4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

 

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4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

Quanti conoscono la storia dell’eccidio di Kos, la cosiddetta “piccola Cefalonia”? Quanti sanno che nel 1943, in quell’isola greca del Dodecaneso, nel Mar Egeo, che allora era dominio italiano, furono trucidati 103 ufficiali italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti?

L’eccidio di Coo, o eccidio di Kos, fu un crimine di guerra perpetrato dall’esercito tedesco al comando del generale Friedrich-Wilhelm Müller ai danni dell’esercito italiano commesso tra il 4 ed il 7 ottobre 1943 sull’isola di Coo, che a quel tempo era territorio italiano, essendo parte del Dodecaneso. 103 ufficiali italiani vennero fucilati come rappresaglia per la resistenza opposta all’invasione tedesca dell’isola (la cosiddetta battaglia di Coo, parte della campagna del Dodecaneso).

Una documentazione sull’eccidio è stata ritrovata nel 1994 all’interno del cosiddetto armadio della vergogna.

Tra il 4 e il 6 ottobre i 148 ufficiali italiani catturati (che facevano parte del 10º Reggimento fanteria “Regina”, comandato dal colonnello Felice Leggio) subirono un processo sommario sotto la direzione di Müller, a conclusione del quale si decise che tutti gli ufficiali che avevano partecipato alla battaglia del 3 e 4 ottobre sarebbero stati fucilati (tale criterio peraltro non fu applicato molto rigorosamente, per esempio tra i condannati vi fu anche il veterinario dell’esercito, che non aveva avuto alcun ruolo nella difesa dell’isola).

Alla fine, dei 148 ufficiali, sette passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, dieci furono ricoverati in ospedale per poi essere trasferiti in Germania, mentre gli altri 103 furono fucilati dai militari della Wehrmacht a partire dalla sera del 4 ottobre fino al 7.

 

Prima gli italiani? No, prima i ricchi!

 

Prima gli italiani

 

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Prima gli italiani? No, prima i ricchi!

Contro il governo della carota e del bastone…

In Italia, negli ultimi 20 anni, la ricchezza si è spostata, con un andamento costante, dai salari ai profitti e lo stato sociale è stato ridotto in braghe di tela in nome dell’assioma teologico “meno stato, più mercato” . Quell’assioma è stato adottato di peso da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del paese i quali hanno invariabilmente alimentato questa tendenza fino a raggiungere lo splendido risultato di spingere nella povertà assoluta più di 5 milioni di persone ed altre 10 milioni di persone in quella relativa(a ridosso della “linea di povertà”) mentre il 5% di italiani si è impossessato dello stesso patrimonio dell’80% dei restanti.

Insomma, la coperta della quota che prima finiva in redistribuzione sotto forma di salario e servizi nelle così dette ” fasi espansive” si è ristretta ferocemente a causa della atavica avidità del padronato italiano che ha trovato in politici e sindacati docili sponde ai suoi desiderata ma anche per effetto dei folli diktat europei e del ricatto del debito infinito che hanno prodotto il mostro del “pareggio di bilancio” in Costituzione e dei tagli selvaggi alla spesa sociale. Ora il problema per milioni di famiglie già esistenti o per chi se ne volesse fare una è il seguente: con un salario medio di 900, 1000 euro al mese(se fai parte dei più fortunati) in cambio di un lavoro quasi sempre precario, come faccio vivere se solo per l’affitto di un modestissimo bilocale di in quartiere periferico mi chiedono almeno 700, 800 euro? Se a ciò aggiungiamo i costi sociali derivanti dalla liberalizzazione dei servizi pubblici, capiamo che c’è un “popolo” che magari non si sente classe ma che a metà del mese non sa più dove sbattere la testa per sopravvivere.

Ecco, a questa sofferenza il governo gialloverde ha dato sì una risposta in lievissima controtendenza rispetto a quelli precedenti ma in misura largamente insufficiente e temporanea più o meno come aveva fatto Renzi con i suoi bonus, ovvero, con degli una tantum che poi, attraverso partite di giro, finiscono per essere spalmati sempre sulla parte più povera del paese. In parole povere, una presa per le mele. Inevitabile che vada a finire così se non si vanno mai a prendere i quattrini dove sono finiti in questi anni, ovvero, da chi, mentre ci raccontavano la favola della ” crisi”, accumulava patrimoni giganteschi sotto l’egida di quell’ Unione Europea che, in nome di un astratto rigore dei conti pubblici, ha solo garantito la tenuta di quelle istituzioni finanziarie che continuano ad alimentare la spirale del così detto “debito pubblico”, ovvero, una trappola senza fine.

