Dedicato a tutti quelli che dicono “ha fatto anche cose buone”: 10 giugno, anniversario della guerra folle di Mussolini a Francia e Inghilterra – Risultato 472.000 morti!

 

 

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Dedicato a tutti quelli che dicono “ha fatto anche cose buone”: 10 giugno, anniversario della guerra folle di Mussolini a Francia e Inghilterra – Risultato 472.000 morti!

A coloro i quali, ancora oggi, vanno dietro al ‘mito’ del pettoruto Cesare di cartapesta bisognerebbe raccontare come sono andate veramente le cose. Mussolini sbagliò e portò l’Italia allo sbaraglio. Ed è incredibile che ci siano ancora persone – serie ma disinformate – che si ispirino a un politico che si lasciò convincere dalla propaganda del Fuhrer

Oggi è il 10 giugno. Per tutti, o quasi, un giorno come un altro. E invece no. Oggi ricorre il 77 anniversario della dichiarazione di guerra da parte di Mussolini a Francia e Inghilterra, le “democrazie plutocratiche”. Piazza Venezia, a Roma, 77 anni fa, traboccava di gente, di italiani che ascoltavano esaltati il discorso di un esaltato.

“Italiani …!”. Un’eco lontana giunge fino a noi, figli e nipoti di quella tragedia che ha segnato la nostra storia e definito per sempre la minorità politica del nostro Paese nei confronti degli antichi vincitori che usano il nostro Paese come una loro appendice militare.

Come è stato possibile, si chiedono storici e gente comune. Non solo è stato possibile, ma non è stato evitato benché si potesse evitare. L’Italia non era pronta alla guerra, e il primo a saperlo era chi la dichiarò. E sarebbe bene che quanti, troppi, hanno fatto visita, in occasione dell’anniversario della morte di Mussolini alla sua tomba almeno conoscessero la storia. Forse alcuni di loro arretrerebbero inorriditi, e già sarebbe qualcosa. I mentecatti e gli esaltati non li puoi convincere, devi solo sperare che si contentino di fare sceneggiate.

Eppure, il 25 agosto del 1939, quando Hitler aveva ormai deciso di invadere la Polonia, Mussolini, pur legato a doppio filo con il Fuhrer, si tirò indietro. Ecco che cosa scrisse al sua alleato:

“Se la Germania attaccherà la Polonia e gli alleati di questa nazione inizieranno un contrattacco verso la Germania, Vi informo d’anticipo che sarà opportuno per me non prendere l’iniziativa in operazioni militari, dato l’attuale stato della preparazione bellica italiana. Nondimeno il nostro intervento può aver luogo senza indugio se la Germania ci invierà immediatamente le forniture militari e le materie prime necessarie per resistere all’attacco che la Francia e la Gran Bretagna dirigerebbero principalmente contro di noi… Nei nostri incontri la guerra era stata prevista per il 1942 e per quell’epoca io sarei stato pronto in terra, in mare e in cielo…”.

Che cosa fece cambiare idea nel giro di soli nove mesi al nostro pettoruto Cesare di cartapesta?
Le travolgenti vittorie militari tedesche, ovviamente, che lo accecarono e perdettero Mussolini con una decisione scellerata, frutto di cinismo e di stupidità, il 25 maggio del 1939 affermò testualmente davanti a testimoni:

“Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative” (di una pace che credette imminente).

Ebbene, nel nostro Paese c’è ancora gente tanto immorale e disonesta intellettualmente da spingere un branco di mentecatti e purtroppo un certo numero persone serie ma disinformate e disavvedute ad onorare questo miserabile e a votare per formazioni politiche che si ispirano ancora alla sua trista figura.

 

fonte: https://bandabassotti.myblog.it/2017/06/10/dedicato-a-berlusconi-ed-a-tutti-quelli-che-dicono-ha-fatto-anche-cose-buone-10-giugno-anniversario-della-guerra-folle-di-mussolini-a-francia-e-inghilterra-risultato-472-000-morti/

Voroufakis: “L’Italia è stata piegata. Accettando il Mes si è condannata alla depressione permanente”

 

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Voroufakis: “L’Italia è stata piegata. Accettando il Mes si è condannata alla depressione permanente”

Commentando su twitter l’accordo Caporetto per l’Italia raggiunto all’Eurogruppo pochi minuti fa, Yanis Varoufakis, ex ministro della Grecia ai tempi del primo governo Tsipras e il protagonista durante la trattativa per il rinnovo del famigerato memorandum così commenta su twitter:

“E eccoci qui: Italia e gli altri piegati. Hanno accettato i prestiti del Mes che porteranno a austerità stringente il prossimo anno, pietosi prestiti per le imprese della Bei, uno pseudo schema federale di assicurazione sulla disoccupazione, più qualche pillola di filantropia.  In cambio si sono impegnati a depressione permanente”.

 

Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

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Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

10 fake news oggi diffuse sul fascismo. Viva il 25 aprile

Per colpa di Salvini, ma anche di altri che non si dichiarano salviniani, in Italia si sta sdoganando il fascismo. Uno dei mezzi di questa operazione è propalare fakenews, di cui la più scontata e banale è: “Mussolini ha anche fatto cose buone”.

Altre però sono più insidiose, anche perché spesso non vengono solo usate dai fascisti, ma anche da chi si dichiara antifascista, ma poi usa l’antifascismo solo per sostenere gli interessi delle élites del potere. Così tanti contribuiscono a diffondere la prima fakenews sul fascismo: che esso sia contro il potere ed il sistema.

Vediamo alcune di queste falsità.

1) Mussolini ed il fascismo sono andati al potere con il consenso elettorale della maggioranza degli italiani.

FALSO. Nelle elezioni del 1921 i fascisti ottennero 37 deputati su 535, presentandosi assieme ai liberali conservatori in una lista guidata da Giolitti, che complessivamente ottenne il 19% dei voti. Questa era la forza elettorale e parlamentare di Mussolini, quando il re Vittorio Emanuele III il 28 ottobre 1922 lo incaricò di formare il governo.

I fascisti dopo inaudite violenze e assassini contro il movimento operaio e i democratici, organizzarono la Marcia su Roma con la copertura di gran parte dell’apparato dello stato. L’esercito poteva disperderli, ma il GOLPE del re diede avvio alla dittatura. Va ricordato che anche Hitler non ottenne mai la maggioranza da libere elezioni , quando nel gennaio del 1933 il presidente tedesco Hindemburg lo nominò capo del governo aveva il 32%.

È vero che i fascisti han conquistato il potere con il consenso, ma quello delle classi dominanti, degli apparati dello stato, dei ricchi e dei poteri costituiti, che li hanno sostenuti e usati; e hanno permesso loro di instaurare la dittatura. Infatti il 25 luglio del 1943 quando il re, causa la guerra persa, destituì e fece arrestare Mussolini, il fascismo si sciolse come neve al sole..e ritornò solo come servo dell’occupazione militare tedesca.

2) Mussolini era contro il liberismo economico e per una sorta di socialismo nazionale.

FALSO. Queste le parole dello stesso Mussolini nel suo primo intervento alla Camera nel 1921:
Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell’attività privata dell’individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista, così come c’è stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.

Questo ultraliberismo, che oggi è il programma del fascista brasiliano Bolsonaro, non furono solo parole, ma la politica economica reale del fascismo fino alla grande crisi del 29. Solo dopo quella crisi devastante Mussolini fu costretto, come quasi tutti gli stati del mondo, all’intervento pubblico per impedire il collasso dell’economia. Ma il fascismo si affermò come violenta dittatura liberista, per il privato ed il mercato.

3) Il fascismo oggi sarebbe contro l’Euro e la moneta unica ed i sacrifici che essa comporta.

FALSO. Mussolini volle per pure ragioni di potenza la parità fissa della lira con la sterlina, la cosiddetta “quota 90”, cioè un cambio fisso di novanta lire per una sterlina, Questa rinuncia ad ogni manovra sulla moneta, anzi sopravvalutando quella italiana, produsse danni enormi al sistema industriale e una terribile politica di austerità , culminata nella riduzione dei salari.

“Quota 90” era insomma una sorta di anticipazione dell’Euro. Le motivazioni del fascismo erano quella di stare monetariamente alla pari con la superpotenza di allora, la Gran Bretagna. Le motivazioni dell’Euro sono apparentemente diverse, ma hanno sempre alla base una scelta di potenza, stare alla pari della Germania e dall’Europa che più conta. In ogni caso al di là di ogni motivazione, gli effetti di Quota 90 sulla economia italiana furono disastrosi.

4) Il fascismo stava dalla parte degli operai.

FALSO. Il fascismo andò al potere organizzando il crumiraggio contro gli scioperi, bastonando ed uccidendo lavoratori e sindacalisti, bruciando le Camere del Lavoro. Dopo il 1925 sciolse i sindacati indipendenti e obbligò i lavoratori ad iscriversi ad un solo sindacato, quello corporativo fascista del quale facevano parte anche i padroni. Il fascismo imponeva la collaborazione di classe nel nome dell’impresa e dello stato e con il codice penale Rocco comminava anni di carcere per lo sciopero e per ogni forma di protesta del lavoro. La lotta di classe era il male da estirpare per il fascismo, come lo è ancora oggi per la Confindustria e qualsiasi multinazionale.

