Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

 

Marco Travaglio

 

 

 

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Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

Una l’Umbria, 2 l’Emilia-Romagna, 5 il Lazio, 3 la Campania, 12 l’Abruzzo, 5 il Molise, 4 la Basilicata, 11 la Calabria, 4 la Sicilia. In totale fanno 47 zone rosse istituite da tutte le regioni Italiane nel periodo più acuto della pandemia da coronavirus. È l’elenco fatto da Marco Travaglio a Otto e Mezzo per quanto riguarda le misure intraprese dalle singole regioni, in contrasto con quanto fatto dalla Lombardia «nonostante – dice il direttore del Fatto Quotidiano – avesse il record mondiale di contagi da coronavirus».

Per questo motivo, Travaglio è convinto che le audizioni in procura a Bergamo di Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese siano utili a chiarire e a dare contributi all’indagine sulle mancate zone rosse create nei due Paesi di Alzano Lombardo e Nembro, che potrebbero portare a formulare le accuse di epidemia colposa.

Tuttavia, andranno chiarite le responsabilità, dal momento che – in base alla legge che concede autonomia alle regioni – queste ultime, per motivi sanitari, possono istituire delle limitazioni. Si tratta di una legge che, come già visto, è stata applicata in 9 regioni italiane che hanno istituito le zone rosse di loro iniziativa, senza aspettare un via libera da parte del governo di Giuseppe Conte.

«Non si può chiedere l’autonomia a giorni alterni – ha detto Marco Travaglio -. La Lombardia avrebbe potuto istituire le zone rosse. È bene che i magistrati che fanno le indagini leggano anche le leggi sulle quali quelle indagini dovrebbero basarsi. Io sono favorevole a queste indagini, così si chiariranno tutti gli aspetti della vicenda di Alzano e Nembro».

Le parole di Travaglio arrivano qualche ora dopo la notizia della convocazione in procura, per la giornata di venerdì 12 giugno, di Conte, Lamorgese e Speranza a Bergamo per parlare come persone informate sui fatti con i magistrati della locale procura. Dal governo filtra qualche disappunto per questo tipo di decisione, mentre invece Matteo Salvini, nella giornata di ieri, aveva twittato «giustizia è fatta». Dimenticando che, per lo stesso motivo, erano stati convocati in procura anche Attilio Fontana e Giulio Gallera. Giustizia, insomma, non è fatta per niente. Almeno per il momento.

L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

 

Lombardia

 

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L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

Da L’Espresso:

Bravissimi, capacissimi, veri tecnici preparati e indipendenti? Grandi medici, ottimi manager o magari scienziati impermeabili alle pressioni politiche? No: fedelissimi della Lega. Anzi, dei capi-partito nazionali e regionali: Matteo Salvini, il governatore Attilio Fontana e il suo assessore Stefano Galli.

La Lombardia ha affrontato l’emergenza coronavirus con una classe dirigente sanitaria totalmente lottizzata dalla politica. La regione più colpita dall’epidemia rappresenta un caso da manuale di spartizione degli ospedali tra i partiti al potere. Medici, infermieri e operatori sanitari, gli eroi dei nostri giorni stremati dai sacrifici e falcidiati dal virus, sono lavoratori dipendenti e devono obbedire a loro: i direttori di nomina politica da oltre 10 mila euro netti al mese. E in Lombardia li comanda la Lega, che da anni controlla 24 delle 40 poltrone di vertice di un sistema sanitario regionale che ai cittadini costa 20 miliardi all’anno.

Tutti i particolari sulla lottizzazione degli ospedali sono scritti nero su bianco in un documento riservato, sequestrato dai magistrati antimafia di Milano cinque anni fa, recuperato dall’Espresso e finora mai pubblicato integralmente: la lista riservata dei direttori della sanità lombarda con la targa della Lega. Una specie di manuale Cencelli applicato agli ospedali e alle Asl, con nomi, cariche e sponsor politici. Rispetto alle normali mappe dei manager lottizzati, ricostruite in questi anni dai cronisti lombardi dopo ogni tornata di nomine, l’elenco confiscato ha diverse particolarità: è un documento interno alla Lega, scritto a mano per non lasciare tracce nei computer, e non si limita a indicare che il dirigente sanitario è stato scelto dal partito, ma specifica anche il suo padrino politico. La lista è ancora attualissima: la sanità lombarda è tuttora in mano a decine di questi direttori etichettati da anni come fedelissimi di Salvini o di altri big della Lega.

Uno dei manager più importanti è Marco Onofri, l’affermato cardiologo varesino che il governatore Fontana ha promosso dal gennaio 2019 a capo dell’Acss, l’agenzia di controllo di tutta la sanità lombarda. Cioè degli ispettori e tecnici responsabili della vigilanza e del coordinamento tra ospedali: compiti cruciali soprattutto in situazioni di emergenza. Nella lista dei lottizzati sequestrata nel 2015, Onofri compare con l’incarico dell’epoca, numero uno dell’azienda ospedaliera di Como, e come sponsor politico ha il «gruppo di Varese» della Lega, capeggiato proprio dall’allora sindaco Fontana. Che nel 2018 è diventato presidente della regione, ed è rimasto il suo santo protettore. Come raccontano le confidenze intercettate dall’antimafia di Milano, ancora una volta, nell’inchiesta che nel 2019 ha portato in carcere Nino Caianiello, l’eminenza grigia di Forza Italia a Varese, già allora pregiudicato per tangenti. Quando il governatore leghista gli anticipa che vuole promuovere proprio il dottor Onofri alla direzione centrale del sistema sanitario lombardo, è Caianiello a fargli cambiare idea: «Mettilo a fare il responsabile dell’agenzia del controllo. Onofri è un amico, persona competente… Ma tu alla sanità hai bisogno di uno tonico». Profezia avverata.

Come «fedelissimo di Salvini», nella lista leghista, è etichettato Walter Locatelli, che vent’anni fa fece il suo primo balzo da perito chimico responsabile del laboratorio di Treviglio, a direttore generale di Asl, da Lecco a Milano. Dopo un’irresistibile carriera in Lombardia, oggi Locatelli è il commissario straordinario del sistema sanitario della Liguria con il governatore di centrodestra Giovanni Toti.

Mara Azzi, per anni a capo dell’agenzia per la salute (Ats) di Bergamo, dal 2019 siede sulla poltrona di direttore generale a Pavia. Già nel 2012, intervistata dalla Gazzetta di Mantova, aveva ammesso: «Sì, sono in carico alla Lega Nord, punto e a capo». Nella lista sequestrata nel 2015 è però associata a due sponsor: «Stefano Galli e Lucchina». Il primo, professore e ideologo della Lega, era il capogruppo regionale del partito sotto il governatore Roberto Maroni: oggi, con Salvini leader, è l’assessore all’Autonomia della giunta Fontana. Che gli ha riconfermato fiducia anche dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Genova che più imbarazza la Lega: Galli, che respinge ogni accusa, figura infatti tra gli indagati per la sparizione di 46 dei 49 milioni della famosa truffa dei rimborsi elettorali dell’era Bossi. Il secondo, Claudio Lucchina, era il direttore generale di tutta la sanità lombarda sotto Roberto Formigoni, governatore ciellino per vent’anni, poi condannato per corruzioni milionarie in cambio di sussidi pubblici a due ospedali privati. In questi mesi difficili Mara Azzi ha difeso fino all’ultimo la linea lombarda sugli ospizi, da lei stessa illustrata il 26 marzo scorso ai preoccupati cronisti della Provincia Pavese: «Per gli ospiti delle residenze per anziani non sono previsti tamponi».