Al di là degli slogan, del marketing politico (rozzo ma efficace) e del linguaggio ultrademagogico lontano anni luce dall’understatement di un Gentiloni, i populisti reazionari e “sovranisti” non hanno nessuna intenzione di andare ad intaccare rendite, privilegi e parassitismi ma stanno solo occupando lo spazio lasciato vuoto dalla crisi di egemonia delle classi dirigenti.  Nel quaderno dal carcere n. 13 Antonio Gramsci descriveva quel tipo di crisi con queste parole “…ad un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costituiscono, li rappresentano e li dirigono non sono più riconosciuti come loro espressione dalla loro classe o frazione di classe. Quando queste crisi si verificano, la situazione immediata diventa delicata e pericolosa, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure rappresentate dagli uomini provvidenziali e carismatici.”

Tuttavia Marx nella sua analisi materialistica della transizione passaggio dalla repubblica all’impero dopo il colpo di stato di Luigi Bonaparte (” Il 18 Brumaio Bonaparte”) ci avvisava che le cause di quelle transizioni “… non dipendono dal carisma del capo ma dall’intreccio di condizioni politiche e sociali di fondo il cui degrado spiega anche l’emergere di tendenze carismatiche pronte a sfruttare le fragilità del sistema dilaniato dai conflitti fra le varie componenti borghesi e aristocratiche; analogamente è di grande importanza la riflessione sul ruolo delle classi subalterne, e in particolare del sottoproletariato.”.

Ecco, la semplice  demonizzazione dei vari Berlusconi, Renzi e Salvini senza una interpretazione della fase e delle cause che  ne hanno favorito le fortune sono una coazione a ripetere che va superata perché l’ascesa al potere di questi figuri altro non è che la variabile italiana della crisi di egemonia politica e culturale delle classi dirigenti. Una crisi che attraversa tutto l’occidente capitalistico e che è il prodotto da una lunga crisi sistemica e  da sovrapproduzione di merci che viene da lontano e che è stata solo mascherata e tamponata dalla finanziarizzazione dell’economia  mondiale degli ultimi decenni.

Allora, se non si fanno riforme vere di sistema e se non si rompono i i vincoli (in primis quelli dettati dalla UE) che creano l’impoverimento di massa e la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, si danno solo dei pannicelli caldi ad un malato grave.

Se da un lato si somministrano blandi anestetici per tamponare la sofferenza sociale, dall’altro si inaspriscono pesantemente le pene per scoraggiare le prossime rivolte e le lotte sui bisogni fondamentali disattesi.  Con il “decreto sicurezza” (che, non a caso, porta la firma del neofascista Salvini) chi occupa una casa per bisogno o rivendica diritti su posto di lavoro (vedi recente daspo contro lavoratori della multinazionale della logistica GLS di Piacenza) oppure rivendica, ad esempio, un prezzo equo a ciò che produce come i pastori sardi, ora, rischia anni di carcere. E intanto si continua ad alimentare una guerra tra poveri di stampo razzista per distrarre le masse dalle reali cause dell’impoverimento generalizzato: compressione salariale, precarizzazione generalizzata, privatizzazione del welfare e disinvestimento nel settore dell’edilizia popolare, spostando ad arte la “colpa” dai veri responsabili sui più poveri di tutti: gli immigrati pagati da Soros per farci la pelle.

E mentre i talk ed i social media sono intasati dalla propaganda salviniana con al centro lo slogan “prima gli italiani”, un’altra faglia già resa evidente dai risultati delle ultime elezioni politiche, rischia di esplodere: quella tra nord e sud. La guerra dei ricchi va avanti fino a rischiare di rompere la stessa unità nazionale attraverso il disegno di legge( inemendabile) di “autonomia differenziata” voluto dalla Lega (ma non osteggiato dal PD) in base al quale si metterà una pietra tombale sull’antica questione meridionale rendendo le differenze tra nord e sud del paese definitive ed insuperabili. Gli storici squilibri tra servizi, scuola, sanità tra nord e sud del paese non saranno più considerati un problema su cui investire risorse per ridurre i divari ma un dato codificato per sempre. E’ il vecchio progetto delle macroregioni della Lega che sta passando nella totale assenza di un dibattito pubblico. E’ chiaro che un passaggio del genere potrebbe avere conseguenze devastanti per la vita di milioni di persone e provocare nuove “rivolte di Palermo”. Ecco che lì potremo vedere nuovamente in azione il solito tallone di ferro.

Lo storico Luciano Canfora,  a proposito della deriva autoritaria e razzista del governo gialloverde, premettendo che non siamo ancora al fascismo, tuttavia, definiva le politiche dell’attuale governo intrise di elementi “fascistoidi”. Non pochi hanno gridato, di recente, al pericolo di un nuovo «diciannovismo» (definizione  che Pietro Nenni  diede dell’atmosfera politica del 1919  quando un insieme di tensioni, paure e pulsioni di massa aprì  la strada al fascismo). Ma se è vero che a forza di ripetere il mantra securitario (Minniti prima ancora di Salvini) hanno  instillato nei più l’idea che sia meglio rinunciare alla democrazia pur di avere più sicurezza ed aumentato la voglia di capi e uomini forti “perché le élites hanno  fallito”,  è vero pure che il problema è capire cosa sono oggi le élites e come agiscono davvero, al di là di ogni semplificazione che porta dritta alle solite confuse e stralunate teorie sulle cospirazioni mondiali massoniche e plutogiudaiche.