Alla fine degli anni venti il fascismo impose la RIDUZIONE DEI SALARI dal 10 al al 20%. Sotto il fascismo nelle fabbriche fu introdotto il cottimo Bedaux, il capostipite dei sistemi di sfruttamento taylorista, con la galera per chi protestava.

È vero che il fascismo organizzò dopolavoro, colonie estive, servizi per gli operai, ma come compensazione per il feroce sfruttamento a cui essi erano sottoposti, che produceva enormi profitti per i padroni, a partire da Gianni Agnelli, senatore del regno, che accolse in camicia nera Mussolini nel 1939. Lo accolse a Torino per inaugurare la fabbrica Mirafiori, e Mussolini parlò davanti a 50000 operai che lo accolsero in silenzio, senza applausi, senza grida di viva il Duce.

Per questo il dittatore fascista abbandonò furioso il palco. Non aveva sufficientemente tenuto conto di un rapporto dei servizi segreti del 1937 che diceva: “Nella massa lavoratrice si riscontra sempre un ambiente decisamente avverso alle istituzioni del regime”…

5) Il fascismo era una dittatura all’acqua di rose.

FALSO. Il fascismo colpiva ogni piccolo dissenso e reprimeva ogni opposizione e resistenza. Era un regime poliziesco di massa che cominciava con la delazione anche per una sola battuta sul regime. Si veniva allora convocati dalla locale Casa del Fascio e sottoposti a intimidazioni, olio di ricino, bastonature. Chi lavorava poteva essere licenziato per inosservanza delle disposizioni del regime, come indossare la camicia nera il 28 ottobre.

Poi c’era il sistema poliziesco di stato che culminava nell’OVRA, la polizia politica che se necessario si trasformava in organizzazione terrorista per uccidere gli oppositori, e nel Tribunale Speciale. Questo organismo istituito nel 1927, instaurò migliaia di processi contro gli antifascisti, condannandone più di 4500 a enormi pene detentive, tra essi Antonio Gramsci e Sandro Pertini, e diverse decine alla pena di morte che il fascismo aveva reintrodotto. Il primo ucciso dal Tribunale fascista fu un muratore comunista.

6) Il fascismo non era razzista ed antisemita, lo divenne solo dopo l’alleanza con Hitler.

FALSO. il fascismo è sempre stato dichiaratamente razzista, verso gli slavi, contro i quali iniziò in Venezia Giulia e Istria una feroce pulizia etnica, e naturalmente verso gli africani. La canzone fascista Faccetta Nera, che celebrava la guerra di aggressione all’Etiopia, fu proibita dal regime perché accusata di favorire la commistione delle razze. Per il fascismo PRIMA GLI ITALIANI era la base fondante di ogni discriminazione razziale.

Le leggi razziali contro gli ebrei varate nel 1938 furono rivendicate dal fascismo come realizzazione dello spirito originario del partito. Mussolini dichiarò che il fascismo era antisemita fin dalla sua fondazione nel 1919.

7) Il fascismo era patriottico.

FALSO. Il fascismo era un regime aggressivo che usava il patriottismo per coprire i propri interessi e il proprio potere. Dalla metà degli anni 30 il fascismo iniziò una politica di guerra e aggressioni militari, Etiopia, Spagna, Albania, che culminò nella partecipazione al fianco di Hitler alla seconda guerra mondiale.

Il patriottismo copriva la guerra e la guerra serviva per affari, potere e consenso. E la guerra subordinava il fascismo alla potenza straniera.

Che la guerra e le servitù della guerra per il fascismo venissero prima della Patria lo dimostra la cosiddetta Repubblica Sociale, lo stato fantoccio che i nazisti imposero con l’occupazione militare dell’Italia centro settentrionale, dal 1943 al 1945. I fascisti, scomparsi, dopo il 25 luglio, ricomparvero come collaborazionisti con l’invasore.

Non erano patrioti, ma scherani della Germania, a cui Mussolini aveva venduto il paese, compresa la cessione di Trento e Trieste. Quando fu catturato dai partigiani Mussolini era travestito da soldato tedesco e stava fuggendo in Svizzera per consegnarsi agli Americani. Il fascismo è sempre stato servo di potenze estere. Matteotti fu ucciso perché stava per svelare i finanziamenti esteri del fascismo.

8) Il fascismo era duro, ma onesto.

FALSO. Il fascismo era un regime ad altissimo tasso di corruzione. I gerarchi fascisti erano i titolari, in ogni territorio o area di influenza, di affari, mazzette, tangenti. Un gigantesco flusso di danaro arricchiva la gerarchia fascista. Tutti i capi fascisti, nessuno escluso, si arricchirono enormemente durante il ventennio.

I capi fascisti erano quasi tutti poveri spiantati nel 1920 e tutti straricchi nel 1940. Si può anzi dire che il fascismo fu il primo regime in Italia ad organizzare scientificamente la corruzione politica. Ci si iscriveva al partito anche con la speranza di diventare ricchi. Questa corruzione alimentava le ruberie ai danni dello stato dei fornitori privati, che giunsero anche a colpire le truppe italiane in guerra.

Ad esempio i soldati mandati a combattere contro l’Unione Sovietica con scarpe di cartone per le ruberie dei fornitori e le mazzette ai fascisti. Lo stesso Prefetto Mori, il feroce prefetto di ferro mandato nel 1920 in Sicilia per combattere la mafia, fu destituito dal fascismo quando cominciò ad indagare sui legami tra cosche mafiose e gerarchi fascisti locali.

Il fascismo fu un regime di ladrocinio organizzato, perché sulla corruzione si fondavano il potere e il consenso. E Mussolini era il vertice ed il garante di questo regime. Se allora ci fosse stata una magistratura indipendente, il fascismo sarebbe stato travolto dalla TANGENTOPOLI NERA. Tutto questo oggi è ampiamente documentato.

9) I partigiani ed i fascisti in fondo avevano, pur da parti opposte, lo stesso amor di Patria.

FALSO. Questa è la mistificazione della memoria storica condivisa, della pacificazione ideale inventata da esponenti del PD più di venti anni fa e che oggi viene usata da ogni revisionismo storico. Fino a quello cialtrone di Salvini che parla di derby tra fascisti ed antifascisti.

Prima del 1943 chi resisteva al fascismo doveva operare in clandestinità a prezzi altissimi.
Dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono l’Italia centro settentrionale, essere antifascisti significava combattere l’ occupazione militare nazista e il collaborazionismo fascista.

Le due parti non erano eguali. Chi sceglieva la Resistenza rischiava tutto, per sé e per i familiari, doveva vivere sui monti o nelle cantine delle città. Chi stava coi nazisti era al caldo, protetto e al sicuro. Tanti pur non essendo fascisti decisero di aspettare, di non rischiare, i partigiani scelsero di opporsi. I partigiani facevano la guerra agli occupanti ed ai loro servi, i fascisti collaboravano alle stragi per rappresaglia verso la popolazione civile.

Certo potevano esserci un partigiano manigoldo ed un fascista onesto, ma comunque il primo lottava contro i criminali di Auschvitz, il secondo stava con loro. Antifascismo e fascismo non sono solo una contrapposizione politica, ma un insanabile contrasto morale. Il fascismo non è una semplice idea politica sbagliata, è un crimine materiale e morale.

La Resistenza e stata la sola vera rivoluzione popolare italiana, il momento nel quale il popolo italiano è insorto in massa contro il potere, il momento nel quale il popolo ha fatto giustizia della tirannia e ha conquistato la democrazia con le proprie mani.

10) Non ha più senso oggi di parlare di fascismo e antifascismo.

FALSO. Anche se una certa retorica antifascista è servita a coprire le malefatte del potere, i valori autentici dell’antifascismo ed il rifiuto delle basi di fondo del fascismo sono sempre attuali.
Dal 1945 ad oggi in Italia il neofascismo si è periodicamente affacciato sulla scena politica. Come strumento di ricatto verso la DC se avesse voluto spostarsi troppo verso il PCI. Come terreno di coltura della strategia della tensione e delle bombe contro le lotte degli anni 70. Come ideologia dell’ordine, dell’autoritarismo e della sopraffazione.

Siccome il fascismo in quanto tale è ancora screditato, il neofascismo oggi si veste diversamente, non indossa la camicia nera. Anche il potere lo aiuta attribuendo a questo neofascismo altri nomi, più neutri ed accattivanti, come sovranismo e populismo. In questo modo il potere ottiene due risultati: non chiama i fascisti con il loro nome nobilitandoli nella eventualità di servirsene, attribuisce ad ogni opposizione alle ingiustizie sociali un carattere reazionario ed eversivo.

