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L'informazione che dà fastidio
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La moneta è fatta al 95% di bit che costano zero, e al 5% di carta che costa quasi nulla. Stampare moneta è gratis ma la moneta ha un formidabile potere magico: può fare ripartire l’economia, l’occupazione e i redditi. La Bce potrebbe stampare tutta la moneta necessaria per rilanciare l’economia europea che si avvia verso una recessione a precipizio.
Invece è frenata e congelata dalla Germania che ha tutto l’interesse all’austerità monetaria. Infatti, più i Paesi mediterranei cadono in recessione, più i capitali fuggono verso Deutschland. Così lo spread – il differenziale del costo del debito con la Germania – sale per i Paesi più fragili. In questo modo l’economia tedesca può avvantaggiarsi dalla speculazione finanziaria e indebitarsi a tassi negativi o irrisori.
Prima della moneta unica, se i capitali fuggivano verso il marco questo si rivalutava, e la corrispondente svalutazione della lira faceva sì che l’Italia rimanesse a galla grazie all’aumento dell’export. Ora invece, con la moneta unica, la pressione di mercato sui titoli del debito pubblico fa sì che i Paesi periferici dell’euro – come l’Italia – rischiano di non potersi più finanziare e di fallire, o di dovere ricorrere alle “amorevoli cure” della Troika.
Questo accade nell’eurozona. Intanto il governo cinese prevede di stanziare 7500 miliardi di yuan, pari a 1000 miliardi di euro, per coprire gli investimenti pubblici necessari a rilanciare l’economia dopo la crisi coronavirus. Negli Usa la Fed, la banca centrale americana, stamperà circa 2000 miliardi di dollari per lo stesso scopo.
Rashida Tlaib, la parlamentare socialista seguace di Bernie Sanders, ha proposto che il Tesoro emetta altri 2 trilioni di monete legali di platino in modo che tutti i cittadini degli Stati Uniti abbiano immediatamente 2000 dollari caricati su carta bancomat del Tesoro, e poi altri mille ogni mese. Infatti, in base a un’antica legge americana, la Fed ha il monopolio della carta moneta ma il Tesoro può emettere (senza limiti) monete metalliche legali. La moneta del Tesoro non costituirebbe neppure debito pubblico. Mutatis mutandis, una cosa del genere si potrebbe fare in Italia con i Titoli di Sconto Fiscale. Essi funzionerebbero come “quasi-moneta” legale senza aumentare il debito pubblico nazionale.
Comunque, gli europei sono gli unici che hanno paura a monetizzare gli enormi debiti (per molte centinaia di miliardi) che gli stati dovranno fare per uscire dal baratro della crisi. È vero che la Bce ha già emesso 750 miliardi di euro per acquistare titoli di stato nazionali ma pochi sanno che questi miliardi non servono per l’economia reale, bensì (quasi) solo alle banche.
Infatti la Bce compra titoli di stato dalle banche per alimentare le loro riserve liquide: ma non è detto che poi le banche prestino soldi alle economie in difficoltà. Per esempio, se mio cugino ha un milione di euro di riserva non è detto che mi presti dei soldi quando io ho dei problemi. Anzi: il business delle banche è tipicamente pro ciclico: prestano tanto se va bene, prestano poco o nulla se va male. È per questo motivo che occorrono gli eurobond.
Gli eurobond verrebbero emessi da un ente europeo – come la Banca Europea degli Investimenti, il Meccanismo Europeo di Stabilità, o un altro ente creato apposta – e sarebbero obbligazioni sicure che gli investitori privati comprerebbero applicando bassi interessi perché sono coperti dalla Bce. Così gli stati avrebbero direttamente i miliardi da spendere per sollevare l’economia reale. Il problema è che, mentre Cina e Usa hanno già programmato di stampare trilioni, l’Eurozona stenta a trovare fondi comuni anche solo per pochi centinaia di milioni di dollari.
Ha ragione il premier Giuseppe Conte (che si sta dimostrando un vero statista). Siamo ad una svolta della storia d’Europa. O l’Unione Europea emette titoli di debito comuni – un po’ come il Tesoro americano emette i Treasury bond – oppure l’Europa (e l’euro) morirà nella crisi frantumandosi in tanti pezzi. La cosa paradossale è che la Bce potrebbe “stampare” tutta la moneta che vuole per comprare gli eurobond, senza togliere un centesimo ai contribuenti europei. Anzi, ci guadagnerebbero tutti. Ma non può.
