Trova le differenze – Il brillante editoriale di Marco Travaglio sulla legge per la legittima difesa e sull’ipocrisia del Pd…

 

Marco Travaglio

 

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Trova le differenze – Il brillante editoriale di Marco Travaglio sulla legge per la legittima difesa e sull’ipocrisia del Pd…

Chi, nella propria abitazione o nel luogo di lavoro, con “un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo”, “difende la propria o la altrui incolumità” o i “beni propri o altrui” dal ”pericolo di aggressione” di un uomo che non “desiste”, esercita una “difesa legittima” e dunque non è punibile se “costretto” dal “pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Lo dice il Codice penale (articolo 52), modificato dal centrodestra nel 2006 (ministro della Giustizia Roberto Castelli, leghista) in senso più favorevole ai derubati. Se poi ricorrano o meno queste condizioni, lo stabilisce il giudice che, in caso negativo, procede per “eccesso colposo di legittima difesa” (articolo 55). Ora quegli articoli, e anche altri sulle pene per i furti in appartamento e le violazioni di domicilio, stanno per essere di nuovo modificati dalla legge voluta dalla stessa Lega e già approvata in Senato a novembre dalla maggioranza giallo-verde. I 5 Stelle, salvo sorprese e con molti mal di pancia, la voteranno anche a Montecitorio. Il Pd, invece, alza le barricate e grida alla barbarie e al Far West. E non avrebbe tutti i torti, se nel 2017 non avesse a sua volta approvato alla Camera col resto del centrosinistra una riforma della materia, firmata da David Ermini (ora vicepresidente del Csm) e poi lasciata morire in Senato. Ora facciamo un gioco: “Trova le differenze”.

Questa è la modifica targata Pd all’articolo 52 sulla legittima difesa: “Si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614 (casa, negozio, ufficio, azienda ecc, ndr)…, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno”. Questa invece è la principale modifica targata Lega allo stesso articolo, oltre a quella che stabilisce “sempre” a priori la proporzionalità fra difesa e offesa in caso d’intrusione: “Nei casi previsti dall’articolo 614 (casa, negozio, ufficio, azienda ecc., ndr)… agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. A parte la leggendaria boiata del “tempo di notte” (che il Pd promise di eliminare al Senato, estendendo la norma “h 24”), le conseguenze delle leggi Pd e Lega sono identiche. Anzi, le maglie di quella del Pd erano persino più larghe, perché parlavano genericamente di “reazione” (che comprende tutto, anche il colpo alla nuca del ladro in fuga).
Invece la Lega si limita al più prudente verbo “respingere” (che non pare includere il colpo mortale).
Questa è la modifica targata Pd all’articolo 55 sull’eccesso colposo di legittima difesa: “La colpa dell’agente (chi uccide o ferisce l’intruso senza alcun diritto, ndr) è sempre esclusa quando l’errore è conseguenza del grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione”. Questa invece è la modifica targata Lega allo stesso articolo: “La punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o dell’altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’art. 61, primo comma, n.5 (“l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”, ndr), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”. Anche qui conseguenze identiche: si giustifica pure chi uccide chi non minaccia nessuno con due supercazzole a fotocopia: il Pd con il “grave turbamento psichico”, la Lega col “grave turbamento” da “pericolo in atto”. Cioè si può ammazzare pure l’intruso disarmato che però minaccia, anche implicitamente (senza dirlo), di usare un’arma.
La legge Pd prevedeva (e giustamente) che fosse lo Stato a pagare le spese processuali e gli onorari degli avvocati degli imputati assolti o prosciolti per legittima difesa. La legge Lega prevede (e giustamente) che sia lo Stato a pagare le spese processuali e gli onorari degli avvocati degli imputati assolti o prosciolti per legittima difesa.
Fine del gioco. Che ha una conclusione e una morale. La conclusione è che, per fortuna, il Pd e la Lega non sanno mai quello che fanno: pensano che basti una legge, peraltro scritta coi piedi, per impedire ai magistrati di indagare chi uccide l’intruso; e intanto inventano sempre nuove condizioni (“grave turbamento”, “situazione di pericolo”) che andranno accertate dai pm e dai giudici (e da chi, se no?), indagando e talora processando gli sparatori che essi pensano di immunizzare anche dalle indagini. La morale è che quasi tutto quel che avviene nel primo anno dell’Era dei Cattivi era già accaduto – in scala, in nuce o tale e quale – negli ultimi anni dell’Era dei Buoni. Naturalmente quelli del Pd sono liberissimi di cambiare idea e di criminalizzare chi fa quel che facevano loro fino all’altroieri. Non sarà la prima né l’ultima volta: hanno insultato la Raggi per il no alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 dopo aver approvato e applaudito il no di Monti alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020; hanno deriso B. perché la menava col Ponte sullo Stretto e poi hanno rilanciato il Ponte sullo Stretto; hanno promesso l’Anticorruzione, con la blocca-prescrizione e il Daspo ai corrotti, poi hanno votato contro e gridato al “giustizialismo manettaro” quando l’ha presentata il ministro Bonafede. Come se le leggi fossero giuste solo perché le propongono loro e sbagliate solo perché le presentano gli altri. Da questi voltagabbana non si può pretendere coerenza. Ma sarebbero gradite almeno le scuse.
“Trova le differenze” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 6 Marzo 2019

Bavaglio al web – L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ce l’hanno fatta, presto la direttiva sui diritti d’autore sarà legge. E sarà la fine del web libero…!

