Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

 

Marco Travaglio

 

 

 

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Umbria: 1 – Emilia-Romagna: 2 – Lazio: 5 – Campania: 3 – Abruzzo: 12 – Molise: 5 – Basilicata: 4 – Calabria: 11 – Sicilia: 4. Nove regioni hanno istituito 47 le zone rosse. Marco Travaglio si chiede: Perché in Lombardia non si poteva?

Una l’Umbria, 2 l’Emilia-Romagna, 5 il Lazio, 3 la Campania, 12 l’Abruzzo, 5 il Molise, 4 la Basilicata, 11 la Calabria, 4 la Sicilia. In totale fanno 47 zone rosse istituite da tutte le regioni Italiane nel periodo più acuto della pandemia da coronavirus. È l’elenco fatto da Marco Travaglio a Otto e Mezzo per quanto riguarda le misure intraprese dalle singole regioni, in contrasto con quanto fatto dalla Lombardia «nonostante – dice il direttore del Fatto Quotidiano – avesse il record mondiale di contagi da coronavirus».

Per questo motivo, Travaglio è convinto che le audizioni in procura a Bergamo di Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Luciana Lamorgese siano utili a chiarire e a dare contributi all’indagine sulle mancate zone rosse create nei due Paesi di Alzano Lombardo e Nembro, che potrebbero portare a formulare le accuse di epidemia colposa.

Tuttavia, andranno chiarite le responsabilità, dal momento che – in base alla legge che concede autonomia alle regioni – queste ultime, per motivi sanitari, possono istituire delle limitazioni. Si tratta di una legge che, come già visto, è stata applicata in 9 regioni italiane che hanno istituito le zone rosse di loro iniziativa, senza aspettare un via libera da parte del governo di Giuseppe Conte.

«Non si può chiedere l’autonomia a giorni alterni – ha detto Marco Travaglio -. La Lombardia avrebbe potuto istituire le zone rosse. È bene che i magistrati che fanno le indagini leggano anche le leggi sulle quali quelle indagini dovrebbero basarsi. Io sono favorevole a queste indagini, così si chiariranno tutti gli aspetti della vicenda di Alzano e Nembro».

Le parole di Travaglio arrivano qualche ora dopo la notizia della convocazione in procura, per la giornata di venerdì 12 giugno, di Conte, Lamorgese e Speranza a Bergamo per parlare come persone informate sui fatti con i magistrati della locale procura. Dal governo filtra qualche disappunto per questo tipo di decisione, mentre invece Matteo Salvini, nella giornata di ieri, aveva twittato «giustizia è fatta». Dimenticando che, per lo stesso motivo, erano stati convocati in procura anche Attilio Fontana e Giulio Gallera. Giustizia, insomma, non è fatta per niente. Almeno per il momento.

Avanzi di Gallera – Il grande editoriale di Marco Travaglio che ci spiega come la “Sanità modello Lombardia” griffata Lega non era altro che una truffa da magliari…

 

Marco Travaglio

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Avanzi di Gallera – Il grande editoriale di Marco Travaglio che ci spiega come la “Sanità modello Lombardia” griffata Lega non era altro che una truffa da magliari…

 

Avanzi di Gallera

Quando, per ragioni politiche o giudiziarie o tutt’e due, i fratelli De Rege che sgovernano la Lombardia, al secolo Attilio Fontana e Giulio Gallera, dovranno cambiare mestiere, avranno un futuro assicurato nel mondo dell’avanspettacolo e del cabaret. L’altroieri, nella sit-com quotidiana “Casa Gallera”, in onda ogni santo giorno sul sito della Regione Lombardia e devotamente rilanciata da RaiNews24 a maggior gloria dell’aspirante sindaco di Milano, è andata in scena una gag che, se fosse vivo Paolo Villaggio, ci ispirerebbe un nuovo film di Fantozzi. Il capocomico, che incidentalmente sarebbe pure l’assessore regionale al Welfare nonché il responsabile della nota catastrofe chiamata “sanità modello”, cedeva il microfono alla sua spalla, il vicepresidente Fabrizio Sala. Questi, siccome c’è gloria per tutti, dava la linea al caratterista Caparini, opportunamente mascherinato per non farsi riconoscere, che a sua volta lanciava un filmato: un imbarazzante autospottone con colonna sonora da kolossal hollywoodiano. Il video immortalava un furgone griffato Regione Lombardia e carico di scatole piene (si presume) di mascherine, di cui il Caparini, con voce stentorea da Cinegiornale Luce, annunciava la “distribuzione via via (sic) a tutti i sindaci”, precisando che “è questione di qualche giorno”, ma dimenticando di spiegare perché, se le mascherine devono ancora arrivare, la giunta le abbia rese obbligatorie domenica. E lì irrompeva un giovanotto atletico e scattante, tipico uomo del fare ma soprattutto del dire, chiamato a sostituire il rag. Fantozzi nel ruolo del cortigiano che urla “È un bel direttore! Un apostolo! Un santo!”. Il suo nome è Roberto Di Stefano, sindaco forzista di Sesto S. Giovanni ma soprattutto marito di Silvia Sardone, la pasionaria di B. che si fece eleggere nella Lega a Bruxelles. “Come promesso”, scandiva il principe consorte con l’aria del banditore da fiera, un filino più enfatico di Wanna Marchi, “proprio oggi Regione Lombardia ci ha inviato 25 mila mascherine!”. Stava per aggiungere “E per i primi prenotati una batteria di padelle antiaderenti!”. Ma sfortuna ha voluto che fosse collegato Mentana, che ha derubricato la televendita a “propaganda” e sfumato il collegamento.

In quel preciso istante è venuto giù il teatrino inscenato ogni giorno dai De Rege padani, dopo il crollo dell’altro trompe-l’œil, il Bertolaso Hospital che doveva ricoverare in Fiera 600 pazienti e finora ne ha tre. E tutti hanno capito che queste baracconate servono a nascondere i disastri (e i morti da record mondiale) della “sanità modello” lombarda e dei suoi corifei.

A noi, che siamo gente semplice, bastavano le loro facce (e quella di Formigoni) per sapere che il “modello Lombardia” era una truffa da magliari, e ci siamo presi tutti gli improperi del mondo per aver osato scriverlo per primi. Ora però le stesse cose le mettono nero su bianco i presidenti degli Ordini provinciali dei medici di tutta la Lombardia in un impietoso atto d’accusa ai vertici della Regione che ogni giorno si lodano e s’imbrodano: “assenza di strategie nella gestione del territorio”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”; “errata raccolta dati”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”; “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese)”; “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”; “assenza dell’igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)”; “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”; “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”.

Non bastando questo j’accuse, che dovrebbe tappare la bocca ai destinatari per il resto dei loro giorni, Gallera ammette bel bello che, in effetti, quel che dice Conte da una settimana è vero: la legge 833/1978 consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio (come Alzano e Nembro) in zone rosse per motivi sanitari. Gli sarebbe bastato digitarla su Google, o chiedere ai “governatori” Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, che hanno istituito zone rosse senza scaricabarile con Roma. Invece Gallera, fra una televendita e l’altra, ha personalmente “approfondito” e scoperto con soli 42 anni di ritardo che “effettivamente la legge che ci consente di fare la zona rossa c’è”. Con comodo, nel giro di un altro mesetto, scoprirà che lui sapeva dal 23 febbraio dei primi contagi all’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in tre ore senza sanificazione), eppure il suo comitato scientifico ipotizzò di cinturare la zona solo il 4 marzo. Ma la giunta non lo fece perché “pensavamo lo facesse il governo” (che stava preparando il lockdown di tutt’Italia). Peccato che il governo, nel decreto del 23 febbraio, avesse incaricato le Regioni di segnalargli (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.

