La Marca (Pd) non osserva la quarantena rientrando dal Canada: “Non ero obbligata, sono deputata” – È la versione 2020 di “Io sono io e voi non siete un cazzo”

 

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La Marca (Pd) non osserva la quarantena rientrando dal Canada: “Non ero obbligata, sono deputata” – È la versione 2020 di “Io sono io e voi non siete un cazzo”

La Marca (Pd) non osserva la quarantena rientrando dal Canada: “Non ero obbligata, sono deputata”

La deputata del Pd Francesca La Marca è rientrata nei giorni scorsi dal Canada, ma non ha osservato la quarantena di 14 giorni prevista per chi ritorna in Italia da Paesi extra Ue. Ma la deputata non ha violato la legge perché in quanto parlamentare è esentata dall’obbligo, come prevede un articolo del decreto legge del 9 marzo 2020.

“Non ho fatto la quarantena perché sono una deputata”. So giustifica così, in un’intervista sul ‘Corriere della Sera’, Francesca La Marca, nata a Toronto, deputata del Pd, eletta per  la seconda volta a Montecitorio nel 2018, circoscrizione Estero.

La vicenda che la vede protagonista è stata raccontata in esclusica da ‘Il Giornale’, scatenando le proteste dei lettori del quotidiano. Rientrata a Roma dal Canada, dove è stata eletta, per partecipare ai lavori della Camera, la parlamentare non ha rispettato il periodo di quarantena di 14 giorni previsto per chi torna in Italia da Paesi extra UE. La Marca ha raccontato come è andato il suo ritorno in Italia e cosa è successo all’aeroporto di Fiumicino: “È vero, – ha ammesso – non sono stata in isolamento ma c’è una ragione”.

‘Quando arrivo a Fiumicino – dichiara – il carabiniere mi dice: “Essendo deputata lei è esentata dalla quarantena” per motivi di lavoro”. Spiega poi meglio cosa ha fatto: “Primo: ho fatto subito un tampone e sono negativa. Secondo: ripeterò il tampone nelle prossime ore”. Ha spiegato inoltre di non aver avuto alcun sintomo al suo arrivo all’aeroporto, né quando – il 13 luglio – si è presentata in Parlamento.

Il carabiniere che effettuava i controlli all’aeroporto probabilmente si riferiva all’articolo 7 del decreto legge 9 marzo 2020, n. 14, uno dei primi che sono stati varati da quando è iniziata l’emergenza Covid in Italia. All’articolo 7, infatti, si legge: “La disposizione (della quarantena di 14 giorni), del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, non si applica agli operatori sanitari e a quelli dei servizi pubblici essenziali che vengono sottoposti a sorveglianza. I medesimi operatori sospendono l’attività nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per COVID-19”. Francesca La Marca, in quanto parlamentare, non deve quindi rispettare l’obbligo di quarantena.

tratto da: https://www.fanpage.it/politica/la-marca-pd-non-osserva-la-quarantena-rientrando-dal-canada-non-ero-obbligata-sono-deputata/
https://www.fanpage.it/

No, a infettare Bolsonaro non è stato il karma, ma solo l’idiozia sovranista…

 

 

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No, a infettare Bolsonaro non è stato il karma, ma solo l’idiozia sovranista…

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro è risultato positivo al COVID-19. Negli ultimi mesi ha minimizzato il problema, denigrato coloro che si opponevano alle sue tesi antiscientifiche, ha continuato a presenziare senza mascherina a raduni stringendo mani di più sostenitori possibile, ha spinto diversi ministri del suo governo a dimettersi esasperati per il suo modo di gestire la crisi, e il 7 luglio è caduto vittima della suo stesso negazionismo scientifico. Adesso i commenti da tutto il mondo ruotano intorno alla parola karma, che è stata già scritta e pronunciata al tempo del ricovero in terapia intensiva del primo ministro britannico Boris Johnson. Non si tratta però di destino, di nemesi o di chissà quale disegno celeste: è semplicemente ottusità. Parola che, come è stato dimostrato anche durante questa pandemia, è sempre più sinonimo di sovranismo.

A fine marzo, quando già diversi Stati contavano centinaia di morti al giorno, Bolsonaro commentava gli sviluppi sul Coronavirus continuando a definirlo “un raffreddore, un’influenzetta”, dichiarazioni penosamente simili a quelle del suo omologo statunitense. All’epoca in Brasile i casi erano pochi, mentre l’Europa si trovava nel punto più critico della pandemia. Il team del sovranismo era completato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán che assumeva su mandato del Parlamento i pieni poteri sospendendo la democrazia nel Paese, da Boris Johnson che indicava l’immunità di gregge come soluzione al virus invitando i suoi concittadini ad abituarsi a “perdere i propri cari”, e da Matteo Salvini che decideva di richiedere l’apertura o la chiusura dell’Italia con alternanza settimanale. Come previsto, l’oceano non ha fermato il virus, e oggi gli Stati Uniti e il Brasile sono i due Stati nel mondo dove ha causato più vittime