Quando un illustre economista della Bocconi, come Roberto Perotti, declama che la Germania ha ragione a non volere gli eurobond perché non ne ha bisogno e perché pagherebbe di più il suo debito, dimostra di pensare più da ragioniere che da economista. L’Italia non deve chiedere aiuto a nessuno. Deve solamente far capire che essere uniti nella crisi serve a tutti. Se cade l’euro, anche la Germania va in crisi.
Questa volta Conte può vincere perché Francia e Germania, i due pilastri dell’Euro e della Ue, sono schierati su fronti opposti. Per la prima volta la Francia dell’ex banchiere Emmanuel Macron si è alleata con Italia e Spagna. E Macron ha in mano la carta vincente che si chiama Bce, l’unica istituzione europea che conta forse più del Bundestag perché ha il monopolio della moneta europea.
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Germania contraria alla condivisione del debito tra gli Stati membri dell’Unione Europeo.
Di conseguenza, Non ci saranno gli eurobond. Angela Merkel chiude la polemiche che si sono scatenate in Europa dopo la pandemia da Coronavirus: “Voi sapete che io non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli Eurobond”, ha dichiarato il cancelliere tedesco in conferenza stampa a Berlino.
Ed intanto un articolo del quotidiano tedesco di stampo conservatore (nazista, insomma) Die Welt avvisa: “Signora Merkel, rimanga incrollabile!”. L’editoriale a firma Christoph B. Schiltz chiede al governo tedesco di non cedere alle richieste italiane sui coronabond. Nel testo si scrive, tra l’altro, che in Italia la mafia sta aspettando i finanziamenti a pioggia dell’Ue. “La solidarietà è una importante categoria dell’Europa” ma “la sovranità nazionale nei confronti degli elettori è centrale”, scrive Welt online. La solidarietà deve essere generosa, ma “senza limiti e controlli?”, si chiede nell’articolo. “Dovrebbe essere chiaro che in Italia – dove la mafia è forte e sta adesso aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia di Bruxelles – i fondi dovrebbero essere versati soltanto per il sistema sanitario e non per il sistema sociale e fiscale”. “E naturalmente gli italiani devono essere controllati da Bruxelles e usare i fondi in modo conforme alle regole”, si aggiunge. “Anche nella crisi del coronavirus i principi fondamentali devono valere ancora”, conclude.
Ovviamente queste carogne dimenticano (o fanno finta di dimenticare, perchè – per cazzi loro – i crucchi hanno la memoria corta) la Conferenza di Londra del 1953…
Cosa si decise alla Conferenza di Londra del 1953? La prima della classe Germania è andata in default due volte durante il Novecento (nel 1923 e, di fatto, nel secondo dopoguerra).
In quella conferenza internazionale le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire.
Tra i Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’era l’Italia di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, e anche la povera e malandata Grecia, che pure subì enormi danni durante la seconda guerra mondiale da parte delle truppe tedeschi alle sue infrastrutture stradali, portuali e ai suoi impianti produttivi.
L’ammontare del debito di guerra tedesco dopo il 1945 aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra colossale che era pari al 100% del Pil tedesco. La Germania non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre. Guerre da essa stessa provocate.
I sovietici pretesero e ottennero il pagamento dei danni di guerra fino all’ultimo centesimo. Mentre gli altri Paesi, europei e non, decisero di rinunciare a più di metà della somma dovuta da Berlino.
Il 24 agosto 1953 ventuno Paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni.
In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto.
L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Helmut Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto.
Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.
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NEWS DALLA GRECIA
Ovvero i miracoli dell’Ue.
In questi giorni si parla tanto del MES e di come questo meccanismo fraudolentemente definito “fondo salva Stati’ abbia “aiutato” la Grecia ad uscire dalla crisi.
Ebbene, durante una seduta parlamentare, il ministro delle Finanze ellenico Staikouras ha illustrato quelli che saranno i parametri del governo per identificare il nuovo ceto medio greco uscito da 10 di austerità e tagli drammatici a stipendi e pensioni.