Anche Fontana ieri era in vena di scoperte: ha persino ammesso che forse, nelle case per anziani, qualcosa è andato storto (anche perché la Regione vi riversava i ricoverati Covid ancora infetti, moltiplicando i contagi e i morti). Dopo una simile Caporetto, se questa fosse gente seria come il generale Cadorna, uscirebbe dal nuovo Pirellone con le mani alzate: non per aver perso la guerra, ma per non averla neppure combattuta. Ma le dimissioni non si addicono ai cabarettisti e, temiamo, neppure i processi: per commettere un reato, bisogna sapere almeno vagamente quel che si fa. E, anche da questo punto di vista, i fratelli De Rege sono al di sotto di ogni sospetto.

Marco Travaglio

Merdogan – L’acuto editoriale di Marco Travaglio – “Che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sia una merdaccia è un dato ormai acquisito”…!

 

Marco Travaglio

 

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Merdogan – L’acuto editoriale di Marco Travaglio – “Che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sia una merdaccia è un dato ormai acquisito”…!

 

Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano, 16 OTTOBRE 2019

Merdogan

Che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sia una merdaccia è un dato ormai acquisito, tant’è che nessuno si azzarda a difendere la sua offensiva nel Kurdistan siriano contro chi ci ha salvati dall’Isis, combattendo per procura al posto nostro. Ciò che stupisce è lo stupore: ma che ci aspettavamo da Erdogan? È lui l’unico autorizzato a stupirsi: per lo stupore dell’Occidente. E per le minacce di embargo, militare da alcuni paesi Ue ed economico-commerciale dagli Usa. Cioè dai suoi alleati nella Nato. Alcuni dei quali aggiungevano alla storica partnership con quel Paese (peraltro decisa ben prima che arrivasse Erdogan, come premier nel 2003 e come presidente nel 2014) un trasporto sentimentale, un impeto amatorio, un arrapamento erotico che riguardava non solo la sua carica, ma anche e soprattutto la sua persona. B. per esempio lo chiamava “l’amico Tayyip”. Quello perseguitava o esiliava dissidenti, reprimeva nel sangue manifestazioni pacifiche, chiudeva giornali, censurava i siti web, truccava elezioni, arrestava oppositori, licenziava giudici, organizzava autogolpe per criminalizzare le minoranze, ricattava e taglieggiava l’Europa sui migranti e faceva pure il doppio gioco col petrolio dell’Isis. E il Caimano lo trattava da amico di famiglia, “l’amico Tayyip”, e sostenendo appassionatamente la sua richiesta d’ingresso della Turchia nientemeno che nell’Unione europea, tant’è che la stampa turca di regime l’aveva ribattezzato “l’avvocato di Ankara”.

Nell’agosto 2013 l’amico Tayyip invitò l’amico Silvio a fare il testimone di nozze a uno dei suoi quattro figli, Bilal (poi coinvolto col padre in un grave caso di corruzione). Lui ci andò e incappò nella solita gaffe mondiale. Il latrin lover brianzolo, durante la cerimonia, tentò di prendere la mano della sposa per baciarla. Il guaio è che la ragazza era tutta fasciata di veli e, secondo il rigido rito islamico, assolutamente inavvicinabile e intoccabile. Risultato: un mezzo incidente diplomatico-religioso che B. raccontò così, tutto sdegnato, al Corriere: “Ma come: io vado a Istanbul al matrimonio del figlio di Erdogan, sono l’ospite d’onore, faccio un gesto gentile come un accenno a un baciamani che mette un po’ in imbarazzo perché da loro non si usa che l’ospite d’onore si inchini davanti a chicchessia, e da noi anziché parlare del successo del nostro Paese e di come siamo considerati all’estero, montano su una polemica contro di me? Be’, è incredibile. Le cose devono cambiare”. Nell’aprile 2009 concesse il bis, usando addirittura Erdogan come gli studenti che marinano la scuola tirano in ballo la zia malata.

Angela Merkel lo aspettava in piazza a Baden Baden per la cerimonia con i capi di governo della Nato per celebrare la pacificazione franco-tedesca dopo la guerra mondiale. Ma lui pensò bene di far attendere un bel po’ lei e gli altri colleghi sotto il sole per appartarsi in riva al Reno a causa di una telefonata “improrogabile”, disertando il cerimoniale, il minuto di silenzio e la prima foto di gruppo. Poi raccontò che, essendo madrelingua turco, “ero al telefono col mio grande amico Tayyip” per convincerlo a dare il via libera alla nomina del premier danese Rasmussen a segretario generale della Nato e che la Merkel sapeva tutto. Invece la cancelliera era talmente furiosa che non gli strinse neppure la mano. Ancora l’anno scorso, il 9 luglio 2018, quel che resta del Caimano, fortunatamente privo di cariche pubbliche, si recò ad Ankara a ribaciare la pantofola del Sultano: “La Turchia resta un Paese cruciale sia per le relazioni dirette con l’Italia, visto l’interscambio tra i due Paesi e le attività dei nostri imprenditori lì, sia per la lotta al terrorismo (sic, ndr), sia per l’operazione di controllo dei flussi migratori”, pur precisando pudico che “non tutto quello che sta facendo Erdogan è condivisibile”. Ma – beninteso – “occorre mantenere aperto lo spiraglio del dialogo, e io anche grazie ai miei rapporti, al mio ruolo, alla mia storia, posso farlo con vantaggio per tutti”.

Anche il presidente Giorgio Napolitano (sempre sia lodato) era un grande fan della Turchia di Erdogan nella Ue: “La positiva prosecuzione del negoziato di adesione fra Unione europea e Turchia rappresenta un interesse strategico per l’Unione e uno stimolo per Ankara”, come da lui sostenuto “da sempre con convinzione” (9.1.2007); “L’adesione della Turchia potrà rappresentare una tappa di grande importanza per l’affermazione e l’espansione del ruolo dell’Europa” (14.11.2009). Peccato che poi la Ue non gli abbia dato retta, altrimenti ora ai vertici europei parteciperebbe anche quel bocciuolo di rosa di Erdogan.

Nel luglio 2016 ci fu il famoso golpe-burla in Turchia, con l’alzamiento di alcuni ufficiali, subito represso da Erdogan con una spaventosa ondata di arresti. Quando fu chiaro che, tanto per cambiare, aveva vinto lui, i capi di Stato e governo del cosiddetto mondo libero fecero a gara a chi esultava di più col Sultano e il suo governo “liberamente eletto”. Quella volta a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi e, dopo ore di silenzio per vedere chi avrebbe vinto, corse in soccorso del vincitore Erdogan esprimendo il “sollievo” della Nazione tutta per il “prevalere della stabilità e delle istituzioni democratiche” e perché “libertà e democrazia sono sempre la via maestra da seguire e difendere”. Testuale: la libertà e la democrazia. Più o meno le stesse parole che Renzi riservava ad altri noti tagliagole, come il presidente golpista egiziano Al-Sisi. L’altro giorno, lo smemorato di Rignano ha twittato commosso che non bisogna assolutamente lasciare soli “i nostri fratelli curdi”. Quelli, per intenderci, sterminati dalle “istituzioni democratiche” di Erdogan all’insegna della “libertà” e della “democrazia”.