Quando in Italia i camion militari trasportavano le bare fuori da Bergamo, Bolsonaro continuava a minimizzare dichiarando che “L’Italia è un Paese pieno di vecchietti, in ogni palazzo ce ne sono almeno una coppia, per questo ci sono tanti morti”. Più che una mancanza di rispetto un attestato di futura idiozia, considerando che oggi la cronaca brasiliana è un susseguirsi di fosse comuni con cadaveri senza nome e índios lasciati morire in Amazzonia, dove il tasso di mortalità è superiore del 150% rispetto alla media brasiliana. Con l’arrivo del virus nel suo Paese, il presidente si è ancora più arroccato sulle sue tesi, mettendo in pericolo milioni di persone e scontrandosi contro i governatori dei singoli Stati brasiliani che in autonomia decidevano di imporre misure di lockdown (come previsto dalla legge e confermato dalla Corte suprema). È arrivato persino ad attaccare l’Oms accusandola di aver realizzato un piano per far fallire l’economia del Brasile.

“Mi dispiace per le vittime di Covid, ma moriremo tutti”, è la frase che Bolsonaro ha pronunciato il 3 giugno, con il Brasile in piena emergenza sanitaria. Schiavo del suo personaggio, il sovranista brasiliano non ha mai smesso di emulare Trump fino a diventarne una parodia ancora più grossolana. Come per il tycoon statunitense, la colpa dei suoi errori essere sempre degli altri, di qualche entità astratta che ha dato vita a cospirazioni contro il presidente. La sindrome dell’accerchiamento si è palesata quando Bolsonaro ha iniziato a non fidarsi nemmeno dei suoi collaboratori. Ad aprile è entrato in rotta di collisione con il suo ministro della Sanità, Luiz Henrique Mandetta, che ha rassegnato le dimissioni in aperto contrasto con le politiche del presidente. Il sostituto, Nelson Teich, si è dimesso meno di un mese dopo con le stesse motivazioni: era impossibile lavorare con un personaggio che al posto di focalizzarsi sulla sicurezza dei suoi cittadini è il primo a violare le norme di isolamento sociale e a comportarsi in modo irresponsabile. Più volte Bolsonaro è stato visto in mezzo alla folla, in piena epidemia, a scattare selfie senza mascherina. Questo ci porta a un macrotema ancora più inquietante: il pericolo non è soltanto Bolsonaro, ma tutti i Bolsonaro in giro per il mondo.

A Boris Johnson è servita la terapia intensiva per capire quanto le sue teorie fossero deleterie, con il Regno Unito che è balzato in cima alle classifiche di contagi e decessi in Europa, scavalcando nazioni come Spagna e Italia che per settimane sono state considerate i grandi malati del continente. Il problema è proprio la presunzione di chi non ha preso esempio da quello che avveniva nel mondo, coloro che avevano il vantaggio di avere più tempo a disposizione per prepararsi e che invece sono stati travolti proprio a causa di un’ignoranza di fondo mista a supponenza.

Bolsonaro non si è ammalato per il Covid a causa di una sfortunata coincidenza, ma perché da mesi non rispetta le regole elementari che ormai conosciamo a memoria. Il 4 luglio ha festeggiato la giornata dell’Indipendenza con l’ambasciatore statunitense in Brasile Todd Chapman e un gruppo di ministri, collaboratori e ospiti vari. Tutti abbracciati, stretti nella vicinanza della presunzione. Il giorno dopo Bolsonaro ha avvertito i primi sintomi – febbre alta, dolori alle ossa e ai muscoli – e subito ha fatto una radiografia ai polmoni e il tampone, risultato positivo la mattina dopo. Non si sa quando e dove abbia preso il virus, ma con i suoi bagni di folla ha messo a repentaglio la salute di centinaia di persone. Per non smentire la sua aura da uomo-tutto-d’un-pezzo, ha deciso di assumere idrossiclorochina e azitromicina, due farmaci dall’efficacia mai dimostrata per contrastare il COVID-19 e sconsigliati dall’Oms a causa delle loro controindicazioni. Lo stesso giorno Trump ha abbandonato ufficialmente l’Oms con una lettera, comunicando la sua intenzione di lasciare l’istituzione a partire dal luglio 2021.

L’augurio è che Bolsonaro possa riprendersi e accorgersi finalmente delle condizioni in cui versa il suo Paese, con oltre un milione e 600mila contagi e più di 66mila vittime; potrebbe capire che questi numeri sono al ribasso, perché nelle zone più emarginate non vengono fatti i tamponi né conteggiati i morti. Soprattutto, potrebbe rendersi conto che il COVID-19 non è “un’influenzetta”, e che se vieni contagiato non è per un complotto dell’Oms. C’è però la concreta possibilità che la sua guarigione non porti a nulla, se non a un rafforzamento del suo personaggio da telenovela: l’eroe che ha sconfitto il mostro e infonde coraggio alla nazione. Conoscendo il soggetto, è molto probabile.