Il manuale della lottizzazione leghista collega al professore e assessore Galli, con una vistosa freccia, anche il manager Mauro Borelli, già direttore generale a Mantova. Dove si era segnalato per le sue richieste di donazioni alla Lega spedite su carta intestata dell’azienda sanitaria. Oggi Borelli è il responsabile degli ospedali bresciani di Chiari, Iseo, Rovato, Palazzolo e Orzinuovi, dove il virus ha fatto strage.

La genesi del sequestro giudiziario di questa mappa dei lottizzati è inquietante, ma a suo modo istruttiva: se la sanità è dominata da una politica predatoria, anche la corruzione e perfino la mafia possono entrare negli ospedali. In Lombardia lo si scopre nell’estate 2010, con la clamorosa retata (304 arresti tra Milano e Reggio Calabria) che porta in carcere anche il dottor Carlo Chiriaco: un complice della ’ndrangheta diventato direttore sanitario dell’Asl di Pavia, una capitale scientifica della medicina italiana. Da quella maxi-inchiesta partono molte altre indagini concatenate, che durano anni e svelano le tangenti dell’Expo di Milano e svariate corruzioni negli ospedali lombardi. Finché nel 2015, perquisendo un manager di comprovata fede leghista, l’antimafia trova la lista dei lottizzati. Scritta a mano, in stampatello, ma conservata accanto a un documento originale del “comitato ristretto” dell’assessorato alla Sanità: le “pagelle” dei direttori generali, con i punteggi per distribuire i bonus. Ma anche qui c’è un’aggiunta a penna: accanto a ogni nome c’è la sigla di un partito, Lega o Pdl. Unica eccezione, un tecnico di area Pd, prontamente silurato.

Dopo quella perquisizione, mentre l’Espresso pubblica le prime parziali indiscrezioni, nella sanità lombarda sembra cambiare tutto. Le indagini su Formigoni spezzano il ventennale predominio ciellino. E la Lega di Maroni annuncia una riforma della sanità. Basta raccomandati di partito, basta lottizzazioni: i direttori generali vanno selezionati «per merito e professionalità», con prove scritte e bocciature eccellenti. Nel gennaio 2016, però, una manina rimasta anonima rovina tutto: sul sito dell’agenzia regionale Arca viene pubblicato «per errore» l’elenco dei direttori generali appena nominati, con le bandiere dei partiti di riferimento. Quella mappa, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, riconferma il manuale leghista, con qualche aggiunta: altri manager sono saliti sul carro della Lega.

L’esempio più vistoso interessa il primo ospedale milanese per le malattie infettive. Nella lista sequestrata nel 2015, che riportava i nominati del 2013, il nome di Alessandro Visconti, allora direttore dell’Icp-Mangiagalli, era associato a due sponsor: il ciellino Lucchina e il berlusconiano Gianstefano Frigerio. Un politico lombardo pluri-condannato come tesoriere di Tangentopoli per la Dc, poi eletto parlamentare con Forza Italia, quindi riarrestato e ricondannato per le tangenti dell’Expo. Già nella mappa del 2016, però, sul nome di Visconti sventola la bandiera della Lega, che lo ha portato in Regione come direttore della «programmazione strategica». Una bella carriera, per un manager che fino a pochi anni prima, come mostra il suo curriculum, si occupava di tutto fuorché di sanità: antifurti per automobili, compagnie aeree, ingegneria oleodinamica, valvole a sfera e calzature. Oggi Visconti, anche lui varesino, è da tre anni il numero uno degli ospedali milanesi Sacco, Buzzi e Fatenebenefratelli. Il Sacco, con l’istituto Spallanzani di Roma, è uno dei centri nazionali di riferimento per il Covid-19.

Con l’ultima tornata di nomine, decise nel dicembre 2018, la Lega ha conquistato 24 poltrone su 40, lasciandone solo 14 a Cl e Forza Italia, 2 a Fratelli d’Italia. E ha fatto nuovi acquisti. Come Walter Bergamaschi, nominato direttore dell’Ats di Milano, che comprende anche Lodi, dopo aver gestito la centrale regionale con Maroni. A Cremona, da Lodi, è arrivato Giuseppe Rossi, che non pubblica un curriculum aggiornato, ma ha un passato di ingegnere meccanico e chitarrista della band di Maroni. In un’altra provincia martoriata dal virus la Lega oggi schiera Claudio Sileo, promosso al vertice dell’Ats di Brescia grazie ai meriti acquisiti nella gestione del Pio Albergo Trivulzio.

Altri manager inseriti nella lista dei lottizzati del 2013-2015, invece, sono passati alla sanità privata. Danilo Gariboldi, ad esempio, era il direttore dell’ospedale bresciano di Chiari, accreditato come «fedelissimo di Salvini e Bruno Caparini», il grande amico di Umberto Bossi che è padre di Davide, per anni parlamentare e attuale assessore lombardo all’economia. Oggi Gariboldi è il vicedirettore sanitario della rinomata casa di cura privata La Madonnina di Milano. Mentre Gilberto Compagnoni, dopo aver diretto l’Asl di Cremona, sfidando le polemiche per le consulenze esterne da 250 mila euro affidate alla società informatica di Luca Morisi (lo spin doctor della propaganda su internet di Matteo Salvini), ora è il direttore sanitario dell’ospedale privato di Volta Mantovana.

Ma c’è anche chi è partito dagli ospedali lombardi per salire ancora più in alto. Cristina Cantù, immortalata nell’elenco del 2013-2015 come «fedelissima di Salvini e Maroni», ha diretto le Asl di Milano e Monza, diventando anche assessore alla Famiglia della giunta Maroni, che le ha dato pure la delega alle Pari opportunità, regalandole per alcuni mesi l’ebbrezza del triplo incarico. Eletta senatrice della Lega, è stata sottosegretario alla salute con il primo governo Conte. E oggi è vicepresidente della commissione sanità del Senato. Di salute, in effetti, se ne intende: nel 2015 ha cumulato le poltrone di manager a Monza e di responsabile dell’ufficio contratti del più famoso ospizio milanese, il Pio Albergo Trivulzio, carica mantenuta fino all’aprile 2019. La casa di riposo dove era nata Tangentopoli. E in questi mesi, sfortunatamente, è diventata il simbolo della catastrofe sanitaria in Lombardia.

fonte: https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/05/08/news/sanita-lombardia-lottizzata-1.348026?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR1i2wNmurPu1LbaBh6yJPXBvWJJlMsE356qweEScXYqvpXkbz4eSxKBkTI

Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

 

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Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

Da Ansa:

Materiale ospedaliero finiva sul mercato, 2 arresti – Farmacista dell’ospedale di Saronno e imprenditore brianzolo.

Materiale per intubare i pazienti sottratto deliberatamente ai reparti intensivi per essere rivenduto sul mercato, e ordini di acquisto ingigantiti approfittando dell’emergeza Coronavirus. E’ questo quanto scoperto dai Carabinieri di Varese e dalla Gdf di Saronno (Varese) che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Busto Arsizio (Varese) nei confronti di una farmacista 59enne, dirigente presso l’ospedale di Saronno, e un 49enne di Barlassina (Monza Brianza), amministratore di una società specializzata in dispositivi medici.

Per entrambi gli arrestati il reato contestato è peculato in concorso. L’uomo dovrà rispondere anche di autoriciclaggio. Il materiale indebitamente sottratto, o con acquisti non necessari o portando via quello presente in ospedale, secondo le indagini, veniva poi consegnato in scatoloni anonimi all’imprenditore di prodotti medicali, che li rivendeva “con regolare fattura” ad altri clienti tra cui anche ignari ospedali.

