L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

 

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L’armata di burocrati raccomandati dalla Lega che controlla la sanità in Lombardia – I fedelissimi di Salvini ed i protetti di Fontana, Galli e di politici condannati per corruzione. L’antimafia svela le obbedienze politiche dei manager nella Regione travolta dall’emergenza…

Da L’Espresso:

Bravissimi, capacissimi, veri tecnici preparati e indipendenti? Grandi medici, ottimi manager o magari scienziati impermeabili alle pressioni politiche? No: fedelissimi della Lega. Anzi, dei capi-partito nazionali e regionali: Matteo Salvini, il governatore Attilio Fontana e il suo assessore Stefano Galli.

La Lombardia ha affrontato l’emergenza coronavirus con una classe dirigente sanitaria totalmente lottizzata dalla politica. La regione più colpita dall’epidemia rappresenta un caso da manuale di spartizione degli ospedali tra i partiti al potere. Medici, infermieri e operatori sanitari, gli eroi dei nostri giorni stremati dai sacrifici e falcidiati dal virus, sono lavoratori dipendenti e devono obbedire a loro: i direttori di nomina politica da oltre 10 mila euro netti al mese. E in Lombardia li comanda la Lega, che da anni controlla 24 delle 40 poltrone di vertice di un sistema sanitario regionale che ai cittadini costa 20 miliardi all’anno.

Tutti i particolari sulla lottizzazione degli ospedali sono scritti nero su bianco in un documento riservato, sequestrato dai magistrati antimafia di Milano cinque anni fa, recuperato dall’Espresso e finora mai pubblicato integralmente: la lista riservata dei direttori della sanità lombarda con la targa della Lega. Una specie di manuale Cencelli applicato agli ospedali e alle Asl, con nomi, cariche e sponsor politici. Rispetto alle normali mappe dei manager lottizzati, ricostruite in questi anni dai cronisti lombardi dopo ogni tornata di nomine, l’elenco confiscato ha diverse particolarità: è un documento interno alla Lega, scritto a mano per non lasciare tracce nei computer, e non si limita a indicare che il dirigente sanitario è stato scelto dal partito, ma specifica anche il suo padrino politico. La lista è ancora attualissima: la sanità lombarda è tuttora in mano a decine di questi direttori etichettati da anni come fedelissimi di Salvini o di altri big della Lega.

Uno dei manager più importanti è Marco Onofri, l’affermato cardiologo varesino che il governatore Fontana ha promosso dal gennaio 2019 a capo dell’Acss, l’agenzia di controllo di tutta la sanità lombarda. Cioè degli ispettori e tecnici responsabili della vigilanza e del coordinamento tra ospedali: compiti cruciali soprattutto in situazioni di emergenza. Nella lista dei lottizzati sequestrata nel 2015, Onofri compare con l’incarico dell’epoca, numero uno dell’azienda ospedaliera di Como, e come sponsor politico ha il «gruppo di Varese» della Lega, capeggiato proprio dall’allora sindaco Fontana. Che nel 2018 è diventato presidente della regione, ed è rimasto il suo santo protettore. Come raccontano le confidenze intercettate dall’antimafia di Milano, ancora una volta, nell’inchiesta che nel 2019 ha portato in carcere Nino Caianiello, l’eminenza grigia di Forza Italia a Varese, già allora pregiudicato per tangenti. Quando il governatore leghista gli anticipa che vuole promuovere proprio il dottor Onofri alla direzione centrale del sistema sanitario lombardo, è Caianiello a fargli cambiare idea: «Mettilo a fare il responsabile dell’agenzia del controllo. Onofri è un amico, persona competente… Ma tu alla sanità hai bisogno di uno tonico». Profezia avverata.

Come «fedelissimo di Salvini», nella lista leghista, è etichettato Walter Locatelli, che vent’anni fa fece il suo primo balzo da perito chimico responsabile del laboratorio di Treviglio, a direttore generale di Asl, da Lecco a Milano. Dopo un’irresistibile carriera in Lombardia, oggi Locatelli è il commissario straordinario del sistema sanitario della Liguria con il governatore di centrodestra Giovanni Toti.

