Tutti fumo e niente arresto – Il grande editoriale di Marco Travaglio sull’arresto di Formigoni…

 

Marco Travaglio

 

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Tutti fumo e niente arresto – Il grande editoriale di Marco Travaglio sull’arresto di Formigoni…

Tutti fumo e niente arresto

A leggere le dolenti e lacrimanti dichiarazioni di politici e intellettuali di destra, centro e sinistra per l’arresto di Roberto Formigoni, condannato definitivamente dalla Cassazione a 5 anni e 10 mesi, cui farà seguito il consueto pellegrinaggio di vedove e orfani inconsolabili nella cella del nuovo Silvio Pellico, una domanda sorge spontanea. Ma che deve fare un politico italiano, per 18 anni governatore della Lombardia, per guadagnarsi un minimo di riprovazione sociale, se non bastano nemmeno 6,6 milioni di tangenti (su un totale di 80) sotto forma di ville in Costa Smeralda, yacht in Costa Azzurra, vacanze ai Caraibi e in Sardegna, banchetti a base di champagne in ristoranti stellati, benefit vari e finanziamenti elettorali illeciti rubati al sistema sanitario nazionale, cioè sulla pelle dei malati?

L’altroieri il Pg della Cassazione, chiedendo la conferma della condanna d’appello a 7 mesi e mezzo (poi un po’ ridotta per la solita prescrizione), ricordava “l’imponente baratto corruttivo… tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità”. Siccome una sentenza irrevocabile, non il teorema della solita Procura di Milano, ha accertato che tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (cliniche private convenzionate e foraggiate dalla Regione, con l’aggiunta di favori indebiti per 200 milioni di denaro pubblico), sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni, poi transitati su conti di società estere “schermate” e finiti nelle tasche dell’imprenditore Pierangelo Daccò, dell’ex assessore Antonio Simone, di Formigoni e di suoi prestanome, tutti ciellini di provata fede, la classe dirigente di un Paese serio si congratulerebbe con i magistrati per aver neutralizzato e assicurato alla giustizia un pericoloso focolaio d’infezione che per quattro lustri ha depredato la sanità pubblica di una delle regioni più prospere d’Italia. Invece chi candidò questo bell’esemplare di nababbo a spese nostre col voto di povertà, chi lo sostenne (da FI ai centristi Udc alla Lega), chi finse di fargli l’opposizione (il Pd) e chi lo votò si vergognerebbe come un ladro. E tutti ringrazierebbero i 5Stelle per due meriti indiscutibili, acquisiti prima della cura Salvini: aver costretto i partiti a dare una mezza ripulita alle liste del 4 marzo 2018, cancellando almeno i più impresentabili fra gli impresentabili (senza i famigerati “grillini”, FI avrebbe ricandidato Formigoni per la sesta volta); e aver approvato la Spazzacorrotti che equipara la corruzione ai reati di mafia.

Cioè la rende “ostativa” ai benefici penitenziari, pene alternative e altre scappatoie. E ci risparmia per il futuro il consueto spettacolo del potente di turno che “sconta” la pena ai domiciliari o ai servizi sociali senza un giorno di galera. Invece siamo un popolo che, non avendo conosciuto la Riforma protestante, non sa cosa sia l’etica della responsabilità. Infatti, all’ennesimo arresto di “uno del giro”, il coro delle prefiche ha ripreso a lacrimare, passando senza soluzione di continuità da casa Renzi alla cella di Forchettoni. Il messaggio classista di queste lamentazioni è che i “signori” non si arrestano mai, neppure quando ce la mettono tutta per finire in galera nel Paese che li respinge sulla soglia, e alla fine ci riescono. In fondo, la nostra infima “classe dirigente” rimpiange quei tempi e quei figuri. E anche nella presunta sinistra fioccano le riabilitazioni di B. purché ci (anzi li) salvi dal “populismo”.

Cominciarono Scalfari e De Benedetti (“Meglio B. di Di Maio”), proseguì Renzi (“Chiediamo scusa a B.”), poi arrivò lo scrittore Veronesi (“Firmerei col sangue per il ritorno di B.”). E ora Augias, su Repubblica, per poter sostenere restando serio che “questo governo è il peggiore della storia repubblicana”, deve scrivere che i governi B. furono acqua fresca: “B. badava ai suoi affari e a scansare la galera” con qualche “legge su misura”, che sarà mai, “ma non ha danneggiato struttura ed equilibri dello Stato come rischiano di fare questi”. In effetti B. si limitò a consegnare la democrazia e le istituzioni a un’associazione per delinquere che ha rapinato l’Italia, in miliardi e in diritti, per un quarto di secolo. Basta ricordare la lista dei condannati, imputati e indagati di quello che chiamiamo spiritosamente “centrodestra”.