L’indagine congiunta scaturisce da una segnalazione di un dirigente sanitario “responsabile delle farmacie ospedaliere dell’Asst Valle Olona – precisano gli investigatori – L’Azienda sanitaria, lo scorso mese di novembre, aveva rilevato una serie di ordinativi anomali partiti dalla farmacia ospedaliera di Saronno a firma della dirigente indagata

Il medico, dirigente dell’ospedale, arrestato, Sara Veneziano, di 59 anni, nelle telefonate intercorse con il presunto complice, l’imprenditore Andrea Arnaboldi, di 49, con cui secondo le indagini ha una relazione, chiede insistentemente di far pagare le pile per laringoscopi sottratte “250 euro l’una” vista la carenza. “Sì, sì dai – dice – una bella mangiata un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada”. Tanto che il gip di Busto Arsizio (Varese) che ha coordinato l’inchiesta non esita a definire i due “avidi e dotati di sconcertante cinismo”.

fonte: https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2020/06/05/materiale-ospedaliero-finiva-sul-mercato-2-arresti_671eed38-cd68-4433-baf6-5e4f8941c4ec.html?fbclid=IwAR2Z6h3pJAztJiU6QKL_G7uQ-fGu41jbtQ2YaUl9rbiASuMMwA2brDzy3TE

La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

 

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La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

Matteo Salvini, con un lessico da stadio la domenica pomeriggio, ha invitato tutti a “sciacquarsi la bocca quando si parla della sanità lombarda”. Il messaggio che vuol far passare è quello di una regione che ha subito il disastro a causa di un destino inevitabile, e non per l’incompetenza dei suoi fedelissimi che la amministrano. Per il leader leghista sembrano non contare nulla i problemi con i tamponi, l’immobilismo di Fontana e Gallera sulle zone rosse, l’Ospedale in Fiera costruito senza seguire il parere degli esperti, le delibere che dislocavano gli anziani malati di COVID-19 nelle case di riposo, condannandoli a morte certa, né il fatto che anche ieri la Lombardia era l’unica regione d’Italia a far segnare un aumento degli attualmente positivi al coronavirus. per Salvini tutto si riduce al destino avverso, che ha trasformato la Lega in un partito di martiri in cui nessuno ha colpe. La realtà è che dovrebbe sciacquarsi la bocca chi è complice di questo disastro, ovvero il centro destra e la Lega in particolare, cultori e artefici del modello Lombardia. E sicuramente è complice chi tenta giorno dopo giorno di speculare e strumentalizzare il dramma di una regione per fini elettorali. Come quando nel mezzo della pandemia, l’11 aprile, la Regione Lombardia ha deciso di pagare una paginata di Repubblica insieme a Confindustria Lombardia, all’associazione degli ospedali privati (A.I.O.P.) e l’ARIS per dire che tutto stava filando per il meglio.

Lo sdegno di Salvini  è arrivato in seguito all’intervento del deputato del M5S Riccardo Ricciardi, che il 21 maggio alla Camera ha rischiato il linciaggio per aver fatto notare la sequenza di errori della regione Lombardia durante la gestione dell’emergenza sanitaria. Il suo discorso è stato impreciso in più punti – come per esempio la parte sui fondi pubblici usati per la costruzione dell’Ospedale in Fiera, che in realtà sono il frutto delle donazioni di privati. C’è chi ha addirittura letto nelle sue parole un attacco ai medici, agli infermieri e ai lombardi tutti, come Enrico Mentana, che su Facebook ha dato del “coglione” a Ricciardi senza giri di parole. Ma la vittoria dell’egocentrismo sul giornalismo in Italia è un’altra storia. In realtà il bersaglio dell’intervento del deputato Ricciardi era esclusivamente l’amministrazione leghista, e non di certo le vittime del COVID-19 o il personale sanitario della Lombardia.

La giunta leghista è stata travolta dall’emergenza, perché questa è stata amplificata da una serie di problemi strutturali creati dai suoi predecessori. Il sistema ospedaliero ha mostrato delle falle per quanto riguarda i posti letto di terapia intensiva: a febbraio 2020 erano 8,5 su 100mila abitanti, un numero inferiore ad altre regioni del Nord, come Emilia Romagna e Veneto. Inoltre il 30% delle terapie intensive era proprietà di strutture della sanità privata convenzionata, costringendo la regione a perdere tempo prezioso nella contrattazione con i gestori delle cliniche. I medici di base si sono poi trovati ad agire senza indicazioni regionali precise, dato che la delibera per la gestione sul territorio della COVID-19 è arrivata soltanto il 23 marzo, a un mese dall’individuazione del focolaio di Codogno.

Ma è lo scandalo delle Rsa a descrivere alla perfezione cosa non ha funzionato nel modello Lombardia della Lega. Il divieto di visite dei familiari nelle case di riposo è arrivato due settimane dopo l’esplosione dell’epidemia, ma pesa soprattutto la scelta della regione di ricoverare presso le Rsa i malati di Coronavirus, con l’intenzione di liberare posti letto nelle strutture sanitarie. Il risultato sono centinaia di morti. Tra indagini e perquisizioni, stanno venendo in superficie i dati: soltanto al Pio Albergo Trivulzio di Milano si contano 405 morti, mentre estendendo alle province di Milano e Lodi i decessi per COVID-19 nelle Rsa si arriva a 1.689. In tutta la regione, il tasso di mortalità ogni 100 residenti nelle case di riposo è del 6,7%, il peggiore d’Italia. Il forzista Giulio Gallera, assessore al Welfare, ha però commentato che che “erano le Ats ad avere il compito di fare sorveglianza”, e che rifarebbe tutto per il bene dei suoi concittadini. L’arte dello scaricabarile ha sempre il sopravvento, così come quella di chi finge che non sia successo niente: Salvini da settimane sta lodando il governo lombardo, arrivando a dire che “Attilio Fontana e la sua squadra decidono provvedimenti concreti e migliori di quelli ad oggi decisi dallo Stato”.

Ci vuole del fegato o una totale assenza di contatto con la realtà per lodare l’eccellenza di un modello che ha come ideatore Roberto Formigoni, ex governatore della Regione, con l’appoggio dell’allora Lega Nord, condannato in via definitiva a cinque anni e dieci mesi proprio per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Se il passato non basta per consigliare cautela nelle lodi, non va meglio con la cronaca degli ultimi mesi. Mentre alcune regioni istituivano autonomamente nuove zone rosse, Fontana e Gallera tentennavano per le aree di Alzano e Nembro, ammettendo soltanto in seguito che in effetti avrebbero potuto farlo anche loro e limitare i danni. Inoltre, dalla regione più colpita d’Italia ci si aspettavano numeri maggiori di tamponi e test sierologici, ma questa non si è mai attrezzata per aumentare il numero dei suoi cittadini controllati ogni giorno. Il confronto è ancora più impietoso quando si prende a metro di paragone un’altra regione guidata dalla Lega, il Veneto di Luca Zaia che il 20 maggio ha dichiarato di non aver registrato nessun nuovo contagio, a differenza della Lombardia dove i casi continuano ad aumentare. Il motivo di questo risultato è che Zaia e la sua giunta hanno avuto l’umiltà di affidarsi alla scienza, e in particolar modo al consulente Andrea Crisanti, un virologo e microbiologo di eccellenza dell’Università di Padova. Umiltà che Fontana non ha mai avuto, con i risultati ora sotto gli occhi di tutti.