Mara Azzi, per anni a capo dell’agenzia per la salute (Ats) di Bergamo, dal 2019 siede sulla poltrona di direttore generale a Pavia. Già nel 2012, intervistata dalla Gazzetta di Mantova, aveva ammesso: «Sì, sono in carico alla Lega Nord, punto e a capo». Nella lista sequestrata nel 2015 è però associata a due sponsor: «Stefano Galli e Lucchina». Il primo, professore e ideologo della Lega, era il capogruppo regionale del partito sotto il governatore Roberto Maroni: oggi, con Salvini leader, è l’assessore all’Autonomia della giunta Fontana. Che gli ha riconfermato fiducia anche dopo il coinvolgimento nell’inchiesta di Genova che più imbarazza la Lega: Galli, che respinge ogni accusa, figura infatti tra gli indagati per la sparizione di 46 dei 49 milioni della famosa truffa dei rimborsi elettorali dell’era Bossi. Il secondo, Claudio Lucchina, era il direttore generale di tutta la sanità lombarda sotto Roberto Formigoni, governatore ciellino per vent’anni, poi condannato per corruzioni milionarie in cambio di sussidi pubblici a due ospedali privati. In questi mesi difficili Mara Azzi ha difeso fino all’ultimo la linea lombarda sugli ospizi, da lei stessa illustrata il 26 marzo scorso ai preoccupati cronisti della Provincia Pavese: «Per gli ospiti delle residenze per anziani non sono previsti tamponi».

Il manuale della lottizzazione leghista collega al professore e assessore Galli, con una vistosa freccia, anche il manager Mauro Borelli, già direttore generale a Mantova. Dove si era segnalato per le sue richieste di donazioni alla Lega spedite su carta intestata dell’azienda sanitaria. Oggi Borelli è il responsabile degli ospedali bresciani di Chiari, Iseo, Rovato, Palazzolo e Orzinuovi, dove il virus ha fatto strage.

La genesi del sequestro giudiziario di questa mappa dei lottizzati è inquietante, ma a suo modo istruttiva: se la sanità è dominata da una politica predatoria, anche la corruzione e perfino la mafia possono entrare negli ospedali. In Lombardia lo si scopre nell’estate 2010, con la clamorosa retata (304 arresti tra Milano e Reggio Calabria) che porta in carcere anche il dottor Carlo Chiriaco: un complice della ’ndrangheta diventato direttore sanitario dell’Asl di Pavia, una capitale scientifica della medicina italiana. Da quella maxi-inchiesta partono molte altre indagini concatenate, che durano anni e svelano le tangenti dell’Expo di Milano e svariate corruzioni negli ospedali lombardi. Finché nel 2015, perquisendo un manager di comprovata fede leghista, l’antimafia trova la lista dei lottizzati. Scritta a mano, in stampatello, ma conservata accanto a un documento originale del “comitato ristretto” dell’assessorato alla Sanità: le “pagelle” dei direttori generali, con i punteggi per distribuire i bonus. Ma anche qui c’è un’aggiunta a penna: accanto a ogni nome c’è la sigla di un partito, Lega o Pdl. Unica eccezione, un tecnico di area Pd, prontamente silurato.

Dopo quella perquisizione, mentre l’Espresso pubblica le prime parziali indiscrezioni, nella sanità lombarda sembra cambiare tutto. Le indagini su Formigoni spezzano il ventennale predominio ciellino. E la Lega di Maroni annuncia una riforma della sanità. Basta raccomandati di partito, basta lottizzazioni: i direttori generali vanno selezionati «per merito e professionalità», con prove scritte e bocciature eccellenti. Nel gennaio 2016, però, una manina rimasta anonima rovina tutto: sul sito dell’agenzia regionale Arca viene pubblicato «per errore» l’elenco dei direttori generali appena nominati, con le bandiere dei partiti di riferimento. Quella mappa, pubblicata da Il Fatto Quotidiano, riconferma il manuale leghista, con qualche aggiunta: altri manager sono saliti sul carro della Lega.

L’esempio più vistoso interessa il primo ospedale milanese per le malattie infettive. Nella lista sequestrata nel 2015, che riportava i nominati del 2013, il nome di Alessandro Visconti, allora direttore dell’Icp-Mangiagalli, era associato a due sponsor: il ciellino Lucchina e il berlusconiano Gianstefano Frigerio. Un politico lombardo pluri-condannato come tesoriere di Tangentopoli per la Dc, poi eletto parlamentare con Forza Italia, quindi riarrestato e ricondannato per le tangenti dell’Expo. Già nella mappa del 2016, però, sul nome di Visconti sventola la bandiera della Lega, che lo ha portato in Regione come direttore della «programmazione strategica». Una bella carriera, per un manager che fino a pochi anni prima, come mostra il suo curriculum, si occupava di tutto fuorché di sanità: antifurti per automobili, compagnie aeree, ingegneria oleodinamica, valvole a sfera e calzature. Oggi Visconti, anche lui varesino, è da tre anni il numero uno degli ospedali milanesi Sacco, Buzzi e Fatenebenefratelli. Il Sacco, con l’istituto Spallanzani di Roma, è uno dei centri nazionali di riferimento per il Covid-19.