Formigodi – L’editoriale di Marco Travaglio sul vergognoso regalo dei domiciliari a Formigoni, uno che si è fottuto centinaia di milioni (mai ritrovati) creando uno spaventoso giro di tangenti sulla pelle dei malati…

 

Formigoni

 

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Formigodi – L’editoriale di Marco Travaglio sul vergognoso regalo dei domiciliari a Formigoni, uno che si è fottuto centinaia di milioni (mai ritrovati) creando uno spaventoso giro di tangenti sulla pelle dei malati…

 

di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano del 24 luglio 2019

Formigodi

L’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano che scarcera Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per corruzione, dopo ben 5 mesi di galera e lo spedisce ai domiciliari a casa di un amico che lo manterrà per i restanti 65 mesi, inaugura un nuovo filone della letteratura umoristica: la satira giudiziaria. Com’è noto, da quest’anno vige la legge Spazzacorrotti, che estende ai reati di corruzione il divieto di concedere ai pregiudicati le misure alternative al carcere (già previsto per i delitti di mafia, terrorismo, droga, contrabbando, sequestro di persona, violenza sessuale, pedofilia, riduzione in schiavitù): cioè i servizi sociali e i domiciliari, previsti per i condannati a meno di 4 anni, ma anche a pene superiori per chi ha compiuto 70 anni. A meno che – precisa la legge Bonafede – uno non collabori con la giustizia per far scoprire altri reati. Ora, Formigoni ha 72 anni e non ha mai collaborato con la giustizia. S’è addirittura rifiutato regolarmente di farsi interrogare da pm e giudici. Non ha mai ammesso i suoi reati, nemmeno dopo la condanna definitiva. Infatti la Procura di Milano ha dato parere negativo ai domiciliari perché “non si può escludere l’utilità di sue dichiarazioni sull’ingente patrimonio transitato per i paradisi fiscali e mai recuperato”. Il processo ha accertato che, per dirottare 200 milioni pubblici alle cliniche Maugeri e San Raffaele, il trio Formigoni (per 18 anni presidente ciellino della Regione Lombardia)- Daccò (faccendiere ciellino suo amico)-Simone (ex assessore regionale ciellino alla Sanità) aveva movimentato uno spaventoso giro di tangenti sulla pelle dei malati: almeno 61 milioni, di 6,6 finiti al Celeste. In gran parte mai trovati.

Ma i giudici, col via libera del Pg, l’han mandato a casa anche se non ha mai collaborato. Motivo: anche volendo, “il presupposto della collaborazione è impossibile” perchè ormai il processo s’è chiuso e ha ricostruito i fatti “con pignoleria”. Sì, è vero, il pm ipotizza che Formigoni sappia in quali paradisi fiscali è nascosto il resto del bottino e l’ “associazione criminale” sia ancora in piedi per custodire quello e altri segreti. Ma queste sono “ipotesi” e “presunzioni”, mica di certezze. E per forza: se non parlano né lui, nè Daccò, né Simone, come si fa ad avere certezze? Bisognerebbe interrogare Formigoni, che però rifiuta da sempre. Com’è suo diritto. Ma allora lo Stato avrebbe il dovere di tenerlo dentro, come prevede la legge per chi non collabora. Invece lo mettono fuori dopo 5 mesi (su 70) perchè non collabora ma pensano che non possa più farlo (a proposito di “ipotesi” e “presunzioni”).

Ragionamento (si fa per dire) che ora dovrebbe valere per tutti i condannati: visto che il processo è finito, non possono più collaborare. Quindi solo un fesso, d’ora in poi, collaborerà con la giustizia: perchè mai confessare tutti i propri delitti, e pure quelli altrui, e restituire il maltolto, quando si possono nascondere tanti bei soldini tacendo al processo e poi, una volta condannati, andarsene subito a casa (di un amico) a godersi un’agiata vecchiaia? Se lo sragionamento vale pure per i mafiosi, siamo a cavallo: finora era proprio il carcere senza benefici a indurne alcuni a pentirsi. Ma ora basterà la condanna definitiva per tappare loro la bocca: anche se vogliono parlare, il giudice farà notare che il processo ha già ricostruito i fatti “con pignoleria”, ergo si stiano zitti e non rompano i coglioni. Il meglio però arriva a proposito del “percorso di recupero” che San Roberto, in soli 5 mesi, ha compiuto in cella riconoscendo “sbagli”, “atteggiamenti superficiali” e “disvalore delle sue condotte” (i colori delle giacche e delle cravatte erano troppo sgargianti), come “l’amicizia con Daccò e le vacanze sugli yacht ai Caraibi” (prossimo giro, solo Maldive).

E poi “non riveste più alcun ruolo pubblico” (essendo detenuto, sarebbe complicato persino in Italia), ragion per cui la pena fissata in sentenza sarebbe “afflittiva”. Povera stella. Tra l’altro, in carcere, il Celeste ha tenuto “uno stile di vita riservato”. Si temeva che desse dei party a ostriche, caviale e champagne nell’ora d’aria, o invitasse in cella ballerine dell’obaoba, o sfoggiasse anche lì giacche color salmone/aragosta. Invece niente: il detenuto modello teneva “basso profilo” e addirittura respingeva le richieste di favori degli altri detenuti, rispondendo lodevolmente “di non poter intervenire”. Quindi basta non continuare a delinquere in carcere per scontare la pena per i delitti precedenti fuori dal carcere. Eppoi il nostro ha mostrato “uno sforzo di adattamento, consolidato da elementi tra cui la fede” (se era ateo, erano cazzi) e “dal volontariato in biblioteca”. Decisiva l’ “accettazione delle sentenze”: l’altroieri i suoi avvocati gli han suggerito di fare il bravo e lui ha magnanimanente dichiarato in udienza: “Mi conformo alla condanna e comprendo il disvalore dei miei comportamenti”. Perbacco, che gentile: si conforma, anche perché se non si conformasse sarebbe esattamente lo stesso. Ma, se ti chiami Formigoni, basta accettare una pena di 70 mesi per uscire dopo 5. Già che c’era, Formigoni ha pure detto ai giudici: “Solo oggi comprendo che sarebbe stato meglio rispondere alle domande” (tanto non possono più fargliene). E s’è pure vantato di aver “deciso di costituirmi spontaneamente” dopo la condanna” e non -badate bene- perché altrimenti i carabinieri andavano a prelevarlo a casa, ma “per le mie convinzioni personali e culturali e per rispetto dello Stato”. La cosa deve aver commosso i giudici: anche evitare di darsi alla latitanza diventa un titolo di merito. É un nuovo principio giuridico: se vieni dentro, ti metto fuori. Si spera almeno che valga solo per lui e non per tutti gli altri delinquenti.

Un intervento epico di Marco Travaglio: “Cos’è la politica? È celebrare Falcone e Borsellino e poi trattare con la mafia”.