Ciò che resta è l’ennesima débâcle del sovranismo, la prova che la demagogia può portare consensi ma non competenza. I principali leader dell’estrema destra hanno intortato i loro elettori seguendo i binari del pressapochismo per raggiungere una popolarità immediata, destinata ad affievolirsi quando sono necessarie le azioni, le competenze e tutti quegli strumenti fuori dall’orbita dei complotti e della gara a chi odia di più. Bolsonaro attecchisce su un popolo affamato, ma poi non lo sfama; Salvini o Trump riescono a incanalare la rabbia, ma poi se ne nutrono ingigantendola all’inverosimile, senza offrire alcuna soluzione per eliminarla, sempre che abbiano davvero intenzione di intervenire sul loro unico serbatoio elettorale. Hanno fallito perché invece dei loro nemici immaginari, ne hanno dovuto fronteggiare uno reale, il Coronavirus: non più una minaccia inventata a tavolino, ma un problema fin troppo concreto. E ne sono usciti sconfitti, sacrificando al loro ego migliaia di vite di loro concittadini.

 

 

fonte: https://thevision.com/coronavirus/bolsonaro-positivo-coronavirus/

I tedeschi, dopo essersi impossessati di 14 aeroporti turistici grazie alla troika, ora scaricano sul governo Greco le perdite causate dal lockdown e dal virus. Tutto grazie al contratto capestro imposto ai greci dalla troika stessa…

 

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I tedeschi, dopo essersi impossessati di 14 aeroporti turistici grazie alla troika, ora scaricano sul governo Greco le perdite causate dal lockdown e dal virus. Tutto grazie al contratto capestro imposto ai greci dalla troika stessa…

La tedesca Fraport si fa ripianare le perdite dal governo greco
I tedeschi di Fraport, dopo essersi aggiudicati la gestione di 14 aeroporti turistici greci per almeno 40 anni, ora avranno anche la possibilità di scaricare sul governo di Atene le perdite del primo semestre 2020 causate dal lockdown e dal coronavirus. Tutto grazie al contratto di concessione imposto al governo greco dai creditori esteri e dalla troika. 
Richiesta di risarcimento allo Stato greco per le perdite causate dal coronavirus
E’ il primo di luglio, il traffico aereo internazionale negli aeroporti greci non ha fatto nemmeno in tempo a ripartire che la tedesca FRAPORT, gestore di 14 aeroporti regionali, ha presentato al governo greco il conto per i mancati profitti. Secondo quanto riportato dal quotidiano Kathimerini, infatti, FRAPORT avrebbe calcolato per la prima metà del 2020 una perdita di 175 milioni di dollari e ora chiede che questa perdita venga coperta dallo Stato greco. (1) Tale richiesta di risarcimento si basa sul contratto di concessione, in base al quale FRAPORT nel 2017 ha preso in locazione 14 aeroporti regionali per 40 anni. La misura di privatizzazione faceva parte delle condizioni imposte dalla Troika alla Grecia prima di concedere i prestiti. Quando  all’epoca furono resi noti i dettagli del contratto ci furono forti critiche da parte degli oppositori della privatizzazione i quali sostenevano che, indipendentemente dal prezzo di acquisto, a FRAPORT venivano dati tutti i vantaggi, mentre alla parte greca finivano tutti gli svantaggi e i rischi. La richiesta appena presentata, infatti, viene legittimata proprio da quelle norme e conferma quanto quella critica fosse fondata. Sulla base dell’accordo, infatti, il locatario può rivendicare delle perdite finanziarie se si verificano eventi di forza maggiore – e il crollo del traffico aereo a seguito delle restrizioni causate dal coronavirus deve essere considerato come tale.
Nel periodo dal 1° gennaio al 31 maggio 2020, infatti, il traffico passeggeri complessivo in Grecia è diminuito dell’84%, mentre per i voli internazionali del 99,9%. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, si è passati dai circa 1,5 milioni di passeggeri ai soli 10.000 (- 99,3%) dell’aprile 2020 e al – 98,4% di maggio.
 