 

Bavaglio

 

 

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Bavaglio al web – L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ce l’hanno fatta, presto la direttiva sui diritti d’autore sarà legge. E sarà la fine del web libero…!

 

Bavaglio al web: alla fine ce l’hanno fatta. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d’autore nel mercato unico digitale. La proposta sul copyright avanzata da Axel Voss è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, modificando leggermente i contestatissimi articoli 11 e 13, che furono bersaglio – a luglio – di una rumorosa campagna a favore della libertà di Internet. L’articolo 11, ricorda il “Corriere della Sera”, è quello che coinvolge anche la stampa e introduce l’obbligo del pagamento, da parte delle piattaforme come Google e Facebook, per l’utilizzo delle notizie, anche sotto forma di “snippet”, l’anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente. «Quindi: non si tratta più di riconoscere solo i diritti dell’intero testo, ma anche della sua presentazione online, che spesso è l’unica a essere consultata dai lettori». L’articolo 13 introduce invece l’obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. YouTube, ad esempio, sarà direttamente responsabile delle copie e degli spezzoni pirata che vengono caricati dagli utenti. Il via libera della plenaria (arrivato il 12 settembre) apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio.

«Con la scusa della riforma del copyright, il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva. Una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini», protesta Isabella Adinolfi, europarlamentare 5 Stelle. «Il testo approvato oggi dall’aula di Strasburgo contiene l’odiosa “link tax” e filtri ai contenuti pubblicati dagli utenti. È vergognoso, ha vinto il partito del bavaglio». Purtroppo, aggiunge la Adinolfi, sono stati respinti tutti gli emendamenti che il Movimento 5 Stelle aveva presentato, «in particolare l’articolo 11, che prevede l’introduzione della cosiddetta “link tax”, e il 13, che mira a introdurre una responsabilità assoluta per le piattaforme, nonché un meccanismo di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti», conclude. Che tirasse brutta aria, a Strasburgo, lo si capiva dalle premesse, anticipate di prima mattina dal “Blog delle Stelle”: «L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ha scelto la sua preda: il web libero. Anziché scardinare i paradisi fiscali e salvare in modo serio il diritto d’autore, il Parlamento Europeo rischia di usare il copyright come una mannaia dei diritti dei cittadini».

Non sono in pochi a ritenere che la riforma – avanzata nel 2016 dall’allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo». Per gli europarlamentari rappresentati da Julia Reda, relatrice per il Parlamento Europeo del dossier sulla riforma del copyright e membro del Partito Pirata tedesco, «il progetto limita la libertà di espressione online e mette in difficoltà i piccoli editori e le startup innovative». Di fatto, il divieto di citare liberamente le fonti (con l’introduzione della “link tax”) equivale alla censura preventiva sul web: fine della libera circolazione di contenuti, come finora è stato nella Rete. Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, punta il dito contro lo stesso Oettinger, il tedesco secondo cui sarebbero stati “i mercati” a “insegnare agli italiani come votare”. Proprio quell’Oettinger, dice Magaldi, milita nei circuiti supermassonici reazionari che hanno trasformato l’Ue in un mostro giuridico, gestito da tecnocrati al soldo di interessi privatistici che mirano a svuotare le democrazie e privatizzare Stati non più sovrani, a cui viene impedito di investire (sotto forma di deficit) per creare occupazione.

Comunque lo si legga, l’attacco al web finisce per colpire uno strumento di comunicazione potentissimo, cercando di riportarlo sotto il completo controllo dei media mainstream, spesso protagonisti di un uso pressoché criminale di autentiche “fake news”. Il voto del Parlamento Europeo è stato salutato con soddisfazione da Antonio Tajani, coinvolto – secondo il saggista Gianfranco Carpeoro – nell’operazione che ha portato (premendo su Berlusconi) a bloccare la nomina, alla presidenza della Rai, di Marcello Foa, autorevole giornalista, autore del volume “Gli stregoni della notizia”, che smaschera le tante imposture del mainstream. Secondo Carpeoro, la manovra anti-Foa è nata dalle parti dell’Eliseo: Jacques Attali (mentore di Macron ed esponente della superloggia reazionaria “Three Eyes”) si sarebbe rivolto al massone Tajani e poi allo stesso Berlusconi, dopo essersi consultato con Giorgio Napolitano, che nel libro “Massoni” lo stesso Magaldi presenta come esponente della “Three Eyes”, la medesima superloggia nella quale milita Attali, contigua al mondo supermassonico di cui fa fa parte, da molti anni, il tedesco Oettinger, vero e proprio “architetto” del bavaglio europeo imposto al web.

