20 anni di Euro: vincitori e vinti …E provate ad indovinare chi c’è tra i “vinti”, all’ultimo posto tra i “vinti”…!

 

Euro

 

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20 anni di Euro: vincitori e vinti …E provate ad indovinare chi c’è tra i “vinti”, all’ultimo posto tra i “vinti”…!

 

Pubblichiamo ora integralmente lo studio del Centre for European Policy di cui avevamo dato notizia il 26 febbraio nell’articolo di Giuseppe Masala “la non valutabilità della Tragedia dell’Euro” e quindi in quello di Francesco Piccioni, ringraziando Francesco Spataro per la traduzione.

Lo studio in questione non ha trovato molto spazio nei media italiani, per lo meno in quelli principali, se non per dar conto di polemiche tra economisti sul metodo utilizzato.

Scelta curiosa,  certamente, perché il Cep non è un istituto secondario dove magari si annidano “sovranisti populisti” intenti a fabbricare fake news. Al contrario, è un seriosissimo think tank tedesco che si è dato il compito di analizzare i progetti di legge e la legislazione dell’Unione Europea sulla base dei criteri fissati dall’ordoliberismo in materia di “libero mercato”. Insomma, vi si può trovare qualche espressione di soddisfazione per il risultato raggiunto, non certo indignazione per il saccheggio operato ai danni di alcuni paesi.

Per i non addetti ai lavori in teoria economica: l’ordoliberismo “è una variante del pensiero socio-liberale nata e sviluppata dalla scuola economica di Friburgo: l’ordoliberalismo si basa sul presupposto che il libero mercato ed il laissez faire da soli non risultano in grado di garantire l’equità sociale e che senza di essa i singoli individui non possono operare in condizioni di pari opportunità; lo Stato, pertanto, deve tutelare la proprietà privata, la libera iniziativa privata e deve assicurare un livello minimo ed universale di protezione sociale, in tal modo facendosi garante del fatto che ogni cittadino possa effettivamente godere di un pari trattamento di fronte alla legge“.

Establishment tedesco puro, insomma, tanto che si usa definire ordoliberale lo stesso impianto dei trattati costitutivi dell’Unione Europea. A riprova, l’istituto è attualmente guidato da  Lüder Gerken, presidente del comitato esecutivo dello Stiftung Ordnungspolitik and the Friedrich-August-von-Hayek Foundation. Il consiglio direttivo riunisce economisti ed ex ministri o ex commissari della Ue, come Roman HerzogLeszek BalcerowiczFrits BolkesteinUdo Di FabioJürgen Stark, Holger Steltzner and Hans Tietmeyer. Il Gotha della Ue, insomma…

Di certo ricorderete almeno Bolkestein che, da Commissario al mercato interno della Ue, fu l’autore della famosa “direttiva” Ue che avrebbe permesso – se non fosse stata respinta – di pagare un lavoratore straniero (anche se “comunitario”) assunto in un qualsiasi paese Ue secondo lo standard salariale del paese di origine. In Francia la sua direttiva divenne occasione di una ferocissima e anche spassosissima polemica pubblica contro l’”invasione degli idraulici polacchi” che ne sarebbe derivata…

Dunque, se un istituto che più “europeista” e germanocentrico non potrebbe essere pubblica uno studio in cui si spiega, dati alla mano, che la Germania è il paese che più ha guadagnato dall’introduzione dell’euro, mentre Francia e Italia quelli che ci hanno rimesso di più, in termini di ricchezza, vuol dire che le cose stanno davvero così. Al massimo potrebbero essere rimproverati di scarso senso dell’opportunità, visto che un studio del genere rischia di diventare benzina sul fuoco della propaganda in vista delle elezioni europee.

Non a caso, nelle “conclusioni” dedicate al percorso di ciascun paese, segue sempre l’indicazione tipica degli euroburocrati di Bruxelles: proseguire con il percorso di riforme strutturali per aumentare la competitività senza mai aumentare le perdite economiche.

Ma sapete come sono certi tecnocrati, sono così convinti di essere superiori e strapotenti, che se ne fottono dell’opportunità, anche quando confessano – anzi: rivendicano – di esser stati autori di una rapina che sarebbe stato più vantaggioso, per loro, nascondere. I media italici si sono impegnati a fare proprio questo, per evidente paura di incrementare l’ostilità pubblica contro Ue e moneta unica.

Noi, ovviamente, no. Anzi sollecitiamo tutti i compagni – a partire da quelli che ancora pensano che “la Ue sbaglia in molte cose, ma meglio che i nazionalismi”, oppure che “il problema sono alcuni trattati, non l’euro” – a studiarsi questo report e tutti i grafici (almeno quelli relativi a Germania, Francia e Italia). Potranno così evitare di essere pesantemente sbugiardati per manifesta ignoranza o, al contrario, di essere ringraziati dall’establishment per lo stesso motivo.

Perché la domanda da porsi, semplicissima, è: anche nell’eventualità onirica che una “coalizione di estrema sinistra” vinca le elezioni politiche con più del 51%, come diavolo faresti a mettere in atto politiche di miglioramento delle condizioni di vita mantenendo però una moneta che brucia sistematicamente quote rilevanti di ricchezza prodotta?

Buona lettura.

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20 anni di Euro: vincitori e vinti

Uno studio empirico

Febbraio 2019

Tabella 1

A 20 anni dalla sua introduzione l’Euro rimane una misura monetaria controversa. Il CEP ha usato il metodo di controllo sintetico per esaminare quali sono paesi che hanno guadagnato e quali hanno perso dal momento della sua introduzione come moneta unica.

  • La Germania ha guadagnato in assoluto più degli altri paesi dall’introduzione dell’Euro; quasi 1.900 miliardi fra il 1999 ed il 2017. Equivale ad € 23.000 per abitante. Esaminando gli altri casi, soltanto i Paesi Bassi hanno ricavato benefici sostanziali dall’introduzione della moneta unica.
  • Nei primissimi anni subito dopo la sua introduzione, la Grecia guadagnò enormemente, ma dal 2011 ha subito solo ingenti perdite. Durante l’intero periodo il bilancio finale di 2 miliardi di Euro e di € 190 pro-capite è a stento positivo.
  • In tutti gli altri Paesi analizzati a causa dell’Euro c’è stato un calo della ricchezza: 3,6 miliardi di Euro in Francia, fino ad arrivare all’Italia con una perdita di € 4.3 miliardi. Se ragioniamo per singolo abitante abbiamo una perdita pro capite di € 56,000 in Francia e di € 74.000 in Italia.

 

1 — INTRODUZIONE

Quest’anno l’Euro celebra il suo ventesimo compleanno; è dal 1° gennaio 1999, infatti, che è stato adottato come moneta unica dalla BCE. Alle commemorazioni per ricordare questo evento è stata però messa la sordina per effetto della crisi che la moneta sta subendo e che continua a covare sotto la cenere.

La crisi dell’Euro è iniziata in Grecia alla fine del 2009, ma subito dopo ha travolto numerose altri paesi dell’eurozona. All’apice di questa crisi, a metà del 2012, 5 dei 17 paesi appartenenti allora all’eurozona — Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Cipro — hanno avuto bisogno di un aiuto finanziario. Con il contributo dei fondi di assistenza espressamente creati (EFSM, EFSF ed ESM) e di prestiti bilaterali, questi paesi ricevettero rispettivamente, € 261,9 mld la Grecia, l’Irlanda € 45 mld, la Spagna € 41,3 mld, il Portogallo € 50,3 mld e Cipro € 6,3 mld.

Le preoccupazioni si ridussero solo il 26 luglio 2012, quando Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, promise che durante il suo mandato avrebbe fatto il possibile per tutelare l’Unione Monetaria: “Durante il nostro mandato, la BCE è pronta a fare qualsiasi tentativo necessario a preservare l’Euro.” (1) Con questa dichiarazione era stata appena scongiurata una dissoluzione dell’Euro.

Sebbene il Presidente Draghi sia stato capace di rassicurare tutti gli operatori finanziari dei mercati globali, questa promessa non riuscì a fare nulla per cambiare i principali problemi dell’eurozona. In particolare rimase senza soluzione il problema legato alle differenze di competitività tra i paesi dell’area.

Il problema nasce dal fatto che i singoli paesi dell’eurozona non sono stati più in grado di svalutare la propria moneta per rimanere competitivi a livello internazionale, un metodo usato comunemente prima dell’introduzione della moneta unica. Da quel momento l’erosione della competitività internazionale porta ad una crescita economica minore, e di contro ad un aumento della disoccupazione simultaneo ad un crollo del gettito fiscale. In particolare Italia e Grecia si trovarono a registrare notevoli difficoltà dovute al fatto, come si diceva, di non poter svalutare la propria moneta.

Nella pratica, questa tendenza ha portato ad una riflessione su pro e contro della moneta unica in ogni paese dell’eurozona. Da un lato i cittadini di alcuni paesi lamentano difficoltà per la scarsa crescita economica ed un alto tasso di disoccupazione, dall’altro la popolazione di altri paesi dell’eurozona critica l’intervento di Draghi ed il fatto che il sostegno finanziario li faccia sentire responsabili per i paesi in difficoltà. Venti anni dopo la sua introduzione la questione dell’euro è pertanto più controversa che mai.