Marco Travaglio

 

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Un intervento epico di Marco Travaglio: “Cos’è la politica? È celebrare Falcone e Borsellino e poi trattare con la mafia”.

Un discorso epico di Marco travaglio da condividere assolutamente! Parole che rimarranno nella storia pronunciate nel corso di un duello con Gad Lerner su politica e antipolitica, durante la trasmissione “Quello che non ho” su La7.

Queste le sue parole:
Oggi la VERA anti-politica è quella che noi chiamiamo politica:
E’ scendere in campo anzichè salire;
E’ fondare un partito per non andare in galera e per non fallire per debiti;
E’ far eleggere gli avvocati e i coimputati per non farli parlare;
E’ stare in parlamento 30 o 40 anni pensando che il rinnovamento consista nel cambiare continuamente il nome al partito;
E’ usare le Camere come alternative al carcere, alla latitanza e alla comunità di recupero;
E’ usare come ufficio di collocamento per amici, parenti e amanti, il Parlamento, la Rai, i giornali, asl, ospedali, aziende pubbliche, banche, istituti culturali, cinema;
E’ andare solo a “Porta a Porta” per non rispondere mai a domande;
E’ celebrare Falcone e Borsellino e  poi trattare con la mafia, o chiederle i voti, o stringere la mano ad Andreotti, Cuffaro, Cosentino, Dell’ Utri;
E’ sfilare al family day e poi andare a puttane;
E’ fare il presidente della Repubblica a 84 anni e lanciare moniti per la politica e per i giovani;
E’ fare il presidente del Senato essendo indagato per mafia;
E’ chiamare le guerre “missioni di pace”, l’impunità “garantismo”, la legalità “giustizialismo”, la prescrizione “assoluzione”, l’inciucio “dialogo”, i fischi “terrorismo”, i bordelli “cene eleganti”, le orge “gare di burlesque”;
E’ chiamare i caduti sul lavoro “morti bianche”, per far sembrare meno morti i morti e meno assassini gli assassini;
E’ dire che è sempre colpa del governo precedente, della crisi mondiale, dello tsunami, delle toghe rosse, dell’ euro, della Merkel e di Adamo ed Eva;
E’ promettere tagli alla casta e poi non farli;
E’ rapinare i pensionati e i lavoratori perchè i banchieri, i miliardari e gli evasori fiscali corrono troppo veloci;
E’ dire “ce lo chiede l’ Europa”, ma quando l’ Europa ci chiede una legge anti-corruzione si faccia i cavoli suoi;
L’ intervento integrale
Questo ed altro nell’epico intervento integrale di Marco Travaglio, seguito da Gad Lerner che potete vedere QUI
fonte: http://siamolagente2016.blogspot.it/2017/05/marco-travaglio-cose-la-politica-e.html

Un’altro geniale editoriale di Marco Travaglio: I nuovissimi mostri

 

Marco Travaglio

 

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Un’altro geniale editoriale di Marco Travaglio: I nuovissimi mostri

 

I nuovissimi mostri

Spunti e appunti per una nuova, grande commedia all’italiana a episodi, nella migliore tradizione de I mostri e I nuovi mostri.

Il sindaco da balcone.

Arrestato per corruzione e turbativa d’asta, il sindaco leghista di Legnano Giambattista Fratus è recluso ai domiciliari dal 16 maggio. Non potendo governare con le manette ai polsi, Fratus si dimette, il prefetto lo sospende in base alla legge Severino e commissaria il Comune. Ma il 7 giugno Fratus cambia idea e, mentre il Riesame conferma il suo arresto, ritira le dimissioni e resta sindaco. Vivo compiacimento dalla Lega tutta, a partire dal leader Matteo Salvini: “Conosco Fratus come persona seria, corretta e perbene come Siri, Rixi, Fontana e tanti altri. Se l’ha fatto, vuol dire che si sente assolutamente tranquillo. Fare il sindaco è un mestiere difficile, quindi ha il mio sostegno”.

Cioè, con l’aria di fargli un complimento beneaugurante, lo paragona a due leghisti già condannati, l’uno con patteggiamento definitivo per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta di beni al fisco (Siri), l’altro con sentenza di primo grado per peculato (Rixi). Il guaio è che Salvini è pure ministro dell’Interno, superiore del prefetto che ha sospeso il sindaco per legge. Ora Legnano si ritrova con un commissario legittimo e un sindaco abusivo che però si crede ancora sindaco anche perché – aspetto ancor più interessante – ci crede pure Salvini.

Ora si procederà così. Per motivi pratici, le riunioni di giunta si terranno alternativamente in Comune sotto la presidenza del commissario e nel giardino di casa Fratus sotto la presidenza del sindaco abusivo che, non potendo uscire, parteciperà ai lavori affacciandosi al balcone o alla finestra.

Tiritiritu?

Grande retata in Umbria per concorsi truccati nella Sanità: il 12 aprile arrestati assessori, dirigenti e manager del Pd e indagata la governatrice del Pd Catiuscia Marini (per abuso d’ufficio, rivelazione di segreto d’ufficio, favoreggiamento e falso). Che annuncia subito di non volersi dimettere. Poi il segretario del Pd Nicola Zingaretti la chiama implorando un “gesto di responsabilità”. Allora la Marini si dimette e riunisce il Consiglio regionale, mettendo ai voti le dimissioni. Purtroppo bocciate anche col suo voto. Cioè: prima rassegna le dimissioni nelle sue proprie mani, poi dopo una serrata consultazione con se stessa se le respinge. Zingaretti, quando finalmente riesce a capire l’accaduto, le ritelefona per invocare un secondo “gesto di responsabilità”, possibilmente più responsabile e comprensibile del primo, ma non la trova.

La Marini è ricoverata in ospedale. Di lì annuncia che si ridimetterà eventualmente quando starà meglio. Di solito, per motivi di salute la gente, si dimette: lei invece resta per motivi di salute. Poi si vota: il Pd perde 110 mila voti, in Umbria viene sorpassato dalla Lega e perde pure le Comunali a Perugia. Poi, a danno fatto, il 28 maggio il Consiglio regionale si autoscioglie dopo le dimissioni rassegnate in gran segreto, e stavolta addirittura accolte, dalla Marini. Invece il governatore Pd della Calabria Mario Oliverio, anche lui indagato ma per reati ancor più gravi (corruzione e associazione a delinquere) resta al suo posto. Zingaretti si scorda di chiedergli il “gesto di responsabilità”. Forse pensa che commettere reati più gravi in Calabria sia meno grave che commetterne di meno gravi in Umbria, o che la Calabria non sia in Italia.

I Lotti-zzati.