Questo crollo ha colpito duramente FRAPORT e i piani originali ne sono usciti sconvolti. La distribuzione di un dividendo alla casa madre tedesca, prevista per la prima volta nel 2022, probabilmente non ci sarà. Anche se ancora a metà 2019 la stampa settoriale tedesca festeggiava il successo dell’affare. (2) In considerazione del basso prezzo di acquisto, pari a 1,2 miliardi di euro (+ canone annuo di concessione) e nonostante gli investimenti per la conversione concordati nel contratto (330 milioni promessi, ma secondo FRAPORT in realtà sono stati necessari investimenti per 400 milioni), il numero dei passeggeri, aumentato piu’ di quanto previsto dal piano, ha garantito una crescita significativa del business. Nella sua relazione annuale, nel primo semestre del 2019 FRAPORT registrava un fatturato di 206,2 milioni di euro, con un incremento del 45,5% rispetto al 2018. L’utile prima delle imposte (EBITDA) era cresciuto del 13,3% passando ai 46,8 milioni di euro dello stesso periodo. Il fatto che il risultato complessivo sia stato comunque negativo per 19,2 milioni di euro è dovuto agli investimenti effettuati. Il responsabile di FRAPORT, Zinell, nel 2019 ha dichiarato che in ogni caso il prezzo pagato per l’acquisto e gli investimenti saranno recuperati “tra il 2027 e il 2033”. In altre parole: al massimo dopo 15 anni sui 40 della concessione, per almeno 25 anni l’attività aeroportuale sarà redditizia.
Queste prospettive nel frattempo si sono perse per strada. Secondo lo slogan scritto in caratteri molto piccoli e nascosto fra le righe del contratto di locazione, “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”, ora saranno gli altri a dover pagare: se si utilizzeranno i sussidi del pacchetto per la ricostruzione dell’UE, infatti, a pagare il conto alla fine saranno o i contribuenti greci, oppure i contribuenti europei in generale.
In ogni caso, FRAPORT ha già rinviato i suoi obblighi di pagamento nei confronti dello Stato greco. In base al contratto, infatti, FRAPORT deve pagare allo Stato greco un canone annuo di concessione pari a circa 22,9 milioni di euro (oltre ad una quota legata al fatturato pari al 28,63% degli utili al lordo delle imposte). FRAPORT inizialmente ha rinviato tale pagamento con riferimento al Coronavirus, posticipo peraltro previsto dal contratto per un periodo di sei mesi, a fronte di un aumento del tasso di interesse dello 0,5%.
Il governo greco non ha ancora accettato le richieste dell’azienda. Apparentemente entrambe le parti sono in trattativa, ma si sa poco del loro svolgimento. Probabilmente si riuscirà ad evitare l’arbitrato ufficiale o i procedimenti legali. La presente richiesta di risarcimento danni da parte di FRAPORT in realtà non è neanche la prima: quando nel 2017 ha rilevato gli aeroporti, l’azienda aveva già richiesto un risarcimento di 74 milioni di euro perché lo Stato greco non avrebbe consegnato gli aeroporti nelle condizioni contrattualmente pattuite. All’epoca era stato raggiunto un compromesso per 27 milioni di euro. (3)
(1) https://www.kathimerini.gr/1085395/article/oikonomia/epixeirhseis/apozhmiwsh-logw-apwleias-tziroy-175-ekat-zhtei-h-fraport?
(2) https://www.welt.de/wirtschaft/article196456055/Fraport-Greece-Erste-Dividende-im-Jahr-2022.html
(3) https://www.imerodromos.gr/apozimiosi-27-ekatommyrion-eyro-sti-fraport-gia-kazanakia/
fonte: https://vocidallagermania.blogspot.com/2020/07/la-tedesca-fraport-si-fa-ripianare-le.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A%20blogspot%2FmlmqBS%20(Voci%20dalla%20Germania)&fbclid=IwAR3Ucf-Yafk2cuqto1Nm412rRvvZA7D4UjC0UrHNT3-FfWQ_fKys5UXFdHI

Bolsonaro positivo – Ricordate quando derideva l’Italia per Covid-19: “Muoiono perché è pieno di vecchietti” – Lo diceva solo tre mesi fa… Come vola di tempo, vero testa di cazzo?

 

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Bolsonaro positivo – Ricordate quando derideva l’Italia per Covid-19: “Muoiono perché è pieno di vecchietti” – Lo diceva solo tre mesi fa… Come vola di tempo, vero testa di cazzo?

Quando Bolsonaro derideva l’Italia per Covid-19: “Muoiono perché è pieno di vecchietti”

In questi mesi il negazionista al potere aveva attaccato tutti pur di negare i rischi della pandemia che sta facendo strage nel Brasile.

Ora che Covid-19 ha colpito anche lui, che negava la malattia e faceva tanto l’imbecille, c’è da immaginare cosa accadrebbe se invece di essere curato come si deve affrontasse il contagio come un povero di una favela o come gli Indios dell’Amazzonia.
E soprattutto rivengono in mente le idiozie volgare dette contro chiunque pur di affermare che si trattava di un falso allarme.

A marzo aveva: “L’Italia sembra Copacabana, dove in ogni palazzo c’è un anziano o una coppia di vecchietti. Per questo sono molto fragili e muore tanta gente. Hanno altre malattie, ma dicono che muoiano per coronavirus”.

“Non li uccide il coronavirus che arriva alla fine, quelle persone sono già debilitate”, aveva poi aggiunto nel tentativo di sottovalutare il virus.
Senza dimenticare che il fascista negazionista invece di preoccuparsi del virus attacca l’oma dicendo che era un’organizzazione che favoriva omosessualità e masturbazione tra i bambini”

Gallera ringrazia la sanità privata lombarda per aver messo a disposizione le loro lussuose stanze – che abbiamo pagato noi – anche a noi pezzenti. Che gran cuore questa sanità privata (ribadiamo, pagata da noi)

 

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Gallera ringrazia la sanità privata lombarda per aver messo a disposizione le loro lussuose stanze – che abbiamo pagato noi – anche a noi pezzenti. Che gran cuore questa sanità privata (ribadiamo, pagata da noi)