Mancano ancora parecchi dati empirici attendibili riguardanti i paesi che hanno guadagnato dall’introduzione dell’euro e quelli che invece ne sono usciti sconfitti; sebbene siano stati pubblicati diversi studi sulla validità dell’Euro come incentivo al commercio fra i paesi dell’eurozona (2) i risultati non sono così netti. Inoltre, concentrarsi esclusivamente sugli scambi commerciali getta luce solo su un aspetto poco rilevante dell’introduzione dell’Euro, mentre viene trascurato il fatto che gli svantaggi maggiori dell’introduzione della moneta unica nascono proprio dal fatto che i paesi dell’eurozona non possono più svalutare la propria moneta.

Un indicatore significativo per capire se la moneta unica ha, nel complesso, portato ad una crescita o ad una flessione in termini di ricchezza e benessere per i singoli paesi della zona euro è l’andamento del PIL pro-capite della popolazione. Questo infatti è alla base dell’analisi empirica che segue, nella quale il metodo del controllo sintetico viene utilizzato nei confronti dei paesi dell’eurozona selezionati per determinare come il PIL pro-capite si sarebbe evoluto se questi non avessero aderito all’eurozona.

Mettendo a confronto questo dato con la tendenza attuale del PIL pro-capite si dimostra l’impatto che ha avuto sulla ricchezza l’adesione all’Euro. L’analisi può essere condotta anche solo nei confronti dei paesi della zona euro nei quali c’è stato un lungo gap, un intervallo fra l’accesso alla UE e l’introduzione della moneta unica, dato che questo è il solo modo per essere sicuri che il risultato dell’analisi non sia stato alterato dall’annessione alla UE e al suo mercato interno.

L’analisi è perciò stata condotta solo con riferimento a Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. Sebbene, come membri fondatori dell’Unione Europea, abbiano un intervallo congruo tra l’accesso alla UE e l’introduzione dell’Euro anche Lussemburgo ed Irlanda, i dati disponibili non permettono un risultato attendibile per questi ultimi due Paesi. (3)

La sezione 2 contiene una breve nota esplicativa su cosa è il metodo di controllo sintetico. La sezione 3 fornisce una sintesi degli effetti che l’introduzione della moneta unica ha avuto sulla ricchezza dei Paesi appartenenti alla zona euro esaminati. La sezione 4, infine, contiene il profilo, specificando gli effetti dell’introduzione dell’Euro nell’ intervallo che va dal1999 al 2007, di questi ultimi Paesi.

 

2 — METODOLOGIA: IL METODO DI CONTROLLO SINTETICO

La domanda che ci si è posti è stata: quanto sarebbe stato elevato il PIL pro-capite di uno specifico paese della zona euro se quello stesso paese non avesse introdotto la moneta unica a suo tempo?A questa domanda si è risposto con gli strumenti del metodo di controllo sintetico.(4)

Il metodo permette di quantificare gli effetti di una misura politica – in questo caso l’introduzione dell’Euro — in base ad una valutazione specifica, in questo caso il PIL nazionale pro-capite.(5) Usando il metodo di controllo sintetico, l’andamento reale del PIL pro-capite di un paese dell’eurozona può essere messo a confronto con un andamento ipotetico, supponendo che il paese in esame non abbia introdotto la moneta unica (scenario controfattuale).

Lo scenario controfattuale, o alternativo, è generato estrapolando l’evoluzione del PIL pro-capite in quei paesi che non aderirono all’Euro e che negli anni precedenti avevano segnalato orientamenti economici molto simili a quelli dei paesi dell’eurozona presi in considerazione, il cosiddetto gruppo di controllo.

Un algoritmo assegna uno specifico coefficiente detto di correzione (da 0% a 100%) ad ogni paese del gruppo di controllo al fine di ottenere la migliore fotografia del paese, assunto che la somma dei coefficienti correttori sia 100%. A tal proposito, gli specifici coefficienti di correzione sono selezionati in modo tale che la media ponderata dell’andamento del PIL pro-capite dei paesi del gruppo di controllo richiami il più possibile la tendenza del PIL pro-capite del paese della zona euro prima dell’introduzione della moneta unica.(6) I coefficienti di correzione non si basano su valutazioni di verosimiglianza, ma sono determinati attraverso un processo di ottimizzazione econometrico.

Il metodo di controllo sintetico è migliore di altri metodi che usano come strumento di confronto solo un singolo paese della zona non-euro, perché le probabilità di ottenere un andamento comparabile per il periodo antecedente l’introduzione dell’euro, e dunque uno scenario controfattuale, alternativo per il periodo seguente, sarebbe di gran lunga superiore se, piuttosto che un solo paese, venisse preso in considerazione l’insieme di diversi paesi, a ciascuno dei quali sia stato dato un differente coefficiente di correzione.

Determinare una media ponderata del gruppo di controllo è l’asse portante del metodo di controllo sintetico. Include due fasi: la prima è selezionare i paesi nel mondo che andranno a costituire ilgruppo di controllo per ogni singolo paese dell’eurozona; i paesi devono soddisfare i seguenti requisiti:

Punto uno, devono essere paesi che durante l’intero periodo di riferimento — dal 1980 al 2017 — non sono stati interessati da importanti shocks nazionali specifici che potrebbero distorcere i risultati. Secondariamente, non possono appartenere all’eurozona e, terzo il PIL pro-capite negli anni precedenti l’introduzione dell’Euro (cosiddetto periodo pre-adesione) di un paese del gruppo di controllo non può divergere significativamente dal PIL del paese dell’eurozona cha va ad esaminare (sia verso l’alto che verso il basso). (7)

Questa condizione assicura che i paesi con un livello di sviluppo significativamente alto o basso non distorcano i risultati per lo scenario controfattuale.

Più lungo sarà il periodo di pre-adesione scelto, più affidabili saranno i risultati. Riferiamo i nostri calcoli nel periodo che va dal 1980 al 1996. Suona strano che, terminando la forbice di tempo nel 1996, il tasso di conversione sia stato fissato improrogabilmente non prima del 1 gennaio 1999, tre anni dopo. Si può ipotizzare, o quantomeno non escludere che a causa dell’imminente introduzione dell’Euro gli operatori di mercato avessero già cambiato atteggiamento prima del 1999. (8)

Infine la terza condizione: i gruppi di controllo per i vari paesi dell’eurozona presi in esame sono costituiti ciascuno da paesi differenti e sono qui riportati nell’Allegato.

Il secondo passo è determinare un coefficiente, fra 0% e 100% per ogni paese nel gruppo di controllo, utilizzando un algoritmo econometrico, così che la media ponderata del gruppo di controllo riproduca nel modo più accurato possibile la tendenza del PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame, prima dell’introduzione della moneta unica.

Più grande sarà la corrispondenza tra un paese nel gruppo di controllo e quello preso in esame nell’eurozona prima dell’introduzione dell’Euro, più grande sarà il suo coefficiente. Per ottenere il coefficiente, anzitutto viene comparato l’andamento del PIL pro-capite nei paesi del gruppo di controllo (prezzi stabiliti dal 2010 in US $)(9) con quello dei paesi dell’eurozona presi in esame; in un secondo momento viene tenuto conto di dati economici aggiuntivi con grande influenza sul PIL pro-capite; e specificatamente il tasso di inflazione, la produzione industriale e quella del comparto dell’edilizia (in % di PIL), la formazione di capitale fisso (in % di PIL) e le importazioni ed esportazioni totali di materie prime e servizi (in % di PIL).(10)

Nell’interpretare i risultati si deve considerare che il metodo di controllo sintetico presuppone implicitamente che né il paese dell’eurozona preso in esame, né i paesi corrispondenti del gruppo di controllo con un coefficiente < di 0 abbiano adottato, dopo l’introduzione dell’Euro, delle riforme per accrescere il PIL pro-capite, né abbiano preso misure per ridurlo.

Raramente questa ipotesi è vera, ma comunque non invalida il metodo di controllo sintetico: punto uno, i risultati risultano così fondati che nessuna timida riforma avrebbe potuto metterli in discussione e, in secondo luogo, in caso di riforme sostanziali, dipende da come sarebbero state attuate. Ad esempio, se un paese dell’eurozona preso in esame avesse realizzato una riforma sostanziale che avrebbe incrementato il PIL pro-capite dopo l’introduzione dell’Euro, ma i paesi nel gruppo di controllo non lo avessero fatto, in linea di principio si sarebbe tradotto in una sovrastima dei benefici dell’introduzione della moneta unica.

L’esperienza ha comunque dimostrato che, di fatto era l’Euro stesso che stimolava alcuni paesi dell’eurozona ad attuare riforme che, con tutta probabilità, in altre condizioni, non avrebbero mai attuato. Ovviamente in questo caso il risultato non risulterebbe alterato dall’attuazione o meno di una riforma che dir si voglia.

 

3 — SINTESI DEI RISULTATI SUGLI EFFETTI DELL’INTRODUZIONE DELL’EURO

Per ciascuno dei paesi dell’eurozona presi in esame, la Tabella 1 indica in Euro quanto sarebbe stato minore o maggiore il PIL pro-capite nel 2017 (colonna 2) e quello complessivo (colonna 3), se la moneta unica non fosse stata introdotta.