E’ noto a tutti che le oligarchie al potere, in Europa e non solo, hanno sviluppato un’enorme diffidenza nei confronti della Rete: un network che si ritiene abbia avuto un ruolo assai rilevante in tutti i “dispiaceri” che gli elettori hanno rifilato, negli ultimi anni, all’establishment – la Brexit e il referendum di Renzi, quindi l’elezione di Trump e infine il boom dei “gialloverdi” in Italia. «Se Grillo vuole fare politica fondi un partito, se ne è capace», disse Piero Fassino, non immaginando che l’ex comico non solo ce l’avrebbe fatta, ma sarebbe finito praticamente al governo, scalzando il Pd. Il Movimento 5 Stelle è stato creato proprio via web, a partire dalle candidature. Colpire il web in Europa, proprio oggi, significa predisporre contromisure in vista delle elezioni europee 2019, in cui i grandi poteri economici e oligarchici che si nascondono dietro la tecnocrazia Ue temono l’exploit dei partiti “sovranisti” e “populisti”, o meglio democratici. Mentre le televisioni sono letteralmente “militarizzate” dall’establishment, le vendite dei giornali sono in caduta libera. Ecco dunque la necessità, per gli oligarchi, di silenziare in ogni modo il web.

 

 

fonte: http://www.libreidee.org/2018/09/bavaglio-al-web-in-europa-ce-lhanno-fatta-ora-sara-legge/

Ricapitoliamo: una settimana di legislatura ed il Pd ha preparato una bella proposta di legge sul conflitto di interesse contro la Casaleggio. Dopo essere riuscito per 24 anni a evitare di farne una su Berlusconi…!

 

conflitto di interesse

 

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Ricapitoliamo: una settimana di legislatura ed il Pd ha preparato una bella proposta di legge sul conflitto di interesse contro la Casaleggio. Dopo essere riuscito per 24 anni a evitare di farne una su Berlusconi…!

Da Relubblica.it:

Governo, il Pd presenta una proposta di legge sul conflitto d’interessi: nel mirino la Casaleggio

Il ddl dei dem riprende il testo approvato nella scorsa legislatura alla Camera e impantanato al Senato. Testo sostanzialmente simile però da ampliare, a quanto viene annunciato, con alcuni punti sul rapporto tra la piattaforma Rousseau, cuore politico dei 5Stelle, e la società di Casaleggio. Nel caso di M5s la Casaleggio e Associati è proprietaria della piattaforma Rousseau, cioè il cuore del Movimento, e quindi per estensioni i suoi iscritti che ricoprono cariche di governo ricadrebbero nella situazione di potenziale conflitto…

…………….

Insomma, hanno graziato l’amico Berlusconi per 24 anni, ma ora c’è il “nemico” vero…

Sì lo ammetto, sono deluso dai grillini. E soprattutto sono deluso dal Governo che hanno voluto fare a tutti i costi, perfino alleandosi con Salvini… Ma gentaglia come quella che ci ha governato finore non la voglio vedere proprio più…!

By Eles

Giusto Trant’anni fa, il 18 di maggio del 1988, la morte di Tortora. La figlia: “da allora nulla è cambiato”…!

 

 

Enzo Tortora

 

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Giusto Trant’anni fa, il 18 di maggio del 1988, la morte di Tortora. La figlia: “da allora nulla è cambiato”…!

 

Trant’anni fa la morte di Tortora. La figlia: ‘nulla è cambiato’

 A 30 anni dalla sua morte, Tortora è diventato la personificazione dell’errore giudiziario italiano. Il suo ricordo vive in strade, piazze, scuole, biblioteche sparse per l’Italia a lui intitolate.

l 18 maggio 1988, a 59 anni muore Enzo Tortora, conduttore televisivo, autore e giornalista, per un tumore ai polmoni. “Perché – disse – mi hanno fatto esplodere una bomba atomica dentro”. Quella bomba è l’accusa di far parte della Nuova Camorra Organizzata e di essere un corriere della droga. Ci vorranno quattro anni per dimostrare la sua innocenza, tra i quali 7 mesi di carcere e molti altri ai domiciliari nella sua casa in via Piatti, non lontana dal Duomo di Milano.

A 30 anni dalla sua morte, Tortora è diventato la personificazione dell’errore giudiziario italiano. Il suo ricordo vive in strade, piazze, scuole, biblioteche sparse per l’Italia a lui intitolate. Ma per Silvia Tortora, la figlia maggiore “dal mio punto non è cambiato nulla: sono 30 anni di amarezza e di disgusto”. Nulla per Silvia è cambiato nella giustizia italiana: “Mi aspettavo una riforma del sistema giudiziario, invece non è accaduto. I processi continuano all’infinito. Anzi in 30 anni c’è stata una esplosione numerica”. Per non parlare della società: “Vedo dei passi indietro nelle disuguaglianze, l’essere una comunità non esiste più. Ci siamo incrudeliti ed assuefatti all’ingiustizia, c’è un generale imbarbarimento”. Ed anche la televisione è così lontana da quella realizzata dal genitore “improntata sul garbo, l’empatia e l’educazione. Vedo trasmissioni su casi giudiziari, dove non c’è mai un’ottica dubitativa”.