Con la legge di bilancio 2020 saranno considerati classe media, e quindi benestanti, i nuclei familiari così composti:
– singolo individuo, reddito annuo di almeno 6.294 euro. Che significa uno stipendio di 524 € al mese;
– famiglie di due persone, un reddito complessivo di almeno 8.901 l’anno. 741 € al mese;
– tre persone, un reddito annuo totale di almeno 10.901 €. Che fanno 908 euro al mese.
Una vera esplosione di benessere se consideriamo che il salario minimo di un lavoratore greco è fissato a 650€ al mese.
E la soglia di povertà è fissata dall’Ue a 6.000€ annui.
Questi sono i numeri, che notoriamente hanno la testa dura.
L’unione europea per salvare le banche franco-tedesche ha raso al suolo l’intera classe media greca.
E noi, continuando a credere alle criminali bugie dei nostri governanti, ci avviamo baldanzosi verso lo stesso drammatico destino.
A un Paese ormai esangue – tartassato da un’asuterità che ha fatto esplodere la disoccupazione e ucciso l’economia reale – si è chiesto di donare ancora più sangue e al contempo di correre ancor più veloce. Questo non è stato un salvataggio, questa è stata solo una tortura, è stata depauperazione programmata e deliberata, talmente illogica che persino il FMI all’epoca invocava una ristrutturazione del debito, a cui, come al solito, la Germania, con assurda protervia, si è oppone.
Le cifre sono impressionanti: più del 95% dei 215,9 miliardi stanziati per pagare i debiti di Atene sono stati usati per salvare le banche greche. E per salvare i loro creditori: le banche francesi e tedesche. Con i soldi dei contribuenti europei e rifiutando una logica fondamentale del capitalismo, quella secondo cui è giusto far fallire gli insolventi. La Grecia era insolvente e doveva fare default, dunque occorreva che le banche facessero fronte a queste perdite. Ma non si è voluto e non perché alla troika importasse un granché il destino della Grecia e del suo popolo. Contava – e conta – solo proteggere i banchieri dai loro colossali errori di valutazione.
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“Lo sai che adesso, se entriamo là (indica il Partenone alle spalle, NdR), paghiamo un biglietto e questi soldi vanno direttamente in Germania, in un apposito fondo destinato al risanamento del debito pubblico?” – lo dichiara a Byoblu.com la giornalista Giorgia Bitakou, politica e fondatrice del movimento Exit Greek che quest’anno, per la prima volta, è stato candidato alle elezioni europee.
“Sì, è vero, ha comprato queste case. Molte ONG hanno costituito un’mpresa immensa per l’accoglienza dei migranti che, però, una volta arrivati, non sanno dove andare, perché non ci sono spazi e strutture sufficienti per ospitarli. Esiste poi il problema dei trafficanti di esseri umani e degli sciacalli che sfruttano, attraverso lo scambio di denaro e i massicci investimenti nel mercato immobiliare, la condizione dei migranti. Comprano case per questa gente, per poi lasciarle vuote, senza dargliele. Questo giro di soldi immenso entra nelle tasche dei collaboratori di Soros e della sua istituzione. Soros stesso, spesse volte, scrive articoli sui giornali greci per cercare di persuadere i greci che “l’unica soluzione è lasciare spazio a questo nuovo mondo, dove non ci sono differenze di nazionalità, di fede, dove siamo tutti uguali, ecc. E che dobbiamo capire che, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo lasciare la sovranità”. Ha scritto esattamente così! È proprio questa la politica del nuovo ordine della globalizzazione, del mondo che rappresenta lui e i suoi dipendenti. E Tsipras e anche Mītsotakīs, naturalmente, lavorano per lui”.
Il video diffuso da Byoblu.com:
fonte: https://www.byoblu.com/2019/05/31/tsipras-il-traditore-giorgia-bitakou-intervistata-da-tiziana-alterio/
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Molti, tanti, troppi eccidi dei nazifascisti non sono stati oggetto di alcuna indagine. I casi furono archiviati per non danneggiare le relazioni italo-tedesche. E aspettano ancora giustizia.