Tab.1: Effetti dell’introduzione dell’Euro sul PIL nel 2017

Nel 2017, fra tutti i paesi dell’eurozona presi in esame, soltanto la Germania ed i Paesi Bassi hanno guadagnato con l’introduzione della moneta unica. In Germania il PIL complessivo salì fino a 280 miliardi e quello pro-capite ad € 3.390. L’Italia invece ci ha rimesso più di tutti. Con l’avvento dell’Euro il PIL italiano ha perso 530 miliardi, che corrisponde ad una perdita di quello pro-capite di € 8.756. Anche in Francia l’Euro ha portato ad una significativa perdita di ricchezza: 374 miliardi sul PIL complessivo, che corrisponde ad € 5.570 di quello pro-capite.

La Tabella 2 mostra gli effetti dell’introduzione dell’Euro sulla ricchezza pro-capite (colonna 2) e complessiva (colonna 3) sull’intero periodo che va dall’introduzione della moneta unica – il 1999 per tutti i paesi, eccetto la Grecia che lo adottò nel 2001 – fino al 2017. Gli effetti sulla ricchezza vengono determinati sommando il valore del PIL annuale pro-capite e moltiplicando il risultato per la media nazionale del tasso di consumo (11) del paese dell’eurozona comparandola con il dato del periodo pre-adesione (12).

Tab.2: Effetti complessivi dell’introduzione dell’Euro sulla ricchezza 1999/2017

Pertanto in Italia nel periodo 1999/2017 l’introduzione dell’Euro ha causato una perdita di circa € 74.000 per abitante e di 4.300 miliardi per l’economia complessiva. Per la Francia la perdita complessiva è ammontata a circa € 56.000 pro-capite ed ad una complessiva di 3.600 miliardi. La Germania invece ci ha guadagnato circa € 23.000 pro-capite e circa 1.900 miliardi nel complessivo.

La dimostrazione che gli effetti dell’Euro sula ricchezza in Grecia siano ancora di segno positivo è dovuta al fatto che la Grecia nei primi anni subito dopo l’adesione alla moneta unica ha guadagnato enormemente. La situazione è cambiata nel 2011 due anni dopo che la bolla creata nel 2009 era scoppiata. Da allora l’Euro ha avuto un’influenza negativa anche sulla ricchezza della Grecia.

 

4 — RISULTATI PER PAESE DI APPARTENENZA

Questa sezione contiene i profili dell’andamento dei paesi appartenenti all’eurozona presi in esame: Belgio, Germania, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.

Ciascun profilo inizia mostrando gli effetti dell’introduzione dell’euro sulla ricchezza di ogni paese, prendendo in esame l’intero periodo da quando è stata utilizzata la nuova moneta unica, sia per l’aspetto pro-capite che per quello dell’economia in generale.

Ogni profilo contiene anche due grafici: il primo mostra l’andamento attuale del PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame dal momento dell’introduzione dell’euro (linea blu) e lo scenario alternativo (controfattuale) che mostra l’andamento ipotetico se il paese non avesse introdotto l’euro (linea arancio).

Il secondo grafico mostra l’influenza che annualmente ha avuto l’adozione dell’euro sul PIL pro-capite nel paese dell’eurozona preso in esame. I valori si riferiscono agli anni corrispondenti e quelli espressi in rosso (negativi) mostrano una riduzione del PIL pro-capite mentre quelli espressi in verde (positivi) mostrano un incremento. A complemento, ogni profilo contiene una conclusione che riassume i risultati principali per ciascun paese dell’eurozona interessato.

4.1 Belgio

Fig. 1.1: Andamento PIL pro-capite con e senza Euro (cifre espresse in €)

Fig.1.2: Influenza dell’introduzione dell’euro sul PIL pro-capite (cifre espresse in €)

Conclusioni: dal 2009 al 2012 il Belgio ha guadagnato dall’adesione all’euro mentre prima e dopo questo periodo ha subito delle perdite; nei dati aggregati con riferimento al periodo 1999/2017, l’euro ha prodotto perdite per 69 miliardi sul PIL complessivo e per € 6370 su quello pro-capite.

 

4.2 Germania

Conclusioni: in conseguenza dell’adesione all’euro la Germania ha guadagnato ogni anno, specialmente dalla crisi della moneta nel 2011, con l’eccezione del 2004 e del 2005. Nei dati aggregati con riferimento al periodo 1999/2017, l’euro ha prodotto un incremento di 19 miliardi sul PIL complessivo e di €23116 sul pro-capite. Pertanto la Germania ha guadagnato più di ogni altra nazione dall’euro.

 

4.3 Francia

Conclusioni: in Francia l’adesione all’eurozona ha portato a perdite annuali. Queste perdite si sommano ai 36 miliardi dall’introduzione della moneta unica. In totale corrisponde ad una perdita per € 55 996 pro-capite. Dopo l’Italia, la Francia quindi è il paese in cui l’euro ha prodotto le perdite più grandi. Questo andamento mostra che la Francia non ha ancora trovato un modo per rafforzare la propria competitività all’interno dell’eurozona. Nei dieci anni precedenti l’introduzione dell’euro, la Francia, a tal fine, ha regolarmente svalutato la sua divisa, ma dopo l’introduzione dell’euro non è stato più possibile; in luogo della svalutazione sono state necessarieriforme strutturali. Allo scopo di beneficiare in qualche modo della nuova moneta unica la Francia deve assolutamente perseverare sulla via delle riforme che il presidente Macron sta perseguendo.

 

4.4 Grecia

Conclusioni: in Grecia l‘accesso all’eurozona ha portato grandi benefici economici tra il 2001 ed il 2010. Nel 2011, dopo la bolla immobiliare scoppiata nel 2009, tutto è cambiato. Da allora l’euro ha determinato una caduta nell’economia e ne è conseguito che, dopo i guadagni nei primi anni dall’introduzione dell’euro, il bilancio complessivo alla fine del 2017 era appena positivo per circa 2 milioni di euro, mentre quello pro-capite per solo € 190. Per garantire che questo rimanga un’ipotesi di medio termine, il governo greco deve intraprendere una serie di riforme che includono misure per accrescere la competitività e per aumentare il clima degli investimenti per aumentare il PIL pro-capite. L’esempio della Spagna mostra che le riforme strutturali possono capovolgere il trend negativo senza mai aumentare le perdite economiche.

 

4.5 Italia

Conclusioni: fra i paesi presi in esame l’euro ha portato perdite economiche così elevate solo in Italia. Le perdite registrate dall’introduzione dell’euro sono attestate intorno ai 4300 miliardi per il PIL nazionale e intorno ad € 73605 per quello pro-capite. Tutto questo perché il PIL pro-capite italiano è in stagnazione da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per diventare competitiva all’interno dell’eurozona; nei decenni antecedenti l’introduzione della moneta unica aveva svalutato regolarmente la propria moneta a questo fine, ma dopo l’adesione all’euro non è stato più possibile ed è stato necessario ricorrere a riforme strutturali. L’esempio della Spagna dimostra come questo tipo di riforme possa ribaltare un trend negativo senza per questo aumentare mai le perdite economiche.

 

4.6 Paesi Bassi

Conclusioni: i Paesi Bassi hanno tratto profitto dall’euro ogni anno, sin dalla sua introduzione; specialmente nel 2008 e nel 2009. I dati aggregati mostrano una crescita di 346 miliardi nel nazionale e di € 21.003 per il PIL pro-capite. Solo la Germania, fra i paesi presi in esame ha guadagnato di più.

 

4.7 Portogallo

Conclusioni: il Portogallo ha tratto beneficio marginalmente dall’euro solo nei primissimi anni dopo la sua introduzione. Negli anni seguenti l’euro ha progressivamente portato a perdite economiche. I dati aggregati mostrano un aumento delle perdite nell’ordine di 424 miliardi nel bilancio complessivo e di € 40.604 in quello pro-capite. Solo Francia ed Italia hanno fatto peggio. Il Portogallo deve ricorrere anch’esso ad una serie di riforme quanto prima per accrescere il PIL pro-capite, se vuole giovarsi di qualche beneficio nel medio termine. Pertanto le condizioni generali per gli investimenti devono essere migliorate e la spesa pubblica utilizzata in misura maggiore per gli investimenti piuttosto che per i consumi.

 

4.8 Spagna

Conclusioni: la Spagna ha guadagnato dall’adesione all’euro dal 1999 al 2010; dal 2011 l’introduzione dell’euro si è tradotta in una riduzione della ricchezza nazionale, raggiungendo il suo apice nel 2014. Da quel momento il calo è stato costante. Le riforme che hanno intrapreso hanno ripagato i governi ma, dal momento che le perdite annuali tra il 2011 ed il 2017 sono state più ingenti dei guadagni della prima ora, attualmente il bilancio complessivo rimane negativo e si attesta a 224 miliardi e € 5.031 pro-capite. Tutto ciò terminerebbe in pochissimi anni se la Spagna seguisse decisamente la via delle riforme strutturali.

 

Allegato

Le tavole qui di seguito indicano quali nazioni fanno parte del “gruppo di controllo” per ciascuno dei paesi dell’eurozona preso in esame, e la misura utilizzata per creare uno scenario controfattuale (alternativo). I grafici seguenti mostrano l’andamento del PIL pro-capite attuale (linea blu) e quello ipotetico (linea arancio) dal 1980 al 2017.