Così stando le cose, ci sarebbero tutte le premesse di una guerra civile o perlomeno di una serie di rivolte di massa perché la “carotina” (RdC e quota 100) sarà tantissimo al di sotto della soglia di aspettative che avevano creato e serve agli attuai cialtroni solo a buttare la palla in là per un altro po’ di tempo.  Gli basterà il “dl sicurezza” per tenere fermo il coperchio sulla pentola pronta ad esplodere? Si, se non saremo in grado di costruire un’alternativa radicata nel luoghi del conflitto sociale e nelle periferie abbandonate dalle sinistre al caviale e dai sinistrati allo sbando.

 

fonte: http://contropiano.org/interventi/2019/02/17/prima-gli-italiani-no-prima-i-ricchi-0112509?fbclid=IwAR2XCW6LQfd1c3oj4BwY6i80gayFtX4Y224ttzPu7tzkhwEAwljxg-MX1-c

 

Linciati per una capra, storia di cinque italiani vittime del razzismo negli Stati Uniti …ma non rompete i coglioni, noi Italiani oggi non siamo meglio di quegli assassini…!

 

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Linciati per una capra, storia di cinque italiani vittime del razzismo negli Stati Uniti …ma non rompete i coglioni, noi Italiani oggi non siamo meglio di quegli assassini…!

LINCIATI PER UNA CAPRA, STORIA DI CINQUE ITALIANI VITTIME DEL RAZZISMO NEGLI STATI UNITI

Il 20 luglio 1899 la capra di Francesco Difatta entrava nel giardino del sig. Hodges, medico e coroner della contea di Tallulah, in Louisiana, suo confinante.
Non era la prima volta che accadeva ma sarebbe stata l’ultima che quell’animale veniva a brucare nel suo terreno, pensò il rispettabile dottore. Così si recò dal proprietario della bestiola per attaccare bottone e dargli la lezione che si meritava.
Ne scaturì una lite furibonda durante la quale Hodges tirò fuori la pistola. Allora Giuseppe Difatta, accorso in difesa del fratello, sparò al coroner ferendolo. Il colpo fece arrivare sul luogo decine di residenti che preso atto della situazione decisero di farla pagare agli italiani. Francesco, Giuseppe e Carlo, il terzo fratello, insieme a Rosario Fiducia e Giovanni Cerami, con cui lavoravano nel commercio di frutta e verdura, dovettero barricarsi dentro la propria abitazione e far vedere alla folla inferocita che erano bene armati.
Quando sopraggiunse lo sceriffo della cittadina però non opposero resistenza. Tre di loro furono arrestati mentre Giuseppe con il fratello Carlo si diede alla macchia.
Avevano paura. Sapevano bene come andavano a finire certe situazioni in Louisiana. Di solito quando i sospettati erano neri, cinesi e anche italiani, prima si impiccava e poi si valutava se fossero o meno colpevoli dei reati che gli erano imputati.
E anche quella notte, a Tallulah, andò in questo modo.
300 persone armate entrarono nella prigione locale presero i detenuti e li impiccarono nel cortile del carcere senza che potessero nemmeno dire una parola per difendersi. La folla inferocita si disperse poi alla ricerca dei due fuggiaschi, che furono trovati e appesi per il collo vicino al macello.
Cinque siciliani, di cui tre già cittadini americani, erano morti così.
Dalle ricostruzioni di alcuni giornali italiani negli USA e delle autorità consolari emerse che le istituzioni locali, come sempre accadeva, avevano permesso i linciaggi. Gli assassinii erano figli del clima d’odio e di invidia che in città si era diffuso nei confronti dei siciliani. I cinque con il duro lavoro si erano guadagnati una certa posizione economica a scapito dei tradizionali commercianti locali e potevano perfino esercitare il diritto di voto locale.
L’incidente con il dott. Hodges era stata l’occasione per dare sfogo ad un rancore covato nel profondo.
La stampa del Sud difese a spada tratta gli autori del linciaggio, celebrandoli come giustizieri popolari, mentre le ricerche del Segretario dell’Ambasciata italiana Marquis Romano dimostravano che Giuseppe aveva sparato per legittima difesa.
La vicenda finì con un’inchiesta farsa da parte delle autorità federali e con un’indennità di 2000 dollari per i familiari di ogni vittima. Nessuno ovviamente venne processato ne tanto meno condannato per i cinque omicidi.

tratto da:
Cannibali e Re
Cronache Ribelli

 

Cane aizzato contro un “vucumprà”, tutto intorno ridevano e la padrona: “lui odia i negri come me” …ma proprio non vi fa schifo essere chiamati italiani? A me SI! Ed a questo punto, proprio tanto!