Per questo è giusto squarciare il mascheramento fascista ed usare questo termine per chiunque oggi innalzi il vessillo reazionario intitolato a DIO PATRIA FAMIGLIA. I fascisti si offendono se dai loro dei fascisti, ma poi in ogni loro parola riaffermano l’ideologia fascista. Non sono razzista ma.. non sono fascista ma.. Ecco, ciò che viene dopo quei ma è moderno fascismo e non bisogna avere paura di chiamarlo come tale, se lo si vuole ancora una volta sconfiggere.

ORA E SEMPRE RESISTENZA VIVA IL 25 APRILE

 

tratto da:

Contropiano

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/04/25/10-fake-news-oggi-diffuse-sul-fascismo-viva-il-25-aprile-0114823?fbclid=IwAR0aGhEVbrxQp2dO87KHMmX6RdmS9hY46vBRXNRy2h8QqaVExKf-pA-ks9Y

20 anni di Euro: vincitori e vinti …E provate ad indovinare chi c’è tra i “vinti”, all’ultimo posto tra i “vinti”…!

 

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20 anni di Euro: vincitori e vinti …E provate ad indovinare chi c’è tra i “vinti”, all’ultimo posto tra i “vinti”…!

 

Pubblichiamo ora integralmente lo studio del Centre for European Policy di cui avevamo dato notizia il 26 febbraio nell’articolo di Giuseppe Masala “la non valutabilità della Tragedia dell’Euro” e quindi in quello di Francesco Piccioni, ringraziando Francesco Spataro per la traduzione.

Lo studio in questione non ha trovato molto spazio nei media italiani, per lo meno in quelli principali, se non per dar conto di polemiche tra economisti sul metodo utilizzato.

Scelta curiosa,  certamente, perché il Cep non è un istituto secondario dove magari si annidano “sovranisti populisti” intenti a fabbricare fake news. Al contrario, è un seriosissimo think tank tedesco che si è dato il compito di analizzare i progetti di legge e la legislazione dell’Unione Europea sulla base dei criteri fissati dall’ordoliberismo in materia di “libero mercato”. Insomma, vi si può trovare qualche espressione di soddisfazione per il risultato raggiunto, non certo indignazione per il saccheggio operato ai danni di alcuni paesi.

Per i non addetti ai lavori in teoria economica: l’ordoliberismo “è una variante del pensiero socio-liberale nata e sviluppata dalla scuola economica di Friburgo: l’ordoliberalismo si basa sul presupposto che il libero mercato ed il laissez faire da soli non risultano in grado di garantire l’equità sociale e che senza di essa i singoli individui non possono operare in condizioni di pari opportunità; lo Stato, pertanto, deve tutelare la proprietà privata, la libera iniziativa privata e deve assicurare un livello minimo ed universale di protezione sociale, in tal modo facendosi garante del fatto che ogni cittadino possa effettivamente godere di un pari trattamento di fronte alla legge“.

Establishment tedesco puro, insomma, tanto che si usa definire ordoliberale lo stesso impianto dei trattati costitutivi dell’Unione Europea. A riprova, l’istituto è attualmente guidato da  Lüder Gerken, presidente del comitato esecutivo dello Stiftung Ordnungspolitik and the Friedrich-August-von-Hayek Foundation. Il consiglio direttivo riunisce economisti ed ex ministri o ex commissari della Ue, come Roman HerzogLeszek BalcerowiczFrits BolkesteinUdo Di FabioJürgen Stark, Holger Steltzner and Hans Tietmeyer. Il Gotha della Ue, insomma…

Di certo ricorderete almeno Bolkestein che, da Commissario al mercato interno della Ue, fu l’autore della famosa “direttiva” Ue che avrebbe permesso – se non fosse stata respinta – di pagare un lavoratore straniero (anche se “comunitario”) assunto in un qualsiasi paese Ue secondo lo standard salariale del paese di origine. In Francia la sua direttiva divenne occasione di una ferocissima e anche spassosissima polemica pubblica contro l’”invasione degli idraulici polacchi” che ne sarebbe derivata…

Dunque, se un istituto che più “europeista” e germanocentrico non potrebbe essere pubblica uno studio in cui si spiega, dati alla mano, che la Germania è il paese che più ha guadagnato dall’introduzione dell’euro, mentre Francia e Italia quelli che ci hanno rimesso di più, in termini di ricchezza, vuol dire che le cose stanno davvero così. Al massimo potrebbero essere rimproverati di scarso senso dell’opportunità, visto che un studio del genere rischia di diventare benzina sul fuoco della propaganda in vista delle elezioni europee.

Non a caso, nelle “conclusioni” dedicate al percorso di ciascun paese, segue sempre l’indicazione tipica degli euroburocrati di Bruxelles: proseguire con il percorso di riforme strutturali per aumentare la competitività senza mai aumentare le perdite economiche.

Ma sapete come sono certi tecnocrati, sono così convinti di essere superiori e strapotenti, che se ne fottono dell’opportunità, anche quando confessano – anzi: rivendicano – di esser stati autori di una rapina che sarebbe stato più vantaggioso, per loro, nascondere. I media italici si sono impegnati a fare proprio questo, per evidente paura di incrementare l’ostilità pubblica contro Ue e moneta unica.

Noi, ovviamente, no. Anzi sollecitiamo tutti i compagni – a partire da quelli che ancora pensano che “la Ue sbaglia in molte cose, ma meglio che i nazionalismi”, oppure che “il problema sono alcuni trattati, non l’euro” – a studiarsi questo report e tutti i grafici (almeno quelli relativi a Germania, Francia e Italia). Potranno così evitare di essere pesantemente sbugiardati per manifesta ignoranza o, al contrario, di essere ringraziati dall’establishment per lo stesso motivo.

Perché la domanda da porsi, semplicissima, è: anche nell’eventualità onirica che una “coalizione di estrema sinistra” vinca le elezioni politiche con più del 51%, come diavolo faresti a mettere in atto politiche di miglioramento delle condizioni di vita mantenendo però una moneta che brucia sistematicamente quote rilevanti di ricchezza prodotta?

Buona lettura.

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20 anni di Euro: vincitori e vinti

Uno studio empirico

Febbraio 2019

Tabella 1

A 20 anni dalla sua introduzione l’Euro rimane una misura monetaria controversa. Il CEP ha usato il metodo di controllo sintetico per esaminare quali sono paesi che hanno guadagnato e quali hanno perso dal momento della sua introduzione come moneta unica.

  • La Germania ha guadagnato in assoluto più degli altri paesi dall’introduzione dell’Euro; quasi 1.900 miliardi fra il 1999 ed il 2017. Equivale ad € 23.000 per abitante. Esaminando gli altri casi, soltanto i Paesi Bassi hanno ricavato benefici sostanziali dall’introduzione della moneta unica.
  • Nei primissimi anni subito dopo la sua introduzione, la Grecia guadagnò enormemente, ma dal 2011 ha subito solo ingenti perdite. Durante l’intero periodo il bilancio finale di 2 miliardi di Euro e di € 190 pro-capite è a stento positivo.
  • In tutti gli altri Paesi analizzati a causa dell’Euro c’è stato un calo della ricchezza: 3,6 miliardi di Euro in Francia, fino ad arrivare all’Italia con una perdita di € 4.3 miliardi. Se ragioniamo per singolo abitante abbiamo una perdita pro capite di € 56,000 in Francia e di € 74.000 in Italia.

 

1 — INTRODUZIONE

Quest’anno l’Euro celebra il suo ventesimo compleanno; è dal 1° gennaio 1999, infatti, che è stato adottato come moneta unica dalla BCE. Alle commemorazioni per ricordare questo evento è stata però messa la sordina per effetto della crisi che la moneta sta subendo e che continua a covare sotto la cenere.

La crisi dell’Euro è iniziata in Grecia alla fine del 2009, ma subito dopo ha travolto numerose altri paesi dell’eurozona. All’apice di questa crisi, a metà del 2012, 5 dei 17 paesi appartenenti allora all’eurozona — Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Cipro — hanno avuto bisogno di un aiuto finanziario. Con il contributo dei fondi di assistenza espressamente creati (EFSM, EFSF ed ESM) e di prestiti bilaterali, questi paesi ricevettero rispettivamente, € 261,9 mld la Grecia, l’Irlanda € 45 mld, la Spagna € 41,3 mld, il Portogallo € 50,3 mld e Cipro € 6,3 mld.

Le preoccupazioni si ridussero solo il 26 luglio 2012, quando Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, promise che durante il suo mandato avrebbe fatto il possibile per tutelare l’Unione Monetaria: “Durante il nostro mandato, la BCE è pronta a fare qualsiasi tentativo necessario a preservare l’Euro.” (1) Con questa dichiarazione era stata appena scongiurata una dissoluzione dell’Euro.

Sebbene il Presidente Draghi sia stato capace di rassicurare tutti gli operatori finanziari dei mercati globali, questa promessa non riuscì a fare nulla per cambiare i principali problemi dell’eurozona. In particolare rimase senza soluzione il problema legato alle differenze di competitività tra i paesi dell’area.