Seguono i grafici di ciascun paese messi a confronto

A.1 Belgio

A.2 Germania

A.3 Francia

A.4 Grecia

A.5 Italia

A.6 Paesi Bassi

A.7 Portogallo

A.8 Spagna

Gli autori:

*Dr. Matthias Kullas, Capo del Dipartimento di Politiche economiche e fiscali

Alessandro Gasparotti, Analista politico del Dipartimento Politiche economiche e fiscali

Note

  1. Discorso di Mario Draghi Presidente della BCE alla Conferenza per gli investimenti globali a Londra del 26 luglio 2012 online all’ indirizzo web:https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html
  2. Consultare per esempio Berger e Nitsch (2005) Ceslfo Working Paper 1435, Bun e Klaassen (2007) Oxford Bulletin of Economics and Statistics, Faruqee (2004) IMF Working Paper 154, Rose e Stanley (2005) Journal of Economic Surveys o Baldwin (2006) ECB Working Paper 594.
  3. Per I dettagli vedere sezione 2
  4. Vedi Abadie e Gardeazabal (2003) The American Economic Review, Abadie et al.(2010) Journal of the American Statistical Association e Abadie et al. (2015) American Journal of Political Science
  5. Il fascicolo statistico su MATLAB, STATA e R. Abbiamo usato STATA nei nostri calcoli. Il fascicolo è disponibile all’indirizzo web: https://web.stanford.edu/jhain/synthpage.html
  6. Per un quadro generale dei paesi del gruppo di controllo e dei loro coefficienti, vedere l’allegato
  7. I parametri per appartenere al gruppo di controllo sono stati stabiliti da Puzzello e Gomis-Porqueras (2018). Per maggiori dettagli Puzzello e Gomis-Porqueras (2018) European Economic Review.
  8. La Grecia, che ha introdotto l’euro con due anni di ritardo rispetto gli altri paesi, il periodo di pre adesione si estende dal 1980 al 1998
  9. Al fine di mostrare i risultati in euro (usando il metodo della Banca Mondiale) il tasso di cambio $/€ è 1.324.
  10. Dati Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/)
  11. Tassi di consumo usati: BE 77.55%, DE 77.83%, FR 77.86%, GR 81.88%, IT 77.59%, NL 72.52%, PT 81.09%, e SP 78.7%. Dati Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/).
  12. I valori nella colonna 2 sono stati stimati sulla base dei dati annuali sulla popolazione, al fine di neutralizzarne le fluttuazioni che hanno avuto luogo nel periodo in particolare in Grecia. Dati di Banca Mondiale (http://data.worldbank.org/).
  13. Per la Grecia il periodo copre gli anni dal 2001 al 2017, avendo aderito all’eurozona nel 2001.

Francia e Italia litigano sui migranti, ma di nascosto ne approfittano per negoziare sugli armamenti

 

migranti

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Francia e Italia litigano sui migranti, ma di nascosto ne approfittano per negoziare sugli armamenti

 

Francia e Italia litigano sui migranti e negoziano sugli armamenti

L’emergenza migranti e il caso della nave Aquarius respinta dall’Italia sono un’occasione per l’Europa per stanziare più fondi e per rilanciare l’industria degli armamenti

Di Roberto Ferrigno

L’episodio della nave Aquarius non poteva provocare una vera crisi tra Italia e Francia. Troppi, e troppo importanti, i temi del tavolo negoziale tra Roma e Parigi. Il vertice Macron-Conte dei giorni scorsi ha, infatti, restituito l’immagine di due governi allineati sull’argomento più mediatico ed utile alle necessità di politica interna di entrambi i leader: elaborare una nuova strategia UE di gestione dei migranti.

Non a caso, in coincidenza col vertice franco-italiano, la Commissione ha rilanciato la proposta di stanziare, per il periodo 2021-2027, 4,8 miliardi di euro per la sicurezza interna e 34,9 miliardi per la sicurezza dei confini esterni e la gestione dei migranti: il triplo dei fondi disponibili nel precedente settennato.

Inoltre, Frontex, l’Agenzia Europea per la Guardia Costiera e di Frontiera, dovrebbe ricevere 12 miliardi per arrivare a costituire, tra l’altro, una forza di 10mila uomini da dislocare lungo i confini marittimi e terrestri dell’UE. Rimane da vedere se questo aumento spettacolare dei fondi proposto per il prossimo budget UE servirà a sbloccare la paralisi sulla questione migranti che sta minando anche gli equilibri politici interni della Germania.

Un assist per l’industria bellica

La scelta italiana di respingere la nave Aquarius ha reso evidente quanto ipocrisia, sotterfugi e passività abbiano minato la solidità e credibilità dell’UE. Ma la risposta sarà un giro di vite securitario e repressivo a cui si accompagna il rilancio dell’industria degli armamenti. Infatti, insieme al pacchetto su sicurezza e migranti, la Commissione ha ufficializzato il lancio dello European Defense Fund (EDF), con un finanziamento di 13 miliardi – che arriverebbe a 40 miliardi con le contribuzioni nazionali – teso a favorire lo sviluppo di tecnologie e sistemi di punta nel campo della difesa, quali droni e strumenti di cyberwarfare.

Il fondo finanzierà esclusivamente “progetti collaborativi” presentati da almeno tre Stati membri. La Commissione ha anche lanciato l’iniziativa “European Peace Facility” con l’obbiettivo di organizzare e coordinare missioni militari all’estero e, soprattutto, di costituire il punto di vendita a Paesi extra-UE per i sistemi di armamento e tecnologie militari sviluppati dall’EDF.

Ue: nuovo polo di vendita armamenti

La Commissione punta a fare dell’UE un polo di sviluppo e vendita di armamenti che, pur coordinato con la NATO, sia in grado di rivaleggiare con USA, Russia e Cina. Francia, Germania e Italia sono già a ridosso dei tre maggiori produttori mondiali degli armamenti. L’EDF rappresenta, dunque, un’ottima opportunità per Parigi e Roma di porsi come leader europei.

Con l’attenzione dei media rivolta al caso Aquarius, le delicate trattative per un apparentamento dell’industria degli armamenti franco-italiana nell’ambito della svolta securitario-militare dell’UE, possono procedere indisturbate.

Una tappa importante è rappresentata dalla partnership franco-italiana nel campo delle costruzioni navali. Fincantieri, dopo un lungo e tortuoso negoziato, si è già assicurata la proprietà del 50% dei cantieri STX di Saint-Nazaire, specializzati nella costruzione di grandi unità militari. Le parti ora stanno discutendo un’accresciuta integrazione delle capacità militari marittime che si dovrebbe realizzare attraverso un percorso di partecipazioni incrociate tra Fincantieri ed un’altra azienda, Naval Group, il cui 62,9% è detenuto dallo Stato, che dovrebbero aumentare in base all’elaborazione di programmi comuni.

La collaborazione tra questi due gruppi si è recentemente concretizzata in un ricco contratto comune per la marina militare del Canada, la quale per 47 miliardi comprerà fino a 15 fregate, le cui dotazioni di sistemi elettronici verranno fornite dal tandem Thales-Leonardo. Thales è proprietaria del 35% di Naval Group ed ha la quota maggioritaria nel gruppo Thales Alenia Space, con Leonardo in possesso del 33%.

La progressiva integrazione di Fincantieri, di cui lo Stato italiano possiede il 71,64%, con il settore navale francese potrebbe preludere ad un ulteriore “avvicinamento” tra Leonardo e Thales, due tra le maggiori aziende europee di armamenti e sistemi di difesa.

Il mercato degli armamenti dell’UE vale, per ora, circa 100 miliardi. Ma quello mondiale supera il 1.700 miliardi.

Il negoziato franco-italiano sulla creazione di un possibile polo tricolore degli armamenti, gestito direttamente dai massimi vertici governativi, prosegue dunque in grande discrezione, con la prospettiva di poter arrivare a qualche annuncio importante entro il 2018.

In una situazione dove l’enfasi della difesa degli interessi e delle frontiere nazionali domina il dibattito politico in seno all’UE, sembra proprio che le migliori prospettive di integrazione e solidarietà europea siano quelle dell’industria degli armamenti.

fonte: https://valori.it/francia-e-italia-litigano-sui-migranti-e-negoziano-sugli-armamenti/

 

 

L’analisi DEMOSKOPIKA – Il “sistema Italia” spende 40 mln di Euro al giorno per l’Unione Europea. Ogni italiano per “sostenere” l’Europa ha paga in media 875 euro ricevendone soltanto 585…!

 

Europa

 

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L’analisi DEMOSKOPIKA – Il “sistema Italia” spende 40 mln di Euro al giorno per l’Unione Europea. Ogni italiano per “sostenere” l’Europa ha paga in media 875 euro ricevendone soltanto 585…!

 

Il “sistema Italia” spende 40 mln di euro al giorno per UE
DEMOSKOPIKA: CIASCUN ITALIANO PER “SOSTENERE” L’EUROPA HA PAGATO IN MEDIA 875 EURO RICEVENDONE SOLTANTO 585

Nell’ultimo triennio, il sistema regionale italiano ha versato nella casse dell’Unione europea ben 44 miliardi di euro incassando soltanto 35, con un saldo “in rosso” pari a 8,5 miliardi di euro. Nel 2017 l’ammontare complessivo generato dai territori per “restare” in Europa è stato pari a 14.881 milioni, con un incremento del 3,9% rispetto all’anno precedente quando il monte contributi aveva raggiunto i 14.328 milioni di euro. È quanto emerge dalle stime contenute nello studio “Europa Bicefala. Analisi dei rapporti finanziari del sistema regionale italiano con le istituzioni comunitarie” realizzato dall’Istituto Demoskopika che ha osservato il periodo 2015-2017..