 

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Cane aizzato contro un “vucumprà”, tutto intorno ridevano e la padrona: “lui odia i negri come me” …ma proprio non vi fa schifo essere chiamati italiani? A me SI! Ed a questo punto, proprio tanto!

Cane aizzato contro un “vucumprà”, la padrona: “lui odia i negri come me”

Accade in Liguria. A raccontare la vicenda una ragazza Simona, che alle sue proteste si è sentita rispondere: “ospitali tu, puttana buonista”.

È un racconto agghiacciante quello che Simona ha rilasciato all’Espresso, dopo essere stata costretta a rimuoverlo da Facebook a causa delle troppe minacce ricevute, a lei e alla sua famiglia.

Simona era in una spiaggia, in Liguria, quando un cane di piccola taglia è corso verso un ragazzo di colore, uno di quelli che Salvini chiamerebbe con disprezzo razzista “vucumprà”. Il cane era stato aizzato dalla padrona e ha cominciato ad abbaiare e a ringhiare contro il ragazzo, mentre l’intera spiaggia applaudiva e lo incoraggiava. Una scena che in un paese civile non potrebbe e non dovrebbe verificarsi, ma è questa l’Italia sdoganata da Salvini: violenta, cattiva e criminale.

Simona ha provato a chiedere alla padrona del cane come le fosse venuto in mente e si è sentita rispondere: “il mio cane, come me, odia i negri. Fatti i cazzi tuoi, puttana buonista, ospitali a casa tua i negri così ti scopano meglio di tuo marito”.

Parole indegne del più becero scaricatore di porto in bocca a una distinta, e bianca, signora con il cagnolino in spiaggia. Una donna imbevuta d’odio al punto da non rendersi conto della propria stupidità.

Simona ha raccontato il fatto in un post, ma ha ricevuto talmente tante minacce da essere stata costretta a rimuoverlo. Riportiamo solo la fine: “”Io non ce la faccio ad accettare tutto questo. Non sono un’esperta di migrazioni, non sono una politica, non sono nulla di nulla. Sono solo una donna profondamente sconsolata e preoccupata da questo mondo in cui a volte mi sento come un pesce fuori d’acqua. Ma non ci sto. Io non lo accetto”.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/news/2018/07/03/cane-aizzato-contro-un-vucumpra-la-padrona-lui-odia-i-negri-come-me-2027300.html

Non dimenticate le parole di Juncker: “gli italiani lavorino di più e siano meno corrotti” …l’avrà pure detto dopo la terza bottiglia di vino, ma è questa l’Europa dove vogliamo stare?

 

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Non dimenticate le parole di Juncker: “gli italiani lavorino di più e siano meno corrotti” …l’avrà pure detto dopo la terza bottiglia di vino, ma è questa l’Europa dove vogliamo stare?

“Gli italiani devono lavorare di più, essere meno corrotti e smettere di incolpare l’Ue per tutti i problemi dell’Italia”: sono le parole durissime espresse dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, pronunciate nella sessione di domande e risposte con il pubblico alla conferenza a Bruxelles ‘New Pact for Europe’.

L’esponente di Bruxelles ha invitato inoltre gli italiani a “smettere di guardare all’Ue per salvare le regioni più povere del Paese”. Juncker – secondo quanto riporta il Guardian – è “profondamente innamorato” della “Bella Italia” ma non accetta che incolpi l’Ue o la Commissione “per tutti i suoi problemi”. “Gli italiani devono prendersi cura delle regioni povere d’Italia. Ciò significa più lavoro; meno corruzione; serietà”, ha indicato Juncker. “Li aiuteremo come abbiamo sempre fatto. Ma non si faccia il gioco di scarico di responsabilità con l’Ue. Un Paese è un Paese, una nazione è una nazione. Prima i Paesi, l’Europa in secondo luogo”.

via AGI

Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!!

 

Giorgio Napolitano

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Accadde Oggi – Il 15 maggio di 13 anni fa Giorgio Napolitano inizia il mandato come 11° Presidente della Repubblica Italiana – Sì Napolitano, quello che lanciava moniti e firmava qualunque porcata e che ora non molla i suoi privilegi: 880.000 Euro l’anno solo di pensione!

16 maggio 2016 – L’inizio del mandato di Giorgio Napolitano come 11° Presidente della Repubblica Italiana. Tra moniti e firme di leggi improbabili, ha fatto la storia del Paese… In negativo.