Il problema nasce dal fatto che i singoli paesi dell’eurozona non sono stati più in grado di svalutare la propria moneta per rimanere competitivi a livello internazionale, un metodo usato comunemente prima dell’introduzione della moneta unica. Da quel momento l’erosione della competitività internazionale porta ad una crescita economica minore, e di contro ad un aumento della disoccupazione simultaneo ad un crollo del gettito fiscale. In particolare Italia e Grecia si trovarono a registrare notevoli difficoltà dovute al fatto, come si diceva, di non poter svalutare la propria moneta.

Nella pratica, questa tendenza ha portato ad una riflessione su pro e contro della moneta unica in ogni paese dell’eurozona. Da un lato i cittadini di alcuni paesi lamentano difficoltà per la scarsa crescita economica ed un alto tasso di disoccupazione, dall’altro la popolazione di altri paesi dell’eurozona critica l’intervento di Draghi ed il fatto che il sostegno finanziario li faccia sentire responsabili per i paesi in difficoltà. Venti anni dopo la sua introduzione la questione dell’euro è pertanto più controversa che mai.

Mancano ancora parecchi dati empirici attendibili riguardanti i paesi che hanno guadagnato dall’introduzione dell’euro e quelli che invece ne sono usciti sconfitti; sebbene siano stati pubblicati diversi studi sulla validità dell’Euro come incentivo al commercio fra i paesi dell’eurozona (2) i risultati non sono così netti. Inoltre, concentrarsi esclusivamente sugli scambi commerciali getta luce solo su un aspetto poco rilevante dell’introduzione dell’Euro, mentre viene trascurato il fatto che gli svantaggi maggiori dell’introduzione della moneta unica nascono proprio dal fatto che i paesi dell’eurozona non possono più svalutare la propria moneta.

Un indicatore significativo per capire se la moneta unica ha, nel complesso, portato ad una crescita o ad una flessione in termini di ricchezza e benessere per i singoli paesi della zona euro è l’andamento del PIL pro-capite della popolazione. Questo infatti è alla base dell’analisi empirica che segue, nella quale il metodo del controllo sintetico viene utilizzato nei confronti dei paesi dell’eurozona selezionati per determinare come il PIL pro-capite si sarebbe evoluto se questi non avessero aderito all’eurozona.

Mettendo a confronto questo dato con la tendenza attuale del PIL pro-capite si dimostra l’impatto che ha avuto sulla ricchezza l’adesione all’Euro. L’analisi può essere condotta anche solo nei confronti dei paesi della zona euro nei quali c’è stato un lungo gap, un intervallo fra l’accesso alla UE e l’introduzione della moneta unica, dato che questo è il solo modo per essere sicuri che il risultato dell’analisi non sia stato alterato dall’annessione alla UE e al suo mercato interno.

L’analisi è perciò stata condotta solo con riferimento a Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. Sebbene, come membri fondatori dell’Unione Europea, abbiano un intervallo congruo tra l’accesso alla UE e l’introduzione dell’Euro anche Lussemburgo ed Irlanda, i dati disponibili non permettono un risultato attendibile per questi ultimi due Paesi. (3)

La sezione 2 contiene una breve nota esplicativa su cosa è il metodo di controllo sintetico. La sezione 3 fornisce una sintesi degli effetti che l’introduzione della moneta unica ha avuto sulla ricchezza dei Paesi appartenenti alla zona euro esaminati. La sezione 4, infine, contiene il profilo, specificando gli effetti dell’introduzione dell’Euro nell’ intervallo che va dal1999 al 2007, di questi ultimi Paesi.

 

2 — METODOLOGIA: IL METODO DI CONTROLLO SINTETICO

La domanda che ci si è posti è stata: quanto sarebbe stato elevato il PIL pro-capite di uno specifico paese della zona euro se quello stesso paese non avesse introdotto la moneta unica a suo tempo?A questa domanda si è risposto con gli strumenti del metodo di controllo sintetico.(4)

Il metodo permette di quantificare gli effetti di una misura politica – in questo caso l’introduzione dell’Euro — in base ad una valutazione specifica, in questo caso il PIL nazionale pro-capite.(5) Usando il metodo di controllo sintetico, l’andamento reale del PIL pro-capite di un paese dell’eurozona può essere messo a confronto con un andamento ipotetico, supponendo che il paese in esame non abbia introdotto la moneta unica (scenario controfattuale).

Lo scenario controfattuale, o alternativo, è generato estrapolando l’evoluzione del PIL pro-capite in quei paesi che non aderirono all’Euro e che negli anni precedenti avevano segnalato orientamenti economici molto simili a quelli dei paesi dell’eurozona presi in considerazione, il cosiddetto gruppo di controllo.

Un algoritmo assegna uno specifico coefficiente detto di correzione (da 0% a 100%) ad ogni paese del gruppo di controllo al fine di ottenere la migliore fotografia del paese, assunto che la somma dei coefficienti correttori sia 100%. A tal proposito, gli specifici coefficienti di correzione sono selezionati in modo tale che la media ponderata dell’andamento del PIL pro-capite dei paesi del gruppo di controllo richiami il più possibile la tendenza del PIL pro-capite del paese della zona euro prima dell’introduzione della moneta unica.(6) I coefficienti di correzione non si basano su valutazioni di verosimiglianza, ma sono determinati attraverso un processo di ottimizzazione econometrico.

Il metodo di controllo sintetico è migliore di altri metodi che usano come strumento di confronto solo un singolo paese della zona non-euro, perché le probabilità di ottenere un andamento comparabile per il periodo antecedente l’introduzione dell’euro, e dunque uno scenario controfattuale, alternativo per il periodo seguente, sarebbe di gran lunga superiore se, piuttosto che un solo paese, venisse preso in considerazione l’insieme di diversi paesi, a ciascuno dei quali sia stato dato un differente coefficiente di correzione.

Determinare una media ponderata del gruppo di controllo è l’asse portante del metodo di controllo sintetico. Include due fasi: la prima è selezionare i paesi nel mondo che andranno a costituire ilgruppo di controllo per ogni singolo paese dell’eurozona; i paesi devono soddisfare i seguenti requisiti:

Punto uno, devono essere paesi che durante l’intero periodo di riferimento — dal 1980 al 2017 — non sono stati interessati da importanti shocks nazionali specifici che potrebbero distorcere i risultati. Secondariamente, non possono appartenere all’eurozona e, terzo il PIL pro-capite negli anni precedenti l’introduzione dell’Euro (cosiddetto periodo pre-adesione) di un paese del gruppo di controllo non può divergere significativamente dal PIL del paese dell’eurozona cha va ad esaminare (sia verso l’alto che verso il basso). (7)

Questa condizione assicura che i paesi con un livello di sviluppo significativamente alto o basso non distorcano i risultati per lo scenario controfattuale.

Più lungo sarà il periodo di pre-adesione scelto, più affidabili saranno i risultati. Riferiamo i nostri calcoli nel periodo che va dal 1980 al 1996. Suona strano che, terminando la forbice di tempo nel 1996, il tasso di conversione sia stato fissato improrogabilmente non prima del 1 gennaio 1999, tre anni dopo. Si può ipotizzare, o quantomeno non escludere che a causa dell’imminente introduzione dell’Euro gli operatori di mercato avessero già cambiato atteggiamento prima del 1999. (8)

Infine la terza condizione: i gruppi di controllo per i vari paesi dell’eurozona presi in esame sono costituiti ciascuno da paesi differenti e sono qui riportati nell’Allegato.

Il secondo passo è determinare un coefficiente, fra 0% e 100% per ogni paese nel gruppo di controllo, utilizzando un algoritmo econometrico, così che la media ponderata del gruppo di controllo riproduca nel modo più accurato possibile la tendenza del PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame, prima dell’introduzione della moneta unica.

Più grande sarà la corrispondenza tra un paese nel gruppo di controllo e quello preso in esame nell’eurozona prima dell’introduzione dell’Euro, più grande sarà il suo coefficiente. Per ottenere il coefficiente, anzitutto viene comparato l’andamento del PIL pro-capite nei paesi del gruppo di controllo (prezzi stabiliti dal 2010 in US $)(9) con quello dei paesi dell’eurozona presi in esame; in un secondo momento viene tenuto conto di dati economici aggiuntivi con grande influenza sul PIL pro-capite; e specificatamente il tasso di inflazione, la produzione industriale e quella del comparto dell’edilizia (in % di PIL), la formazione di capitale fisso (in % di PIL) e le importazioni ed esportazioni totali di materie prime e servizi (in % di PIL).(10)

Nell’interpretare i risultati si deve considerare che il metodo di controllo sintetico presuppone implicitamente che né il paese dell’eurozona preso in esame, né i paesi corrispondenti del gruppo di controllo con un coefficiente < di 0 abbiano adottato, dopo l’introduzione dell’Euro, delle riforme per accrescere il PIL pro-capite, né abbiano preso misure per ridurlo.