“Il sacrificio di Enzo” come lo chiama la figlia, comincia il 17 giugno 1983. Il volto di “Portobello” è all’apice del successo. La sua trasmissione raggiunge i 28 milioni di telespettatori, record difficilmente battuto. Quel giorno il conduttore avrebbe dovuto firmare il contratto per una nuova edizione. Alle 4 di notte, però, i carabinieri bussano alla stanza dell’Hotel Plaza di Roma, e lo arrestano. Per trasferirlo nel carcere di Regina Coeli i militari aspettano la mattina e cameramen e fotografi lo possono così riprendere con le manette ai polsi. Una immagine che dopo 30 anni è ancora indelebile per molti. Quel 17 giugno vengono eseguiti altri 855 ordini di cattura emessi dalla Procura di Napoli nei confronti di presunti affiliati alla nuova Camorra Organizzata, capitana da Raffaele Cutulo. A muovere le accuse contro il presentatore sono due ‘pentiti’ dell’organizzazione Pasquale Barra e Giovanni Pandico, poi a catena si aggiungono altri 17 testimoni che non solo confermano le accuse ma le coloriscono di particolari. Si scopre in seguito che pentiti e testimoni potevano liberamente comunicare mentre erano nella caserma di Napoli. Ad ‘inchiodare’ l’uomo di spettacolo è una agendina con il suo nome, in realtà vi era scritto Tortona e non Tortora, e dei centrini di seta inviati dal carcere dallo stesso Pandico a Portobello che i responsabili della trasmissione smarrirono. Centrini che nelle parole di alcuni pentiti diventano delle partite di droga.

Il 17 settembre 1985 il presentatore è condannato a 10 anni di reclusione per associazione a delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Nell’appello il 15 settembre 1986 altri giudici napoletani ribaltano la sentenza e lo assolvono con formula piena. Durante il primo processo viene eletto europarlamentare nelle file dei Radicali, diventa poi presidente del partito e quindi si dimette scatenando l’ira di Marco Pannella. Tortora torna a presentare il suo Portobello il 20 febbraio 1987 e apre la trasmissione con una frase che diventa celebre: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. A mettere fine alla vicenda giudiziaria è la Cassazione che conferma il secondo grado di giudizio il 13 giugno 1987. Un anno prima della sua morte.
“Enzo è stato prelevato dalla sua vita – ricorda Silvia – senza che venisse aperta una commissione d’inchiesta, senza che nessuno pagasse per quell’errore”. Grazie al suo caso venne approvata la legge Vassalli sulla responsabilità dei magistrati, legge che però non contemplava la retroattività. Quindi né Tortora , né i suoi eredi hanno avuto un risarcimento. “Anche se penso che Enzo se ne sia andato troppo presto – conclude la figlia Silvia -, è meglio che non veda questo schifo. A cosa è servito il suo sacrificio? La potenza del dolore e dell’ingiustizia ha provocato un solo effetto: la sua morte”.

fonte: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/05/16/trant-anni-fa-la-morte-di-tortora-la-figlia-nulla-e-cambiato-2024395.html

Fiducia sulla legge elettorale? Prima del governo Renzi-Gentiloni (seconda fiducia in 3 anni) in Italia solo due precedenti molto, ma molto illustri: prima Mussolini e poi la cosiddetta “legge truffa”… Che dite, c’è da vergognarsi a votare questa gente?

legge elettorale

 

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Fiducia sulla legge elettorale? Prima del governo Renzi-Gentiloni (seconda fiducia in 3 anni) in Italia solo due precedenti molto, ma molto illustri: prima Mussolini e poi la cosiddetta “legge truffa”… Che dite, c’è da vergognarsi a votare questa gente?

 

Alessandro Di Battista  –  Fiducia sulla legge elettorale: tutti i precedenti

«Chi altro aveva messo la fiducia sulla legge elettorale, nella storia? Mussolini sulla legge Acerbo, De Gasperi sulla cosiddetta “legge truffa” e Renzi sulla legge Italicum bocciata dalla Corte Costituzionale»

La decisione del governo di porre la questione di fiducia sulla nuova legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum bis” ha causato proteste molto forti da parte delle opposizioni. Tra i critici più convinti, ci sono gli esponenti del Movimento 5 Stelle. Ospite della trasmissione Circo Massimo su Radio Capital, Alessandro Di Battista ha definito la fiducia “un atto eversivo” e ricordato che i tre precedenti riguardano Mussolini, una legge passata alla storia come “legge truffa” e l’Italicum, bocciato dalla Corte Costituzionale.