Da Il Fatto Quotidiano:

Napolitano, pensione dorata: chauffeur, maggiordomo. E ufficio da 100 mq

Nonostante i tagli annunciati nel 2007, per i presidenti emeriti della Repubblica rimane una lunga lista di benefit: una segreteria di almeno una decina di persone, un assistente “alla persona”, una serie di linee telefoniche dedicate. Ridurre i privilegi? Il suo ufficio stampa: “Ha avuto impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia”

Avrà di che consolarsi con il trattamento straordinario che lo aspetta: segreteria, guardarobiere, scorta. Con le dimissioni e l’uscita anticipata dal Quirinale, Giorgio Napolitano perderà la suprema carica, con un annuncio in arrivo probabilmente il 14 gennaio, ma non certo i servizi e i confort che hanno scandito la sua vita quirinalizia. Per lui, come da regolamenti in vigore, non si lesineranno mezzi e benefit, a cominciare dai telefoni satellitari, i collegamenti televisivi e telematici, lo staff nutritissimo e persino l’«addetto alla persona», sì, avete capito bene, proprio l’assistente-inserviente che alla corte inglese di Buckingam Palace più prosaicamente definirebbero “maggiordomo”. Insomma, un trattamento da vero monarca repubblicano al quale è riservato pure il diritto ad utilizzare un’auto con autista, privilegio che spetta anche alle vedove o ai primogeniti degli ex presidenti. Davvero niente male. E se ne era accorto lo stesso Napolitano che, nel 2007, tra le polemiche per le spese quirinalizie e le rivelazioni dei giornali sul trattamento degli ex annunciò tagli solenni. Ma, come Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare, quelle sforbiciate non sono mai arrivate e anche lui potrà dunque tranquillamente continuare a godere di sorprendenti agi e privilegi tra le compassate stanze di Palazzo Madama.

BENTORNATO, PRESIDENTE – Lasciato il Quirinale, Napolitano assumerà infatti le vesti di senatore a vita, carica che ha già ricoperto per pochi mesi dal 23 settembre 2005, quando fu nominato dal suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, fino alla sua elezione al Colle il 15 maggio 2006. Al Senato, dove insieme allo stesso Ciampi formerà la gloriosa coppia degli ex capi di Stato, Napolitano si sistemerà in una location diversa da quella che lo aveva ospitato per poco più di sette mesi prima di trasferirsi al Quirinale. Il suo vecchio ufficio, infatti, è stato nel frattempo assegnato ad un altro senatore a vita: quel Mario Monti da lui stesso nominato poco tempo prima di diventare presidente del Consiglio. Così, per Napolitano si sono dovuti tirare a lucido gli oltre cento metri quadrati degli uffici di Palazzo Giustiniani con vista su San Ivo a suo tempo occupati da un altro ex illustre inquilino del Colle, il defunto Oscar Luigi Scalfaro.

BENEFIT A VITA – Un “buen retiro” dorato che, allo stipendio dovuto ai comuni senatori eletti, circa 15mila euro mensili netti, tra indennità, rimborsi e ammennicoli vari, sommerà anche una lunga serie di benefit a carico del bilancio della presidenza della Repubblica. Documenti alla mano, si scopre infatti che in forza di un vecchio decreto del 1998 a ciascun presidente emerito spetta innanzitutto il diritto ad utilizzare un dipendente della carriera di concetto o esecutiva del segretariato generale del Quirinale con funzioni di segretario distaccato nel suo nuovo staff. Altri due dipendenti del Colle possono invece essere trasferiti presso la sua abitazione privata romana di via dei Serpenti, con mansioni l’uno di guardarobiere e l’altro di addetto alla persona. Poi ci sono le cosidette “risorse strumentali”: un telefono cellulare o satellitare, un fax e un’altra connessione urbana ultraprotetta, una linea dedicata per il collegamento con il centralino del Quirinale, un’altra per quello con la batteria del Viminale e un allacciamento diretto con gli uffici dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni, predisposti in duplicato presso lo studio e l’appartamento privato dell’ex presidente; quindi, collegamenti telematici (anche in questo caso doppi), consultazione delle agenzie di stampa e banche dati, oltre a connessioni televisive a bassa frequenza per la trasmissione dei lavori di Camera e Senato; per ultima, non poteva mancare, ecco l’auto con telefono e chauffeur riservata, vai a capire perché, pure alla vedova o al primogenito dell’ex capo di Stato. E non è finita.