Parliamo di circa 5.550 episodi solo in Italia (poi vi è una lunga lista di massacri avvenuti fuori confine), compresi nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945, con oltre 23.000 morti, perlopiù civili, con altissime percentuali di anziani, donne e bambini…
La verità sui crimini nazifascisti ha fatto e fa ancora paura. Non si può spiegare altrimenti quello che è successo al tribunale militare di Roma tra la fine degli Novanta e l’inizio del nuovo secolo e che è raccontato in uno studio della storica Isabella Insolvibile .
Stiamo parlando delle decine di migliaia di italiani (civili e militari) trucidati dai tedeschi e dai fascisti in Italia e all’estero e delle centinaia di processi chiusi per decenni nell’archivio segreto scoperto nel 1994 nelle stanze della procura generale militare. Franco Giustolisi, che per primo ne parlò sull’Espresso, lo definì l’ “Armadio della vergogna” e in un libro con questo titolo ne descrisse nel dettaglio il contenuto.
Nell’armadio della vergogna vi erano 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente” nel 1960 e dalle intestazioni capaci di evocare, al solo leggerle, terrore, sangue, morte: Cefalonia, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine… Sono le stragi impunite, nascoste per decenni perché la ricerca dei responsabili non interferisse nella costruzione dei nuovi rapporti italo-tedeschi.
L’armadio venne aperto, molti processi celebrati, decine di condanne all’ergastolo comminate. Sembrava, insomma, che la giustizia avesse fatto qualche passo. Anche se con decenni di ritardo, anche se nessun criminale ha fatto poi un solo giorno di prigione.
Lo scrupoloso lavoro della Insolvibile (Archiviazione “definitiva”, la sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, in Giornale di storia contemporanea, XVIII, 1,. 2015) dimostra invece che quell’armadio, in realtà, è rimasto in parte chiuso perché molti fascicoli sono stati aperti solo formalmente per poi essere richiusi frettolosamente, senza reali indagini.
Tra il 1994 e il 1995, dopo la scoperta dell’armadio, le carte vennero mandate alle procure militari competenti ma i processi “sono stati istruiti e si sono svolti perlopiù solo dal 2003 a oggi: su 695 fascicoli rinvenuti, infatti, le più di 300 indagini istruite e portate a compimento sono state effettuate quasi tutte dalla procura militare di La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010 e da quella di Roma dal 2010 a oggi. Limitandosi a un computo banale, c’è evidentemente un buco lungo almeno 8 anni, che va dal 1994 al 2002-2003”.
CEFALONIA ARCHIVIATA – La Insolvibile ha concentrato il proprio studio sui cosiddetti “casi esteri”. Sono gli eccidi di militari italiani compiuti dalle truppe tedesche subito dopo l’8 settembre, soprattutto nelle isole greche, nei Balcani, nei campi di prigionia. Il caso più famoso è quello dell’ isola di Cefalonia dove i soldati della divisione Acqui, che si rifiutarono di arrendersi, vennero sterminati. Ed è da Cefalonia, per capire concretamente quello che è successo negli uffici giudiziari militari romani, che parte la Insolvibile. “La documentazione relativa alla strage avvenuta nell’isola ionica”, scrive, “spettava, per competenza, alla procura militare di Roma. A capo di tale procura c’era, fino al 2010, colui che è unanimemente considerato lo “scopritore” dell’archivio segreto, Antonino Intelisano, che rinvenne i fascicoli durante le indagini del 1994 relative al caso Priebke.
L’indagine di Intelisano su Cefalonia partì però solo nel 2007, dopo le sollecitazioni provenienti dalla stampa, da un’assai opinabile decisione della corte di Monaco di Baviera (nel 2006 aveva archiviato l’inchiesta su Cefalonia per prescrizione, ndr) e da un’istanza presentata da alcuni parenti delle vittime”. L’unico indagato, l’allora sottotenente Otmar Mühlhauser, venne rinviato a giudizio nel 2009, ma poco tempo dopo morì e l’indagine condotta dalla procura romana si concluse. “Sarebbe stato solo il successore di Intelisano, Marco De Paolis, a riprendere in mano il caso, includendo sottufficiali e truppa tra i possibili responsabili, e portando finalmente Cefalonia in aula, con la condanna all’ergastolo (in contumacia) del caporale Störk nell’ottobre 2013”.