Ci mancava. Era un po’ che Giulio Gallera non ne sparava una delle sue e non so voi, ma io ero inquieta. Sono rassicuranti, le boiate di Gallera. Sono come dormire col rumore del phon acceso. Se non le senti, all’inizio stai bene, poi ti assale una strana ansia, un po’ come quando hai un neonato in casa che non smette di urlare e se una notte sta zitto per 2 ore di seguito ti alzi per vedere se è vivo. Ecco, Gallera è vivo. E il suo ultimo vagito è di quelli che ti svoltano la nottata. E anche la giornata. Ieri, durante un talk online su Rcs Academy, ha dichiarato: “Gli ospedali sono stati sommersi da pazienti Covid e il privato ha aperto le sale di terapie intensive e le loro stanze lussuose a pazienti ordinari che venivano trasferiti dal pubblico”.

Ora a parte che vorrei sottolineare il coraggio nell’essersi sottoposto al terribile fuoco di domande e al durissimo contraddittorio di Rcs Academy, giuro che ho dovuto rileggere almeno 5 volte la frase, anche al contrario, per convincermi che l’avesse pronunciata davvero. Pensavo occorressero almeno due sprovveduti come Gallera per sparare una perla del genere, ma di Gallera ne basta perfino uno solo. Quindi dovremmo essere grati ai privati lombardi perché durante una pandemia mondiale, pagati, anziché respingere sulla porta pazienti ORDINARI, con milze ordinarie, con cistifellee qualunque, con prostate consuete, magari anche un po’ pezzenti, i privati li hanno fatti entrare e accolti nelle loro stanze, tra arazzi d’epoca e mezzibusti bronzei di Formigoni. Il Covid a 5 stelle in pratica. Ha ragione Gallera a sottolineare la generosità di questi privati lombardi. Perfino le terapie intensive ai pezzenti, hanno aperto. Li avranno intubati con tubi in platino e iridio, intarsiati di pietre preziose, in cui soffiava ossigeno puro Gallera stesso, dandosi il turno con Fontana (che ovviamente dopo due soffiate si assottigliava di 50 cm e finiva sottovuoto, come i maglioni nel cambio stagione).

In pratica, sotto Covid, in Lombardia essere trasferiti dal pubblico al privato era una specie di upgrade. Un po’ come quando hai prenotato una doppia standard in un 3 stelle ma ti fanno l’upgrade e ti danno la suite. In effetti ho un amico che a marzo è stato tre settimane in una struttura privata in sub-intensiva col Covid e il casco Cpap e ora ha chiesto se hanno la stessa camera libera ad agosto che ci porta anche la moglie e i bambini. E’ un peccato che Gallera, già che c’era, non abbia ringraziato anche il Trivulzio e altre strutture che per eccesso di generosità, per dimostrare di non avere pregiudizi e di non escludere davvero nessuno nell’altruista, caritatevole Lombardia non hanno esitato a spalancare le porte perfino al Covid! Una sanità davvero inclusiva. Forse anche troppo inclusiva. Poi dice che questo sistema misto pubblico/privato non funziona. Eccome se ha funzionato. Ha funzionato almeno quanto il talento comunicativo di Giulio Gallera.

Un talento ordinario finito nelle stanze lussuose della notorietà durante il Covid e tutt’oggi in condizioni disperate, in una situazione che ormai è un palese accanimento terapeutico, mentre perfino Salvini è dell’idea che sia ora di staccargli la spina. Non mollano, Giulio e il suo talento comunicativo. Ogni tanto, nel suo letto lussuoso nella stanza lussuosa del lussuoso palazzo della regione alza la testa con lo sguardo vitreo e il fiato corto e balbetta “Il sistema ha tenuto!”. Dopo poco ripiomba in uno stato di semi-incoscienza per poi rialzare la testa all’improvviso e “le abbiamo azzeccate tutte!”, poi sembra non essere più lucido e all’improvviso: “Se ti dimettono vuol dire che sei guarito!”. Insomma, il paziente è grave ma stabile. L’ultima uscita, è vero, sembra un debole segnale di peggioramento, ma a questo punto, se è ancora lì anche dopo questa, vuol dire che in regione stanno solo decidendo in quale stanza lussuosa metterlo per toglierselo di torno. Qualcuno sostiene che Gallera covi ancora la segreta speranza di diventare sindaco, per cui ci aspettiamo da un momento all’altro una dichiarazione felice delle sue.

Magari un definitivo : “Sì, mi piacerebbe fare il sindaco, ma a Milano mi dicono mi sia fatto troppi nemici. Pensavo di candidarmi ad Alzano Lombardo”.

 

L’epidemia raccontata e quella reale – Ieri il peggior giorno dell’epidemia: oltre 180.000 contagiati, cui quasi un terzo in Brasile. E se ora il Covid a noi sembra così lontano, dobbiamo ringraziare il Cielo di non aver avuto al governo gente come Bolsonaro (o Salvini)…

 

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L’epidemia raccontata e quella reale – Ieri il peggior giorno dell’epidemia: oltre 180.000 contagiati, cui quasi un terzo in Brasile. E se ora il Covid a noi sembra così lontano, dobbiamo ringraziare il Cielo di non aver avuto al governo gente come Bolsonaro (o Salvini)…

L’epidemia raccontata e quella reale

Lo so, che dopo sei mesi non se ne può più.