PAGA IL SENATO – Una volta traslocato dal colle del Quirinale agli uffici del Senato, a Napolitano, come a tutti i presidenti emeriti della Repubblica, spettano altre cospicue dotazioni. Ci sono quelle della presidenza del Consiglio, mobilitata per l’utilizzo di treni, navi e aerei; ma ci sono soprattutto le altre poste a carico di Palazzo Madama. Si tratta di una munitissima segreteria composta da una decina di unità: un capo ufficio, tre funzionari, due addetti ai lavori esecutivi, altri due a quelle ausiliari e, a scelta, addirittura un consigliere diplomatico o militare. Una pletora di persone alla quale obbligatoriamente si aggiungono gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri addetti alla scorta e alle postazioni previste presso le abitazioni private del presidente. A conti fatti, una trentina di persone che forniranno i loro servizi nell’arco delle 24 ore. Non spetta, invece, agli ex inquilini del Colle alcuna liquidazione, assimilabile al Tfr dei comuni lavoratori o all’assegno previsto per i parlamentari non rieletti. Interpellato dal ilFattoquotidiano.it, l’ufficio stampa del Quirinale spiega che «al momento della cessazione dell’incarico di presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non riceverà alcuna indennità di fine mandato». L’attuale capo dello Stato, aggiungono dal Colle, «ha maturato 38 anni di contributi ma non ha mai beneficiato né beneficerà del vitalizio previsto per gli ex parlamentari in quanto incompatibile dapprima con l’assegno percepito in qualità di eurodeputato (Napolitano lo è stato dal 1999 al 2004, ndr), poi con quello di presidente della Repubblica e, infine, anche con quello di senatore a vita, carica che tornerà a rivestire una volta lasciato il Quirinale».

CHI SPENDING DI PIU’ – Quanto ai tagli ai privilegi degli ex capi di Stato annunciati qualche anno fa, i comunicatori del Colle spiegano a ilfattoquotidiano.it che «il mandato di Napolitano è stato finora caratterizzato da impegni tali da non consentirgli di deliberare sulla materia, ma qualora dovesse decidere di farlo prima della cessazione del suo incarico non intende fare della sua determinazione oggetto di campagna promozionale». Anche per ragioni di opportunità rispetto all’operato dei suoi predecessori. E, in ogni caso, «non è detto che, una volta esaurito il mandato, Napolitano si avvarrà indiscriminatamente delle prerogative previste per gli ex presidenti della Repubblica».
Insomma, prerogative rinunciabili ma solo se l’avente diritto vorrà.

 

Italiani e povertà – Per la Banca d’Italia è record storico… Scusate, ma prima delle Elezioni Gentiloni e Renzi non andavano raccontando che la crisi era finita, che eravamo in piena ripresa e che gli Italiani, finalmente, stavano molto meglio?

 

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Italiani e povertà – Per la Banca d’Italia è record storico… Scusate, ma prima delle Elezioni Gentiloni e Renzi non andavano raccontando che la crisi era finita, che eravamo in piena ripresa e che gli Italiani, finalmente, stavano molto meglio?

 

Italiani e povertà, Banca d’Italia: record storico

Nel 2016 la quota di italiani residenti (quindi nati sia in Italia che all’estero) a rischio di povertà è salita al 23%: si tratta del massimo storico da quando la Banca d’Italia ha iniziato questo tipo di rilevazioni. Il livello di povertà è quello di persone che dispongono di un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano.

L’analisi fornita da Via Nazionale mostra come rispetto al 2006 la quota di rischio – valutata in base alle caratteristiche del capofamiglia – sia cresciuta (spesso in maniera notevole) per quasi tutte le fasce di età, geografiche e condizione professionale. Unica eccezione i pensionati, la cui percentuale di individui a rischio è scesa dal 19,0% del 2006 al 16,6% del 2016.

In netta salita invece le ‘difficoltà’ per i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni (quota salita dal 22,6 al 29,7%), per chi vive al Nord (dall’8,3 al 15%) e soprattutto per gli immigrati, dove il rischio povertà è balzato dal 33,9 al 55%. Stabile, invece, pur se a livelli molto elevati, la percentuale di rischio povertà al Sud, che rimane al 39,4% (valore pressoché identico a dieci anni prima).

RICCHEZZA – Si confermano le forti disparità di distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane. L’indagine di Bankitalia sui loro bilanci mostra infatti come il 30% di famiglie più povere detiene l’1% della ricchezza netta mentre il 5% più ricco ne controlla il 30%.

REDDITO MEDIO – Nel 2016 il reddito equivalente medio delle famiglie italiane è cresciuto del 3,5% rispetto al 2014, interrompendo la caduta, pressoché continua, avviatasi nel 2006. Via Nazionale tuttavia sottolinea come il reddito equivalente resti ancora inferiore di 11 punti percentuali a quello di dieci anni prima. ADNKRONOS

 

fonte: http://www.imolaoggi.it/2018/03/12/italiani-e-poverta-banca-ditalia-record-storico/

Ci sono Italiani di serie A e Italiani di serie B? No? E allora qualcuno ci spieghi perché per i treni regionali in Sicilia ci sono 429 corse contro le 2.396 della Lombardia…!

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Ci sono Italiani di serie A e Italiani di serie B? No? E allora qualcuno ci spieghi perché per i treni regionali in Sicilia ci sono 429 corse contro le 2.396 della Lombardia…!