Raramente questa ipotesi è vera, ma comunque non invalida il metodo di controllo sintetico: punto uno, i risultati risultano così fondati che nessuna timida riforma avrebbe potuto metterli in discussione e, in secondo luogo, in caso di riforme sostanziali, dipende da come sarebbero state attuate. Ad esempio, se un paese dell’eurozona preso in esame avesse realizzato una riforma sostanziale che avrebbe incrementato il PIL pro-capite dopo l’introduzione dell’Euro, ma i paesi nel gruppo di controllo non lo avessero fatto, in linea di principio si sarebbe tradotto in una sovrastima dei benefici dell’introduzione della moneta unica.

L’esperienza ha comunque dimostrato che, di fatto era l’Euro stesso che stimolava alcuni paesi dell’eurozona ad attuare riforme che, con tutta probabilità, in altre condizioni, non avrebbero mai attuato. Ovviamente in questo caso il risultato non risulterebbe alterato dall’attuazione o meno di una riforma che dir si voglia.

 

3 — SINTESI DEI RISULTATI SUGLI EFFETTI DELL’INTRODUZIONE DELL’EURO

Per ciascuno dei paesi dell’eurozona presi in esame, la Tabella 1 indica in Euro quanto sarebbe stato minore o maggiore il PIL pro-capite nel 2017 (colonna 2) e quello complessivo (colonna 3), se la moneta unica non fosse stata introdotta.

Tab.1: Effetti dell’introduzione dell’Euro sul PIL nel 2017

Nel 2017, fra tutti i paesi dell’eurozona presi in esame, soltanto la Germania ed i Paesi Bassi hanno guadagnato con l’introduzione della moneta unica. In Germania il PIL complessivo salì fino a 280 miliardi e quello pro-capite ad € 3.390. L’Italia invece ci ha rimesso più di tutti. Con l’avvento dell’Euro il PIL italiano ha perso 530 miliardi, che corrisponde ad una perdita di quello pro-capite di € 8.756. Anche in Francia l’Euro ha portato ad una significativa perdita di ricchezza: 374 miliardi sul PIL complessivo, che corrisponde ad € 5.570 di quello pro-capite.

La Tabella 2 mostra gli effetti dell’introduzione dell’Euro sulla ricchezza pro-capite (colonna 2) e complessiva (colonna 3) sull’intero periodo che va dall’introduzione della moneta unica – il 1999 per tutti i paesi, eccetto la Grecia che lo adottò nel 2001 – fino al 2017. Gli effetti sulla ricchezza vengono determinati sommando il valore del PIL annuale pro-capite e moltiplicando il risultato per la media nazionale del tasso di consumo (11) del paese dell’eurozona comparandola con il dato del periodo pre-adesione (12).

Tab.2: Effetti complessivi dell’introduzione dell’Euro sulla ricchezza 1999/2017

Pertanto in Italia nel periodo 1999/2017 l’introduzione dell’Euro ha causato una perdita di circa € 74.000 per abitante e di 4.300 miliardi per l’economia complessiva. Per la Francia la perdita complessiva è ammontata a circa € 56.000 pro-capite ed ad una complessiva di 3.600 miliardi. La Germania invece ci ha guadagnato circa € 23.000 pro-capite e circa 1.900 miliardi nel complessivo.

La dimostrazione che gli effetti dell’Euro sula ricchezza in Grecia siano ancora di segno positivo è dovuta al fatto che la Grecia nei primi anni subito dopo l’adesione alla moneta unica ha guadagnato enormemente. La situazione è cambiata nel 2011 due anni dopo che la bolla creata nel 2009 era scoppiata. Da allora l’Euro ha avuto un’influenza negativa anche sulla ricchezza della Grecia.

 

4 — RISULTATI PER PAESE DI APPARTENENZA

Questa sezione contiene i profili dell’andamento dei paesi appartenenti all’eurozona presi in esame: Belgio, Germania, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.

Ciascun profilo inizia mostrando gli effetti dell’introduzione dell’euro sulla ricchezza di ogni paese, prendendo in esame l’intero periodo da quando è stata utilizzata la nuova moneta unica, sia per l’aspetto pro-capite che per quello dell’economia in generale.

Ogni profilo contiene anche due grafici: il primo mostra l’andamento attuale del PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame dal momento dell’introduzione dell’euro (linea blu) e lo scenario alternativo (controfattuale) che mostra l’andamento ipotetico se il paese non avesse introdotto l’euro (linea arancio).

Il secondo grafico mostra l’influenza che annualmente ha avuto l’adozione dell’euro sul PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame. I valori si riferiscono agli anni corrispondenti e quelli espressi in rosso (negativi) mostrano una riduzione del PIL pro-capite mentre quelli espressi in verde (positivi) mostrano un incremento. A complemento, ogni profilo contiene una conclusione che riassume i risultati principali per ciascun paese dell’eurozona interessato.

4.1 Belgio

Fig. 1.1: Andamento PIL pro-capite con e senza Euro (cifre espresse in €)

Fig.1.2: Influenza dell’introduzione dell’euro sul PIL pro-capite (cifre espresse in €)

Conclusioni: dal 2009 al 2012 il Belgio ha guadagnato dall’adesione all’euro mentre prima e dopo questo periodo ha subito delle perdite; nei dati aggregati con riferimento al periodo 1999/2017, l’euro ha prodotto perdite per 69 miliardi sul PIL complessivo e per € 6370 su quello pro-capite.

 

4.2 Germania

Conclusioni: in conseguenza dell’adesione all’euro la Germania ha guadagnato ogni anno, specialmente dalla crisi della moneta nel 2011, con l’eccezione del 2004 e del 2005. Nei dati aggregati con riferimento al periodo 1999/2017, l’euro ha prodotto un incremento di 19 miliardi sul PIL complessivo e di €23116 sul pro-capite. Pertanto la Germania ha guadagnato più di ogni altra nazione dall’euro.

 

4.3 Francia

Conclusioni: in Francia l’adesione all’eurozona ha portato a perdite annuali. Queste perdite si sommano ai 36 miliardi dall’introduzione della moneta unica. In totale corrisponde ad una perdita per € 55 996 pro-capite. Dopo l’Italia, la Francia quindi è il paese in cui l’euro ha prodotto le perdite più grandi. Questo andamento mostra che la Francia non ha ancora trovato un modo per rafforzare la propria competitività all’interno dell’eurozona. Nei dieci anni precedenti l’introduzione dell’euro, la Francia, a tal fine, ha regolarmente svalutato la sua divisa, ma dopo l’introduzione dell’euro non è stato più possibile; in luogo della svalutazione sono state necessarieriforme strutturali. Allo scopo di beneficiare in qualche modo della nuova moneta unica la Francia deve assolutamente perseverare sulla via delle riforme che il presidente Macron sta perseguendo.

 

4.4 Grecia

Conclusioni: in Grecia l‘accesso all’eurozona ha portato grandi benefici economici tra il 2001 ed il 2010. Nel 2011, dopo la bolla immobiliare scoppiata nel 2009, tutto è cambiato. Da allora l’euro ha determinato una caduta nell’economia e ne è conseguito che, dopo i guadagni nei primi anni dall’introduzione dell’euro, il bilancio complessivo alla fine del 2017 era appena positivo per circa 2 milioni di euro, mentre quello pro-capite per solo € 190. Per garantire che questo rimanga un’ipotesi di medio termine, il governo greco deve intraprendere una serie di riforme che includono misure per accrescere la competitività e per aumentare il clima degli investimenti per aumentare il PIL pro-capite. L’esempio della Spagna mostra che le riforme strutturali possono capovolgere il trend negativo senza mai aumentare le perdite economiche.

 

4.5 Italia

Conclusioni: fra i paesi presi in esame l’euro ha portato perdite economiche così elevate solo in Italia. Le perdite registrate dall’introduzione dell’euro sono attestate intorno ai 4300 miliardi per il PIL nazionale e intorno ad € 73605 per quello pro-capite. Tutto questo perché il PIL pro-capite italiano è in stagnazione da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitiva all’interno dell’eurozona; nei decenni antecedenti l’introduzione della moneta unica aveva svalutato regolarmente la propria moneta a questo fine, ma dopo l’adesione all’euro non è stato più possibile ed è stato necessario ricorrere a riforme strutturali. L’esempio della Spagna dimostra come questo tipo di riforme possa ribaltare un trend negativo senza per questo aumentare mai le perdite economiche.

 

4.6 Paesi Bassi

Conclusioni: i Paesi Bassi hanno tratto profitto dall’euro ogni anno, sin dalla sua introduzione; specialmente nel 2008 e nel 2009. I dati aggregati mostrano una crescita di 346 miliardi nel nazionale e di € 21.003 per il PIL pro-capite. Solo la Germania, fra i paesi presi in esame ha guadagnato di più.