Quando gli esperti consigliavano a Fontana di usare diversamente i fondi destinati alla costruzione dell’Ospedale in Fiera, lui non ha ascoltato nessuno. In molti hanno sostenuto che non fosse una mossa logica costruire un polo con le terapie intensive distaccate dagli altri reparti ospedalieri, e che avrebbe dovuto usare quelle risorse per potenziare le strutture già esistenti, aumentando i posti in terapia intensiva. Il risultato è stato un ospedale che ha accolto meno di una trentina di pazienti in due mesi e che già rischia la chiusura, mentre la procura di Milano ha aperto un fascicolo sulle procedure attuate. Dei 21 milioni di euro raccolti dai privati, 17 sono stati indirizzati alla costruzione dell’ospedale e all’allestimento dei suoi 221 posti letto di terapia intensiva, poi inaugurati il 31 marzo con il più grande assembramento di tutta l’epidemia. Erano presenti centinaia di persone tra giornalisti, fotografi, politici, medici e ospiti vari, per una cerimonia che è sembrata una tappa della campagna elettorale di Fontana. Il tutto contravvenendo alle direttive nazionali e regionali sul distanziamento sociale. Lo stesso Guido Bertolaso, incaricato per la realizzazione dell’Ospedale, si è definito sconcertato per la piega che ha preso il progetto, scaricando le colpe sulla Regione Lombardia.

Certo, non ci si poteva aspettare un’analisi lucida da chi ha affrontato l’emergenza Coronavirus postando sui social notizie diffuse tramite WhatsApp e link da boomer complottista. Mentre Fontana e Gallera inanellavano un errore dopo l’altro, Matteo Salvini dava eco a immondizia mediatica senza fondamento scientifico, come le tesi sul COVID-19 creato in un laboratorio di Wuhan, oggi tornata in auge grazie al suo grande amico Donald Trump e al suo tentativo di deviare il dibattito pubblico dalla sua disastrosa gestione dell’emergenza negli Stati Uniti. Complottisimi a parte, la cronistoria delle sparate del leader leghista degli ultimi mesi è un ottovolante in cui ha detto tutto e il contrario di tutto. Il 27 febbraio, in pieno dibattito sulle zone rosse al Nord, è iniziata la prima campagna di Salvini dal motto “Apriamo tutto, l’Italia ha bisogno di ripartire”. Il virus era già arrivato in Italia, con la seguente istituzione a  Codogno della prima zona rossa e a seguire di altri comuni tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Quando poi il lockdown si è esteso a tutto il Paese, la giravolta di Salvini è stata drastica, con il “Chiudiamo tutto” che per giorni ha giganteggiato sulla sua pagina Facebook. Poi Salvini ha fiutato l’insofferenza degli italiani, provati da settimane di isolamento, e ha di nuovo cambiato idea. È sparita dalla sua immagine di copertina su Facebook la scritta “Chiudiamo tutto”, per celebrare il grande ritorno del “Riapriamo tutto”. Questo stile da Giorno della marmotta è il marchio di fabbrica di uno staff della comunicazione che conosce bene le dinamiche della comunicazione ai tempi dei social, quella per cui le parole di ieri sono già dimenticate e la velocità degli slogan polverizza la coerenza di ogni pensiero.

Quindi no, non dobbiamo sciacquarci la bocca quando parliamo degli errori della Lega in Lombardia, perché equivarrebbe a omettere la realtà dei fatti. Piuttosto Salvini, che in questi mesi si è concentrato più sulle preghierine da Barbara D’Urso e sui deliri pauperistici nel suo bilocale, dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa per i disastri commessi dal suo partito ai danni dei cittadini lombardi, o avere il buongusto di tacere. Almeno una volta nella sua carriera.

fonte: https://thevision.com/politica/lombardia-salvini-pandemia/

Spremono anche i malati. Esami a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo, in strutture private – Ecco la sanità modello della Lombardia del duo Gallera-Fontana, dove la salute è un lusso ed il virus è un affare!

 

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Spremono anche i malati. Esami a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo, in strutture private – Ecco la sanità modello della Lombardia del duo Gallera-Fontana, dove la salute è un lusso ed il virus è un affare!

La Regione Lombardia dà il via libera ai test sierologici nelle strutture sanitarie private. Gli esami saranno a pagamento, senza un tetto massimo di prezzo. Per il duo Gallera-Fontana la salute è un lusso

In Lombardia il duo Gallera-Fontana, la fantastica coppia che rifarebbe tutto allo stesso modo e che ha da ridire sulle decisioni di tutti gli altri, effettua l’ennesima giravolta e torna sui suoi passi: dopo avere negato per settimane la possibilità di effettuare privatamente test sierologici ora decide di dare il via libera a tutti gli istituti riconosciuti e accreditati dal Regione.

Quindi, che accade? Accade che privatamente, quindi a pagamento, ognuno potrà sottoporsi al test ematico per scoprire la propria eventuale positività. Ci si aspetterebbe, ovviamente, che la Regione metta in campo tutto ciò che serve per garantire l’accesso al test a tutti, per non farlo diventare un lusso che possono permettersi solo alcuni e invece sembra che rimarremo delusi. Niente. Nemmeno un prezzo massimo imposto dalla Regione. Sarà il mercato a stabilire il prezzo: scoprire se si è malati sarà quindi un servizio riservato solo ad alcuni. Una decisione perfettamente in linea, del resto, con l’interpretazione privatistica e escludente della sanità in Lombardia.

Ma non è finita qui: nel caso in cui un cittadino scopra (a sue spese) di essere malato non godrà di nessuna corsia preferenziale: dovrà mettersi in isolamento volontario e per avere un tampone (quindi per essere ufficialmente malato) dovrà rivolgersi al suo medico di base che dovrà rivolgersi all’Ats di riferimento che inserirà il paziente (badate bene, già ufficialmente positivo) nella lunga lista d’attesa per ottenere un tampone. Per darvi un’idea del punto in cui siamo in Regione Lombardia con i tamponi vi basti sapere che, lo dice lo stesso Gallera, al momento stanno verificando gli operatori sanitari e gli ospiti delle Rsa, roba che andava fatta mesi fa.

Non si tratta solo di una questione sanitaria, questo è un chiaro modo di come si vede il mondo e di come si ha intenzione di governarlo. Eccolo il modello lombardo: anche scoprire di essere malati costa e non garantisce di avere diritto alla cura.

(A proposito: la mozione di sfiducia a Gallera nel Consiglio Regionale ha goduto del non voto Italia Viva. Segnatevelo)

di Giulio Cavalli

fonte: https://www.giuliocavalli.net/2020/05/06/spremono-anche-i-malati/

 


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Roberto Saviano: “Il sistema Lombardia ha fallito – La Lega si è vantata per anni di aver costruito la migliore sanità d’Europa, e tutto questo in si è dimostrato falso”

 

“Il sistema Lombardia è fallito”. Così Roberto Saviano ospite della trasmissione radiofonica ‘Circo Massimo’ su Radio Capital. In questa emergenza sanitaria, sottolinea Saviano, “la sanità lombarda ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare. Fontana probabilmente è stato uno strumento dei grandi potentati privati che gestiscono la sanità lombarda e non solo. La Lega si è vantata per anni di aver costruito la migliore sanità d’Europa, e tutto questo in gran parte si è dimostrato falso”.

La gestione “è stata terribile”. In questo momento “i responsabili dei comportamenti più assurdi come ricoverare malati dentro le case di cura, sono ancora lì, con il rischio di inquinare le prove. E’ incredibile il ritardo della zona rossa; cambiare continuamente comunicazione: errori politici immensi”. Il modello Lombardia viene studiato in Francia, Spagna e Germania “per non ripeterlo in realtà”.