Due dei tre leader fondatori, B. e Bossi, sono pregiudicati passati dai servizi sociali. L’altro, Fini, è imputato per riciclaggio. I creatori di FI, Dell’Utri e Previti, sono pregiudicati l’uno per mafia e l’altro per corruzione giudiziaria. Il leader della Campania, Cosentino, ha già totalizzato 25 anni di carcere per camorra. Quello della Calabria, Matacena, è latitante a Dubai. E prima di Formigoni erano stati indagati, o arrestati, o condannati in vari gradi di giudizio o prescritti i governatori di centrodestra di quasi tutte le Regioni: Cota (Piemonte), Biasotti (Liguria), Maroni (Lombardia), Galan (Veneto), Polverini (Lazio), Pace (Abruzzo), Iorio (Molise), Fitto (Puglia), Scopelliti (Calabria), Drago, Cuffaro e Lombardo (Sicilia), Cappellacci (Sardegna). En plein. Per non parlare dei membri di Parlamenti e governi: Verdini, Scajola, Brancher, Papa, Luigi Grillo, Frigerio, Alfredo Vito, Matteoli, Sirchia, Romani, Angelucci, Sgarbi, Belsito, Sciascia, Minzolini, Farina per citare solo i migliori.

Un esercito di perseguitati politici, un battaglione di vittime della malagiustizia.

Prima c’erano quelli che “un avviso di garanzia non è una condanna” e “aspettiamo la sentenza definitiva”. Ora piangono anche dopo le condanne in Cassazione. Formigoni non è ancora entrato in galera e già lo vogliono fuori. Con tutta la fatica che ha fatto per meritarsela.

“TUTTI FUMO E NIENTE ARRESTO” di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 23 febbraio 2019

L’Unione Europea approva il nuovo principio contabile sui crediti delle banche: un fantastico regalo alle banche tedesche, ma un suicidio per l’Italia!

 

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L’Unione Europea approva il nuovo principio contabile sui crediti delle banche: un fantastico  regalo alle banche tedesche, ma un suicidio per l’Italia!

È stato approvato stamattina in seduta plenaria il regime transitorio di 5 anni per introdurre dal 2018 il nuovo principio contabile IFRS 9 sui crediti delle banche. Quest’ultimo determinerà il passaggio da un modello basato sulla rilevazione delle perdite sostenute a un modello basato sulla rilevazione delle perdite attese, anche se non ancora effettivamente realizzate.

Si tratta di un ulteriore tassello dell’agenda UE che si aggiunge a una serie di azioni di accanimento sul rischio di credito che sta mettendo in difficoltà il sistema bancario tradizionale focalizzato sul finanziamento di famiglie e imprese. Soprattutto il sistema del credito italiano, mentre purtroppo non vediamo parallelamente alcuna azione o iniziativa per monitorare e ridurre il rischio finanziario sistemico legato ai titoli illiquidi, come i derivati, di cui sono piene le banche francesi e tedesche. Una bomba a orologeria che rappresenta la vera minaccia nascosta alla stabilità del sistema bancario europeo.

Nel merito, le banche saranno tenute ad accantonare maggiori riserve di capitale anche per i crediti in bonis, ai primi segnali di deterioramento, indipendentemente dal verificarsi di eventi oggettivi, ma tenendo conto della sola probabilità di perdite in futuro. Nonostante il regime transitorio che diluirà in 5 anni gli effetti negativi sui coefficienti di capitale dei maggiori accantonamenti, la modifica contabile avrà evidenti e concrete ripercussioni sul capitale delle banche, sulla gestione dei prestiti e sulla capacità di sostenere l’economia reale e concedere credito a famiglie e imprese. Saranno inoltre esclusi dal regime transitorio (cosiddetto phase-in) i maggiori accantonamenti sui crediti classificati come deteriorati.

Ma c’è di più. Queste nuove regole non varranno per tutte le banche europee. Per esempio, non per le oltre 1.600 banche locali e regionali della Germania, la quasi totalità del sistema creditizio tedesco, che continueranno tranquillamente a seguire i principi contabili nazionali. Un privilegio che si aggiunge al vantaggio di aver ottenuto l’esclusione dal sistema di vigilanza unica della BCE entrato in vigore nel 2014. È una situazione assolutamente inaccettabile che crea ulteriori distorsioni della concorrenza tra sistemi bancari nazionali e amplifica le già profonde asimmetrie che caratterizzano questa finta unione bancaria fondata su 2 pesi e 2 misure.

Ancora una volta a uscirne penalizzate saranno soprattutto le banche piccole e le banche che hanno un modello di business incentrato sui prestiti a famiglie e PMI, già soffocate da una vigilanza e regole asfissianti.

 

fonte: http://www.efdd-m5seuropa.com/2017/11/regalo-alle-banche-t.html