Ieri comunque è stato il giorno peggiore da sempre dell’epidemia, con oltre 180.000 contagiati. Di cui quasi un terzo (55.000) in Brasile. Contagiati “ufficiali”, diagnosticati con test. Non so dire quanti siano quelli reali.

Quando ci ripetiamo il giusto mantra “oramai il virus ha perso potenza”, raccontiamocela giusta:

L’epidemia in Italia si è estremamente ridotta. I nuovi contagiati hanno spesso carica virale molto bassa, sono comunque poche centinaia, mentre nei giorni peggiori erano parecchie migliaia. I morti sono poche decine al giorno, mentre a fine marzo erano 800. Tra l’altro, buona parte di questa retroguardia è in una sola regione”.

Poi magari, con spirito internazionalista, uno potrebbe aggiungere:

Questo non vuol dire che il virus in sé si sia indebolito, come provano il picco di contagi nel mondo ieri, e le parecchie migliaia di morti ogni giorno. Preoccupa anche la crescita dei contagi in molte nazioni di Sud America, Africa e Asia che sembravano quasi indenni, e dove le possibilità di cura sono scarse.

Poi, guardando il passato recente, onestamente si potrebbe dire:

L’Italia l’ha pagata molto cara (quasi 35.000 morti registrati, probabilmente 45/50mila reali vedendo i dati ISTAT di marzo/aprile) ma grazie al lockdown, ai miracoli della nostra Sanità, e al comportamento responsabile della grande maggioranza dei cittadini, l’abbiamo sfangata nonostante alcuni politici regionali e una frangia di imbecilli ed irresponsabili di vario tipo abbiano fatto del loro peggio per far andar male le cose”.

Poi, per quanto mi riguarda, il distanziamento sociale è stata una bella novità, tanto è vero che in forma magari meno accentuata continuo e continuerò a praticarlo.

fonte: https://contropiano.org/news/politica-news/2020/06/21/epidemia-raccontata-quella-reale-0129317?fbclid=IwAR0lHrwSvabq-lMYBdX-EzTx_2LBgwsPpN6F0xLtocRYtzdV6FRwl0Rx0Rs

In Brasile, ogni minuto 25 malati in più di Covid, la catastrofe firmata Bolsonaro. Ed a noi non resta che ringraziare il cielo di non aver avuto, in questi momenti, gente come Salvini al governo!

 

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In Brasile, ogni minuto 25 malati in più di Covid, la catastrofe firmata Bolsonaro. Ed a noi non resta che ringraziare il cielo di non aver avuto, in questi momenti, gente come Salvini al governo!

Ogni minuto di ieri, ci sono stati venticinque malati di Covid in più, per un totale di 37.278. Il record assoluto da quando è cominciata la pandemia in Brasile, il 25 febbraio. Nelle ultime 24 ore, inoltre, le vittime sono state 1.388, per un totale di oltre 45mila. Sono questi gli ultimi dati del consorzio di ricerca indipendente creato dai principali media nazionali. Cifre un po’ superiori rispetto al bollettino del ministero della Salute che parla di 34.918 casi e 1.282 decessi. In ogni caso, di questo passo, entro la fine della settimana il Paese supererà il milione di contagi. E il ritmo non accenna a rallentare. Anzi, al contrario, sembra condannato ad incrementarsi ulteriormente secondo gli esperti poiché al picco sembrano mancare ancora diverse settimane. Il Gigante del sud è in ginocchio a causa del coronavirus. Eppure, su impulso del presidente Jair Bolsonaro, uno dopo l’altro, gli Stati cominciano a uscire dal lockdown, incluso Rio de Janeiro, quello con il tasso di letalità più elevato: il 10 per cento, quasi il doppio rispetto alla media nazionale, con quasi 8mila morti confermati e altri 1.163 sospetti. Da due giorni, anche nella regione carioca hanno riaperto i battenti i centri commerciali, ristoranti, bar e centri sportivi. Con buona pace dei medici che denunciano il collasso del sistema sanitario. Altro punto critico sono l’Amazzonia che sfiora ormai i 200mila casi, con più di 8.300 vittime, in base ai dati della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). Di questi, 249 sono indigeni: ben 75 dei 305 popoli nativi sono stati colpiti dall’infezione. E i numeri sono ovviamente sottostimati data la scarsità di test. Il Consiglio indigenista missionario – organismo della Conferenza episcopale brasiliana – ha denunciato con preoccupazione l’incremento del contagio nei villaggi indios del sud-est del Pará, dove i malati sono centinaia e centinaia. A preoccupare, in particolare, i popoli Suruí Aikewara, Assurini e Xikrin, non lontane dalla ferrovia del Carajás dell’azienda Vale, nel cui stabilimento, nel municipio di Parauapebas, c’è stata un’esplosione del virus. I Suruí devono, al contempo, affrontare un’emergenza alimentare, poiché l’epidemia ha impedito loro di svolgere i normali lavori, soprattutto la preparazione della farina di manioca, da cui traggono il sostentamento. «Ora dipendono dai rifornimenti di cibo, ma questi arrivano con il contagocce», ha affermato suor Zélia Maria Batista, delle religiose catechiste francescane. Il Covid, inoltre, ha raggiunto anche la remota frontiera del Pará con il Suriname, dove vivono due popoli in isolamento volontario. Secondo fonti locali, il focolaio sarebbe stata la base militare aerea del villaggio di Missão Tiriyó.