NOMI SBAGLIATI – Ma Cefalonia, scrive Isabella Insolvibile, non è l’unico caso “a ricevere un’attenzione quanto meno frettolosa e inadeguata”. Ha contato 41 episodi riconducibili ai “casi esteri” e sui quali “era ancora necessaria un’indagine e possibile un processo” in 26 dei quali vi erano “i nomi di alcuni dei presunti responsabili”. Solo per 18 di questi si è tentato un “qualche tipo di indagine” che non ha portato a nulla. Come nel caso delle stragi di Kos (vennero uccisi almeno 89 ufficiali italiani, ndr) e Leros (almeno 12 morti) il cui percorso giudiziario dopo il 1994 è ricostruito dettagliatamente nel saggio. L’allora pubblico ministero militare Intelisano chiede l’archiviazione del fascicolo quasi subito, nel 1995, per prescrizione. Ma il giudice respinge la richiesta ricordando che si tratta di reati imprescrittibili. Dopo otto mesi parte la prima lettera per la Germania con la richiesta, tra l’altro, di individuare un generale, Friedrich Wilhelm Muller , di cui si fornisce un nome errato e di cui era nota l’esecuzione ad Atene nel 1947. Le ricerche, ovviamente, non ebbero esito, e così il 12 ottobre 1999 Intelisano chiede nuovamente l’archiviazione del fascicolo intestato a “Muller Franz Ferdinando” che questa volta venne concessa.
Sorte simile a quella di Kos-Leros anche per gli altri fascicoli sui casi esteri dell’armadio della vergogna di competenza della procura romana e analizzati da Isabella Insolvibile. Le statistiche che si ricavano dalla dettagliata appendice, che analizza i procedimenti uno per uno, dimostrano a sufficienza la “frettolosa e inadeguata attenzione” riservata alle indagini sui massacri dei soldati italiani. I procedimenti per i quali non è stata svolta alcuna attività di indagine (in tutto 22) sono stati archiviati entro il 1996 (ad eccezione di un fascicolo archiviato nel 1999). Gli altri 18, per i quali qualche indagine, del tipo di quelle fatte per Kos e Leros, sono state svolte, sono stati archiviati nel 1999. Ma con una singolare concentrazione dei provvedimenti in pochi giorni. La procura della Repubblica militare chiede l’archiviazione dei 18 procedimenti in 11 giorni: per cinque l’8 ottobre 1999, per otto il 12 e per gli ultimi cinque il 19 ottobre. Il giudice per le indagini preliminari risponde con grande velocità. Archivia 11 procedimenti il 5 novembre, sei il 9 novembre e solo per uno la decisione slitterà al 28 luglio del 2000. Insomma tra l’8 ottobre e il 9 novembre 1999 è come se un’anta dell’armadio della vergogna si fosse richiusa, negando ancora una volta giustizia a migliaia di morti.
AUTORIZZAZIONE NEGATA – Alla procura militare di Roma, dopo l’assegnazione, tra il 1994 e il 1995, dei processi alle procure competenti, non restarono solo i fascicoli sui casi esteri ma anche quelli sulle stragi di centinaia e centinaia di civili massacrati dai nazifascisti nel centro Italia durante il periodo dell’occupazione. Per tentare di capirne la sorte avevo chiesto personalmente e formalmente, al Gip militare di Roma, il permesso di visionare i fascicoli archiviati da anni. La procura militare, guidata adesso da Marco De Paolis, aveva dato parere positivo spiegando che non sussiste “alcun impedimento”. Il gip Isacco Giorgio Giustiniani ha invece rigettato la richiesta perché “generica, relativa alla totalità degli atti, di una serie sostanzialmente indeterminata di procedimenti”. Eppure la richiesta non era per nulla generica, era accompagnata dall’elenco dettagliato dei processi fornito ufficialmente dalla procura. Processi su stragi famose e sanguinose su cui segreti e riservatezza dovrebbero essere spariti da tempo.