Sull’intenzione annunciata di riaprire il 4 maggio, “la Lombardia sta facendo ammuina per spostare la polemica su altro, ma è una corsa verso il baratro. Da un lato – afferma lo scrittore – è una prassi che mi aspettavo: adesso fa questa scelta salvo poi dire che da Roma non ha avuto direttive e sarà poi questo il tema”. “La riapertura così come promossa o consigliata è una senza dubbio una follia”, rimarca.

E ancora: “Non bisogna tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Secondo lo scrittore “il capitalismo, soprattutto europeo, deve comprendere che la sua direzione è completamente sbagliata”. “La storia ci racconta che dopo le pandemie c’è diffidenza, molto di più che dopo le guerre”. Le regole devono cambiare e in questo senso, spiega Saviano, “la pandemia potrebbe rappresentare un’indicazione, l’ultima possibile, per cambiare passo”.

Poi il passaggio su Die Welt e le polemiche scaturite dall’articolo in Italia. “È un’idiozia pensare, come si fa in Germania, di mettere un perimetro alle mafie. Semmai metti il perimetro al sangue ma poi investono ovunque. E’ quindi un assoluto errore considerare il finanziamento un modo per far arrivare i soldi nelle tasche delle mafie; soldi che già hanno”. La Germania, spiega Saviano, “non comprende che non è al riparo dalle infiltrazioni criminali: ha un elevatissimo rischio riciclaggio perché non indaga, non ha il reato di associazione mafiosa né il concorso esterno”. La percezione tedesca “è completamente sbagliata. Le mafie vivono, comprano e conquistano quando l’economia è debole, esattamente il contrario di quanto dice Die Welt con il suo editoriale”.

Sull’articolo di Le Monde, Saviano sottolinea: “Il mio attacco non era politico, ho segnalato come Zaia abbia avuto più prudenza e intelligenza nella gestione dell’emergenza. Se dobbiamo ridurre ad una formula non si è fatto condizionare dalle pressioni di Confindustria, e dalla paura di perdere profitti, consensi e quindi finanziamenti. Non è stata una lettura politica, ho considerato gli errori della sinistra, di Sala e Gori”.

Per quanto riguarda l’America, per Saviano “gli Usa sono in una situazione fragilissima: grandissime aziende sono entrate in crisi, perché perdendo milioni al giorno non riescono a mantenere i risultati promessi alle banche, che chiedono rientri. Si vede la fragilità del capitalismo”. All’inizio della pandemia, quando Trump parlava di bufala, “in Usa il distanziamento sociale era visto come un fatto politico: se mantenevi i due metri, eri un democratico; se stavi vicino, eri un repubblicano” spiega lo scrittore. Gli americani hanno vissuto inizialmente questa pandemia come qualcosa di irreale e hanno acquisito consapevolezza solo con la militarizzazione: “Negli Stati Uniti colpisce molto la presenza forte dei militari. I negozi di lusso hanno blindato le vetrine per evitare i saccheggi”.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/politics/2020/04/17/saviano-fara-infuriare-salvini-il-sistema-lombardia-ha-fallito-2056428.html

Ci vuole coraggio, ma soprattutto tanta, proprio tanta faccia tosta: la Regione Lombardia pubblicizza i successi della sua sanità privata. Con 11mila morti sulla coscienza!

 

Regione Lombardia

 

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Ci vuole coraggio, ma soprattutto tanta, proprio tanta faccia tosta: la Regione Lombardia pubblicizza i successi della sua sanità privata. Con 11mila morti sulla coscienza!

Quindi la Lombardia si vanta del disastro. La regione che da sola conta più della metà dei morti in tutto il Paese, la regione in cui fioccano le testimonianze di persone che sono mancate senza avere nessun tipo di assistenza sole nelle proprie abitazioni, la regione in cui nessuno sa esattamente se ha o se ha avuto o se è guarito dal Covid-19, la regione che è arrivata in ritardo sull’incendio di vite umane che è scoppiato in Val Seriana, la regione in cui i contagi non sembrano rallentare, la regione in cui le case di riposo sono state usate come parcheggio per i malati di Covid creando un disastro, la regione in cui (lo dice Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano) c’è stato “un clamoroso fallimento della medicina territoriale e della diagnostica”, la regione che in tutto il mondo viene osservata come caso-scuola di quello che non bisogna fare insiste nel vantarsi.

Tutti i giorni l’assessore Gallera, in una conferenza stampa che ha il sapore di un comizio infarcito di qualche numeretto, ci racconta che sono stati bravissimi, che sono i migliori, che non hanno sbagliato nemmeno una mossa e nei giorni scorsi addirittura ha comprato pagine dei quotidiani per vantarsi delle vite salvate con il suo sistema pubblico-privato con una scritta a tutta pagina che recita “28.224 vite salvate in Lombardia” e con la precisazione che è tutto merito della “sanità privata insieme alla sanità pubblica” e anche un bel hashtag #unasolasanità.

Siamo all’apoteosi: ieri l’assessore Gallera ha addirittura dichiarato di essere contento che l’ospedale Covid in zona Fiera “non sia servito” (21 milioni di euro spesi per qualche manciata di pazienti in una struttura che non ha medici e infermieri a disposizione) dimenticando che il ruolo della politica dovrebbe essere quello di fortificare le realtà ospedaliere esistenti: quanti tamponi vengono fuori da 21 milioni di euro? Quanti investimenti si sarebbero potuti fare sulla telemedicina con quei soldi? Niente.

Nessuna autocritica, nessuna risposta. La sistematica privatizzazione della sanità, la riduzione dei posti letto, lo sgretolamento del ruolo dei medici di famiglia sono tra le cause che hanno reso la Lombardia così debole. È il fallimento politico e culturale di una stagione che in Lombardia dura da vent’anni, eppure nessuno si permette nemmeno di aprire una riflessione. Se chiedete a Gallera perché la Lombardia è stata straziata dalle morti vi risponderà sardonico che c’è troppa gente che si sposta, nonostante i dati dicano tutt’altro. Dimentica anche di dirci che in Lombardia ci si sposta perché molte fabbriche in deroga (circa 15mila) sono rimaste aperte. Ma non sentono, non vedono, non parlano. Eppure i numeri raccontano, ed è un’ecatombe.
E loro si vantano del disastro.
fonte: https://www.tpi.it/opinioni/lombardia-regione-pubblicita-sanita-privata-disastro-20200415585844/?fbclid=IwAR2wrTiUDMXlcG6hWYo6bNx_JbuAskvlsGThB_uhk4jCWPR7p7DYTmY222E

“La Lombardia ha pagato caro le mancanze del suo sistema sanitario – Il tasso di letalità del virus è frutto di scelte fallimentari di una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente” Ecco l’articolo di Saviano su Le Monde che ha provocato l’ira di Salvini

 

Saviano

 

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“La Lombardia ha pagato caro le mancanze del suo sistema sanitario – Il tasso di letalità del virus è frutto di scelte fallimentari di una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente” Ecco l’articolo di Saviano su Le Monde che ha provocato l’ira di Salvini

Ecco l’articolo di Roberto Saviano che ha mandato su tutte le furie Salvini

È accaduto in Italia che proprio la regione ritenuta più forte, la più efficiente, la più ricca fosse quella meno pronta a fronteggiare la pandemia portando avanti scelte di cui presto i suoi dirigenti  saranno chiamati a rispondere. Nel sistema italiano, le regioni hanno competenza esclusiva in materia sanitaria e la regione Lombardia è capofila, sia per la ricchezza del territorio, che per il connubio pubblico-privato creato dalle amministrazioni di centro-destra, che hanno occupato il potere ininterrottamente negli ultimi due decenni.