Lucia Capuzzi per AVVENIRE 

Il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti: “Nelle riunioni che abbiamo avuto quasi ogni giorno tra fine febbraio inizio marzo, la Regione è sempre stata D’ACCORDO CON NOI nel ritenere dannosa, zona rossa per Alzano e Nembro”

 

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Il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti: “Nelle riunioni che abbiamo avuto quasi ogni giorno tra fine febbraio inizio marzo, la Regione è sempre stata D’ACCORDO CON NOI nel ritenere dannosa, zona rossa per Alzano e Nembro”

Da un articolo di Next Quotidiano del 09 aprile scorso:

Come Confindustria e la Regione Lombardia hanno fermato la zona rossa di Nembro

È il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti a fare chiarezza: “Nelle riunioni che abbiamo avuto concadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, anche in sede di Patto di sviluppo con artigiani, commercianti, lega delle cooperative e sindacati, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”

Il Fatto Quotidiano oggi racconta in un articolo a firma di Giampiero Calapà che la Confindustria e la Regione Lombardia sono sempre state d’accordo nel no alla zona rossa a Nembro e ad Alzano Lombardo, a differenza di quanto hanno raccontato Attilio Fontana e Giulio Gallera per settimane cercando di incolpare il governo per le loro non-decisioni.

È il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti a fare chiarezza: “Nelle riunioni che abbiamo avuto concadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, anche in sede di Patto di sviluppo con artigiani, commercianti, lega delle cooperative e sindacati, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”. Due giorni fa Gallera si tradisce alla trasmissione Agorà su Rai3: “Avremmo potuto fare noi la zona rossa? Ho approfondito ed effettivamente c’è una legge che lo consente”.

Questa legge sconosciuta prima dell’approfondimento è la 833 del 1978 “Istituzione del servizio sanitario nazionale”. Ieri, nello show ormai quotidiano, Gallera prova a spiegarsi: “Nel momento in cui il governo sta assumendo una decisione, ha senso che io la prenda quattro ore prima? Poi ci si accusa di non avere una sintonia istituzionale… Il 4 marzo arrivano i militari ad Alzano. Passa il 5, il 6, in quel momento l’assunzione di un’ordinanza da parte del governatore appariva originale visto che il governo aveva già dislocato le forze dell’ordine”.

Purtroppo Gallera dice una sciocchezza. O meglio, se dice qualcosa di vero, poi dovrebbe spiegare perché proprio lui e Fontana hanno invece varato un’ordinanza qualche ora prima che il governo varasse un decreto con ulteriori restrizioni. Quello che secondo Gallera sarebbe assurdo che accadesse, è invece accaduto tra il 22 e il 23 marzo.

E ora attenzione all’ultima frase dell’articolo:

MA ALLE RIUNIONI dei primi giorni di marzo (l’ultima giovedì 5), né Gallera né il governatore Attilio Fontana – come riferisce al Fattouna persona che ha potuto assistere alla videoconferenza –chiedono di far presto con la zona rossa ad Alzano e Nembro. Si limitano ad ascoltare le valutazioni del premier Giuseppe Conte e del ministro della Salute Roberto Speranza, in allarme fin dal 3 marzo sui dati anomali dei contagi ad Alzano-Nembro e a Orzinuovi (Brescia) riferiti dall’Istituto di Sanità al Comitato tecnico-scientifico. “La sensazione era che la giunta lombarda aspettasse una decisione modello Codogno, presa da Roma, senza doversi intestare la responsabilità della chiusura di Alzano e Nembro, come la legge gli avrebbe invece consentito di fare”, riferisce ancora la fonte.

fonte: https://www.nextquotidiano.it/confindustria-e-la-regione-lombardia-hanno-fermato-la-zona-rossa-di-nembro/?fbclid=IwAR2Pq2Njlyq2dEW-1StP1SUJKaQ9qnE3tJQHbULv5-6DgV7wNhfKGIhSXho

 

«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada» …Così rispondeva LEI, dirigente di farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando LUI, imprenditore di Barlassina, diceva che i laringoscopi rubati alle terapie intensive bisognava venderli a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa e quindi bisognava lucrarci. Sulla pelle della gente!

 

Saronno

 

 

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«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada» …Così rispondeva LEI, dirigente di farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando LUI, imprenditore di Barlassina, diceva che i laringoscopi rubati alle terapie intensive bisognava venderli a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa e quindi bisognava lucrarci. Sulla pelle della gente!