Con l’ultima tornata di nomine, decise nel dicembre 2018, la Lega ha conquistato 24 poltrone su 40, lasciandone solo 14 a Cl e Forza Italia, 2 a Fratelli d’Italia. E ha fatto nuovi acquisti. Come Walter Bergamaschi, nominato direttore dell’Ats di Milano, che comprende anche Lodi, dopo aver gestito la centrale regionale con Maroni. A Cremona, da Lodi, è arrivato Giuseppe Rossi, che non pubblica un curriculum aggiornato, ma ha un passato di ingegnere meccanico e chitarrista della band di Maroni. In un’altra provincia martoriata dal virus la Lega oggi schiera Claudio Sileo, promosso al vertice dell’Ats di Brescia grazie ai meriti acquisiti nella gestione del Pio Albergo Trivulzio.

Altri manager inseriti nella lista dei lottizzati del 2013-2015, invece, sono passati alla sanità privata. Danilo Gariboldi, ad esempio, era il direttore dell’ospedale bresciano di Chiari, accreditato come «fedelissimo di Salvini e Bruno Caparini», il grande amico di Umberto Bossi che è padre di Davide, per anni parlamentare e attuale assessore lombardo all’economia. Oggi Gariboldi è il vicedirettore sanitario della rinomata casa di cura privata La Madonnina di Milano. Mentre Gilberto Compagnoni, dopo aver diretto l’Asl di Cremona, sfidando le polemiche per le consulenze esterne da 250 mila euro affidate alla società informatica di Luca Morisi (lo spin doctor della propaganda su internet di Matteo Salvini), ora è il direttore sanitario dell’ospedale privato di Volta Mantovana.

Ma c’è anche chi è partito dagli ospedali lombardi per salire ancora più in alto. Cristina Cantù, immortalata nell’elenco del 2013-2015 come «fedelissima di Salvini e Maroni», ha diretto le Asl di Milano e Monza, diventando anche assessore alla Famiglia della giunta Maroni, che le ha dato pure la delega alle Pari opportunità, regalandole per alcuni mesi l’ebbrezza del triplo incarico. Eletta senatrice della Lega, è stata sottosegretario alla salute con il primo governo Conte. E oggi è vicepresidente della commissione sanità del Senato. Di salute, in effetti, se ne intende: nel 2015 ha cumulato le poltrone di manager a Monza e di responsabile dell’ufficio contratti del più famoso ospizio milanese, il Pio Albergo Trivulzio, carica mantenuta fino all’aprile 2019. La casa di riposo dove era nata Tangentopoli. E in questi mesi, sfortunatamente, è diventata il simbolo della catastrofe sanitaria in Lombardia.

fonte: https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/05/08/news/sanita-lombardia-lottizzata-1.348026?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR1i2wNmurPu1LbaBh6yJPXBvWJJlMsE356qweEScXYqvpXkbz4eSxKBkTI

Partono le denunce dei familiari delle vittime di Bergamo: “Il sistema della sanità lombarda è completamente saltato. Siamo stati lasciati soli, ci hanno abbandonato a casa con polmoniti. Ci hanno riempito di bugie. Vogliamo giustizia ma prima ancora vogliamo verità”

 

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Partono le denunce dei familiari delle vittime di Bergamo: “Il sistema della sanità lombarda è completamente saltato. Siamo stati lasciati soli, ci hanno abbandonato a casa con polmoniti. Ci hanno riempito di bugie. Vogliamo giustizia ma prima ancora vogliamo verità”

Familiari delle vittime di Bergamo annunciano le prime denunce: “Solo bugie”