Secondo il report, l’Italia è divisa in due nella distribuzione dei rapporti finanziari con le istituzioni comunitarie: tutte le regioni rientranti nell’ex “obiettivo convergenza” (regioni meno sviluppate e regioni in transizione), eccezion fatta per l’Abruzzo, presentano un saldo positivo pari a 7 miliardi di euro mentre, al contrario, le regioni più sviluppate (ex “obiettivo competitività”) hanno versato decisamente più di quanto incassato con un “credito” maturato pari a oltre 15 miliardi di euro.

Una dicotomia probabilmente “condizionata” – si legge nello studio – dall’attuazione della politica di coesione con cui l’Unione europea, attraverso l’impiego dei fondi strutturali, punta a riequilibrare i divari esistenti, a livello di sviluppo economico e di tenore di vita, tra le diverse realtà regionali.

In questo scenario, inoltre, è la Lombardia a risultare il maggiore finanziatore italiano con oltre 10 miliardi di euro di contributo stimato ma anche la realtà più penalizzata considerato un saldo negativo pari a ben 5,5 miliardi di euro. Situazioni significativamente più convenienti per Sicilia e Campania che hanno ricevuto circa 4 miliardi di euro in più di quanto hanno versato.

“Lo studio, seppur non esaustivo in quanto incentrato principalmente nella relazione dicotomica del dare/avere – commenta il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – conferma le criticità generate dalla complessità del sistema di finanziamento dell’Unione europea che, principalmente negli attuali meccanismi di riscossione e di calcolo delle risorse, come più volte evidenziato dalla Corte dei Conti europea, risulta poco leggibile disincentivando processi di controllo diretto da parte dei cittadini”.

“È auspicabile – continua Raffaele Rio – nell’ottica del raggiungimento dell’autonomia finanziaria dell’Unione europea, un’accelerazione  delle istituzioni comunitarie nella valutazione del progetto di riforma presentato dal Gruppo di alto livello istituito dai presidenti della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio europeo nel 2017. Proposta che prevede l’introduzione di tasse e imposte direttamente connesse alla dimensione europea.  In questo quadro, riformare l’attuale meccanismo di partecipazione al bilancio dell’Unione europea – conclude il presidente di Demoskopika – produrrebbe, senza alcun dubbio, un cambiamento della percezione dei cittadini in direzione di una maggiore consapevolezza collettiva circa la capacità di metter in comune risorse in modo economicamente più efficace e di una minore convinzione che finanziare l’Europa rappresenti principalmente un fattore di costo per il “sistema Italia’”.

Versamenti all’UE: 44 miliardi da reddito nazionale lordo, IVA e dazi

È stato pari a 43.998 milioni di euro, la somma dei contributi europei versati dall’Italia all’Unione europea nel periodo 2015-2017 che l’Istituto Demoskopika ha potuto stimare su base regionale partendo dalla cosiddette “risorse proprie”.

In particolare, la contribuzione degli Stati membri al Bilancio dell’Unione europea, per come ben evidenziato nell’ultima relazione della sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali della Corte dei Conti, è finanziato principalmente attraverso tre tipologie di “risorse proprie”: la risorsa basata sul Reddito nazionale lordo (RNL), la risorsa propria basata su un’aliquota uniforme (pari allo 0,3%) applicata alle basi imponibili IVA armonizzate e, infine, le risorse proprie tradizionali, costituite dai dazi doganali sulle importazioni e dai contributi sulla produzione dello zucchero, detratta una ritenuta per oneri di accertamento e riscossione.

Entrando nel dettaglio dei dati rilevati, emerge che la quota del contributo ascrivibile alla risorsa basata sul RNL è stata pari 33.895 milioni di euro rappresentando ben il 77% delle entrate da risorse proprie analizzate. A seguire 5.087 milioni di euro, pari all’11,6%, di dazi sulle merci provenienti importate dall’Italia e provenienti da fuori Unione europea e, infine, 5.016 milioni di euro, pari all’11,4%, quale quota proveniente dall’IVA.

Finanziamenti dal “basso”: in testa Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna

Sono quattro i principali finanziatori del bilancio comunitario. Lombardia, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna, nel triennio osservato, hanno versato nella casse europee ben 23 miliardi di euro pari alla metà del finanziamento complessivo italiano: la Lombardia ha contribuito con 10.047 milioni di euro pari al 22,8%, il Lazio con 4.711 milioni di euro (10,7%), il Veneto con 4.198 milioni di euro (9,5%) e l’Emilia Romagna con 4.006 milioni di euro (9,1%). Seguono con un livello di contribuzione rilevante altre quattro realtà territoriali: Piemonte con 3.470 milioni di euro (7,9%), Toscana con 2.924 milioni di euro (6,6%), Campania con 2.652 milioni di euro (6,0%) e Sicilia con 2.264 milioni di euro (5,1%).

Sono quattro, inoltre, i sistemi regionali analizzati che presentano valori assoluti di partecipazione al bilancio dell’Unione Europea superiore al miliardo di euro: Puglia con 1.838 milioni di euro (4,2%), Liguria con 1.241 milioni di euro (2,8%), Marche con 1.057 milioni di euro (2,4%) e Trentino Alto Adige  con 1.034 milioni di euro (2,3%).

Le rimanenti regioni, infine, si caratterizzano per livelli osservati significativamente minori: Friuli Venezia Giulia con 958 milioni di euro (2,2%), Sardegna con 887 milioni di euro (2,0%), Calabria con 802 milioni di euro (1,8%), Abruzzo con 799 milioni di euro (1,8%), Umbria con 539 milioni di euro (1,8%), Basilicata con 308 milioni di euro (0,7%), Molise con 155 milioni di euro (0,4%) e, infine, Valle d’Aosta con 107 milioni di euro (0,2%).

Accrediti dall’UE: tre regioni del Sud tra le prime quattro

Campania, Sicilia e Puglia hanno ricevuto un castelletto di pagamenti europei per circa 12 miliardi di euro nel periodo che va dal 2015 al 2017. Un dato che colloca le tre regioni del Sud rispettivamente al primo posto (Campania), con 4.903 milioni di euro, al terzo posto (Sicilia) con 3.996 milioni di euro e al quarto posto (Puglia) con 3.071 milioni di euro nella graduatoria dei sistemi regionali maggiormente beneficiari di risorse comunitarie. Tra loro, collocandosi al secondo posto, si affaccia la Lombardia che ha ricevuto 4.521 milioni di euro.

A seguire, nell’analisi degli accrediti in valore assoluto stimati su base regionale, si posizionano, in ordine decrescente, il Lazio con 2.786 milioni di euro, il Veneto con 2.310 milioni di euro, il Piemonte con 2.210 milioni di euro, la Calabria con 2.156 milioni di euro e l’Emilia Romagna con 2.077 milioni di euro. E, ancora, la Toscana con 1.860 milioni di euro, la Sardegna con 1.105 milioni di euro, la Liguria con 795 milioni di euro, le Marche con 743 milioni di euro, l’Abruzzo, con 709 milioni di euro e il Friuli Venezia Giulia con 594 milioni di euro. In coda, per pagamenti in valore assoluto ricevuti dall’Unione Europea si collocano i rimanenti cinque sistemi regionali: Trentino Alto Adige con 491 milioni di euro, l’Umbria con 462 milioni di euro, la Basilicata con 408 milioni di euro, il Molise con 177 milioni di euro e, infine, la Valle d’Aosta con 73 milioni di euro.

“Relazioni finanziarie”: per il sistema regionale, saldo negativo di 8,5 miliardi di euro

Per il sistema delle regioni analizzato, la differenza tra i versamenti e gli accrediti stimati da Demoskopika mostra complessivamente un saldo negativo pari a 8.548 milioni di euro: 43.998 milioni di euro di contributi al bilancio europea a fronte di 35.450 milioni di euro ricevuti.

Dallo studio emerge un’Italia divisa in due nella distribuzione dei rapporti finanziari con le istituzioni comunitarie: tutte le regioni rientranti nell’ex “obiettivo convergenza” (regioni meno sviluppate e regioni in transizione), eccezion fatta per l’Abruzzo, presentano un saldo positivo pari a 7 miliardi di euro mentre, al contrario, le regioni più sviluppate (ex “obiettivo competitività”) hanno versato decisamente più di quanto incassato con un “credito” maturato pari a oltre 15 miliardi di euro.

È la Lombardia ad avere il saldo negativo più rilevante: 5.526 milioni di euro pari al 65% dell’intero credito generato dall’intero sistema italiano secondo le stime dell’Istituto Demoskopika. Immediatamente dopo si collocano altre cinque sistemi regionali che presentano un bilancio “in rosso” rilevanti nel rapporto tra dare e avere con l’Unione europea: Emilia Romagna (-1.929 milioni di euro), Lazio (-1.925 milioni di euro), Veneto (-1.887 milioni di euro), Piemonte (-1.259 milioni di euro) e Toscana (-1.064 milioni di euro).

Saldo negativo anche Trentino Alto Adige (-542 milioni di euro), Liguria (-446 milioni di euro), Friuli Venezia Giulia (-364 milioni di euro) e Marche (-314 milioni di euro). Contrassegnati dal “segno rosso”, seppur con livelli meno significativi, anche il saldo dell’Abruzzo (-90 milioni di euro), dell’Umbria (-77 milioni di euro) e della Valle d’Aosta (-34 milioni di euro).

