro a livello planetario, apparentemente poco si è mosso sul fronte della governance economica dell’Ue, che ormai somiglia sempre più a una creatura mitologica, dotata di una politica monetaria unica e di ventisette politiche fiscali nazionali. Negli ingranaggi, però, in maniera indiretta è finito qualcosa che potrebbe inceppare il vecchio motore degli egoismi fiscali. L’incarico dato alla Commissione di individuare delle politiche coordinate volte ad aumentare le risorse a favore delle istituzioni comunitarie presenti (Commissione Ue, Mes) o future (Recovery Fund), affinché queste ultime possano indebitarsi sul mercato al posto dei paesi membri, beneficiando di minori tassi d’interesse ha determinato, sia pur sotto traccia, una parziale cessione di sovranità alle istituzioni comunitarie anche in materia fiscale.

Il momento per un ripensamento sarebbe sicuramente propizio. Ma questo salto di qualità trova l’opposizione dei cosiddetti “falchi”, i cosiddetti guardiani del rigore del Nord Europa. Il paradosso è che questi Paesi pretendono una rigidità di bilancio da Paesi ai quali drenano risorse attraverso pratiche fiscali sleali. Alcuni Stati membri come Olanda, Lussemburgo e Irlanda, infatti, pongono in essere pratiche di dumping fiscale e contributivo che, come ha detto di recente il presidente dell’Antitrust Roberto Rustichelli “possono minare le fondamenta della stessa costruzione europea. Paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell’area euro che attuano pratiche fiscali aggressive, che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita. La stessa crescita di questi Paesi non trova spiegazione nei fondamentali economici, ma è in larga parte riconducibile alla presenza di società veicolo. In effetti, le imprese a controllo estero rappresentano oltre un’impresa su quattro del Lussemburgo, mentre generano il 73,6% del margine operativo lordo complessivo prodotto dalle imprese in Irlanda, a fronte del 12,7% in Italia”.

Il punto è che grazie al modello liberale e mercantilista dell’Unione, l’Olanda beneficia di rendite di posizione fondate sullo storico inserimento nel commercio internazionale e sullo sfruttamento della competizione fiscale al ribasso tra Paesi del vecchio continente. Per tutelare questo vantaggio competitivo storico, l’Olanda ha adottato una politica apparentemente schizofrenica, ma in realtà lucida e utilitaristica. Alla severità nell’esigere il rigore dagli altri governi dei Paesi membri, non corrisponde infatti un analogo rigore nel tassare le multinazionali che utilizzano quel Paese come trampolino di lancio per trasferire in esotici paradisi fiscali miliardi di euro, che rappresentano perdite di entrate per gli altri stati membri dell’Unione.

Storicamente, l’infrastruttura economica olandese risale ai tempi della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, e si è poi sviluppata per intercettare i traffici commerciali internazionali, dando luogo a una legislazione fiscale di favore idonea proprio ad attrarre investimenti stranieri. Alla base di questa infrastruttura è posto l’ampio volume di convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall’Olanda con Stati esteri che le consente il trasferimento di flussi reddituali transfrontalieri (interessi, dividendi e royalties) verso paradisi fiscali, minimizzando l’onere fiscale complessivo. Tutto ciò ha consentito all’Olanda di divenire il punto d’arrivo degli investimenti esteri in Europa, specialmente da parte di multinazionali americane. E dopo Brexit tale ruolo potrebbe enfatizzarsi ulteriormente.