Ma cosa è successo alle indagini su queste stragi? Incrociando l’elenco fornito dalla procura e gli atti della commissione parlamentare che indagò sull’occultamento dei fascicoli si capisce facilmente come anche i fascicoli sui “casi italiani” abbiano subito la sorte dei quelli studiati da Isabella Insolvibile. Ricorrono, ad esempio, le stesse date. Il 5 novembre 1999, il giorno in cui il gip firma l’archiviazione di 11 “casi esteri” viene archiviato anche il fascicolo 536 relativo a fatti avvenuti a Capistrello e lo stesso giorno cade il silenzio anche su omicidi commessi a Tagliacozzo, sempre nell’aquilano. Tre anni prima ci fu un altro giorno di grande attività per il gip militare di Roma. Il 18 aprile 1996 archivia senza nessuna attività investigativa, come documenta la Insolvibile, quattro “casi esteri”. Lo stesso giorno, verosimilmente anche in questi casi senza nessuna attività investigativa, torna la pietra tombale sulla strage di Calvi, in Umbria (12 morti), di Tolfa, in provincia di Roma (quattro morti), dell’Aquila (nove morti).
NESSUNA VERITA’ – Tutto questo dimostra che l’archivio segreto scoperto nel 1994, l’armadio della vergogna, alla fine non è mai stato aperto del tutto. In poco più di un lustro quasi un terzo dei fascicoli che vi erano contenuti sono tornati a chiudersi dopo nessuna indagine o dopo indagini come quelle descritte. Proprio come se, davvero, la verità su quei crimini facesse ancora paura e rischiasse di creare tensioni nei rapporti tra Italia e Germania.
Conclude il suo saggio Isabella Insolvibile: “Il lavoro giudiziario che avrebbe dovuto essere fatto sulle stragi riscoperte, avrebbe potuto creare problemi, oltre a rappresentare un onere notevole per uno Stato, il nostro, da sempre a corto di risorse. Si scelse, quindi, di dichiarare la prescrizione e in ogni caso di archiviare, trasformando così una decisione illegale quale quella dell’archiviazione provvisoria in una sentenza storica definitiva, chiusa dal sigillo di una formale legalità”.
tratto da: http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/04/news/stragi-nazifasciste-quei-fascicoli-archiviati-dell-armadio-della-vergogna-1.223928
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A tentare la strada è Joachim Lau, avvocato tedesco residente in Italia. Il caso nasce all’inizio degli anni ’90 in Grecia e oggi è arrivato fino alla Cassazione italiana.
L’avvocato tedesco ma residente in Toscana Joachim Lau ta muovendo guerra al suo paese per assicurare che Berlino paghi i risarcimenti alle famiglie delle vittime della strage nazista di Distomo: oggi Lau ha portato la causa in Cassazione per portare avanti la procedura esecutiva per i risarcimenti, instaurata presso il tribunale civile di Roma.
Berlino finora è sempre riuscita a evitare i risarcimenti; adesso i parenti delle vittime cercano una sponda dai giudici italiani, tentando l’esecuzione forzata. Tutto comincia con una sentenza del tribunale della città di Livadia (in Grecia), che alla fine degli anni ’90 aveva condannato la Germania a risarcire i familiari di 218 vittime della strage di Distomo, commessa dalla Wehrmacht nel giugno 1944. Quella vittoria in tribunale è però rimasta lettera morta.
“La sentenza – spiega infatti l’avvocato Lau – non era eseguibile in Grecia, in quanto la legge lì prevede che una tale azione debba essere autorizzata dal governo, che però ha fermato l’esecuzione” per questioni attinenti ai rapporti tra i due Paesi e in relazione al forte debito pubblico greco. Un avvocato ha allora portato tutto davanti alla corte di Strasburgo, ma senza successo.
“Nella decisione europea, però” spiega Lau, “c’era scritto che la sentenza di risarcimento poteva essere eseguita in un altro Paese. Abbiamo indagato e abbiamo chiesto e ottenuto il riconoscimento del titolo esecutivo greco in Italia e con questo titolo abbiamo pignorato i crediti della ferrovia tedesca Deutsche Bahn nei confronti delle ferrovie italiane, milioni che le due società ripartiscono dalla vendita dei biglietti”.
Si è scelto l’Italia perché la Corte costituzionale nel 2014 ha dichiarato incostituzionale la legge che (recependo una decisione della Corte internazionale dell’Aia) aveva bloccato ogni esecuzione contro la Germania, aprendo alla causa per risarcimento. In gioco ci sono 50 milioni di euro e Lau ha seguito la strada della procedura esecutiva presso il tribunale di Roma, ora interrotta perché la Deutsche Bahn ha presentato ricorso in Cassazione, ritenendo illegittimo il procedimento.