La Lombardia è il territorio di Silvio Berlusconi e la Regione era il feudo di Roberto Formigoni, definitivamente condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere per gravi episodi di corruzione, innestatisi proprio sul rapporto tra potere regionale e sanità privata. Ma fino a un mese fa si credeva che quella corruzione fosse solo un incidente di percorso. Ma le cose non stavano così.

Dal mio osservatorio di studioso delle dinamiche criminali, e in particolare del potere delle mafie, ho negli anni osservato come per un settentrionale sia più accettabile pensare che il marcio sia comunque proveniente “da fuori”. Eppure, solo dieci anni fa, per aver raccontato nel corso di una trasmissione televisiva quello che era un’ovvietà per ogni investigatore – e cioè che la camorra napoletana e la ‘ndrangheta calabrese, seguendo le orme della mafia siciliana, che lo aveva fatto, almeno dagli anni ’70, avevano infiltrato l’economia legale del nord – fui attaccato al punto di dover ospitare, coattivamente, alla puntata successiva un monologo dell’allora Ministro degli Interni, Roberto Maroni (predecessore di Matteo Salvini alla guida della Lega Nord), ora fuori dalla politica per vicissitudini giudiziarie.

Dopo poco arrivarono anche le condanne e oggi è un dato assodato che in molte parti del Nord le mafie la facciano da padrone. Qui racconto ciò che so, ciò che accade. Ma con una premessa necessaria: non c’è un sistema sanitario al mondo che si è dimostrato in grado di fronteggiare con prontezza l’emergenza Coronavirus, ad eccezione, forse, per i dati che si conoscono oggi, della Corea del Sud. Per quanto possa apparire paradossale, il punto debole della Lombardia è rappresentato dalla sua dinamicità economica e dal volume di scambi e relazioni con l’estero e, in particolare, con la Cina.

Nelle valli bergamasche falcidiate dal virus (alcuni già adesso parlano di un’intera generazione cancellata) esiste una miriade (migliaia) di piccole aziende, spesso con meno di dieci dipendenti, che però rappresentano un’eccellenza tale da fare di quei distretti industriali una vera locomotiva, non solo per la Regione Lombardia. A un certo punto, però, mentre i media parlavano delle scelte drammatiche che erano rimesse ai medici delle terapie intensive, tra chi intubare e chi lasciar morire, altre scelte venivano fatte e il tema del contendere è stato: chiudere le produzioni, con il rischio di un collasso economico, o mantenere aperto tutto il possibile, sacrificando vite umane? Va da sé che non c’è stato un dibattito pubblico sulla questione, e ci mancherebbe.

La cosa grave è che la Regione Lombardia e il governo centrale si sono passati, nel corso di molte settimane, la patata bollente della decisione di chiudere tutto. Oggi sappiamo che, nel frattempo, per non confinare in casa operai che erano utili alla catena di montaggio e che, soprattutto nel caso di piccole imprese, dovevano e devono decidere tra la vita e il lavoro, si è favorita una massiccia diffusione del contagio, che al di là della parzialità dei dati, restituisce una mortalità, in termini assoluti, spaventosa.

Oggi questa realtà è venuta fuori in tutta la sua gravità, restituendo l’immagine di un territorio nel quale le classi dirigenti hanno deciso a tavolino di “non fermarsi”, probabilmente mettendo in conto l’ecatombe, magari puntando sulla sorte.

Quanto sta emergendo sui ritardi nel disporre la zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro, nella Bergamasca, e sui ricoveri nelle residenze sanitarie in cui si prestano cure agli anziani (RSA) sono questioni sconvolgenti, che non possono non essere messe in connessione con un tasso di letalità del virus che, in quelle zone, è altissima e miete centinaia di vittime ogni giorno.  Da molte parti si sta invocando, proprio a causa della crisi lombarda, un passaggio della gestione sanitaria dalle regioni al governo centrale.

Per certi versi, è intuitivo pensare che quanto è accaduto, quindi le “indecisioni”, il “rischiare” siano stati frutto di un’eccessiva dipendenza del potere politico regionale rispetto a quello economico-produttivo. Ora che le cose sono andate malissimo, il rischio concreto è che chi ha deciso queste “strategie” criminali possa avere interesse a occultare le proprie responsabilità.

Il tasso di letalità del virus in Lombardia è frutto soprattutto delle scelte fallimentari compiute da una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente se non ci fosse un’emergenza drammatica in corso.  Ma mentre oggi le sirene delle ambulanze coprono ancora le voci dei familiari delle persone lasciate morire a causa di una sequela di errori che hanno aggravato l’effetto dirompente del contagio, tra poco sarà il tempo di processare chi è venuto meno ai suoi doveri.

Il caso lombardo assume peraltro una connotazione ancora più oscura se raffrontato a quello della regione confinante, il Veneto, che pure a fronte di una popolazione assai inferiore (circa la metà), ma caratterizzato da una simile vivacità sul piano economico, ha affrontato la crisi in maniera completamente differente e, ad oggi, più efficace.

Per quello che ora sappiamo, tra Lombardia e Veneto (entrambe governate dalla Lega) esiste una differenza di approccio all’epidemia che è quantificabile nel numero di persone che hanno perso la vita – 10mila in Lombardia vs meno di 1.000 in Veneto – a fronte di un numero di tamponi eseguiti pressappoco identico (quasi 170mila).

Il Veneto, a differenza della Lombardia, ha puntato molto sul tracciamento degli asintomatici per individuare ogni focolaio, per poi agire con prontezza sigillando i territori per impedire l’espansione del contagio. A differenza della Lombardia – dove il virus (come in molte altre parti del mondo, ma non con una tale intensità) ha visto crescere il contagio anche a causa della impreparazione al fenomeno dei piccoli ospedali sul territorio – il Veneto ha provato a ridurre l’ospedalizzazione dei malati (salve, ovviamente, le ipotesi gravi), privilegiando l’assistenza domiciliare.

La Lombardia, di fronte a una crisi senz’altro non prevedibile nella sua velocità di diffusione, ha pagato soprattutto per i deficit organizzativi che il sistema misto pubblico-privato – fino ad allora considerato, anche a ragione, dato che ogni anno migliaia di persone da altre regioni vi si recavano per cure, il meglio possibile – ha mostrato: a fronte di grandi eccellenze, un livello medio piuttosto basso sul piano organizzativo (fondamentale, a tal proposito, leggere la lettera che la FROMCeO Lombardia e cioè la Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia ha inviato ai vertici della Regione stigmatizzando l’incertezza nella chiusura di alcune zone, la mancanza di mascherine e dispositivi di protezione e i pochi tamponi effettuati) e un dominio incontrastato della politica e dei gruppi di potere.

Un esempio per comprendere questa dinamica è quello di Comunione e Liberazione, un’associazione cattolica della quale, fino alla condanna definitiva, il corrotto Roberto Formigoni era uomo di punta. Comunione e Liberazione è potentissima in Lombardia e detta legge; basti pensare alla percentuale maggioritaria, nelle strutture pubbliche, di medici antiabortisti e della difficoltà che la maggior parte delle donne trova a farsi prescrivere la pillola abortiva, nonostante sia previsto dalla legge: la “tecnica” elusiva è semplice.

I medici obiettori di coscienza hanno molte più possibilità di fare carriera rispetto a quelli non obiettori. Come si potesse, anche ieri, ascrivere questa dinamica mafiosa al concetto di efficienza è stato per me sempre un mistero. E dispiace che i lombardi debbano rendersi conto oggi, sulla pelle loro e dei loro cari, dell’anomalia di certe dinamiche, che lungi dal rappresentare eccezione gettano una luce sinistra sulla regola seguita in generale.

Vedete, nascere e crescere al Sud Italia, uno dei territori viceversa più poveri d’Europa (con un pil in molte parti inferiore a quello della Grecia), ti dà gli strumenti per capire oggi cosa accadrà domani.