Déjà vu

Se vi suona come un déjà vu, avete ragione: già due anni fa era successo qualcosa di molto simile. Nell’aprile del 2015 – durante il governo Renzi – la precedente legge elettorale approvata dal Parlamento, l’Italicum, passò facendo ricorso al voto di fiducia (in tre votazioni alla Camera: quiqui e qui).

Le dichiarazioni, allora, furono quasi le stesse che si sentono in queste ore. I deputati di SEL ricordarono il precedente della “legge Acerbo” del 1923 e lanciarono crisantemi nell’aula di Montecitorio per denunciare “il funerale della democrazia”.

Negli stessi giorni, Salvini disse che “i precedenti ritornano al ventennio e alla legge Acerbo, per una legge elettorale imposta a colpi di bastone”. Luigi Di Maio dichiarò che “l’ultima volta che si è messa la fiducia sulla legge elettorale lo ha fatto Mussolini e poi mai più”.

Vediamo di ricostruire la storia delle leggi elettorali italiane, e in quali casi si è fatto ricorso al voto di fiducia per approvarle.

La Prima Repubblica non si scorda mai

La prima cosa da dire è che le nuove leggi elettorali, per parecchi decenni, sono state cosa rara. Nell’Italia repubblicana, il sistema elettorale è rimasto lo stesso per quasi cinquant’anni, tra il 1946 e il 1993, con una breve parentesi su cui torneremo più avanti.

Quello rimasto in vigore per gran parte della Prima Repubblica era un sistema proporzionale e non ebbe cambiamenti di sostanza per molti anni. Dalla fine degli anni Novanta, invece, la legge è cambiata parecchie volte, distanziando l’Italia da molti grandi Paesi europei.

Nel Regno Unito, forse il caso più estremo, la legge elettorale è più o meno rimasta la stessa dal 1885, anche se negli ultimi tempi si è discusso molto se cambiarla. Un referendum per passare a un altro sistema vide la vittoria del “No” con circa due terzi dei voti. In Germania, la legge elettorale risale al 1949, con poche modifiche, mentre in Spagna la legge attuale non ha subito cambiamenti di sostanza dal 1985.

Porcellum, Mattarellum e così via

Dopo i referendum del 1993 promossi da Mario Segni e dai Radicali, quando gli italiani espressero a grande maggioranza la propria preferenza per un sistema maggioritario, il sistema elettorale fu aggiornato dal cosiddetto Mattarellum, un maggioritario misto in cui un quarto dei parlamentari veniva comunque eletto col proporzionale e i tre quarti restanti in collegi uninominali.

Questa legge elettorale fu poi soppiantata nel dicembre 2005 dal cosiddetto “Porcellum“, un proporzionale con premio di maggioranza. Con il Porcellum si sono svolte tutte le ultime elezioni: 2006, 2008 e 2013. Nel 2014 la Corte Costituzionale lo ha fortemente censurato, lasciando in vita un sistema – noto come “Consultellum” – proporzionale senza premi di maggioranza.

Nel 2015, come detto, il Parlamento approvò l’Italicum: un sistema elettorale valido per la sola Camera, nella prospettiva che il Senato fosse abolito come organo eletto direttamente dai cittadini dalla riforma costituzionale poi naufragata a dicembre 2016.

Anche tale legge fu censurata dalla Corte Costituzionale, in particolare il meccanismo del ballottaggio tra le due forze maggiori che non avessero superato la soglia del 40% e la libertà di opzione per i capilista bloccati eletti in più collegi.

Così ci troviamo oggi – in attesa che il Parlamento voti il Rosatellum bis, un mix di proporzionale per i due terzi e maggioritario per un terzo – con il Consultellum per il Senato e l’Italicum emendato per la Camera. Un sistema noto anche come “Legalicum“, la cui disomogeneità è stata criticata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

I precedenti ricorsi alla fiducia sulla legge elettorale

E veniamo dunque ai casi in cui una nuova legge elettorale è stata approvata con un voto di fiducia.

La legge Acerbo

Il primo caso, come detto, fu quello della legge Acerbo nel 1923. Appena un anno dopo “la marcia su Roma” e il celebre discorso di Mussolini sulla possibilità per lui di trasformare il Parlamento in un “bivacco di manipoli”, il dittatore fascista impose al Parlamento con voto di fiducia un nuovo sistema elettorale.

In base ad esso, due terzi dei seggi parlamentari andavano alla lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa, purché superiore al 25%.

La legge Acerbo passò anche con i voti di parte dell’opposizione (in particolare liberali, esponenti della destra come Salandra, e alcuni dissidenti del Partito Popolare), ma fu votata in un clima di forte intimidazione, con le camicie nere accampate di fronte alla Camera. Per le sue caratteristiche antidemocratiche, fu definita dal socialista Filippo Turati “la marcia su Roma in Parlamento”.