Le realtà territoriali che, al contrario, hanno ricevuto più risorse comunitarie rispetto al loro contributo sono, ad eccezione dell’Abruzzo, tutte le regioni rientranti nella ex priorità della cosiddetta “Convergenza” verso la quale sono canalizzati la maggior parte dei fondi che gestiscono risorse per investimenti a favore della crescita e dell’occupazione. E, in particolare, presentano saldi positivi le quattro regioni meno sviluppate, ossia quelle con un PIL pro capite inferiore al 75% della media comunitaria: Puglia (+1.233 milioni di euro), Calabria (+1.354 milioni di euro), Sicilia (+1.732 milioni di euro) e Campania (+2.251 milioni di euro). Infine, tra le regioni cosiddette in transizione, ossia con un PIL pro capite compreso tra il 75% e il 90% della media comunitaria, registrano un saldo positivo il Molise (+22 milioni di euro), la Basilicata (+100 milioni di euro) e la Sardegna (+218 milioni di euro).

 Classifica per contributo pro-capite: lombardi primi, calabresi ultimi

Quanto ha pagato ciascun cittadino italiano per “sostenere” l’Europa dal 2015 al 2017? In media circa 875 euro ricevendone soltanto 585 euro.

Dall’analisi dei dati, a livello regionale,  emerge che a contribuire maggiormente all’Unione europea sono i cittadini che, in proporzione, hanno ricevuto meno risorse comunitarie.  Calcolando, infatti, l’ammontare della contribuzione in base al numero dei cittadini residenti in ciascuna regione italiana, il quadro che emerge è abbastanza evidente: ogni lombardo, nell’ultimo triennio, ha sborsato ben 1.003 euro a fronte dei 408 euro di un calabrese.  Un andamento, ancora più evidente, se confrontato alle somme ricevute: 451 euro per ogni cittadino residente in Lombardia a fronte di 1.097 euro di un cittadino residente in Calabria.

Continuando nell’analisi del livello di contribuzione pro-capite, immediatamente dopo i lombardi si posizionano i residenti del Trentino Alto Adige con 973 euro per cittadino ricevendone 462 euro, gli emiliano-romagnoli con 900 euro di versamenti all’Unione europea in cambio di 467 euro e i veneti con 855 contributi versati per ciascun cittadino a fronte di soli 471 ricevuti. E, ancora, lo studio di Demoskopika ha rilevato un ammontare di versamenti pro-capite per la Valle d’Aosta pari a 847 euro (579 euro ricevuti), per il Lazio pari a 799 euro (472 euro ricevuti), per la Liguria pari a 793 euro (508 euro ricevuti), per il Piemonte pari a 790 euro (503 euro ricevuti), per il Friuli Venezia Giulia pari a 787 euro (488 euro ricevuti), per la Toscana pari a 781 euro (497 euro ricevuti).

E, ancora, dal 2015 al 2017, i marchigiani hanno versato 687 euro pro-capite a fronte di trasferimenti dall’Unione Europea monitorati per 483 euro, gli umbri 606 euro di pagamenti effettuati in cambio di 520 euro e gli abruzzesi 605 euro (536 euro ricevuti).

Infine, sono sette le regioni i cui residenti, in termini pro-capite, hanno ricevuto dall’Unione europea più di quanto hanno versato: i lucani con 540 di versamenti effettuati a fronte di 716 euro di pagamenti ricevuti, i sardi con 536 euro versati a fronte di 668 euro ricevuti, i molisani con 499 euro versati a fronte di 571 euro ricevuti, i campani con 454 euro versati a fronte di 840 euro ricevuti,  i pugliesi con 452 euro versati a fronte di 756 euro ricevuti, i siciliani e i calabresi rispettivamente con 448 e 408 euro di contributi al bilancio comunitario in cambio di 790 euro e ben 1.097 euro “incassati”.

 

fonte: https://ofcs.report/economia/il-sistema-italia-spende-40-mln-di-euro-al-giorno-per-ue/

Ed ora si passa alle minacce – Il Commissario Ue Oettinger: “I mercati insegneranno all’Italia a votare giusto” …la peggiore delle mafie non sarebbe mai riuscita a trovare parole migliori per esprimere il concetto!

 

Oettinger

 

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Ed ora si passa alle minacce – Il Commissario Ue Oettinger: “I mercati insegneranno all’Italia a votare giusto” …la peggiore delle mafie non sarebbe mai riuscita a trovare parole migliori per esprimere il concetto!

Già Lunedì Angela Merkel aveva messo in parallelo lo stallo politico e istituzionale italiano con la crisi che ha stritolato la Grecia nel 2015.

Ora c’è chi passa a più esplicite minacce:

«I mercati insegneranno agli italiani a votare nella maniera giusta»: è un’entrata a piedi uniti, nella crisi politica, finanziaria ed istituzionale dell’Italia quella del Commissario Europeo al Bilancio Gunther Oettinger. La frase è stata pronunciata dall’esponente della Commissione di Bruxelles nel corso di un’intervista a un tv tedesca e lo stesso Oettiger l’ha retwittata. L’intervista è destinata a suscitare reazioni a catena. Lo stesso esponente della Ue pochi giorni fa aveva adombrato il dubbio che l’Italia non fosse salvabile. «Lo sviluppo negativo dei mercati porterà gli italiani a non votare più a lungo per i populisti» si augura adesso Oettinger.

E la Bce rincara la dose: “l’Italia ripassi le regole”

Se non bastasse la commissione Ue, anche la Bce non resta a guardare. Il vicepresidente della banca centrale europea Vitor Constancio ha ricordato (in un’intervista allo Spiegel) che ogni intervento di salvataggio da parte delle autorità monetarie nei confronti di Paesi in difficoltà «è soggetto a regole molto chiare. Intervenire sui mercati dei titoli di Stato di Paesi vulnerabili può essere utilizzato solo se il paese in questione accetta anche un programma di aggiustamento. L’Italia conosce le regole. Forse dovrebbe il caso di dargli di nuovo uno sguardo»

Insomma, sono passati alle minacce… Vome la più schifosa delle mafie…

 

by Eles

 

Alla vigilia dell’anniversario del sisma che il 6 aprile 2009 devastò LʼAquila, un sentito messaggio di solidarietà arriva dall’Unione Europea: Restituzione Immediata delle tasse sospese ai terremotati, pena la procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”…!

 

LʼAquila

 

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Alla vigilia dell’anniversario del sisma che il 6 aprile 2009 devastò LʼAquila, un sentito messaggio di solidarietà arriva dall’Unione Europea: Restituzione Immediata delle tasse sospese ai terremotati, pena la procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”…!

 

LʼAquila, la Ue chiede la restituzione (immediata) delle tasse sospese dopo il sisma del 2009: “Erano aiuti di Stato”

Circa 350 le imprese coinvolte. Rivolta di sindacati e associazioni di categoria che, pur di scongiurare pagamenti milionari, sono pronti a lotte giudiziarie e proteste clamorose (come anche blocchi stradali)

Protesta unanime di tutte le istituzioni contro le 350 cartelle esattoriali giunte ad altrettanti imprenditori de L’Aquila che impongono la restituzione entro 30 giorni delle tasse sospese dopo il sisma del 6 aprile 2009 a imprese e professionisti del cratere terremotato. La sospensione, infatti, è stata bocciata dalla Commissione europea che ha aperto una procedura d’infrazione per “aiuti di Stato”.

Le prime cartelle esattoriali sono arrivate alla vigilia di Pasqua ed è subito scattata la mobilitazione contro una misura destinata a mettere in ginocchio un territorio già colpito dal sisma del 2009. Imprenditori, istituzioni, politici, associazioni di categoria e sindacati si sono detti pronti a scendere in piazza con proteste anche clamorose (si parla anche di blocchi stradali) per scongiurare pagamenti milionari.

Ad inviare le ingiunzioni di pagamento è stato il commissario nominato dalla presidenza del Consiglio, Margherita Maria Calabrò, incaricato per il recupero delle somme nei confronti di imprese, pubbliche e private, e professionisti dopo che la Commissione europea ha considerato i fondi legati alla sospensione aiuti di stato.

Imprese e partite Iva hanno presentato ricorso al Tar contro la nomina del commissario con udienza fissata, a L’Aquila, il 18 aprile. Intanto, il vicepresidente della Giunta regionale d’Abruzzo, Giovanni Lolli, ha convocato un summit con i soggetti interessati per “definire le urgenti azioni di mobilitazione istituzionale, giuridica e politica necessarie a contrastare le attività già avviate dal Commissario straordinario (incaricato del recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegali con la decisione della Commissione europea C(2015) 5549 final del 14 agosto 2015”.

Il neo deputato del Pd Stefania Pezzopane, ha invocato l’intervento dell’attuale governo, di quello che si formerà, nonché del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Poi ha invitato alla protesta; “L’ho fatto già una volta, beccandomi anche una denuncia – ha detto -, e sono pronta a tornare sull’autostrada con sindaci del cratere, cittadini e categorie del settore per bloccare questa assurda ingiustizia”.