Un esempio aiuta a meglio comprendere quanto si sta affermando: un gruppo multinazionale canalizza le royalties relative all’utilizzo del marchio per il business europeo nell’headquarters olandese. In tal modo, la ricchezza accumulata viene poi trasferita dall’Olanda verso un paradiso fiscale (per esempio, Aruba), ancora usufruendo di disposizioni di favore di cui godono le società aventi sede nella medesima Olanda, che rendono pressoché inconsistente – o quantomeno estremamente leggero – il carico fiscale. È evidente che questo sistema – che tecnicamente si definisce di profits shifting – da un lato, riduce i profitti della consociata italiana aumentando quelli olandesi, ma soprattutto, dall’altro, genera una fortissima motivazione per tutte le imprese multinazionali a trasferire le proprie sedi nei Paesi Bassi, causando danni enormi agli altri Stati membri. Tramite meccanismi di tale genere, è stato infatti calcolato che l’Olanda sottrae dieci miliardi di dollari all’anno dalla catena del valore prodotto nei Paesi dell’Unione Europea, di cui 1,5 miliardi solo all’Italia. Come corrispettivo di un danno di 10 miliardi di dollari all’anno per i membri dell’Unione europea, i Paesi Bassi raccolgono appena 2,2 miliardi di dollari aggiuntivi di imposte sulle società. Specularmente, per ogni dollaro che i Paesi Bassi ricevono grazie ai profitti spostati nel loro paese, l’Unione europea, nel suo insieme, perde quasi 4 dollari di imposte sulle società. C’è un altro dato che fotografa l’anomalia: nei Paesi Bassi le multinazionali USA presentano un ammontare di utili per dipendente pari a 575mila dollari, cioè 10 volte maggiore dell’ammontare medio che generano negli altri paesi dell’Unione Europea: 46mila dollari per dipendente in Germania, 36mila in Francia, 45mila in Italia e 34mila in Spagna.

E’ chiaro che l’Europa dovrebbe ragionare in un’ottica di sistema e ricercare strumenti per gestire e modificare questa situazione. Esistono, almeno teoricamente, due vie percorribili. Una è poco più che una provocazione: l’abolizione dell’imposta sulle società in ambito europeo, o comunque lo spostamento del momento impositivo alla distribuzione degli utili. Ciò comporterebbe però il raddoppio delle tasse sulle persone fisiche, sulle quali sarebbe spostato tutto il carico impositivo e non risolverebbe il problema della scarsa o inesistente imposizione delle multinazionali che fondano i propri redditi principalmente su fattori produttivi di tipo “intangible”, ma sposterebbe ancora di più il carico impositivo sul fattore produttivo meno mobile: il lavoro. Tale ipotesi risulterebbe di difficilissima attuazione per evidenti ragioni elettorali. La seconda rimane la proposta di direttiva per una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (Common Consolidated Corporate Tax Base – CCCTB) nell’ambito dell’Unione Europea, la cui prima proposta è stata presentata dalla Commissione nel 2011. La proposta, ancora all’esame del Consiglio, mira a fornire alle imprese un insieme unico di norme in materia di imposta sulle società per operare in tutto il mercato unico. In questo modo verrebbero invalidati gli effetti delle politiche di trasferimento del valore verso paradisi fiscali interni alla UE, come l’Olanda. Tale proposta è stata individuata tra le priorità nel programma della Commissione von der Leyen, ma tale obiettivo presenta insidie politiche facilmente comprensibili a causa delle resistenze dei Paesi che attualmente ne traggono un beneficio diretto, e non bisogna dimenticare che per l’approvazione di riforme in ambito fiscale è richiesta l’unanimità.

È auspicabile che il disperato bisogno della liquidità necessaria per impostare il rilancio delle economie dopo la crisi sanitaria in corso sia d’impulso all’adozione di questi nuovi strumenti normativi che determineranno, per l’appunto, una redistribuzione della catena del valore e delle connesse basi imponibili dai Paesi che fungono da meri intermediari a quelli dove viene svolta un’attività economica effettiva. Una battaglia che si intreccia con il più ampio problema della formazione di un nuovo paradigma del commercio internazionale, che è causa dell’attuale battaglia commerciale tra USA e Cina, oltre che con le regole fondamentali di attribuzione della potestà impositiva. E’ su questo fronte, dunque, che i Paesi mediterranei dovrebbero insidiare i “rigoristi”, costruire ampie alleanze e ricondurre queste scelte nel superiore interesse dell’Unione, forse anche decidendo davvero, per la prima volta, di andare allo scontro diretto e usare il doomsday device fornito dall’art. 116 TFUE per imporre ai Paesi “free-riders rigoristi” quel minimo di armonizzazione della fiscalità delle imprese (magari proprio la CCCBT con una aliquota minima)  la cui assenza sempre di più si rivela inconciliabile col corretto funzionamento del mercato interno.