Treni regionali: in Sicilia 429 corse contro le 2.396 della Lombardia…

Da I Nuovi Vespri:

Ieri un comunicato di Trenitalia celebrava la puntualità dei sui treni nella nostra isola. Se non è una presa per i fondelli ci somiglia visto che tra un po’, come ci ricorda Legambiente,  si conteranno sulle dita…

A leggere il comunicato diffuso ieri da Trenitalia viene da sorridere: “In Sicilia sale all’ 85% la puntualità reale dei treni regionali arrivati entro i 5 minuti dall’orario previsto nel 2017. Solo lo 0,05% dei convogli regionali è stato cancellato, portando così al 99,9% l’indice di regolarità, che misura le corse effettuate rispetto alle programmate”.

Complimenti agli addetti alla comunicazione che, evidentemente, hanno ricevuto l’ordine di fare un po’ di propaganda sullo stato del servizio in Sicilia, in vista del rinnovo del contratto con la regione (ve ne parliamo qui).

In buona sostanza, però, il tutto suona come una presa per i fondelli: vantarsi della puntualità a fronte di tagli feroci e disservizi bestiali è davvero troppo.

Caso vuole che oggi Legambiente ci ricordi qualche numero: “Le corse dei treni regionali in tutta la Sicilia sono 429 contro le 2.396 della Lombardia. Inoltre i convogli sono più vecchi – con una età media nettamente più alta 19,2 anni rispetto ai 13,3 del Nord e a quella nazionale di 16,8 – e sono più lenti, sia per problemi di infrastruttura sia perché circolano treni vecchi e non più adatti alla domanda di mobilità”.

Lo si legge su ‘Pendolaria’ il  rapporto annuale di Legambiente presentato oggi a Roma che analizza nel dettaglio numeri e storie di un’Italia a due velocità e le varie disuguaglianze che ci sono nel Paese.

“Ai grandi successi dell’Alta Velocità maturati in questi anni, si affianca una situazione del trasporto regionale che rimane difficile, anche per via della riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-15,5 dal 2010 al 2016) con un calo del 40% dei passeggeri e la diminuzione dei collegamenti regionali (-6,5% dal 2010 al 2016), a seguito dei tagli realizzati nel 2009 dal Governo Berlusconi.

Eppure, come emerge in Pendolaria, dove si investe nella cura del ferro il numero dei pendolari cresce e aumenta la voglia di spostarsi in treno come è accaduto, appunto, in Lombardia.

 

“Ancora una volta ci troviamo a commentare un rapporto che, tranne pochi casi, fotografa una situazione mortificante per pendolari e turisti – dichiara il presidente di Legambiente Sicilia Gianfranco Zanna -. Sulla linea che collega Messina a Siracusa, – continua – passando per Catania la velocità media è di 64 km orari e negli ultimi 15 anni i treni si sono ridotti addirittura del 41% e viaggiano meno veloci che in passato. Stiamo parlando di 180 km di linea che collega tre grandi città siciliane, capoluoghi di Provincia, località turistiche e porti. Grave è anche lo stato di degrado delle stazioni. Se vogliamo davvero cambiare il nostro stile di vita è innegabile che invece di tagliare occorre investire sulle ferrovie. Sempre più persone, infatti, preferirebbero il treno all’auto o al pullman, ma in Sicilia la strada è ancora in salita”.

“Una class action di tutti i siciliani contro Trenitalia”

fonte: http://www.inuovivespri.it/2018/01/17/treni-regionali-in-sicilia-429-corse-contro-le-2-396-della-lombardia/#_

Italiani: un popolo non unito, rassegnato e condannato alla sottomissione

 

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Italiani: un popolo non unito, rassegnato e condannato alla sottomissione

Di fronte alle ingiustizie gli italiani dimostrano di non essere un popolo unito: denunciano ma concretamente subiscono e si sottomettono

Di Magdi Cristiano Allam

Come mai gli italiani non si ribellano alle ingiustizie come fanno altri popoli? È una domanda che molti di noi si pongono. Se gli stranieri sui mezzi di trasporto pubblici si rifiutano di pagare il biglietto e peggio ancora aggrediscono fisicamente il controllore, tutti noi denunciamo totalmente indignati, ma poi concretamente li si lascia fare e alla fine siamo solo noi italiani ad essere tenuti a pagare il biglietto.

Se nelle nostre città talune vie, parchi, piazze o quartieri diventano pericolosi per la presenza di delinquenti comuni, spacciatori di droga, sfaccendati che molestano donne e bambini aspirando a violentarli sessualmente, noi denunciamo massimamente preoccupati ma poi concretamente finiamo per non frequentare più quegli spazi pubblici che, di fatto, diventano delle roccaforti della criminalità.