La sua approvazione risultò comunque ininfluente, in quanto il “Listone Nazionale” promosso da Mussolini – un’alleanza elettorale contro il “pericolo rosso” tra il partito delle camicie nere e “tutti quegli uomini del popolarismo, del liberalismo e delle frazioni della democrazia sociale, disposti a collaborare con una maggioranza fascista” – ottenne alle successive elezioni del 6 aprile 1924 il 64,9% dei voti.

La “legge truffa”

Il secondo caso è quella breve parentesi nella Prima Repubblica a cui si accennava prima.

Il governo De Gasperi nel 1953 fece passare con il voto di fiducia quella che è passata ai posteri come “legge truffa” (secondo alcuni, ingiustamente). Era una legge che introduceva un premio di maggioranza al partito o coalizione che otteneva il 50% + uno dei voti. Tale partito/coalizione avrebbe ottenuto il 65% dei seggi parlamentari. In quel caso, De Gasperi chiese ed ottenne la fiducia sia alla Camera che al Senato.

La memoria di premi di maggioranza usati per insediare regimi dittatoriali era fresca e le opposizioni insorsero. In quella circostanza però, la coalizione di maggioranza (Dc-Pli-Pri-Psdi) sfiorò ma non raggiunse il 50% dei votie la legge fu abrogata prima delle successive elezioni con la legge 615 del 31/7/54.

L’Italicum

Il terzo caso è quello dei già citati tre voti di fiducia sull’Italicum, chiesti dal governo Renzi nel 2015, che scatenarono appunto le reazioni furiose delle opposizioni. Il nuovo sistema elettorale riguarda la sola Camera, in quanto si immaginava di abolire il Senato come organo elettivo con la riforma costituzionale poi bocciata a dicembre 2016.

In particolare si prevedeva un premio di maggioranza del 55% dei seggi per il partito che avesse ottenuto più del 40% dei voti, o per quello che – in un ballottaggio da tenersi in un secondo momento – avesse qui ottenuto il 50%+1 dei voti. Come già detto, il meccanismo del ballottaggio fu poi censurato dalla Consulta.

La fiducia sulla legge elettorale? È successa una volta su due

Riassumendo, la fiducia sulla legge elettorale è meno rara di quanto possa sembrare. Contando anche il “Rosatellum bis” e limitandoci all’epoca repubblicana, ben tre volte su sei (legge proporzionale, “legge truffa”, Mattarellum, Porcellum, Italicum e Rosatellum bis) l’esecutivo ha posto la fiducia sulla legge elettorale. Non un’eccezione insomma.

Il verdetto

Di Battista ha comunque sostanzialmente ragione a citare i tre precedenti in cui è stata posta la fiducia sulla legge elettorale: la legge Acerbo, la cosiddetta “legge truffa” e l’Italicum. Su quest’ultimo bisogna dire che la Corte Costituzionale ha bocciato solo alcune disposizioni, in particolare su ballottaggio e capilista bloccati, e non l’intera legge. In ogni caso, per il deputato pentastellato il verdetto è un “Vero”.

 

fonte: https://pagellapolitica.it/dichiarazioni/7935/fiducia-sulla-legge-elettorale-tutti-i-precedenti

Legge Legittima Difesa – Il Pd di Renzi è riuscito a: 1) approvare una legge; 2) dire che non la volevano approvare; 3) chiedere aiuto a Berlusconi per peggiorarla; 4) scontentare tutti…!

 

Legittima Difesa

 

 

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Legge Legittima Difesa – Il Pd di Renzi è riuscito a: 1) approvare una legge; 2) dire che non la volevano approvare; 3) chiedere aiuto a Berlusconi per peggiorarla; 4) scontentare tutti…!

 

 

Leggiamo sul Messaggero:

Legittima difesa, tolto il riferimento alla “notte”. Ma in Senato serve il sì di FI

Si cambia, ma in verità si archivia. Il nuovo testo sulla legittima difesa è destinato ad essere ulteriormente modificato almeno nel punto più controverso, quello in cui si fa riferimento alle aggressioni “notturne” ma molto probabilmente il suo destino sarà un inesorabile binario morto visto che al Senato Pd e Ap non hanno i voti necessari a far passare alcunché.

Insomma:

  1. si sono fatti la loro legge
  2. hanno smentito loro stessi dicendo che non era questa la “porcata” che volevano varare
  3. non sono in grado di fare modifiche alla predetta “porcata” ed hanno bisogno dei voti di Berlusconi
  4. in tutto questo la “porcata” in questione ha scontentato tutti

…E questi volevano modificare la Costituzione…!

 

By Eles

Legge stadi, nella manovrina d’incanto sparisce il vincolo anti complessi residenziali che tanto dava fastidio agli amici di Matteo Renzi: via libera alle speculazioni edilizie per sport.

 

manovrina

 

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Legge stadi, nella manovrina d’incanto sparisce il vincolo anti complessi residenziali che tanto dava fastidio agli amici di Matteo Renzi: via libera alle speculazioni edilizie per sport.