E quello che è accaduto in Lombardia e in Veneto, che sono state le prime zone in Europa colpite dal Covid-19, è di vitale importanza per il resto del continente perché mostra due approcci differenti e indica esattamente, nel caso della Lombardia, cosa non fare, come non agire, come non comunicare.

Ma le colpe non sono solo del centro-destra al potere, poiché viceversa le città di Bergamo e Milano sono amministrate dal centro-sinistra. Ma il virus è arrivato a scoprire l’assoluta inadeguatezza di un approccio economicista e manageriale della cosa pubblica che caratterizza un territorio ricchissimo, nel quale il lavoro è un imperativo e la dimensione individualistica è accentuata fino al parossismo.

Le biografie stesse dei sindaci di centro-sinistra di Milano e di Bergamo aiutano a comprendere le falle nella gestione delle prime fasi dell’emergenza. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è un uomo di estrazione di centro-destra assurto alle cronache per la gestione dell’evento EXPO 2015, mentre quello di Bergamo, Giorgio Gori, è stato per lunghissimo tempo un uomo di punta dell’azienda televisiva di proprietà di Silvio Berlusconi.

Entrambi hanno sottovalutato al principio l’emergenza sanitaria, preoccupandosi solo delle possibili ricadute economiche. Non solo hanno provato in tutti i modi a non “fermare le macchine”, ma hanno addirittura invitato i cittadini, nonostante l’epidemia in corso, a prendere parte alla vita di comunità, assecondando in tutto i desiderata del comparto produttivo, che non riusciva a vedere nel lockdown una alternativa di vita praticabile e che, a questo punto, dobbiamo ritenere sia l’unico riferimento nella loro azione amministrativa.

Il paradosso di questa crisi sembra quasi delineare un insegnamento filosofico. Proprio i politici a capo della regione che si è sempre vantata di aver fatto tutto da sé e che negli ultimi trent’anni ha chiesto sempre maggiore autonomia – il partito più forte del Nord, la Lega, prima di essere sovranista era, fino a pochissimi anni fa, secessionista – lamentando il peso dell’improduttivo meridione (però formidabile serbatoio di “risorse umane”, come direbbe un manager), che ha sempre deprecato ogni accentramento e ogni decisione presa dalla inconcludente e disorganizzata Roma, in questa emergenza hanno finito per dare la responsabilità delle proprie indecisioni, e delle conseguenti omissioni, al governo centrale. Che avrebbe dovuto decidere al posto loro, levandogli le castagne dal fuoco: davvero disonorevole, oltre che criminale.

L’Europa – e il resto del mondo – sta affrontando un momento estremamente delicato in cui si deciderà davvero del suo futuro. È stato detto molte volte, ma questa è quella definitiva, perché oggi in Europa non si decide solo il destino del continente e dei paesi che ne fanno parte, ma si decide soprattutto del destino di tutte le persone che ci vivono e ci vivranno, anche di chi non è ancora nato.

Perché è bene dirlo: oggi si sta decidendo di condannare le future generazioni di buona parte dell’Europa a pagare i debiti contratti dai propri genitori a causa di una forza maggiore. E anche questo è assai poco onorevole, soprattutto per quei piccoli paesi che sottraggono risorse ad altri attraverso il dumping fiscale. Un mondo che è risorto dalle macerie della seconda guerra mondiale, del nazismo e del fascismo, dei campi di sterminio, dei totalitarismi comunisti per giungere alla sublimazione del contabile al posto del politico. Che disonore: non oso immaginare quale trattamento riserverebbero i padri dell’Europa a questi mediocri che credono che gli Stati siano delle aziende e le persone dei numeri da inserire in un bilancio.

Penso a Helmut Kohl e al coraggio che ebbe a riunire la Germania per condurla in un’Europa libera e solidale e al sostegno che trovò nei partner europei. Ma Kohl è morto e con lui, probabilmente, l’ultima idea nobile di Europa.

Se penso alla Germania, non posso non pensare alla nostra Lombardia. Non posso non pensare che l’operosa Germania, in qualche modo, stia all’Europa come l’operosa Lombardia sta all’Italia. E mi torna in mente Scurati che ha descritto il milanese al tempo del Covid-19 come un animale spaventato, atterrito dalle sicurezze perse nel giro di poche, pochissime settimane: la debolezza insita nel credersi invincibili.  Che senso ha l’efficienza senza la solidarietà: forse è lì, ancora, la differenza tra l’uomo e la macchina.

I vertici della Regione Lombardia hanno sbagliato ad aver assecondato Confindustria lombarda, il cui presidente, Marco Bonometti in un’intervista ha difeso la scelta di non aver chiuso fabbriche dicendo: “Però ora non farei il processo alle intenzioni, bisogna salvare il salvabile, altrimenti saremo morti prima e saremo morti dopo”. Argomento da industriale, senz’altro; ma la Politica, quella con la P maiuscola, è altro e certo non possono farla gli industriali. Ma essere arrivati al dilemma: se morire prima, fisicamente, e morire poi, economicamente, fa capire bene la sfida posta dal virus alla politica europea, prima che italiana.

Forse, ma non ne sono certo, c’è ancora spazio per uscire dalla pandemia per seguire un’utopia: riscoprire che produttività e conti correnti valgono meno delle persone, riscoprire che allargare diritti, espanderli, significa salvarci tutti. Riscoprire ora che una politica che decide solo seguendo l’odore del denaro è una politica che genera morte e non ricchezza. E che dice a chiare lettere: “l’Europa non esiste più e oggi è un nuovo 1945”. Io spero che gli uomini di buona volontà non lo permetteranno.

 

 

Avanzi di Gallera – Il grande editoriale di Marco Travaglio che ci spiega come la “Sanità modello Lombardia” griffata Lega non era altro che una truffa da magliari…

 

Marco Travaglio

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Avanzi di Gallera – Il grande editoriale di Marco Travaglio che ci spiega come la “Sanità modello Lombardia” griffata Lega non era altro che una truffa da magliari…

 

Avanzi di Gallera

Quando, per ragioni politiche o giudiziarie o tutt’e due, i fratelli De Rege che sgovernano la Lombardia, al secolo Attilio Fontana e Giulio Gallera, dovranno cambiare mestiere, avranno un futuro assicurato nel mondo dell’avanspettacolo e del cabaret. L’altroieri, nella sit-com quotidiana “Casa Gallera”, in onda ogni santo giorno sul sito della Regione Lombardia e devotamente rilanciata da RaiNews24 a maggior gloria dell’aspirante sindaco di Milano, è andata in scena una gag che, se fosse vivo Paolo Villaggio, ci ispirerebbe un nuovo film di Fantozzi. Il capocomico, che incidentalmente sarebbe pure l’assessore regionale al Welfare nonché il responsabile della nota catastrofe chiamata “sanità modello”, cedeva il microfono alla sua spalla, il vicepresidente Fabrizio Sala. Questi, siccome c’è gloria per tutti, dava la linea al caratterista Caparini, opportunamente mascherinato per non farsi riconoscere, che a sua volta lanciava un filmato: un imbarazzante autospottone con colonna sonora da kolossal hollywoodiano. Il video immortalava un furgone griffato Regione Lombardia e carico di scatole piene (si presume) di mascherine, di cui il Caparini, con voce stentorea da Cinegiornale Luce, annunciava la “distribuzione via via (sic) a tutti i sindaci”, precisando che “è questione di qualche giorno”, ma dimenticando di spiegare perché, se le mascherine devono ancora arrivare, la giunta le abbia rese obbligatorie domenica. E lì irrompeva un giovanotto atletico e scattante, tipico uomo del fare ma soprattutto del dire, chiamato a sostituire il rag. Fantozzi nel ruolo del cortigiano che urla “È un bel direttore! Un apostolo! Un santo!”. Il suo nome è Roberto Di Stefano, sindaco forzista di Sesto S. Giovanni ma soprattutto marito di Silvia Sardone, la pasionaria di B. che si fece eleggere nella Lega a Bruxelles. “Come promesso”, scandiva il principe consorte con l’aria del banditore da fiera, un filino più enfatico di Wanna Marchi, “proprio oggi Regione Lombardia ci ha inviato 25 mila mascherine!”. Stava per aggiungere “E per i primi prenotati una batteria di padelle antiaderenti!”. Ma sfortuna ha voluto che fosse collegato Mentana, che ha derubricato la televendita a “propaganda” e sfumato il collegamento.