Non bastando la Marini, Zingaretti si ritrova altri due morti in casa: i deputati renziani Luca Lotti e Cosimo Ferri, che incontrano nottetempo il capocorrente togato Luca Palamara e quattro consiglieri del Csm per scegliere il nuovo procuratore di Roma, che sosterrà l’accusa nel processo Consip contro l’imputato Lotti. I quattro si sospendono dal Csm su richiesta del capo dello Stato per aver parlato con Lotti e Ferri. I quali però restano nel Pd, mentre tutti fischiettano e nessuno fa un plissé. Poi il Fatto domanda in prima pagina: “Ma lo sapete che il caso Csm è targato Pd?”. Zingaretti si accorge che Lotti e Ferri sono del suo partito e convoca Lotti per uno stringente interrogatorio. Ma purtroppo sbaglia le domande. Tipo questa, riportata da Repubblica: “Ti chiedo di spiegare il sodalizio con Palamara” (come se il problema dell’imputato Lotti fosse che frequenta magistrati). La risposta di Lotti aggiunge surrealismo a surrealismo, ton sur ton: “Sono accuse infondate e infamanti, non ho commesso reati, chi mi infanga alla fine ne risponderà”. Dal che si deduce che Lotti tutto può sentirsi dire, anche di essere amico di Renzi, ma non di frequentare magistrati: quello sarebbe un reato infamante e partirebbero le querele. Comunque, spiega, quella con Palamara è “un’amicizia nata sul calcio: abbiamo organizzato partite fra la squadra dei parlamentari e quella dei magistrati”. È la vecchia linea Previti che, accusato di pagare mazzette al giudice Squillante, si difendeva con i “tornei di calcetto al circolo Canottieri Lazio”: funziona sempre.

I renziani accusano Zingaretti di “dimenticare il garantismo” e di essere “manettaro” perché “non c’è nulla di sconveniente a occuparsi di giustizia”. Manca solo che si parli dei primi caldi estivi, pur di scansare il cuore del problema: due deputati del Pd, di cui un imputato dalla Procura di Roma, che scelgono il nuovo capo della Procura di Roma. Alla fine l’intrepido Zingaretti le canta chiare: “Non ho mai dato solidarietà a Lotti”. E ci mancava pure.

La comica finale.

Il vicepresidente renziano del Csm David Ermini, deputato Pd amico di Lotti e Ferri, eletto otto mesi fa dalle correnti dello scandalo (MI e Unicost) e dal laico del Pd con l’astensione di FI, tuona: “Meno potere alle correnti”. Si ride di gusto.

“I NUOVISSIMI MOSTRI” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 8 giugno 2019

Ancora tu – il fantastico editoriale di Marco Travaglio dedicato al ritorno in Tv di Silvio Berlusconi “tutto pittato, laccato, moquettato e levigato come un set di sanitari Ideal Standard”

 

Marco Travaglio

 

 

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Ancora tu – il fantastico editoriale di Marco Travaglio dedicato al ritorno in Tv di Silvio Berlusconi “tutto pittato, laccato, moquettato e levigato come un set di sanitari Ideal Standard”

Ancora tu

L’altra sera, facendo zapping, ci siamo imbattuti in uno di quei revival di archeologia televisiva, tipo Techetè, con vecchi guitti in bianco e nero di tanti anni fa. Così almeno abbiamo pensato, quando abbiamo visto la buonanima di Silvio B. in gran forma, tutto pittato, laccato, moquettato e levigato come un set di sanitari Ideal Standard, con un suo impiegato che lo “intervistava” (si fa per dire) sulle tante, infami “calunnie” che ha subìto in vita sua. Attendevamo che, da un momento all’altro, entrassero le ragazze del Drive In o di Colpo Grosso, accompagnate da Greggio e D’Angelo o da Smaila. Poi abbiamo scoperto che era tutto in diretta: la buonanima era viva. E parlava. Strascicando alla Crozza, ma parlava. Come se, a cinque anni dalla dipartita dal Senato palla volta di Cesano Boscone, l’avessero scongelato dal freezer e liberato dalla funzione Pause per restituirlo al più consono Play. Il Rieccolo riprendeva il discorso da dove l’aveva interrotto nel 2013, come se intanto non fosse successo nulla, risultando lievemente sfasato rispetto al momento attuale. Anzi, al secolo attuale, visto che usava arcaismi come “gabina elettorale” che non si sentivano dai tempi di Costantino Nigra, prima di annunciare che a Bruxelles lui ci andrà davvero. Anzi, a minacciarlo.

Il Cavalier Findus intratteneva il folto pubblico, accuratamente selezionato nella casa di riposo di Cesano Boscone per attenuare l’asincronia della scena e lo straniamento della testata Quarta Repubblica, su temi di interesse non proprio bruciante come i suoi “ben 88 processi con ben 105 fra avvocati e consulenti”. O come i suoi soldi all’estero, ormai cristallizzati da anni di sentenze definitive sulle sue 64 società nei paradisi fiscali e le sue evasioni da 360 milioni di dollari, ormai digerite anche dai suoi fan più accaniti. “Neanche un euro!”, trillava giulivo il conduttore. E B.: “Se mi trovate dei soldi all’estero, sono vostri!”. Risate in sala, anzi in bara. Altra “calunnia”: la condanna per frode fiscale, emessa da un fantomatico “collegio di deputati” (i cinque giudici di Cassazione, che firmarono tutti la sentenza, anche se a lui risulta che uno “non voleva firmarla, ma fu costretto da qualcuno in alto (forse un alpinista”), per “eliminare un avversario politico”. Fu così che lui presentò “un appello in 18 punti alla Corte di Strasburgo che in cinque anni non ha mai aperto neanche un foglio”. In realtà la Corte ha archiviato il caso il 27 novembre senza pronunciarsi, perché i suoi legali, probabilmente senza dirglielo, hanno ritirato il ricorso con una lettera del 27 luglio.

Lì non le eurotoghe rosse, ma Ghedini&C., spiegavano alla Corte che un verdetto “non avrebbe prodotto alcun effetto positivo” per lui, cioè sarebbe stato respinto con perdite) Uno si sarebbe atteso una replica del conduttore informato dei fatti, ma trattandosi di un giornalista di Mediaset e del Giornale era troppo sperare. Altra “calunnia”: “Una frase irriferibile e volgarissima che non ho mai pronunciato sulla signora Merkel”. Che, essendo irriferibile, nessuno in studio e a casa conosceva. Peccato, perché era carina: “Culona inchiavabile”. Noi, che a suo tempo la riportammo perché i suoi la riferivano, terrorizzati che uscisse da qualche intercettazione, sappiamo bene di non aver inventato nulla. E lo sapevano persino il Giornale e Libero, che per due anni chiamarono la Merkel “culona” sapendo di far cosa gradita al padrone, che le attribuiva il famoso “complotto dello spread” per rovesciare il suo terzo governo. Poi, come spesso accade a quell’età, batté la testa, si scordò tutto e si risvegliò da antieuropeista sfegatato a filoeuropeista arrapato, da nemico ad ammiratore dell’“amica Angela”. L’altra sera, per dire, s’è inventato di averla convinta a fargli “eleggere Draghi” affinché “la Bce stampasse moneta” (tutti eventi mai accaduti nella realtà, ma nessuno ha ancora avuto il coraggio di comunicarglielo). Ma ecco l’ultima “calunnia”: il bunga bunga. Migliaia di pagine di sentenze hanno accertato il “sistema prostitutivo” orchestrato per lui, nella villa di Arcore, a Palazzo Grazioli, a villa Certosa e non solo, dai vari Tarantini, Mora, Fede, Minetti. E lui che fa? Come se fosse ancora il 25 aprile 2009 sul palco di Onna, travestito da partigiano col fazzoletto rosso al collo, osannato da tutti ignari di tutto, racconta che “il bunga bunga è una barzelletta che ho inventato io sui due più sfigati che avevo: Bondi e Cicchitto” (la gratitudine è sempre stata il suo forte), simpaticamente sodomizzati “da una tribù libica rivoluzionaria”.