 

Legge stadi, nella manovrina sparisce il vincolo anti complessi residenziali: via libera alle speculazioni edilizie per sport

Cancellato con un tratto di penna dalla vecchia normativa il divieto di legare la costruzione di nuove palazzine alla realizzazione di impianti sportivi. Nel 2013 sulla stessa questione il Pd renziano (con Dario Nardella in prima fila) insorse contro il governo Letta. Oggi il sindaco di Firenze (dove i Della Valle costruiranno un nuovo stadio da 40mila posti) dice al fatto.it: “In questi giorno sono stato preso dagli impegni locali in città, non ho seguito la vicenda, quindi non ho elementi per rispondere”. Il 10 marzo, però, alla presentazione del nuovo stadio della Fiorentina disse che il suo amico Luca Lotti gli aveva annunciato novità importanti sulla questione

Due curve, due tribune e quattro condomini, con appartamenti da rivendere e milioni da incassare: ora si può. Perché se fino a ieri chi voleva costruire nuovi stadi poteva pensare di rientrare nell’investimento realizzando solo cinema, negozi e centri commerciali, dal 24 aprile può mettere in cantiere anche palazzi, case, villette e relativi profitti di vendita. Un affare. Con un tratto di penna su una frase ben precisa contenuta nella vecchia legge sugli impianti sportivi, infatti, il governo Gentiloni ha cancellato il vincolo che impediva di inserire la realizzazione di complessi di edilizia residenziale all’interno del progetto dei nuovi campi sportivi. Che siano dedicati al calcio o ad altri sport poco importa: basta disegnare arene con capienze da almeno 20mila posti, trovare un imprenditore che fiuta l’affare, una società ambiziosa e un’amministrazione comunale compiacente ed il gioco è fatto. Lì dove c’era l’erba (del campo) ci saranno tante belle casette: lo stadio con gli appartamenti intorno, ovvero l’articolo 62 della manovrina firmata da Mattarella pochi giorni fa.

ALTRO CHE NORMA “SALVA STADIO DELLA ROMA” – L’hanno chiamata norma “salva stadio della Roma”, ma in realtà la posta in palio è molto più alta perché di fatto l’esecutivo ha riaperto al grande business della speculazione sugli impianti sportivi. Che, di fatto, potrebbero diventare cavallo di troia per imponenti colate di cemento. Anche residenziali come detto, in deroga ai piani regolatori: perché il divieto esplicito per cui i renziani si erano battuti strenuamente nel 2013 (quando erano ancora forza di minoranza del governo di centrosinistra) è stato ora cancellato dal ministro dello Sport, Luca Lotti, che ha già messo la firma sull’articolo della “manovrina” di primavera. “Una rivoluzione”, ha rivendicato in un’intervista al quotidiano L’Arena. E come dargli torto: prima la legge “non prevedeva nessun altro intervento” se non quelli “strettamente necessari” (definizione che già aveva prestato il fianco a interpretazioni discutibili), ora “può ricomprendere” praticamente tutto. Con la scusa di un nuovo impianto sportivo (neanche troppo grande: 20mila posti di capienza minima) le società potranno alzare condomini e palazzine, senza neppure il bisogno di una vera e propria variante urbanistica: dal ministero spiegano che la decisione finale spetterà sempre ai consigli comunali, ma di fatto i piani regolatori potranno essere superati semplicemente con il parere positivo della conferenza dei servizi.

SPARITO IL VINCOLO SUL RESIDENZIALE – Si tratta a tutti gli effetti di un colpo di mano. A sorpresa, peraltro. Perché nella “finanziaria-bis” licenziata dal consiglio dei ministri prima di Pasqua era atteso un capitolo dedicato agli investimenti sportivi, dove inserire la tanto attesa garanzia da 97 milioni di euro per la Ryder Cup e alcune misure per i mondiali di sci di Cortina. Ma nessuno si aspettava che spuntasse dal nulla anche un articolo dedicato alla “costruzione di impianti sportivi”. Una paginetta scarsa che modifica la normativa vigente in un paio di punti cruciali. La vera novità è riassunta tutta in una frase: in quello che c’è scritto (o meglio, in quello che non è scritto) all’interno del comma 1 dell’articolo 62: “Lo studio di fattibilità può ricomprendere anche la costruzione di immobili con destinazioni d’uso diverse da quella sportiva, complementari e/o funzionali al finanziamento e alla fruibilità dell’impianto”. Dal testo è stata cancellata la frase “con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale” che compariva nella precedente legge n.147 del 2013 e che fino ad oggi aveva messo al riparo i progetti dall’invasione di nuove palazzine. Basta questa piccola spunta per aprire le porte alla speculazione.