Nel novembre del 2011 con la regia di Giorgio Napolitano e l’avvento al potere di Mario Monti l’Italia è stata sottomessa a una dittatura finanziaria che, da allora, ha spogliato la democrazia del suo contenuto sostanziale e ha generato quattro governi non eletti dagli italiani. Nel 2013 la Corte Costituzionale ha sentenziato l’incostituzionalità della legge elettorale con cui sono stati eletti i parlamenti nel 2006, 2008 e 2013, ma a quattro anni di distanza il parlamento continua a legiferare, così come i governi e i capi di Stato designati da quei parlamenti continuano a operare come se non fosse successo nulla.

Nel 2016 c’è stato il referendum sulla riforma della Costituzione. Il governo era per il “Sì” e ha vinto il “No”. Ma è stato riesumato un governo del “Sì” come se gli italiani non fossero andati a votare. Gli italiani hanno denunciato a viva voce, ma concretamente nessuno mette in discussione la legittimità del sistema politico o si sottrae all’osservanza delle decisioni assunte da questi governi.

A questo punto dobbiamo concludere che gli italiani che subiscono le ingiustizie limitandosi a denunciare ma senza ribellarsi concretamente, dimostrano di non essere un popolo unito. Massimo D’Azeglio all’indomani dell’unità d’Italia nel 1861 disse: «Pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli italiani». Prendiamo atto che gli italiani sono un popolo che si sente appagato dalla denuncia fine a se stessa, che vuole accontentare tutti e non scontentare nessuno, che aggira le realtà che impongono delle scelte impegnative.

Se questo comportamento potesse tradursi nella salvaguardia della civiltà che da millenni ha comunque garantito la crescita demografica, lo sviluppo economico e la qualità della vita, dovremmo considerarlo saggio e lungimirante nel lungo periodo anche se spregiudicato e riprovevole nell’immediato. Purtroppo non è così. Noi oggi rischiamo di perdere ciò che resta della nostra sovranità nazionale, di essere fagocitati dal Nuovo Ordine Mondiale assoggettato alla grande finanza, la sostituzione etnica e la sottomissione all’islam. O gli italiani insorgeranno uniti o moriremo senza avere la certezza e l’orgoglio di chi siamo.

Fonte: magdicristianoallam.it

15 maggio, Giornata Internazionale della Famiglia. Vogliamo festeggiarlo con un mostro vecchio articolo: “Turismo sessuale, italiani al primo posto: padri di famiglia a caccia di bambini …ma solo quando non partecipano al Family-Day”

Giornata Internazionale della Famiglia

 

 

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Il 15 Maggio, come ogni anno, si festeggia la Giornata Internazionale della Famiglia che fu proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti nel 1994. Anche noi vogliamo festeggiare questo evento pubblicando un nostro vecchio articolo.

Turismo sessuale, italiani al primo posto: padri di famiglia a caccia di bambini …ma solo quando non partecipano al Family-Day

 

ROMA – Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè. Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale. Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali. Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto. Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya. Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. Foto e filmati da portare a casa come souvenir. Costa quanto una buona cena o un’escursione. Puoi fare anche un pacchetto all inclusive: alloggio, vitto, viaggio, drink, preservativi e ragazze per un tot. Puoi cercare nei forum in Rete le occasioni, ci sono i siti apposta. Puoi scegliere tra ”20 mixt age prostitutes”, dalla prima infanzia in su. Puoi avere anche le vergini, mille euro in più. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura. Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico. Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).I MONDIALI DI CALCIO
E il demonio si sta mobilitando in Brasile, per rifornire il mercato, sebbene i bimbi sfruttati siano già 50.000. L’impennata arriverà coi Mondiali di calcio del 2014. «La settimana prossima ci incontreremo a Varsavia -racconta Marco Scarpati, direttore di Ecpat Italia- per pianificare, assieme alle Polizie di tutto il mondo, qualcosa che impedisca una replica, in Brasile, di quanto avvenne in Ucraina nel 2010 e in Sudafrica nel 2012: il racket trasportò bambini da tutti i territori circostanti, per accontentare la richiesta. Purtroppo tutto questo accade sempre, in occasione di eventi sportivi. E i controlli sono spesso labili, insufficienti, inefficaci». Ecco perché domenica, al grido Un altro viaggio è possibile, una marcia ciclistica lungo le strade di 29 città, organizzata dall’Ecpat e dalla Fiab, porterà in giro l’indignazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Pedalando, si segnalerà che questa è un’emergenza. Che un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati. Stime ufficiali, queste. Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni. Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno. Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno.

E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati. In vendita a casa nostra, per le nostre strade, o anche su ordinazione. Solo a voler guardare. Solo a voler sapere.

da Il Messaggero di Giovedì 6 Giugno 2013. …ma digitate su Google “Turismo sessuale, italiani al primo posto” e ne troverete tanti altri simili !!|