Arrivano le prime denunce dei familiari delle vittime del coronavirus a Bergamo. Ad annunciarlo il presidente del Comitato “Noi denunceremo” spiegando che mercoledì saranno consegnate alla procura le prime cinquanta denunce. “Siamo stanchi di non avere risposte, vogliamo giustizia ma prima ancora vogliamo verità”, ha dichiarato Luca Fusco su Rai3, aggiungendo: “Il sistema della sanità lombardo è completamente saltato e noi siamo stati lasciati soli, il sistema non era pronto ad affrontare l’emergenza, ci siamo trovati con una montagna di persone lasciate a casa con polmoniti perché il sistema sanitario non aveva la possibilità di ricoverarle”. “Ci hanno riempito di bugie e non ci fermeremo finché non avremo accertato perché è successo tutto questo” ha concluso

fonte: https://www.fanpage.it/live/coronavirus-ultime-notizie-7-giugno/23/

Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

 

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Aggiornamento sull’eccellenza sanitaria lombarda – Mentre la gente moriva, rubavano materiale per intubare i pazienti dai reparti intensivi per venderli sul mercato, e si inventavano acquisti ingigantiti per approfittare dell’emergenza Coronavirus…

Da Ansa:

Materiale ospedaliero finiva sul mercato, 2 arresti – Farmacista dell’ospedale di Saronno e imprenditore brianzolo.

Materiale per intubare i pazienti sottratto deliberatamente ai reparti intensivi per essere rivenduto sul mercato, e ordini di acquisto ingigantiti approfittando dell’emergeza Coronavirus. E’ questo quanto scoperto dai Carabinieri di Varese e dalla Gdf di Saronno (Varese) che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Busto Arsizio (Varese) nei confronti di una farmacista 59enne, dirigente presso l’ospedale di Saronno, e un 49enne di Barlassina (Monza Brianza), amministratore di una società specializzata in dispositivi medici.

Per entrambi gli arrestati il reato contestato è peculato in concorso. L’uomo dovrà rispondere anche di autoriciclaggio. Il materiale indebitamente sottratto, o con acquisti non necessari o portando via quello presente in ospedale, secondo le indagini, veniva poi consegnato in scatoloni anonimi all’imprenditore di prodotti medicali, che li rivendeva “con regolare fattura” ad altri clienti tra cui anche ignari ospedali.

L’indagine congiunta scaturisce da una segnalazione di un dirigente sanitario “responsabile delle farmacie ospedaliere dell’Asst Valle Olona – precisano gli investigatori – L’Azienda sanitaria, lo scorso mese di novembre, aveva rilevato una serie di ordinativi anomali partiti dalla farmacia ospedaliera di Saronno a firma della dirigente indagata

Il medico, dirigente dell’ospedale, arrestato, Sara Veneziano, di 59 anni, nelle telefonate intercorse con il presunto complice, l’imprenditore Andrea Arnaboldi, di 49, con cui secondo le indagini ha una relazione, chiede insistentemente di far pagare le pile per laringoscopi sottratte “250 euro l’una” vista la carenza. “Sì, sì dai – dice – una bella mangiata un bel regalo, ci compriamo la borsa di Prada”. Tanto che il gip di Busto Arsizio (Varese) che ha coordinato l’inchiesta non esita a definire i due “avidi e dotati di sconcertante cinismo”.

fonte: https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2020/06/05/materiale-ospedaliero-finiva-sul-mercato-2-arresti_671eed38-cd68-4433-baf6-5e4f8941c4ec.html?fbclid=IwAR2Z6h3pJAztJiU6QKL_G7uQ-fGu41jbtQ2YaUl9rbiASuMMwA2brDzy3TE

La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

 

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La bocca sciacquatevela voi. La situazione in Lombardia è drammatica, smettete di nasconderlo!

Matteo Salvini, con un lessico da stadio la domenica pomeriggio, ha invitato tutti a “sciacquarsi la bocca quando si parla della sanità lombarda”. Il messaggio che vuol far passare è quello di una regione che ha subito il disastro a causa di un destino inevitabile, e non per l’incompetenza dei suoi fedelissimi che la amministrano. Per il leader leghista sembrano non contare nulla i problemi con i tamponi, l’immobilismo di Fontana e Gallera sulle zone rosse, l’Ospedale in Fiera costruito senza seguire il parere degli esperti, le delibere che dislocavano gli anziani malati di COVID-19 nelle case di riposo, condannandoli a morte certa, né il fatto che anche ieri la Lombardia era l’unica regione d’Italia a far segnare un aumento degli attualmente positivi al coronavirus. per Salvini tutto si riduce al destino avverso, che ha trasformato la Lega in un partito di martiri in cui nessuno ha colpe. La realtà è che dovrebbe sciacquarsi la bocca chi è complice di questo disastro, ovvero il centro destra e la Lega in particolare, cultori e artefici del modello Lombardia. E sicuramente è complice chi tenta giorno dopo giorno di speculare e strumentalizzare il dramma di una regione per fini elettorali. Come quando nel mezzo della pandemia, l’11 aprile, la Regione Lombardia ha deciso di pagare una paginata di Repubblica insieme a Confindustria Lombardia, all’associazione degli ospedali privati (A.I.O.P.) e l’ARIS per dire che tutto stava filando per il meglio.