In quel preciso istante è venuto giù il teatrino inscenato ogni giorno dai De Rege padani, dopo il crollo dell’altro trompe-l’œil, il Bertolaso Hospital che doveva ricoverare in Fiera 600 pazienti e finora ne ha tre. E tutti hanno capito che queste baracconate servono a nascondere i disastri (e i morti da record mondiale) della “sanità modello” lombarda e dei suoi corifei.

A noi, che siamo gente semplice, bastavano le loro facce (e quella di Formigoni) per sapere che il “modello Lombardia” era una truffa da magliari, e ci siamo presi tutti gli improperi del mondo per aver osato scriverlo per primi. Ora però le stesse cose le mettono nero su bianco i presidenti degli Ordini provinciali dei medici di tutta la Lombardia in un impietoso atto d’accusa ai vertici della Regione che ogni giorno si lodano e s’imbrodano: “assenza di strategie nella gestione del territorio”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”; “errata raccolta dati”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”; “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese)”; “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”; “assenza dell’igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)”; “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”; “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”.

Non bastando questo j’accuse, che dovrebbe tappare la bocca ai destinatari per il resto dei loro giorni, Gallera ammette bel bello che, in effetti, quel che dice Conte da una settimana è vero: la legge 833/1978 consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio (come Alzano e Nembro) in zone rosse per motivi sanitari. Gli sarebbe bastato digitarla su Google, o chiedere ai “governatori” Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, che hanno istituito zone rosse senza scaricabarile con Roma. Invece Gallera, fra una televendita e l’altra, ha personalmente “approfondito” e scoperto con soli 42 anni di ritardo che “effettivamente la legge che ci consente di fare la zona rossa c’è”. Con comodo, nel giro di un altro mesetto, scoprirà che lui sapeva dal 23 febbraio dei primi contagi all’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in tre ore senza sanificazione), eppure il suo comitato scientifico ipotizzò di cinturare la zona solo il 4 marzo. Ma la giunta non lo fece perché “pensavamo lo facesse il governo” (che stava preparando il lockdown di tutt’Italia). Peccato che il governo, nel decreto del 23 febbraio, avesse incaricato le Regioni di segnalargli (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.

Anche Fontana ieri era in vena di scoperte: ha persino ammesso che forse, nelle case per anziani, qualcosa è andato storto (anche perché la Regione vi riversava i ricoverati Covid ancora infetti, moltiplicando i contagi e i morti). Dopo una simile Caporetto, se questa fosse gente seria come il generale Cadorna, uscirebbe dal nuovo Pirellone con le mani alzate: non per aver perso la guerra, ma per non averla neppure combattuta. Ma le dimissioni non si addicono ai cabarettisti e, temiamo, neppure i processi: per commettere un reato, bisogna sapere almeno vagamente quel che si fa. E, anche da questo punto di vista, i fratelli De Rege sono al di sotto di ogni sospetto.

Marco Travaglio

Coronavirus, vietata la libertà di stampa e di espressione… Corea del Nord? Zimbabwe? Siria? No, è la Regione Lombardia…!

 

libertà di stampa

 

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Coronavirus, vietata la libertà di stampa e di espressione… Corea del Nord? Zimbabwe? Siria? No, è la Regione Lombardia…!

Regione Lombardia vieta la libertà di stampa e di espressione

Se vogliamo vincere questa “guerra sanitaria” contro il Coronavirus non dobbiamo permettere che venga messo il bavaglio alla libera informazione. Purtroppo sta accadendo.

In questi giorni, l’ASST di Mantova ha spedito alla Gazzetta di Mantova la seguente comunicazione: “Gentilissimi, sulla base di una nota odierna inviata dall’assessorato al welfare alle ASST e alle ATS, non sono ammesse conferenze stampa sull’emergenza coronavirus. La conferenza stampa convocata per oggi è quindi annullata. Sempre su indicazioni dell’assessorato, non sono consentite interviste e interventi delle direzioni strategiche, dei medici e degli operatori sanitari, se non preventivamente autorizzati. Sarà possibile solo la diffusione di eventuali comunicati stampa concordati con Regione Lombardia. Cordialmente”.

Questo diktat sa più di regime totalitario che di nazione democratica e impedisce, attraverso l’esercizio della libera informazione, che le notizie circolino, che i cittadini vengano informati, che l’emergenza venga raccontata così com’è, dalla prima linea, dal fronte dei sanitari impegnati nella lotta all’epidemia.

Non dimentichiamoci che la diffusione del virus a Wuhan è stata favorita proprio dalla censura del Governo cinese: le notizie hanno cominciato a circolare solo quando ormai l’epidemia ha cominciato a dilagare. Se i medici e gli infermieri avessero potuto dare prima l’allarme e i mezzi di informazione cinesi avessero potuto divulgare le notizie, forse si sarebbero potuti limitare i danni.

In Egitto, la corrispondente dal Cairo del quotidiano britannico “The Guardian”Ruth Michaelson è stata costretta a lasciare l’Egitto dopo aver citato uno studio scientifico secondo cui il numero di casi di coronavirus nel paese era fortemente sottostimato. Il 15 marzo l’Egitto dichiarava solo tre casi di contagio ma, dopo la morte, a causa del COVID-19, di due generali vicini al presidente Al Sisi, il governo non ha più potuto tacere sui dati reali dell’epidemia.

Anche in Turchia sono stati arrestati alcuni giornalisti colpevoli di aver rivelato alcuni casi di contagio che non erano stati resi pubblici. Nel paese, che ha il record mondiale di giornalisti incarcerati, il governo vuole controllare i termini del dibattito pubblico sull’epidemia. I rari giornalisti indipendenti ne pagano le conseguenze.

In Ungheria, il primo ministro Viktor Orbán approfitta dell’epidemia per rafforzare il suo controllo autoritario sulla nazione. Orbán ha criminalizzato qualsiasi informazione “allarmista” sull’epidemia.

E ora Regione Lombardia che tenta di mettere il bavaglio a mediciinfermieri e a tutti i giornalisti impegnati sul fronte, ognuno a fare la propria parte: i sanitari a combattere il nemico e i giornalisti a raccontare, a chi è forzatamente recluso a casa, le cronache di questa assurda guerra.

Il NurSind, in questo clima di censura, cerca di dare voce agli “imbavagliati”, facendo parlare i propri rappresentanti sindacali i quali, in nome di una libertà sindacale di espressione non ancora vietata, cercano di riportare fatticronache ed emozioni dalla prima linea.

 

fonte: http://www.infermieristicamente.it/articolo/11748/regione-lombardia-vieta-la-liberta-di-stampa-e-di-espressione?fbclid=IwAR0O4bkuZbnQNfMak65gtR6bxm1cShhPWyH36qfJI3g-eecLrgF1leLRhQQ