 

4.7 Portogallo

Conclusioni: il Portogallo ha tratto beneficio marginalmente dall’euro solo nei primissimi anni dopo la sua introduzione. Negli anni seguenti l’euro ha progressivamente portato a perdite economiche. I dati aggregati mostrano un aumento delle perdite nell’ordine di 424 miliardi nel bilancio complessivo e di € 40.604 in quello pro-capite. Solo Francia ed Italia hanno fatto peggio. Il Portogallo deve ricorrere anch’esso ad una serie di riforme quanto prima per accrescere il PIL pro-capite, se vuole giovarsi di qualche beneficio nel medio termine. Pertanto le condizioni generali per gli investimenti devono essere migliorate e la spesa pubblica utilizzata in misura maggiore per gli investimenti piuttosto che per i consumi.

 

4.8 Spagna

Conclusioni: la Spagna ha guadagnato dall’adesione all’euro dal 1999 al 2010; dal 2011 l’introduzione dell’euro si è tradotta in una riduzione della ricchezza nazionale, raggiungendo il suo apice nel 2014. Da quel momento il calo è stato costante. Le riforme che hanno intrapreso hanno ripagato i governi ma, dal momento che le perdite annuali tra il 2011 ed il 2017 sono state più ingenti dei guadagni della prima ora, attualmente il bilancio complessivo rimane negativo e si attesta a 224 miliardi e € 5.031 pro-capite. Tutto ciò terminerebbe in pochissimi anni se la Spagna seguisse decisamente la via delle riforme strutturali.

 

Allegato

Le tavole qui di seguito indicano quali nazioni fanno parte del “gruppo di controllo” per ciascuno dei paesi dell’eurozona preso in esame, e la misura utilizzata per creare uno scenario controfattuale (alternativo). I grafici seguenti mostrano l’andamento del PIL pro-capite attuale (linea blu) e quello ipotetico (linea arancio) dal 1980 al 2017.

Seguono i grafici di ciascun paese messi a confronto

A.1 Belgio

A.2 Germania

A.3 Francia

A.4 Grecia

A.5 Italia

A.6 Paesi Bassi

A.7 Portogallo

A.8 Spagna

Gli autori:

*Dr. Matthias Kullas, Capo del Dipartimento di Politiche economiche e fiscali

Alessandro Gasparotti, Analista politico del Dipartimento Politiche economiche e fiscali

Note

  1. Discorso di Mario Draghi Presidente della BCE alla Conferenza per gli investimenti globali a Londra del 26 luglio 2012 online all’ indirizzo web:https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html
  2. Consultare per esempio Berger e Nitsch (2005) Ceslfo Working Paper 1435, Bun e Klaassen (2007) Oxford Bulletin of Economics and Statistics, Faruqee (2004) IMF Working Paper 154, Rose e Stanley (2005) Journal of Economic Surveys o Baldwin (2006) ECB Working Paper 594.
  3. Per I dettagli vedere sezione 2
  4. Vedi Abadie e Gardeazabal (2003) The American Economic Review, Abadie et al.(2010) Journal of the American Statistical Association e Abadie et al. (2015) American Journal of Political Science
  5. Il fascicolo statistico su MATLAB, STATA e R. Abbiamo usato STATA nei nostri calcoli. Il fascicolo è disponibile all’indirizzo web: https://web.stanford.edu/jhain/synthpage.html
  6. Per un quadro generale dei paesi del gruppo di controllo e dei loro coefficienti, vedere l’allegato
  7. I parametri per appartenere al gruppo di controllo sono stati stabiliti da Puzzello e Gomis-Porqueras (2018). Per maggiori dettagli Puzzello e Gomis-Porqueras (2018) European Economic Review.
  8. La Grecia, che ha introdotto l’euro con due anni di ritardo rispetto gli altri paesi, il periodo di pre adesione si estende dal 1980 al 1998
  9. Al fine di mostrare i risultati in euro (usando il metodo della Banca Mondiale) il tasso di cambio $/€ è 1.324.
  10. Dati Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/)
  11. Tassi di consumo usati: BE 77.55%, DE 77.83%, FR 77.86%, GR 81.88%, IT 77.59%, NL 72.52%, PT 81.09%, e SP 78.7%. Dati Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/).
  12. I valori nella colonna 2 sono stati stimati sulla base dei dati annuali sulla popolazione, al fine di neutralizzarne le fluttuazioni che hanno avuto luogo nel periodo in particolare in Grecia. Dati di Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/).
  13. Per la Grecia il periodo copre gli anni dal 2001 al 2017, avendo aderito all’eurozona nel 2001.

Incredibile ma vero – Ecco cosa ci ha regalato 20 anni di Euro: ogni tedesco ha guadagnato 23 mila euro, ogni italiano ne ha persi 75 mila…!

 

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Incredibile ma vero – Ecco cosa ci ha regalato 20 anni di Euro: ogni tedesco ha guadagnato 23 mila euro, ogni italiano ne ha persi 75 mila…!

Grazie alla moneta unica in 20 anni ogni tedesco ha guadagnato 23 mila euro, ogni italiano ne ha persi 75 mila

Report del think tank tedesco Cep sui vincitori (Germania e Olanda) e i vinti (Italia e Francia) della moneta unica “oggi più controversa che mai”

Da quando c’è l’euro, ogni cittadino tedesco ha guadagnato in media 23mila euro, ogni italiano ne ha persi 74mila. La Germania è “di gran lunga” il Paese che più ha tratto profitto dall’entrata in circolazione della moneta unica, l’Italia quello che ci ha rimesso di più. Nel suo ventesimo anniversario, l’euro si mostra in tutta la sua controversa natura di generatore di diseguaglianze. È quanto emerge dal rapporto “20 anni di Euro: vincitori e vinti”, del think tank Cep (Centre for European Policy) di Friburgo. Secondo lo studio, il problema della competitività tra i vari Paesi dell’eurozona “rimane irrisolto e “deriva dal fatto che i singoli paesi non possono più svalutare la propria valuta per rimanere competitivi a livello internazionale”. Dall’introduzione dell’euro, un’erosione della competitività internazionale ha portato “a una minore crescita economica, a un aumento della disoccupazione e al calo delle entrate fiscali. La Grecia e l’Italia, in particolare, stanno attualmente attraversando gravi difficoltà a causa del fatto che non sono in grado di svalutare la propria valuta”.

CEP
Impatto dell’introduzione dell’euro sulla prosperità per abitante e complessiva dal 1999 al 2017

I numeri. Lo studio ha verificato quanto sarebbe stato alto il Pil pro capite, se i Paesi non avessero introdotto l’euro. La Germania, dal 1999 al 2017 avrebbe guadagnato complessivamente 1.893 miliardi di euro, pari a circa 23.116 euro per abitante. Anche i Paesi Bassi hanno guadagnato circa 346 miliardi, e cioè 21mila euro pro capite. Nella maggior parte degli altri Stati si sarebbero registrate invece delle perdite: in Italia, lo Stato che più ne ha risentito, addirittura di 4300 miliardi, pari a 73.605 euro pro capite. In Francia, le perdite ammonterebbero a circa 3.591 miliardi, pari a 55.996 euro pro capite.

Nel 2017, per esempio, il Pil tedesco è aumentato di 280 miliardi di euro e il Pil pro capite di 3.390. L’Italia ha perso di più di tutti. Senza l’euro, calcolano i ricercatori del Cep, il Pil di Roma sarebbe stato più alto di 530 miliardi di euro, che corrisponde a 8.756 euro pro capite. Anche in Francia l’euro ha comportato significative perdite di benessere per 374 miliardi di euro complessivi, che corrispondono a 5.570 euro pro capite.

Nel dettaglio, la Germania ha beneficiato dalla sua appartenenza all’eurozona ogni anno, esclusi il 2004 e il 2005. I profitti maggiori si sono dispiegati soprattutto durante la crisi del 2011. Quanto all’Italia, “in nessun altro Paese tra quelli esaminati l’euro ha portato a perdite così elevate di prosperità”. E aggiunge il report: “L’Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitivo all’interno dell’eurozona. Nei decenni prima dell’introduzione dell’euro, l’Italia svalutava regolarmente la propria valuta con questo scopo. Dopo l’avvento dell’euro non è stato più possibile. Invece, erano necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come le riforme strutturali possono invertire la tendenza negativa”.