Leggi anche:

Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

«Sì, sì dai…una bella mangiata, un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada»

Così rispondeva lei, dirigente della farmacia ospedaliera dell’Asst di Saronno, quando lui, imprenditore di Barlassina, le diceva che quelle pile di laringoscopi sottratte alle terapie intensive bisognava venderle a 250 euro. Perché la situazione era disastrosa. E quindi bisognava lucrarci.

Lucrare in modo schifoso sulla pelle della gente. Della gente che stava morendo…

Lucrare su materiale che serviva ad intubare i pazienti. Che loro prima rubavano, e poi vendevano ad altre realtà sanitarie. Per giunta gonfiandone i prezzi. Così da completare il bel quadretto.

È questa la storia, mostruosa, che salta fuori oggi.
I due sono stati arrestati, ovviamente.

Il gip che ha coordinato l’inchiesta è arrivato a definirli “avidi e dotati di sconcertante cinismo”.

E noi, davvero, ci chiediamo cosa possa spingere un essere umano a fare una cosa così.

A guardare qualcuno sul punto di morte e vederci l’opportunità di tirare fuori del denaro da lì.

Nel dormire la notte sapendo che il materiale rubato sarebbe potuto servire a salvare una donna, un uomo, un bambino. Uno di quelli che i parenti non possono neanche vedere da morto. Uno di quelli ti vedi portar via in un sacco nero in un camion militare.

La borsa di Prada volevano loro.

Davvero ce lo chiediamo, che stomaco abbia certa gente.
E quando smettiamo di chiedercelo, arriviamo ad una sola conclusione.

Che in fondo non ce ne frega niente del loro stomaco. Perché i mostri, i veri mostri, esistono e sono sempre esistiti. E sono queste “persone”.

Per cui esiste un unico e solo posto: la galera. Quella da dove però la chiave non la metti da una parte: la butti… Speriamo.

Lo strano caso della bandana anti-Covid, distribuita in 300mila pezzi in Alto Adige per un costo di 700mila euro: non protegge dal virus, ma è prodotta dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano!

 

Alto Adige

 

 

 

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Lo strano caso della bandana anti-Covid, distribuita in 300mila pezzi in Alto Adige per un costo di 700mila euro: non protegge dal virus, ma è prodotta dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano!

La storia è di alcuni mesi fa, tornata alla ribalta perché ne ha parlato Report.

Marco Franchi sul Fatto Quotidiano già ne parlava a marzo scorso, quando ha raccontato una curiosa storia che riguarda una bandana anti-Coronavirus SARS-COV-2 (no, non è vero) distribuita in 300mila pezzi nelle edicole dell’Alto Adige per un costo di 700mila euro e prodotte dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano:

In Alto Adige hanno tentato anche quest’arma contro il contagio: 300mila pezzi distribuiti gratuitamente ai cittadini nelle edicole. Da giorni molti politici locali compaiono con la fascia intorno al collo. Ma adesso ecco arrivare la polemica: a produrre la bandana, ha raccontato il sito di informazione salto.bz, sarebbe una grande impresa di cui è socio un cugino dell’assessore alla Sanità della Provincia di Bolzano, Thomas Widmann. La spesa sarebbe di 700mila euro.

Immediate le critiche dal M5S in Provincia: “Non c’è nessuna evidenza che la fascia sia utile. La spesa rischia di essere inutile perché in Alto Adige tutti i cittadini hanno già una sciarpa”. Arno Kompatcher, presidente della Provincia (Süd Tiroler Volkspartei), taglia corto: “È solo fango sulle istituzioni e chi le rappresenta. Presenteremo una denuncia(ndr: mai presentata)”. Widmann, il diretto interessato, replica: “Non fate perdere tempo. C’è un’emergenza, lasciateci lavorare (ndr anche ai cugini)”.

In conferenza stampa Widmann l’ha raccontata così: “Abbiamo chiesto ad Assoimprenditori di indicarci imprese che potessero aiutarci”. Ne sono state individuate due. Sono il colosso Salewa e la TEX market fondata dai fratelli Heinrich e Cristoph Widmann. Salewa grazie ai suoi impianti cinesi avrebbe garantito 500mila maschere protettive FFP2 e FFP3, 400mila tute protettive e 40mila tute mediche per una spesa di 9,3 milioni. TEX market invece dovrebbe fornire bandane. Ma che utilità può avere una sciarpa contro il contagio? In conferenza stampa Weidmann ha risposto: “Non è mai stato detto che le bandane proteggo no”.

Ma allora perché distribuirne 700mila? “Tante cose contribuiscono ad allontanare il rischio, dal lavarsi le mani al mantenere le distanze. Tutto questo insieme di misure può essere utile”. Christoph Widmann di TEXmarket ha dichiarato a Salto.bz: “Siamo stati contattati per la consegna rapida di bandane. Non capita spesso che tu possa dare un contributo importante al tuoPaese: fare tutto il possibile per soddisfare questa richiesta è stato quindi ovvio per noi”. Dalla TEXmarket si sottolinea anche che ogni bandana è stata pagata appena 2,3 euro.