Per la serie: “Ha fatto anche cose buone” – Quando c’era lui denunciare un bambino, e quindi condannarlo a morte, valeva 1500 lire…!

 

Ha fatto anche cose buone

 

 

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Per la serie: “Ha fatto anche cose buone” – Quando c’era lui denunciare un bambino, e quindi condannarlo a morte, valeva 1500 lire…!

La propaganda fascista aveva bisogno di titoli e di senso di appartenenza, far percepire alla popolazione gli ebrei come diversi e nemici. Il tutto con la difficoltà di cambiare l’istintiva morale cristiana dovendo far prevalere il senso di legalità.

A tal fine si affiancarono nel 1943 due provvedimenti, uno atto a multare chi dava ospitalità o nascondeva le origini ebraiche, dall’altra a premiare economicamente chi denunciava dei conoscenti di origini ebraiche.

Una tragedia che la Comunità ebraica di Roma ricorda bene e che ha portato a una lunga indagine per stilare l’elenco di quanti ebbero un ruolo in quella “caccia”.

Un bambino valeva 1.500 lire, una donna 3.000. Per un uomo si potevano ottenere 5.000 lire. Tutto in cambio del nome di un esponente della comunità ebraica, da consegnare ai nazisti perché fosse inviato ai campi di concentramento.

A Roma è stata ricostruita la lista nera di quanti contribuirono a vendere gli ebrei. Un elenco costato una lunga indagine e che la comunità della Capitale assicura non verrà mai reso noto. Furono 747 le persone denunciate dopo il primo rastrellamento, che andarono a sommarsi alle 1.022 catturate il 16 ottobre. Quasi 1.800 persone in totale, su 8.000 vittime italiane.

Particolarmente esposti erano gli adulti maschi, costretti a lasciare i loro rifugi per trovare di che fare sopravvivere le loro famiglie. Tra i delatori c’erano vicini di casa, colleghi di lavoro.

L’85% degli ebrei romani riuscì, nonostante tutto, a salvarsi. Secondo Claudio Procaccia, uno degli autori dello studio della Comunità ebraica, il merito fu in molti casi dei privati che li nascosero. “Per la maggior parte non c’era scambio di denaro. Negli istituti religiosi, invece, uno su due pagava un affitto”.

Qualcuno arrivò a battezzarsi per salvarsi. Circa una persona su dieci. Altri fecero perdere le loro tracce scappando o cambiando cognome.

Con questa propaganda le persone non vedevano più nei loro gesti un paese che condannava a morte famiglie e bambini ma faceva prevalere quella sensazione di rispetto della legge. La storia però ricorda e giudica le persone per i loro gesti e la vergogna di quello che fanno diventa indelebile.

Tra le ore 05:30 e le ore 14:00 di sabato 16 ottobre del 1943(il sabato nero), le SS invadono le strade del Ghetto di Roma e rastrellano 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini e bambine.

Tornarono in Italia solo 15 uomini, tra cui Cesare Segni ed una donna, Settimia Spizzichino che sopravvisse al campo di concentramento di Bergen-Belsen e morì nel 2000.

Nessuno dei bambini è mai tornato. 

29 settembre – 5 ottobre 1944, la strage nazifascista di Marzabotto. 1834 vittime. 216 erano bambini, la più piccola aveva solo 27 giorni …Però hanno fatto anche cose buone…!

 

Marzabotto

 

 

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29 settembre – 5 ottobre 1944, la strage nazifascista di Marzabotto. 1834 vittime. 216 erano bambini, la più piccola aveva solo pochi giorni …Però hanno fatto anche cose buone…!

L’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto, dal maggiore dei comuni colpiti) fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un’operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa. La strage di Marzabotto è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale.

Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana. (Salvatore Quasimodo)

Kesserling fu il mandante di una strage che nessun’altra superò per dimensioni e per ferocia.
L’esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco» perché aveva lasciato l’avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» portò avanti la sua “eroica” azione spalleggiato da elementi delle Brigate nere e con l’aiuto dei collaborazionisti in camicia nera.

A Marzabotto alcune SS parlavano un italiano perfetto: erano italiani. (Un sopravvissuto)

La mattina del 29 settembre ha inizio quella che verrà ricordata come la “strage di Marzabotto“, anche se in realtà i comuni interessati sono molti. Prima di muovere l’attacco ai partigiani, le SS accerchiano e rastrellano numerosi paesi: in località Caviglia i nazisti interrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano, a Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.

Le truppe si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate: nessuno viene risparmiato.

Anche nei comuni lo sterminio procede senza sosta; sono distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.

L’azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre: i partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante, Mario Musolesi, durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe delle SS.

Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1834 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.

Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane.

Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all’ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all’intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso.

Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l’identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all’azione penale per motivi di opportunità politica internazionale.

I collaborazionisti italiani – Per i fatti di Marzabotto ci fu anche una coda processuale italiana. Prima della condanna del maggiore Reder, nel 1946, la corte d’assise di Brescia aveva giudicato Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, due repubblichini (il primo, reggente del Fascio di Marzabotto, nonché commissario prefettizio durante la carneficina), per collaborazione, omicidio, incendio e devastazione. Mingardi ebbe la pena di morte, poi trasformata in ergastolo. Il secondo, 30 anni, poi ridotti a dieci anni e otto mesi. Tutti e due furono successivamente liberati per amnistia.

Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.