 

 

tratto da: http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/abruzzo/l-aquila-la-ue-chiede-la-restituzione-immediata-delle-tasse-sospese-dopo-il-sisma-del-2009-erano-aiuti-di-stato-_3132106-201802a.shtml

La bancarotta dell’umanità

 

umanità

 

 

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La bancarotta dell’umanità

Sono indignato per quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi verso i migranti, nell’indifferenza generale. Stiamo assistendo a gesti e a situazioni inaccettabili sia a livello giuridico, etico ed umano. E bestiale che Beauty, donna nigeriana incinta, sia stata respinta dalla gendarmeria francese. Lasciata alla stazione di Bardonecchia (Torino), nella notte, nonostante il pancione di sei mesi e nonostante non riuscisse quasi a respirare perché affetta da linfoma. E morta in ospedale dopo aver partorito il bimbo: un raggio di luce di appena settecento grammi!

È inammissibile che la Procura di Ragusa abbia messo sotto sequestro la nave spagnola Open Arms per aver soccorso dei migranti in acque internazionali, rifiutandosi di consegnarli ai libici che li avrebbero riportati nell’inferno della Libia. È disumano vedere arrivare a Pozzallo sempre sulla nave Open Arms Resen, un eritreo di ventidue anni che pesava 35 chilogrammi, ridotto alla fame in Libia, morto poche ore dopo in ospedale. Il sindaco che lo ha accolto fra le sue braccia , inorridito ha detto: “Erano tutti pelle e ossa, sembravano usciti dai campi di concentramento nazisti”.

È criminale quello che sta avvenendo in Libia, dove sono rimasti quasi un milione di rifugiati che sono sottoposti – secondo il Rapporto del segretario generale dell’Onu, A. Guterres – a detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale, a lavori forzati e uccisioni illegali. E nel Rapporto si condanna anche la condotta spregiudicata e violenta da parte della Guardia Costiera libica nei salvataggi e intercettazioni in mare.

È scellerato, in questo contesto, l’accordo fatto dal governo italiano con l’uomo forte di Tripoli, El- Serraj (non cè nessun governo in Libia!) per bloccare l’arrivo dei migranti in Europa. È illegale l’invio dei soldati italiani in Niger deciso dal Parlamento italiano, senza che il governo del Niger ne sapesse nulla e che ora protesta. È immorale anche l’accordo della UE con la Turchia di Erdogan con la promessa di sei miliardi di euro, per bloccare soprattutto l’arrivo in Europa dei rifugiati siriani, mentre assistiamo a sempre nuovi naufragi anche nell’Egeo: l’ultimo ha visto la morte di sette bambini!

È disumanizzante la condizione dei migranti nei campi profughi delle isole della Grecia. Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi – ha detto l’arcivescovo Hyeronymous di Grecia a Lesbos – è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza la bancarotta dell’umanità.

È vergognoso che una guida alpina sia stata denunciata dalle autorità francesi e rischi cinque anni di carcere per aver aiutato una donna nigeriana in preda alle doglie insieme al marito e agli altri due figli, trovati a 1.800 metri, nella neve.

Ed è incredibile che un Europa che ha fatto una guerra per abbattere il nazi-fascismo stia ora generando nel suo seno tanti partiti xenofobi, razzisti o fascisti. “Europa , cosa ti è successo?”, ha chiesto ai leader della Ue papa Francesco. E questo anche il mio grido di dolore. Purtroppo non naufragano solo i migranti nel Mediterraneo, sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti.

Ho paura che , in un prossimo futuro, i popoli del Sud del mondo diranno di noi quello che noi diciamo dei nazisti. Per questo mi meraviglio del silenzio dei nostri vescovi che mi ferisce come cristiano, ma soprattutto come missionario che ha sentito sulla sua pelle cosa significa vivere dodici anni da baraccato con i baraccati di Korogocho a Nairobi (Kenya). Ma mi ferisce ancora di più il quasi silenzio degli Istituti missionari e delle Curie degli Ordini religiosi che operano in Africa. Per me è in ballo il Vangelo di quel povero Gesù di Nazareth: ero affamato, assetato, forestiero E quel Gesù crocifisso, torturato e sfigurato che noi cristiani veneriamo in questi giorni nelle nostre chiese, ma che ci rifiutiamo di riconoscere nella carne martoriata dei nostri fratelli e sorelle migranti. È questa la carne viva di Cristo oggi.

di Alex Zanotelli

 

fonte: https://comune-info.net/2018/03/migranti-la-bancarotta-dellumanita/

Cosa potrebbe accadere se usciamo dall’Euro? Ce lo spiega l’Islanda che senza Euro si è liberata della crisi ed ora ha un PIL che cresce del 3% l’anno !!

 

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Cosa potrebbe accadere se usciamo dall’Euro? Ce lo spiega l’Islanda che senza Euro si è liberata della crisi ed ora ha un PIL che cresce del 3% l’anno !!

C’era un paese che aveva nei confronti delle potenti banche estere un debito di diversi miliardi, pari a decine di migliaia di euro di debito a carico di ciascun cittadino! Le banche creditrici, appoggiate dal governo, hanno proposto misure drastiche a carico dei cittadini, che ciascun cittadino avrebbe dovuto pagare con tasse e/o minori servizi, qualcosa come 100 euro al mese per 15 anni! I cittadini sfiduciarono il governo, si fece strada l’idea che non era giusto che tutti dovessero pagare per errori e ruberie commessi da un manipolo di banchieri e politici, decisero poi di fare un referendum che con oltre il 90% dei consensi stabilì che non si dovesse pagare il debito.
Nazionalizzarono quindi le banche (prima private) che avevano portato a questo disastro economico e, tramite Internet, decisero di riscrivere la Costituzione (prevedendo anche che l’economia fosse al servizio del cittadino e non viceversa). Per riscrivere la nuova costituzione vennero scelti dei cittadini che dovevano essere maggiorenni, avere l’appoggio di almeno 30 persone e NON AVERE LA TESSERA di ALCUN PARTITO!Chiunque poteva seguire i progressi della Costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. Sembra una favola vero? Ma non lo è affatto!
Nonostante tutto, a sentire i parassiti di Bruxelles la decisione dell’Islanda di rimanere fuori dall’Unione Europea sarebbe un errore colossale visto che tale rifiuto condannerebbe i cittadini islandesi a decenni di povertà, declino e bassissima crescita economica, ma per loro sfortuna la matematica non è un’opinione e i dati recentemente rilasciati dall’istituto di statistica islandese danno un quadro completamente diverso.
E così mentre i paesi dell’area euro sono ancora impantanati in una recessione senza fine, per quest’anno l’economia islandese è destinata a crescere del 2.7%, nel 2015 del 3.3% e tra il 2016 e 2018 la crescita annua dovrebbe oscillare tra il 2.5 e il 2.9%.
A trascinare tale crescita è l’aumento dei consumi privati che quest’anno dovrebbe salire del 3.9% e del 4% nel 2015 per poi mantenersi al 3% annuo fino al 2018.
Quindi, mentre gli italiani sono costretti a rinunciare anche all’acquisto di beni essenziali come pasta e pane, i cittadini islandesi possono permettersi di spendere qualcosina in più – si fa per dire, vero? – visto che non devono sottostare ai diktat della BCE e della Merkel.
Però c’è anche un altro motivo dietro alla crescita dei consumi, ed è legato alla decisione del governo islandese di condonare parte dei mutui detenuti dalle famiglie islandesi.
Infatti, come sopra citato,subito dopo la bancarotta delle tre principali banche islandesi il governo decise nazionalizzare queste banche e ridurre parte dei mutui ad esse dovute – tagliando di molto gli interessi sui prestiti concessi – così da dare un pò di ossigeno alle famiglie islandesi colpite dalla crisi.
Tale decisione all’epoca fu fortemente criticata dalle agenzie di rating – e dalle banche straniere che perdevano lauti “guadagni” usurai – ma i politici islandesi se ne sono altamente fregati e adesso gli effetti benefici di tale decisione cominciano a farsi sentire.
Quello che sta succedendo in Islanda è un esempio da manuale su come vada gestito un paese per farlo uscire dalla crisi finanziaria, ma ovviamente la stampa di regime italiana ha censurato questa storia perché la verità dà fastidio ai parassiti di Bruxelles e ai loro burattini del governo Renzi, ad iniziare dal ministro dell’Economia Padoan.
by Eles
fonte: http://siamolagente2016.blogspot.it/2017/03/cosa-potrebbe-accadere-se-usciamo.html

 

L’Unione Europea approva il nuovo principio contabile sui crediti delle banche: un fantastico regalo alle banche tedesche, ma un suicidio per l’Italia!

 

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L’Unione Europea approva il nuovo principio contabile sui crediti delle banche: un fantastico  regalo alle banche tedesche, ma un suicidio per l’Italia!

È stato approvato stamattina in seduta plenaria il regime transitorio di 5 anni per introdurre dal 2018 il nuovo principio contabile IFRS 9 sui crediti delle banche. Quest’ultimo determinerà il passaggio da un modello basato sulla rilevazione delle perdite sostenute a un modello basato sulla rilevazione delle perdite attese, anche se non ancora effettivamente realizzate.