“RISCHIO SPECULAZIONE” – “Il provvedimento è molto chiaro, nulla da interpretare: prima c’era un vincolo sul residenziale, ora non c’è più”, commenta Roberto Della Seta, ex presidente di Legambiente e deputato del Partito Democratico, da sempre attivo sulla questione stadi. “A me pare che questa operazione non riguardi tanto il nuovo stadio della Roma (a cui lui ora sta collaborando come consulente per la certificazione ambientale per i proponenti, nda), quanto altre città: ultimamente si è parlato di Firenze, mi vengono in mente anche i piani di Lotito per la nuova casa della Lazio che prevedevano una parte residenziale. Di sicuro in molti saranno contenti di questa legge”. La misura era stata presentata come un favore allo stadio della Roma perché propone una conferenza dei servizi più rapida, il cui parere conclusivo d’ora in poi servirà anche da variante urbanistica (lo scoglio su cui la giunta Raggi si era incagliata negli scorsi mesi, anche per le spaccature interne). Ma all’interno dello stesso Movimento 5 stelle romano ritengono che il vero obiettivo sia un altro: “Per quel che ci riguarda non ci sono grosse novità”, conferma a ilfattoquotidiano.it Daniele Frongia, assessore allo Sport del Comune. “Dopo la ‘manovrina’ l’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori, ha incontrato l’As Roma, ma è servito solo per ribadire gli accordi già presi: le carte in tavola non cambiano”. Ovvero a Tor di Valle non ci sarà nessuna riconversione degli edifici commerciali previsti dal dossier: “Con la vecchia o con la nuova legge, possiamo garantire che il residenziale non entrerà nel progetto. Prendiamo atto invece dell’accelerazione nell’iter della conferenza: nel nostro caso, dove tutto è già stato approfondito a lungo, potrebbe avere un risvolto positivo, il rischio è che abbia effetti deleteri altrove”.

LA GIRAVOLTA DEI RENZIANI – L’articolo 62 della manovrina, insomma, serve anche per chiarire che il parere della conferenza dei servizi sostituirà l’eventuale variante urbanistica necessaria in caso di cambio di destinazione d’uso dei terreni. Virginia Raggi vi avrebbe fatto volentieri ricorso negli scorsi mesi, quando il progetto di Tor di Valle si era arenato proprio per la difficoltà ad approvare un atto in giunta e poi in consiglio comunale (data la contrarietà dell’ex assessore Berdini e di alcuni consiglieri). Ora il processo accelerato sarà un aiuto in più, ma non sposterà gli equilibri che sembrano già raggiunti. Mentre potrebbe essere determinante per quei progetti ancora tutti da definire nel resto del Paese. C’è anche un ulteriore favore ai proponenti: la sospensione dei permessi per l’occupazione di suolo pubblico nel raggio di 300 metri dallo stadio in occasione delle partite, che rimetterà nelle mani delle società anche il business degli ambulanti. Ma queste sono briciole, in confronto alla possibilità di costruire palazzine e condomini, magari un intero nuovo quartiere, dove non potrebbe sorgere nulla. Un affare da milioni di euro.

NARDELLA: “NON HO SEGUITO LA VICENDA”. MA IL 10 MARZO ANNUNCIAVA NOVITA’ SULLA NORMATIVA – È curioso che quattro anni fa, quando il governo Letta aveva provato a cancellare il vincolo sul residenziale, tra i tanti a insorgere c’era stata anche l’ala renziana del Pd. Dario Nardella, uno dei primi promotori del ddl sugli stadi, aveva difeso personalmente quella clausola, definita come “discrimine” contro la “tentazione di usare la realizzazione di grandi impianti sportivi come pretesto per altre finalità”. Oggi, contattato da ilfattoquotidiano.it, il sindaco di Firenze spiega di essere “preso dagli impegni locali in città” e di “non aver seguito la vicenda”. Eppure la città da lui amministrata è una di quelle maggiormente interessate dalle novità, visto che la famiglia Della Valle costruirà nel quartiere di Novoli (inizio lavori previsto nel 2019) un nuovo impianto da 40mila posti. Il progetto è stato presentato il 10 marzo e in quella occasione Nardella sottolineò – con grande soddisfazione – di aver saputo dal suo amico Luca Lotti che a breve ci sarebbero state modifiche importanti alla legge sugli stadi. Che quindi gli interessava eccome.

Dagli uffici del ministero dello Sport, invece, precisano che si tratta di una norma che vuole solo snellire alcuni passaggi burocratici e dare una spinta positiva alla ristrutturazione e costruzione di nuovi impianti. E i rischi speculativi? Chi lavora con Luca Lotti è sicuro: non ci sono perché la decisione finale spetterà sempre ai consigli comunali. Ed in effetti gli enti locali (il Comune, la Regione laddove competente) continueranno ad avere l’ultima parola all’interno della conferenza dei servizi. Ma stravolgere i profili delle città italiane grazie ad uno stadio medio-piccolo sarà molto più facile e veloce. E soprattutto redditizio, specie per chi al pallone vuole abbinare il mattone.

 

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/27/legge-stadi-nella-manovrina-sparisce-il-vincolo-anti-complessi-residenziali-via-libera-alle-speculazioni-edilizie-per-sport/3545248/