Nell’udienza, tenuta questa mattina davanti alla Terza sezione civile della Cassazione, fa sapere il legale, la procura generale ha chiesto di respingere il ricorso tedesco. E se la Suprema Corte dovesse decidere allo stesso modo, non sarebbe la vittoria finale ma significherebbe che il procedimento di esecuzione può continuare. Un nuovo piccolo colpo per abbattere il muro. Il verdetto si conoscerà solo nelle prossime settimane, con le motivazioni.
“Questo è un processo pilota – osserva Lau – ci sono altre sentenze in attesa del procedimento esecutivo, ma è difficile individuare il patrimonio tedesco in Italia e una delle possibilità è la Deutsche Bahn, perché secondo la Costituzione tedesca, le ferrovie fanno parte del patrimonio della Germania federale”.
A Roma è venuto anche il neo sindaco di Distomo, Iannis Stathas, ex deputato di Syriza, a testimoniare l’importanza dei risarcimenti per la sua comunità: “Vogliamo che sia resa giustizia alle vittime contro tutti quelli che hanno perpetrato crimini contro l’umanità, a prescindere da quanto tempo sia passato. Siamo cresciuti nel ricordo di queste stragi e diciamo ‘mai più fascismo, mai più nazismo’. Vogliamo che la sentenza sia positiva anche per dare un segnale a nuovi rigurgiti fascisti”.
fonte: https://www.globalist.it/economy/2019/06/25/pignorare-i-beni-tedeschi-in-italia-per-risarcire-le-vittime-del-nazismo-il-caso-in-cassazione-2043403.html
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“Posso fare un commento alla stampa tedesca? Io sarei molto più preoccupato non tanto come italiano, quanto come tedesco, della situazione ad esempio della Deutsche Bank ma perché lo dicono loro”.
Così l’economista Antonio Maria Rinaldi intervenendo ad “Agorà”, su Raitre, giovedì scorso.
“Poi vorrei anche sottolineare una cosa – ha proseguito – è stato detto, per l’ennesima volta, che i tedeschi hanno paura di perdere soldi per l’Italia, vorrei tranquillizzare gli amici tedeschi che la Germania, nell’ambito dell’Unione Europea, non ha mai speso e mai dato una sola lira all’Italia”.
“Hanno paura di perdere soldi per darli all’Italia, non hanno dato neanche una lira, lo posso garantire” ha ribadito l’economista.
“Il problema è un altro, perché i soldi nel caso li hanno dati gli italiani per sanare i buchi delle banche tedesche e francesi con i fondi ‘salva stati’ e questo è un dato di fatto e lo dice anche D’Alema giustamente” ha spiegato.
“Quindi nel caso, siamo preoccupati noi del loro sistema bancario, perché fino ad adesso chi ha tirato fuori i soldi siamo stati noi e quindi i tedeschi non hanno tirato fuori una lira, si sappia, si documenti” ha concluso.
Qui il video
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Secondo la convenzione di Dublino, i migranti devono chiedere asilo nel primo paese di sbarco, rimanendovi per tutta la durata della procedura. In base a questo regolamento la Germania rispedisce in Italia sempre più migranti che riescono ad attraversare il confine a nord. E i migranti rispediti in Italia sono più di quelli che sbarcano sulle coste del nostro Paese.
Da gennaio a inizio maggio 2019 la Germania avrebbe rispedito in Italia centinaia di migranti che, dopo essere sbarcati sulle coste italiane, avevano attraversato il confine raggiungendo l’Europa centrale. Lo scorso anno Berlino avrebbe trasferito 2.848 persone in Italia, in base alle procedure stabilite dal regolamento di Dublino, per cui un richiedente asilo deve inoltrare la sua domanda di protezione internazionale nel primo paese di arrivo. Per questo motivo, i migranti rispediti nel primo paese di sbarco vengono definiti “Dublinanti”.
Non si tratta solamente della Germania. A quanto riporta il Sole 24 Ore, citando fonti confermate anche dal ministero dell’Interno tedesco, anche Austria e Francia rimanderebbero in Italia un numero di migranti ancora più alto rispetto a quelli che sbarcano direttamente nel nostro Paese. Spesso queste persone vengono intercettate verso il confine a Ventimiglia o a Bolzano e costrette a tornare indietro. Una pratica legittima secondo la normativa di Dublino.