Quanto ai festini nelle ville, “Emilio Fede scoprì che lavoravo pure il sabato notte e allora mi portò due delle sue meteorine, che la volta dopo portarono quattro amiche, che ne portarono altre, finché mi ritrovai con 32 ragazze”. E non ebbe cuore di lasciarle fuori all’addiaccio. Ma erano frugali “cene eleganti, i miei figli passavano a salutare prima di andare a letto, io raccontavo storielle e cantavo”, del resto era o non era già “a vent’anni il miglior cantante di Parigi”, quando anche Aznavour gli faceva una pippa? Subito dopo, in un fuorionda, dice al pubblico che “qualche anno fa me ne facevo sei per notte, ora invece mi addormento dopo la terza”, però ciò che conta è quel che va in onda, no? Dunque tutti a votare per lui che, appena seduto a Bruxelles, fermerà con le nude mani “il progetto egemone del comunismo cinese”. Non solo, ma – con grave sprezzo del pericolo – “aumenterò le pene contro l’evasione e l’elusione fiscale”, avendo appena scoperto con raccapriccio che “in Italia c’è un nero enorme”. E non è Balotelli, no! Sono le “centinaia di miliardi di evasione”. Senza contare, modestamente, i suoi.

“Ancora tu” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 22 Maggio 2019

 

“10 domande a Salvini” – lo spietato editoriale di Marco Travaglio

 

Marco Travaglio

 

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“10 domande a Salvini” – lo spietato editoriale di Marco Travaglio

Abbiamo chiesto un’intervista al Matteo Salvini. Nessuna risposta. Casomai ci ripensasse, queste sono le domande che avremmo voluto porgli, per il dovere di trasparenza che è richiesto a un uomo di governo della sua importanza dinanzi ai cittadini.

1. Ministro Salvini, lei parla e twitta su tutto, dal menu delle sue colazioni al festival di Sanremo, da quel che dovrebbero fare gli altri ministri a come si governa Roma: possibile che non trovi il tempo per dire una parola sulla famiglia Arata? Chi e quando le ha presentato Paolo Franco Arata, genovese, 69 anni, ex parlamentare di Forza Italia che in un’intercettazione si definisce “socio al 50 per cento” almeno dal 2015 del pregiudicato (per corruzione e truffa) Vito Nicastri, il re dell’eolico siciliano ora ai domiciliari, destinatario di un sequestro preventivo di 1,3 miliardi dalla Direzione Antimafia di Palermo perché ritenuto il finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro?

2. Ha conosciuto prima Arata padre oppure il figlio Federico, 34 anni, che del 2016 risulta seguire i rapporti internazionali della Lega e nel 2017 ha organizzato il fugace incontro Salvini-Trump a New York, grazie ai suoi rapporti con Steve Bannon, aspirante federatore dell’internazionale “sovranista”? Ha mai pensato di prendere informazioni su quella strana famiglia, prima di inocularla come un virus letale nella Lega? Ora che gli inquirenti hanno scoperto quei terribili legami fra Arata sr., Nicastri e Messina Denaro, perché non rassicura i suoi elettori e tutti i cittadini sul fatto che terrà Arata e la sua famiglia alla larga della Lega e del governo?

3. Da anni Paolo Arata possiede varie società nel settore energia e questo, diversamente dai suoi rapporti con Nicastri, lo sapevano tutti: bastava una ricerca su Google o una visura camerale. Perché lei, malgrado il suo plateale conflitto d’interessi, lo incaricò di scrivere il programma della Lega proprio sull’energia, lo invitò a parlare al convegno programmatico di Piacenza nel luglio 2017?

4. Lei ha compiuto sforzi immani per riverginare l’immagine della Lega, screditata dagli scandali di Belsito, della Family Bossi, dei 49 milioni scomparsi ecc. Perché diede proprio ad Arata, legato a tutta la vecchia politica siciliana e non (da Mannino a Miccichè ad Alberto Dell’Utri), un ruolo così centrale nel suo “nuovo” partito, al punto che – come risulta dalle carte dell’inchiesta delle Procure di Palermo e Roma – fu addirittura Arata a sponsorizzare la nomina dell’amico e corregionale Armando Siri a sottosegretario ai Trasporti?

5. In dieci mesi di governo, Arata e famiglia hanno beneficiato di una serie impressionante di favori targati Lega. Lei, ad agosto, tentò di farlo nominare presidente dell’Authority dell’energia, cioè controllore di se stesso, visto il suo palese conflitto d’interessi di imprenditore dell’eolico (nomina stoppata da Di Maio). Siri, fra luglio e dicembre, provò in ogni modo a far approvare una norma chiesta da Arata per favorire la sua azienda eolica (quella a mezzadria col finanziatore di Messina Denaro). Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha appena assunto il figlio Federico Arata a Palazzo Chigi come “esperto” del Dipartimento programmazione economica, dopo che quello l’aveva aiutato nella discussa trasferta di marzo negli Usa. La Lega deve qualcosa a quella famiglia? Salvini può garantire che mai gli Arata hanno finanziato la Lega?

6. Ora Arata sr. è accusato di aver corrotto il sottosegretario Siri con una tangente di 30mila euro in cambio dell’emendamento su misura per la sua società eolica, che avrebbe moltiplicato i guadagni suoi e del socio occulto siciliano. La presunta tangente dovranno accertarla o smentirla i giudici, e non risulta che lei ne sapesse alcunché. Ma l’emendamento ad Aratam è già arcisicuro: “le tariffe incentivanti e i premi di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012 e ai suoi allegati, del ministero dello Sviluppo Economico, si applicano agli impianti aventi accesso diretto agli incentivi ai sensi del… medesimo decreto, alla condizione che siano entrati in esercizio fino al 30.9.2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30.6.2017”, quindi senza rispettare il termine di legge. E guardacaso proprio in quella situazione si trovava la società di Arata (e Nicastri). Cosa pensa Salvini di quella legge ad aziendam e dei suoi che l’hanno spinta?

7. I massimi funzionari dello Sviluppo economico hanno raccontato ai pm che a luglio Siri tentò di far passare l’emendamento ad Aratam nel dossier sulle Rinnovabili, e fu da loro respinto; il capogruppo leghista Romeo ci riprovò in dicembre, nella legge di bilancio, e fu bloccato dal ministro dell’Ambiente Costa; Siri ritentò e ricevette l’alt del ministro dei Rapporti col Parlamento Fraccaro; ma non si arrese e azzardò il colpaccio nel Milleproroghe, scontrandosi con i sottosegretari pentastellati Castelli e Crippa. Intanto Arata rassicurava Nicastri (ai domiciliari) tramite il figlio Manlio: “Ci pensa il mio uomo”. Salvini ha mai saputo niente di quel pressing? Se sì, perchè non l’ha bloccato, visto che non riguardava interessi generali, ma affari personali di Arata? Se no, come giudica il comportamento del sottosegretario Siri, asservito a quegli interessi privati?