CEP
Cep

 

 

fonte: https://www.huffingtonpost.it/2019/02/25/grazie-alla-moneta-unica-ogni-tedesco-ha-guadagnato-23mila-euro-ogni-italiano-ne-ha-persi-75mila-lo-studio-del-cep_a_23677356/

Ce la meritiamo tutta, la recessione. E il peggio deve ancora arrivare

 

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Ce la meritiamo tutta, la recessione. E il peggio deve ancora arrivare…

Abbiamo speso tutti i soldi e la credibilità che avevamo per misure inutili. Ci siamo convinti di una crescita che non ci sarebbe stata. E adesso che arriva la gelata, dovremo tagliare la spesa e aumentare le tasse, mentre gli altri Paesi europei faranno il contrario. Peggio non si poteva fare

È inutile che fate finta di niente, lo sapevate.
Sapevate benissimo che il governo diceva palle, quando raccontava che il Pil sarebbe cresciuto dell’1,5%, che fosse un denominatore farlocco messo lì solamente a far quadrare i conti di un deficit che si era deciso dovesse essere del 2,4%.
Sapevate benissimo che nella legge di bilancio non c’era nessun magico moltiplicatore in grado di far accelerare l’economia italiana, che Quota 100 non avrebbe prodotto nuova occupazione giovanile e che il reddito di cittadinanza non avrebbe ridato slancio ai consumi italiani, o viceversa.
Sapevate benissimo anche che le questioni dell’economia italiana, dalla produttività stagnante alla sotto-occupazione femminile, dall’opprimente pressione fiscale alla folle burocrazia italiana rimanevano tutte lì, sul tappeto, come se non fossero nemmeno problemi.
Sapevate benissimo, pure, che l’economia globale stava rallentando, a causa di guerre commerciali che avevate auspicato, di dazi americani alle importazioni cinesi che avevate benedetto e invidiato, di un rallentamento dell’export tedesco che avevate addirittura festeggiato, tanto eravate convinti fosse la causa dei mali italiani.

Quota 100 ci costerà 40 miliardi, da qui al 2026. Dove li troviamo quei soldi? O meglio: ha senso trovarli, mentre ci toccherà aumentare le tasse o tagliare altrove?

Sapevate tutto, e avete continuato a far finta di nulla. A dire che le fosche previsioni sulla crescita dell’economia italiana fossero fasulle, create ad arte per indebolire il governo del cambiamento. A raccontarvi che se le agenzie di rating bocciavano la manovra del popolo era un bene, che non avevano mai capito nulla di economia. Che a tirare le fila dello spread fossero le cancellerie europee, quella tedesca in primis. Che fosse tutto un gigantesco complotto ordito dalle solite élite globali – le stesse che ci mandano i migranti, ovviamente -, che appena la nebbia della disinformazione si fosse diradata ci saremmo trovati nel bel mezzo del nuovo boom economico italiano. Pure Paolo Savona l’aveva detto, del resto: altro che uno e mezzo, si può crescere pure del 2% o del 3%.

E invece l’1,6% è diventato 1%, e poi 0,6%, stando alle stime di Bankitalia e del Fondo Monetario Internazionale. Stime fin troppo ottimistiche, visto che l’Istat ha certificato un calo del Pil sia nel terzo che nel quarto trimestre dell’anno e che, tecnicamente, siamo già in recessione.
Certo, chi più chi meno, le stanno tagliando tutti, le loro aspettative di crescita. Ma gli altri, con ogni probabilità, mitigheranno il crollo con interventi di sostegno agli investimenti e alla domanda interna. Tradotto, promuoveranno investimenti pubblici, abbasseranno le tasse. Noi invece, no. Ed è questo il vero grande problema italiano.
Che il peggio deve ancora arrivare.

Che abbiamo buttato nel cesso un mare di soldi, tutti i nostri margini di flessibilità e tutta la residua credibilità che avevamo in Europa per provvedimenti che non servono a nulla, forse nemmeno a far crescere i consensi di Lega e Cinque Stelle in vista delle elezioni europee. Che le abbiamo finanziate con clausole di salvaguardia da 25 miliardi e con previsioni clamorosamente errate da obbligarci, forse ancora prima dell’autunno a una brusca correzione di rotta. Che vuol dire tasse e tagli alla spesa nel bel messo di una fase recessiva del clclo economico. Tanto per essere chiari: Quota 100 ci costerà 40 miliardi, da qui al 2026. Dove li troviamo quei soldi? O meglio: ha senso trovarli, mentre ci toccherà aumentare le tasse o tagliare altrove?

Tutto quel che non si doveva fare l’abbiamo fatto, insomma. E l’abbiamo fatto solamente per evitare di fare quel che avremmo dovuto fare: tagliare il debito e la spesa corrente, abbassare le tasse, investire nella scuola e nelle infrastrutture. Da qui in poi, tutto quel che verrà, ce lo siamo meritato, e non sarà colpa di nessuno, se non nostra.
Buona recessione, Italia.

fonte: https://www.linkiesta.it/it/article/2019/01/31/ce-la-meritiamo-tutta-la-recessione-e-il-peggio-deve-ancora-arrivare/40937/

Una storia: “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele” – È questa l’Italia dei 30enni…!?!

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Una storia: “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele” – È questa l’Italia dei 30enni…!?!

 

“Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele: questa è l’Italia dei 30enni”

Storia di Veronica, poco più che trentenne, che da più di un anno lavora sottopagata, sfruttata, 10-12 ore al giorno per un negozio di generi alimentari a Roma.

“Da più di un anno ho una situazione di lavoro a dir poco imbarazzante. Lavoro come commessa in un punto vendita di generi alimentari di buon livello a Roma. Da più di un anno lavoro sottopagata, sfruttata, 10-12 ore al giorno. A 3,20 euro l’ora, a nero. Circa 800 euro al mese. Ho lavorato festivi e domeniche e non sono stata retribuita.

Tredicesima e quattordicesima non esistono, così come la malattia”.

Questa è la storia di Veronica (nome di fantasia ndr), una ragazza poco più che trentenne, impiegata, si fa per dire, in un negozio di alimentari in una zona centrale della Capitale. Veronica racconta a TPI del suo limbo senza alternative: costretta a lavorare per pochissimi euro al giorno, senza prospettive concrete o possibilità di tutele contrattuali.

Veronica lavora con altri italiani, tutti ormai rassegnati di fronte alle precarie condizioni lavorative.

Il lavoro nero si conferma come uno dei più grandi problemi per l’Italia e le casse dello Stato. Sono circa 1,5 milioni i lavoratori ‘invisibili’ a fronte di 5,7 milioni di aziende attive sul territorio italiano. Un fenomeno che produce un “buco” di circa 20 miliardi di euro per l’erario, secondo le stime di un’analisi condotta dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro.

Come hai conosciuto questo posto? Come ci sei finita a lavorare?

Tramite il passaparola ho saputo che c’era un’opportunità di lavoro.

Hai parlato con il titolare?
Sì. Il titolare mi aveva detto la metà delle ore, a un altro prezzo. Per un anno mi ha illuso che mi avrebbe fatto il contratto. L’accordo era di sei ore.

Poi cosa è successo?

La cosa si è ribaltata, io mi sono opposta più volte ma il titolare è anche una persona aggressiva che intimorisce. Mi fa le scenate, mi bestemmia in faccia, sono abbastanza terrorizzata.

I turni chi li decide?

Non esistono turni: entro la mattina alle 9 ed esco la sera alle 20.00.

Ci sono altre persone che lavorano lì? Cosa dicono?

Non ne sono contenti, ma sostanzialmente non dicono nulla. Sono arresi.

Sono italiani i tuoi colleghi?

Sì, certo. Persone mature.

È stancante il lavoro?

A volte non c’è nemmeno il tempo di mangiare, o bisogna mangiare in cinque minuti.

Come ti vengono dati i soldi?

A mano, a fine mese.

Come ha funzionato all’inizio?

Gli accordi erano che avrei preso gli stessi soldi ma per meno ore. La prima settimana è andata bene. I patti erano rispettati. Poi mi ha cominciato a dire che dovevo restare di più e a mano a mano le ore sono aumentate.

Quando eri malata come andava?

Se ero malata non mi pagava, e tratteneva i soldi dallo stipendio.

Sei consapevole che se accadesse qualcosa mentre lavori non sei per nulla tutelata?

Sì, ci penso spesso. Ma non so assolutamente come fare.

E ora cosa è successo?

Mi ha detto che dovrò andare via e che non può più pagarmi.

Perché non te ne sei andata prima spontaneamente?

Quando io protestavo e gli spiegavo che non era il modo di lavorare, lui mi rispondeva dicendomi che il mese seguente mi avrebbe fatto il contratto. Mi ha presa in giro. “Non è il momento questo. Di cosa hai paura?”, e così andava a oltranza. Ci ho pensato tante volte ad andarmene, poi speravo che le cose potessero cambiare.

Però un anno è tanto …

Ogni mese diceva questa cosa e ogni mese mi illudeva. In questi ultimi tempi peraltro trovare un lavoro è davvero complicato, ho avuto difficoltà e quindi ho resistito.

Il negozio va bene? C’è la clientela?

Sì, certo.

Secondo te quindi sarebbe nelle condizioni di offriti un salario migliore e delle condizioni migliori?

Secondo me sì.

“Il Ministro Di Maio dimostri davvero che ha a cuore la piaga del lavoro nero – dichiara Francesco Iacovone, del Cobas nazionale – perché non siamo alle Iene e non parlo del papà ormai più famoso d’Italia. Siamo nel mondo del commercio dove centinaia di milioni di cittadini/lavoratori subiscono soprusi di ogni genere”.

“Dal lavoro in nero a quello ‘in grigio’, con contratti regolari a metà e il resto fuori busta – prosegue il rappresentante sindacale – che rappresentano un’enorme evasione contributiva e fiscale e un ingente danno per i conti dello Stato. Tutti fanno finta di non vedere, ma in realtà questa degenerazione la conoscono tutti”.