La maggior parte dei migranti torna in Italia
Berlino ha deciso di rendere noti questi numeri in seguito ad un’inchiesta, pubblicata sul Suddeutsche Zeitung lo scorso gennaio, e alle pressioni della deputata di Linke, Ulla Jelpke. Secondo il giornale, da gennaio a novembre 2018, su circa 51.558 casi presi in esame, il governo federale ha richiesto ad altri Paesi dell’Unione europea di riaccogliere i migranti arrivati in Germania da altri Stati membri, e almeno 35.375 domande sono state accettate, come previsto dai trattati. In Italia sarebbe rientrato un migrante espulso su tre. A quanto rimarca il giornale, il numero dei richiedenti asilo che vengono allontanati dalla Germania è in aumento, passando da un 15,1% nel 2017 a un 24,5% nel 2018.
Tensioni fra Roma e Berlino
La scorsa estate, il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer aveva fatto pressione su Italia e Grecia affinché accogliessero nuovamente i migranti che si erano registrati in prima istanza all’interno dei loro confini. Ad ottobre 2018 le tensioni fra Berlino e Roma era salite, in quanto il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini aveva deciso di bloccare i voli che dalla Germania riportavano indietro i “Dublinanti”. Il Viminale aveva affermato che “la programmazione di questi voli non è frutto di accordi politici sottoscritti dall’attuale governo”.
In quell’occasione la Repubblica aveva spiegato che, per questioni di ordine e sicurezza, normalmente si programmano al mese due voli di questo tipo, trasferendo circa 50 migranti in totale, ma che la Germania aveva iniziato ad utilizzare anche voli di linea per mandare indietro un numero di richiedenti asilo sempre maggiore. “Sono già 2.300 i migranti rispediti indietro dalla Germania e, con le riammissioni programmate, a fine anno il numero potrebbe arrivare a 4.000, raddoppiando la cifra totale dello scorso anno. Un’accelerazione su cui il ministro dell’Interno tedesco Seehofer punta molto in vista delle elezioni di domenica prossima”, aveva scritto il giornale.
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Dopo la Grande Guerra, John Maynard Keynes sostenne che il conto salato chiesto dai Paesi vincitori agli sconfitti avrebbe reso impossibile alla Germania di avviare la rinascita. L’ammontare del debito di guerra equivaleva, in effetti, al 100% del Pil tedesco. Fatalmemte, nel 1923 si arrivò al grande default tedesco, con l’iperinflazione che distrusse la repubblica di Weimar. Adolf Hitler si rifiutò di onorare i debiti, i marchi risparmiati furono investiti per la rinascita economica e il riarmo, concluso, come si sa, con una seconda guerra, ben peggiore, in seguito alla quale a Berlino si richiese un secondo, enorme quantitativo di denaro da parte di numerosi Paesi. L’ammontare complessivo aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora!)
La Germania sconfitta non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre, peraltro da essa stessa provocate.
Mentre i sovietici pretesero e ottennero il pagamento della somma loro spettante, fino all’ultimo centesimo, ottenuta anche facendo lavorare a costo zero migliaia di civili e prigionieri, il 24 agosto 1953 ben 21 Paesi, Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia, con un trattato firmato a Londra le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto. L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie, ma nel 1990 l’allora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto.
Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro.
Senza l’accordo di Londra che l’ha favorita come pochi, la Germania dovrebbe rimborsare debiti per altri 50 anni. E non ci sarebbe stata la forte crescita del secondo dopoguerra dell’economia tedesca, né Berlino avrebbe potuto entrare nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Quindi: che cos’ha da lamentare la Merkel, dal momento che il suo Paese ha subito e procurato difficoltà ben maggiori e che proprio dall’Italia e dalla Grecia ha ottenuto il dimezzamento delle somme dovute per i disastri provocati con la prima e la seconda guerra mondiale? La Grecia nel 1953 era molto povera, aveva un grande bisogno di quei soldi, e ne aveva sicuramente diritto, perché aggredita dalla Germania. Eppure… Perché nessun politico italiano ricorda ai tedeschi il debito non esigito?
Roberto Schena su Informare per resistere