8. Giovedì, appena appreso di essere indagato, Siri ha dichiarato: “Non so assolutamente chi sia questo imprenditore coinvolto (Arata, ndr), non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole, credo che si tratti di un errore di persona”. Venerdì, smentito persino dal suo capogruppo Romeo, ha cambiato versione: “Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori”. Ieri ha raccontato un’altra storia ancora: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico… mi ha fatto una testa così e io gli ho detto: va bene, mandamelo”. A prescindere dalle accuse di corruzione (da dimostrare) e dall’asservimento della sua funzione pubblica a interessi privati (dimostrata), Siri è un bugiardo seriale: non basta questo per dimissionarlo dal “governo del cambiamento”?

9. Ministro Salvini, lei ha difeso Siri perché è “soltanto” indagato per corruzione e ha ricordato ai 5Stelle il precedente di Virginia Raggi, più volte indagata. Ora, la Raggi non c’entra nulla: non è mai stata indagata per corruzione, è stata assolta e prosciolta e archiviata da tutto, e non si comprende perché lei ne abbia chiesto le dimissioni, se non per coprire lo scandalo Siri. Ma, sulla presunta corruzione di Siri, lei ha ragione: finché non si proverà che Arata se l’è comprato con 30mila euro, il fatto resta controverso e nulla autorizza nessuno a cacciarlo dal governo in quanto corrotto (semmai per le sue bugie e i suoi traffici per una norma ad aziendam, e che aziendam!). Però il suo “garantismo” su Siri “solo” indagato cozza col fatto che la sua fedina penale riporta già una sentenza definitiva di colpevolezza: un patteggiamento del 2014 a 1 anno e 8 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Cioè: è stato lui stesso a concordare la pena per avere svuotato le casse di una società, lasciando 1 milione di buco e occultando parte del bottino nel paradiso fiscale del Delaware. Quindi Siri non deve uscire dal governo perché indagato: non avrebbe dovuto entrarvi perché ha patteggiato. Che le è saltato in mente di nominare sottosegretario e ideologo della politica fiscale leghista un bancarottiere e frodatore del fisco?

10. Se lei, ministro Salvini, avesse tenuto a distanza, se non dalla Lega, almeno dal settore energia, un faccendiere in conflitto d’interessi come Arata e, se non dalla Lega, almeno dal governo un sicuro bancarottiere e frodatore come Siri, oggi il governo non sarebbe scosso dal suo primo scandalo e la Lega non sarebbe in imbarazzo per il suo ennesimo scandalo. Non è il momento di fare un po’ d’autocritica e di pulizia, di cestinare le mele marce, di presidiare meglio le porte del partito e di chiedere scusa al premier Conte, agli alleati, ai leghisti e soprattutto agli italiani?

“10 domande a Salvini” di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 21 Aprile 2019

Bertolesso – Un grande editoriale di Marco Travaglio

 

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Bertolesso – Un grande editoriale di Marco Travaglio

 

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Da un po’ di tempo non si avevano notizie di Guido Bertolaso, indimenticato capo della Protezione civile e commissario straordinario multiuso per terremoti, inondazioni, giubilei, frane, slavine, valanghe, visite papali, smottamenti, incendi boschivi, mondiali di ciclismo, emergenze rifiuti, eruzioni vulcaniche, aree marittime, relitti navali, grandi eventi, rischi bionucleari, aree archeologiche, G8, epidemie di Sars e tutte le calamità naturali possibili e immaginabili, tranne la più perniciosa: lui. Le ultime cronache, dopo la sfortunata autocandidatura a sindaco di Roma (respinta persino dai compari forzisti), lo davano impegnato in Africa, con gran sollievo per il popolo italiano, meno per quelli africani. Ieri l’ha intervistato Radio Capital, gruppo Espresso, al TgZero (così chiamato per il suo livello di credibilità) in veste di aspirante salvatore della Capitale. È lo stesso gruppo che ai bei tempi pubblicava inchieste sui disastri di Bertolaso: tipo quella di Fabrizio Gatti sui 400 milioni buttati nelle grandi opere alla Maddalena, in vista di un G8 che non si tenne mai perché proprio 10 anni fa venne dirottato fra le macerie dell’Aquila appena terremotata.

TgZero chiede a Bertolaso cosa ne pensi di due frasi che io non ho mai né pensato né pronunciato: “C’è un complotto dietro a tutti i disservizi, come sostiene Travaglio?”. “Travaglio dice che per le scale mobili della metro guaste c’è un sistema criminale spaventoso che sta reagendo perché non è più padrone come in passato”. Io non ho mai parlato di “complotti dietro i disservizi” né di poteri criminali dietro le scale guaste. Ho risposto su La7 a una domanda di Giletti che un conto sono gli errori della giunta Raggi e gli scandali nella Capitale, un altro sono gli strani incendi agli impianti di smaltimento rifiuti (i due maggiori dati alle fiamme in tre mesi), i falò di cassonetti (oltre 600 in due anni), gli autobus anche nuovi in fiamme (60 in un anno e mezzo), i guasti concomitanti alle scale mobili in svariate stazioni della metro (20 in pochi mesi). Ma soprattutto i tre bandi di gara per la raccolta rifiuti andati deserti (due nel 2018, da 105 e 188 milioni, uno nel 2019 da 225 milioni): mentre gli imprenditori chiedono investimenti per lavorare, com’è che nessuna impresa concorre a quelle lucrose commesse? Non il presunto complottista Travaglio, ma l’Antitrust ipotizza “un accordo tra le parti volto ad astenersi dalle gare, con la conseguenza che i medesimi servizi sono stati acquisiti da Ama a trattativa privata e a condizioni economiche più onerose” per la municipalizzata e più vantaggiose per i privati.

Non il complottista Travaglio, ma il ministro dell’Ambiente Sergio Costa definisce “avvertimenti che conosco bene dalla Terra dei Fuochi” gli incendi agli impianti dei rifiuti. E non il complottista Travaglio, ma la Procura di Roma ipotizza un unico disegno criminale dietro i roghi ai Tmb del Salario e di Rocca Cencia. L’ha scritto proprio Repubblica (stesso gruppo di Radio Capital) il 28 marzo: “Ama, pochi dubbi dei pm: unica regia dietro i due roghi”, “Emergenza rifiuti, verso l’unificazione dell’inchiesta su Tmb Salario e Rocca Cencia”, “C’è una regia unica per gli incendi Ama. I tecnici: sono dolosi”. Ma evidentemente a Radio Capital, oltre all’Espresso, non leggono neppure Repubblica. E preferiscono attribuirmi cose mai dette per regalare un assist a Bertolaso. Questo impunito, nel senso etimologico del termine, mette tutto insieme – errori, colpe, inefficienze, disservizi e sabotaggi criminali – per darmi del “buffone” (lui a me!) e alla Raggi della “totale incapace”. Il che è possibile, forse probabile. Ma non spiega l’impressionante catena di eventi dolosi, difficili da ascrivere alla sindaca. E poi: da qual pulpito. Se c’è un amministratore indubitabilmente più disastroso della Raggi, è proprio Bertolaso: tutti ricordano Napoli sommersa da cumuli di rifiuti ad altezza uomo, ma forse dimenticano – almeno a Radio Capital – chi era il commissario straordinario: Bertolaso, nominato da Prodi, fuggito per flop e richiamato da B. con una maleodorante scia di scandali e arresti.