Si tratta di un ulteriore tassello dell’agenda UE che si aggiunge a una serie di azioni di accanimento sul rischio di credito che sta mettendo in difficoltà il sistema bancario tradizionale focalizzato sul finanziamento di famiglie e imprese. Soprattutto il sistema del credito italiano, mentre purtroppo non vediamo parallelamente alcuna azione o iniziativa per monitorare e ridurre il rischio finanziario sistemico legato ai titoli illiquidi, come i derivati, di cui sono piene le banche francesi e tedesche. Una bomba a orologeria che rappresenta la vera minaccia nascosta alla stabilità del sistema bancario europeo.

Nel merito, le banche saranno tenute ad accantonare maggiori riserve di capitale anche per i crediti in bonis, ai primi segnali di deterioramento, indipendentemente dal verificarsi di eventi oggettivi, ma tenendo conto della sola probabilità di perdite in futuro. Nonostante il regime transitorio che diluirà in 5 anni gli effetti negativi sui coefficienti di capitale dei maggiori accantonamenti, la modifica contabile avrà evidenti e concrete ripercussioni sul capitale delle banche, sulla gestione dei prestiti e sulla capacità di sostenere l’economia reale e concedere credito a famiglie e imprese. Saranno inoltre esclusi dal regime transitorio (cosiddetto phase-in) i maggiori accantonamenti sui crediti classificati come deteriorati.

Ma c’è di più. Queste nuove regole non varranno per tutte le banche europee. Per esempio, non per le oltre 1.600 banche locali e regionali della Germania, la quasi totalità del sistema creditizio tedesco, che continueranno tranquillamente a seguire i principi contabili nazionali. Un privilegio che si aggiunge al vantaggio di aver ottenuto l’esclusione dal sistema di vigilanza unica della BCE entrato in vigore nel 2014. È una situazione assolutamente inaccettabile che crea ulteriori distorsioni della concorrenza tra sistemi bancari nazionali e amplifica le già profonde asimmetrie che caratterizzano questa finta unione bancaria fondata su 2 pesi e 2 misure.

Ancora una volta a uscirne penalizzate saranno soprattutto le banche piccole e le banche che hanno un modello di business incentrato sui prestiti a famiglie e PMI, già soffocate da una vigilanza e regole asfissianti.

 

fonte: http://www.efdd-m5seuropa.com/2017/11/regalo-alle-banche-t.html

Ecco perché se salta l’Euro l’Italia rischia poco o nulla…

 

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Ecco perché se salta l’Euro l’Italia rischia poco o nulla…

Salta l’euro? Per l’Italia pochi rischi. Lo studio (francese)

Dall’analisi dell’Osservatorio Economico Francese (OFCE) emerge una conclusione che lo stesso team di studiosi definisce “inaspettata”

Negli ultimi mesi si sono letti report e si sono osservate simulazioni dagli esiti diversissimi fra loro a proposito di un eventuale collasso dell’aera euro e di un conseguente ritorno alle monete nazionali. L’ultimo in ordine di tempo è opera dell’OFCE, l’Osservatorio Economico Francese, e va in controtendenza rispetto alle teorie maggioritarie: secondo lo studio, infatti, i costi di un’uscita dall’Eurozona non sarebbero probabilmente così alti come si è portati a pensare per paesi in deficit come Italia e Spagna, mentre sarebbero più elevati del previsto per i paesi in surplus che potrebbero subire perdite di capitali, una conseguenza di default o svalutazioni.

LO STUDIO – La prima domanda da farsi sul piano prettamente economico è quali sarebbero le conseguenze di un ritorno alla valuta nazionale, che si svaluterebbe alimentando l’inflazione e riducendo il potere di acquisto delle famiglie. Sul breve termine l’impatto sarebbe estremamente negativo, ma sul lungo termine potrebbero esserci vantaggi notevoli per alcuni paesi. La questione più controversa riguarda i debiti privati e pubblici denominati nella nuova moneta. Secondo lo studio, con il ritorno alla lira che si rivaluterebbe dell’1%, l’Italia sarebbe il paese dell’area euro che avrebbe meno problemi economici e che correrebbe meno rischi in termini di debito pubblico. Dopo una svalutazione significativa, la lira sul lungo termine finirebbe per stabilizzarsi e addirittura avrebbe il potenziale di apprezzarsi dell’1% rispetto all’euro.

Non solo: i costi di un’uscita dall’Eurozona, stando ai numeri in oggetto, non sarebbero probabilmente così alti come si è portati a pensare per paesi in deficit come Italia e Spagna, mentre sarebbero piu’ elevati del previsto per i paesi in surplus che potrebbe subire perdite di capitali, una conseguenza di default o svalutazioni.

Addirittura, volendo prendere in considerazione i rischi per i bilanci dei singoli paesi in caso di ritorno alla lira (bilancio del settore pubblico e della banca centrale, bilanci delle aziende private e delle famiglie e bilanci delle banche), l’Italia è l’unico paese che non correrebbe alcun pericolo per i bilanci citati e anche Olanda e Francia presentano rischi bassi, limitati alle aziende non finanziarie e alle famiglie.

 

fonte: http://quifinanza.it/soldi/salta-leuro-per-litalia-pochi-rischi-lo-studio-francese/107830/?ref=libero

Banche Venete, dallo Stato pronti 17 miliardi di euro. Pari pari a quanto servirebbe per il reddito di cittadinanza. Ma loro sono le banche e voi non siete un cazzo!

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Banche Venete, dallo Stato pronti 17 miliardi di euro. Pari pari a quanto servirebbe per il reddito di cittadinanza. Ma loro sono le banche e voi non siete un cazzo!

Banche Venete a Intesa, ok della Ue. Dallo Stato fino a 17 miliardi di euro
Via libera al salvataggio. Padoan: da Intesa Sanpaolo l’offerta più significativa per i due istituti. Messina: in sicurezza 50 miliardi di risparmi. Dal Tesoro impegni fino a 17 miliardi. Il sì della Ue

Il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca potrebbe costare teoricamente allo Stato fino a 17 miliardi. Intesa Sanpaolo, che secondo il governo ha presentato l’offerta «più credibile e utile» per la parte buona degli istituti, che saranno messi in liquidazione, riceverà dal Tesoro 5,2 miliardi per mantenere e rafforzare il patrimonio. Ma con il decreto varato ieri, e già approvato dalla Ue, lo Stato mette sul piatto garanzie fino a un massimo di altri 12 miliardi sui prestiti che, dopo essere stati valutati da Intesa, potranno essere retrocessi al Tesoro. L’impegno di 17 miliardi è potenziale: le attese del governo sono quelle di limitare l’impatto a breve a 7-8 miliardi, e di recuperarne in seguito 4 o 5.

Rimborsi ai piccoli

I piccoli risparmiatori che detengono le obbligazioni subordinate delle due popolari saranno rimborsati integralmente: Il Fondo Interbancario di tutela dei depositi restituirà l’80% dell’investimento e Intesa il residuo 20%. I fondi necessari, ha spiegato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, al termine del consiglio dei ministri «non impattano sul deficit» e sono «già previsti in bilancio». Di fatto saranno “dirottati” sulla liquidazione delle venete i fondi stanziati a Natale per le ricapitalizzazioni precauzionali, come quella del Monte Paschi.

50 miliardi al sicuro

Varato il decreto che consente la cessione e il sostegno a Banca Intesa, Bankitalia ha chiesto la liquidazione dei due istituti e la nomina dei commissari che dovranno gestire il trasferimento delle attività a Intesa. Gli accordi raggiunti col Tesoro, secondo indiscrezioni, prevedono che il gruppo acquisisca 21,6 miliardi di crediti in bonis, attività finanziarie per quasi 9 miliardi, le partecipazioni in Banca Apulia, Banca Nuova, Sec, Servizi Bancari e le banche in Moldavia, Croazia e Albania. Verrebbero rilevati anche 26 miliardi di depositi, insieme a circa 900 sportelli e 10 mila dipendenti. «Mettiamo al sicuro 50 miliardi di risparmi e tuteliamo 2 milioni di clienti» sottolinea Intesa in una nota, in cui ricorda, peraltro, che sarebbe stata disponibile a fare la sua parte anche nella ricapitalizzazione precauzionale dello Stato, saltata «per l’insufficiente partecipazione del sistema».

L’operazione

Intesa riceverà 3,5 miliardi per riequilibrare il suo bilancio dopo l’acquisizione di attività e passività delle due venete, e 1,2 miliardi per la gestione degli eventuali esuberi. Poi ci sono le garanzie sui prestiti che per ora passano a Intesa, ma devono essere verificati: fino a 6,3 miliardi sui crediti dubbi e fino a 4 sui prestiti “in bonis”, ma ad “alto rischio”, più altri 2 di garanzie sui rischi legali.

Nessuna alternativa

Tutti i crediti in sofferenza (il Commissario Margareth Vestager, commentando l’ok Ue, parla di 18 miliardi) e quelli che Intesa retrocederà finiranno alla Sga, la spa del Tesoro che ha gestito la liquidazione del Banco di Napoli, chiudendola in attico. Padoan è convinto che «riuscirà a recuperare gran parte dei 5 miliardi, che rappresentano il vero esborso da parte dello Stato». «Il decreto va a favore delle banche, da cui dipende anche la possibilità di incoraggiare la ripresa» ha detto il premier, Paolo Gentiloni, mentre Padoan si è difeso. «Sento molte critiche, ma non c’erano alternative valide a costi inferiori».

fonte: http://www.corriere.it/economia/17_giugno_26/banche-venete-intesa-ok-ue-1b987b0e-59da-11e7-8109-77a9e9fc44b1.shtml