“E non finisce qui, perché al lavoro nero si aggiungono il superamento delle soglie di precarietà contrattuale, le dimissioni in bianco, le discriminazioni di genere, i part time imposti, le condizioni di sicurezza inesistenti. Insomma, ci vuole davvero una task force di ispettori che faccia luce su uno dei settori produttivi più sfruttati”.

 

tratto da: https://www.tpi.it/2018/12/07/lavoro-nero-commessa-roma/?fbclid=IwAR0KNtOFsHFGpes224h90FEU0VeEOq_1IDbhqvvTzJZnVqGtyylD-ZbKtP0

L’economista Antonio Maria Rinaldi: “Il capolavoro della Commissione UE: aprire procedura di infrazione per debito eccessivo contro Italia per inadempienze del 2016-17 addebitandole all’attuale governo, in carica dal giugno 2018″…!

 

Rinaldi

 

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L’economista Antonio Maria Rinaldi: “Il capolavoro della Commissione UE: aprire procedura di infrazione per debito eccessivo contro Italia per inadempienze del 2016-17 addebitandole all’attuale governo, in carica dal giugno 2018″…!

Forse non ci avete fatto caso. O forse non siete stati abbastanza informati da Tg e giornali, ma la Commissione UE ha aperto una procedura infrazione per debito per colpire il governo in carica (in carica dal giugno 2018) per debito eccessivo maturato tra il 2016 ed il 2017

Questa puttanata l’economista Antonio Maria Rinaldi l’ha definita ironicamente “Il capolavoro della Commissione UE”

Il problema è che la gente ancora non ha capito che stanno bocciando ancora una volta il governo PD.

E c’è ancora chi fa il gallo sulla monnezza

By Eles

 

Renzi e Gentiloni hanno messo nei guai l’Italia

L’Italia è ufficialmente nei guai, perché ieri la commissione europea ha dato il via alla procedura per debito eccessivo. Lo ha fatto scrivendo un report di 21 pagine, che contiene una sorpresa: la base formale della contestazione ha poco o nulla a che vedere con la manovra del governo guidato da Giuseppe Conte, perché è relativa al risultato del debito pubblico negli anni 2016 e 2017. A mettere l’Italia nei guai quindi sono stati Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. La procedura di infrazione è l’ultimo meraviglioso regalo del Pd agli italiani.

Ecco il passaggio chiave di quel documento: “Sulla base dei dati notificati e delle previsioni dell’autunno 2018 della Commissione, l’Italia non ha rispettato il parametro di riduzione del debito nel 2016 (gap del 5,2% del PIL) o nel 2017 (gap del 6,6% del PIL)”. E ancora: “complessivamente, la mancanza di conformità dell’Italia con il parametro di riduzione del debito nel 2017 fornisce la prova dell’esistenza prima facie di un disavanzo eccessivo ai sensi del patto di stabilità e crescita, considerando tutti i fattori come di seguito esposti. Inoltre, in base ai piani governativi e alle previsioni dell’autunno 2018 della Commissione, l’Italia non dovrebbe rispettare il parametro di riduzione del debito nel 2018 o nel 2019”. Le parole sono chiare, anche se quel che è accaduto ieri è piuttosto fumoso e difficile da spiegare se non ricorrendo ai gargarismi della euroburocrazia.

Che l’Italia non vada tanto d’accordo con l’attuale gruppo di comando a Bruxelles è un dato di fatto, e che non sia stata usata molta diplomazia per evitare lo scontro è vero. Di fronte alla bocciatura già da giorni vaticinata negli ambienti della commissione però mi chiedevo: come fanno ad aprire per l’Italia una procedura per avere sfondato il rapporto deficit/pil oltre il 3% se la manovra di bilancio per il 2019 prevede un rapporto del 2,4% quindi ben inferiore a quella soglia? La risposta degli azzeccarbugli era questa: vero che l’Italia non ha sfondato il 3% ma la procedura per deficit eccessivo nella normativa dell’area dell’euro si può contestare anche ai paesi che non rispettano la regola del debito, che non potrebbe superare il 60% del Pil. Ed è questa la scelta, ma è un po’ come avere scoperto l’acqua calda: da quando esiste l’euro l’Italia non è mai stata in regola sul debito, sempre ampiamente sopra il 100% del Pil. Dopo avere chiuso un occhio per venti anni sembra curioso che la commissione Ue li apra tutti e due solo ora. Ed è anche un pizzico rischioso, perché secondo le previsioni per il 2019 il debito medio dei paesi dell’area dell’euro sarà pari all’85% del loro Pil. Sette paesi (oltre all’Italia anche Grecia, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio e Cipro) hanno e avranno il debito sopra il 100% del loro Pil, e altri 3 fra il 60 e il 90% del loro Pil: dieci paesi violerebbero quindi la regola, e solo l’Italia verrebbe punita. Per dare quello schiaffone però era necessario posarsi su fatti concreti e non solo su previsioni future. Per questo la contestazione Ue poggia sulla deviazione robusta e sicura dell’Italia dalla regola del debito per due anni consecutivi: il 2016 e il 2017, aggiungendo che secondo le previsioni il rientro dal debito sarà nullo o comunque molto inferiore a quel che era previsto sia nel 2018 che nel 2019, per cui però non ci sono ancora dati certi. Hanno quindi poco da stracciarsi le vesti e da fare appelli struggenti alla coscienza di Conte o di Matteo Salvini e Luigi Di Maio i vari Renzi, Gentiloni e Piercarlo Padoan: perché ad avere creato il danno che la Ue ci contesta sono stati proprio loro…

tratto da: https://www.iltempo.it/politica/2018/11/22/news/manovra-economica-bocciata-ue-commissione-europea-salvini-di-maio-renzi-gentiloni-1096411/

“Noi rappresentiamo l’Italia seria, onesta” – Lo ha detto Silvio Berlusconi, noto puttaniere, pregiudicato con 40 processi alle spalle, che sovvenzionava la mafia tramite Dell’Utri e famoso in tutto il mondo per bunga bunga e barzellette.

 

Silvio Berlusconi

 

 

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“Noi rappresentiamo l’Italia seria, onesta” – Lo ha detto Silvio Berlusconi, noto puttaniere, pregiudicato con 40 processi alle spalle, che sovvenzionava la mafia tramite Dell’Utri e famoso in tutto il mondo per bunga bunga e barzellette.

 

Il nostro ineguagliabile Silvio Berlusconi a Fiuggi, nella giornata conclusiva della kermesse di Forza Italia del 23 settembre scorso, lancia il “Manifesto per la libertà”.

Niente di nuovo. Le solite baggianate, la solita retorica, il solito nemico (prima erano i comunisti, ora i cinque stelle).

Niente, niente di nuovo, solo e solamente le solite cazzate.

Rientra tra le “solite cazzate” la geniale conclusione del testo del manifesto. “Come nel 1994 è l’ora di una grande mobilitazione delle coscienze per noi che rappresentiamo l’Italia seria, onesta, concreta, fattiva”

E certo se lui rappresenta l’Italia seria ed onesta…

Non è il caso di continuare… Di serio, oltre il bunga bunga e le barzellette, per le qual cose per 20 anni ci ha preso per il culo tutto il mondo, non ci sovviene altro…

In quanto ad onestà… Da bocca di un pregiudicato… Che dava i soldi a Totò Riina tramite Dell’Utri… Che non sta a marcire in galera solo perchèà si èà fatto da solo la vergoigna della vergogna delle leggi… Beh, lasciamo stare…

Lasciamo che i soliti idioti gli diano il voto, tanto sti coglioni sopno sempre di meno…

 

By Eles

 

Il ministro tedesco: se l’Italia esce dall’Euro la Germania crolla, e l’Italia vola!

 

Euro

 

 

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Il ministro tedesco: se l’Italia esce dall’Euro la Germania crolla, e l’Italia vola!

Theo Waigel è stato per dieci anni Ministro delle Finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a T-Online. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni.

 Intervistatore: “I sondaggi sull’uscita dalla UE mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo. Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’UE?
Theo Waigel: “Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile -, ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali“.
Intervistatore: “E cosa gli si può rispondere?
Theo Waigel: Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione -. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale“.
L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro. Va da sè che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori. Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono. Queste notizie ai telegiornali non passano. Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino? Se lavorasse per gli italiani, interviste come queste sarebbero in prima pagina su tutti i quotidiani, in luogo dello spettro dell’inflazione, e la gente inizierebbe a trarne le conclusioni.
In Germania, invece, non si fanno problemi a dirlo con chiarezza. Anche perché hanno interessi opposti. Ci fu anche un pezzo dello Spiegel Online datato 13 giugno 2012 (ben 4 anni fa), che lo disse con altrettanta chiarezza:
« Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei.
E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda.
Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative. Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro. »
Fonte: https://www.essere-informati.it/ministro-tedesco-se-litalia-esce/