Dall’alto di quella e di molte altre catastrofi, questo bel tomo sfodera l’intero repertorio dei luoghi comuni: perfino i topi, che lui pensa siano arrivati a Roma con i 5Stelle, invece fanno parte del paesaggio da secoli (“non c’è trippa per gatti” è una frase di Ernesto Nathan, mitico sindaco tra il 1907 e il 1913, che tagliò i fondi comunali del cibo per gatti, nella speranza che andassero a caccia dei topi, i quali spadroneggiavano pure in Campidoglio rosicchiando i documenti in uffici e archivi). Poi annuncia la sua panacea per tutti i mali: “Appena questi si toglieranno di torno, vedrete che Roma tornerà ad essere la bellezza che era un tempo”. Magari col bollito Bertolaso sindaco, che ce la restituirà più bella e più superba che pria. Tipo la Maddalena con le grandi opere inutili di Bertolaso e della nota Cricca di Balducci, Anemone&C. che cadono a pezzi fra le sterpaglie. Tipo Napoli con la monnezza più alta del Maschio Angioino. Tipo L’Aquila, in macerie a 10 anni dal sisma. Ora voi capirete che prendersi del “buffone” da un simile soggetto, quello che andava con la scorta a farsi “massaggiare” gratis al Salaria Village dell’appaltatore personale Anemone mentre il Tevere esondava, è un po’ troppo. Dunque Bertolaso verrà denunciato, come lui provò a fare con me e il Fatto tentando di spillarci 100 mila euro, invano. In quella causa, oltre a stabilire che avevo “riportato fedelmente alcuni fatti” e “notizie vere”, il giudice ritenne “temeraria” la sua lite e lo condannò a risarcire me, Padellaro e il Fatto con 6 mila euro, più 5 mila di spese. Visto che ha nostalgia del tribunale, ci rivediamo lì.

“Bertolesso” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 4 Aprile 2019

 

 

 

Trova le differenze – Il brillante editoriale di Marco Travaglio sulla legge per la legittima difesa e sull’ipocrisia del Pd…

 

Marco Travaglio

 

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Trova le differenze – Il brillante editoriale di Marco Travaglio sulla legge per la legittima difesa e sull’ipocrisia del Pd…

Chi, nella propria abitazione o nel luogo di lavoro, con “un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo”, “difende la propria o la altrui incolumità” o i “beni propri o altrui” dal ”pericolo di aggressione” di un uomo che non “desiste”, esercita una “difesa legittima” e dunque non è punibile se “costretto” dal “pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Lo dice il Codice penale (articolo 52), modificato dal centrodestra nel 2006 (ministro della Giustizia Roberto Castelli, leghista) in senso più favorevole ai derubati. Se poi ricorrano o meno queste condizioni, lo stabilisce il giudice che, in caso negativo, procede per “eccesso colposo di legittima difesa” (articolo 55). Ora quegli articoli, e anche altri sulle pene per i furti in appartamento e le violazioni di domicilio, stanno per essere di nuovo modificati dalla legge voluta dalla stessa Lega e già approvata in Senato a novembre dalla maggioranza giallo-verde. I 5 Stelle, salvo sorprese e con molti mal di pancia, la voteranno anche a Montecitorio. Il Pd, invece, alza le barricate e grida alla barbarie e al Far West. E non avrebbe tutti i torti, se nel 2017 non avesse a sua volta approvato alla Camera col resto del centrosinistra una riforma della materia, firmata da David Ermini (ora vicepresidente del Csm) e poi lasciata morire in Senato. Ora facciamo un gioco: “Trova le differenze”.

Questa è la modifica targata Pd all’articolo 52 sulla legittima difesa: “Si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614 (casa, negozio, ufficio, azienda ecc, ndr)…, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno”. Questa invece è la principale modifica targata Lega allo stesso articolo, oltre a quella che stabilisce “sempre” a priori la proporzionalità fra difesa e offesa in caso d’intrusione: “Nei casi previsti dall’articolo 614 (casa, negozio, ufficio, azienda ecc., ndr)… agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. A parte la leggendaria boiata del “tempo di notte” (che il Pd promise di eliminare al Senato, estendendo la norma “h 24”), le conseguenze delle leggi Pd e Lega sono identiche. Anzi, le maglie di quella del Pd erano persino più larghe, perché parlavano genericamente di “reazione” (che comprende tutto, anche il colpo alla nuca del ladro in fuga).
Invece la Lega si limita al più prudente verbo “respingere” (che non pare includere il colpo mortale).
Questa è la modifica targata Pd all’articolo 55 sull’eccesso colposo di legittima difesa: “La colpa dell’agente (chi uccide o ferisce l’intruso senza alcun diritto, ndr) è sempre esclusa quando l’errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione”. Questa invece è la modifica targata Lega allo stesso articolo: “La punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o dell’altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’art. 61, primo comma, n.5 (“l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”, ndr), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”. Anche qui conseguenze identiche: si giustifica pure chi uccide chi non minaccia nessuno con due supercazzole a fotocopia: il Pd con il “grave turbamento psichico”, la Lega col “grave turbamento” da “pericolo in atto”. Cioè si può ammazzare pure l’intruso disarmato che però minaccia, anche implicitamente (senza dirlo), di usare un’arma.
La legge Pd prevedeva (e giustamente) che fosse lo Stato a pagare le spese processuali e gli onorari degli avvocati degli imputati assolti o prosciolti per legittima difesa. La legge Lega prevede (e giustamente) che sia lo Stato a pagare le spese processuali e gli onorari degli avvocati degli imputati assolti o prosciolti per legittima difesa.
Fine del gioco. Che ha una conclusione e una morale. La conclusione è che, per fortuna, il Pd e la Lega non sanno mai quello che fanno: pensano che basti una legge, peraltro scritta coi piedi, per impedire ai magistrati di indagare chi uccide l’intruso; e intanto inventano sempre nuove condizioni (“grave turbamento”, “situazione di pericolo”) che andranno accertate dai pm e dai giudici (e da chi, se no?), indagando e talora processando gli sparatori che essi pensano di immunizzare anche dalle indagini. La morale è che quasi tutto quel che avviene nel primo anno dell’Era dei Cattivi era già accaduto – in scala, in nuce o tale e quale – negli ultimi anni dell’Era dei Buoni. Naturalmente quelli del Pd sono liberissimi di cambiare idea e di criminalizzare chi fa quel che facevano loro fino all’altroieri. Non sarà la prima né l’ultima volta: hanno insultato la Raggi per il no alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 dopo aver approvato e applaudito il no di Monti alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020; hanno deriso B. perché la menava col Ponte sullo Stretto e poi hanno rilanciato il Ponte sullo Stretto; hanno promesso l’Anticorruzione, con la blocca-prescrizione e il Daspo ai corrotti, poi hanno votato contro e gridato al “giustizialismo manettaro” quando l’ha presentata il ministro Bonafede. Come se le leggi fossero giuste solo perché le propongono loro e sbagliate solo perché le presentano gli altri. Da questi voltagabbana non si può pretendere coerenza. Ma sarebbero gradite almeno le scuse.
“Trova le differenze” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 6 Marzo 2019