Lo sdegno di Salvini  è arrivato in seguito all’intervento del deputato del M5S Riccardo Ricciardi, che il 21 maggio alla Camera ha rischiato il linciaggio per aver fatto notare la sequenza di errori della regione Lombardia durante la gestione dell’emergenza sanitaria. Il suo discorso è stato impreciso in più punti – come per esempio la parte sui fondi pubblici usati per la costruzione dell’Ospedale in Fiera, che in realtà sono il frutto delle donazioni di privati. C’è chi ha addirittura letto nelle sue parole un attacco ai medici, agli infermieri e ai lombardi tutti, come Enrico Mentana, che su Facebook ha dato del “coglione” a Ricciardi senza giri di parole. Ma la vittoria dell’egocentrismo sul giornalismo in Italia è un’altra storia. In realtà il bersaglio dell’intervento del deputato Ricciardi era esclusivamente l’amministrazione leghista, e non di certo le vittime del COVID-19 o il personale sanitario della Lombardia.

La giunta leghista è stata travolta dall’emergenza, perché questa è stata amplificata da una serie di problemi strutturali creati dai suoi predecessori. Il sistema ospedaliero ha mostrato delle falle per quanto riguarda i posti letto di terapia intensiva: a febbraio 2020 erano 8,5 su 100mila abitanti, un numero inferiore ad altre regioni del Nord, come Emilia Romagna e Veneto. Inoltre il 30% delle terapie intensive era proprietà di strutture della sanità privata convenzionata, costringendo la regione a perdere tempo prezioso nella contrattazione con i gestori delle cliniche. I medici di base si sono poi trovati ad agire senza indicazioni regionali precise, dato che la delibera per la gestione sul territorio della COVID-19 è arrivata soltanto il 23 marzo, a un mese dall’individuazione del focolaio di Codogno.

Ma è lo scandalo delle Rsa a descrivere alla perfezione cosa non ha funzionato nel modello Lombardia della Lega. Il divieto di visite dei familiari nelle case di riposo è arrivato due settimane dopo l’esplosione dell’epidemia, ma pesa soprattutto la scelta della regione di ricoverare presso le Rsa i malati di Coronavirus, con l’intenzione di liberare posti letto nelle strutture sanitarie. Il risultato sono centinaia di morti. Tra indagini e perquisizioni, stanno venendo in superficie i dati: soltanto al Pio Albergo Trivulzio di Milano si contano 405 morti, mentre estendendo alle province di Milano e Lodi i decessi per COVID-19 nelle Rsa si arriva a 1.689. In tutta la regione, il tasso di mortalità ogni 100 residenti nelle case di riposo è del 6,7%, il peggiore d’Italia. Il forzista Giulio Gallera, assessore al Welfare, ha però commentato che che “erano le Ats ad avere il compito di fare sorveglianza”, e che rifarebbe tutto per il bene dei suoi concittadini. L’arte dello scaricabarile ha sempre il sopravvento, così come quella di chi finge che non sia successo niente: Salvini da settimane sta lodando il governo lombardo, arrivando a dire che “Attilio Fontana e la sua squadra decidono provvedimenti concreti e migliori di quelli ad oggi decisi dallo Stato”.

Ci vuole del fegato o una totale assenza di contatto con la realtà per lodare l’eccellenza di un modello che ha come ideatore Roberto Formigoni, ex governatore della Regione, con l’appoggio dell’allora Lega Nord, condannato in via definitiva a cinque anni e dieci mesi proprio per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Se il passato non basta per consigliare cautela nelle lodi, non va meglio con la cronaca degli ultimi mesi. Mentre alcune regioni istituivano autonomamente nuove zone rosse, Fontana e Gallera tentennavano per le aree di Alzano e Nembro, ammettendo soltanto in seguito che in effetti avrebbero potuto farlo anche loro e limitare i danni. Inoltre, dalla regione più colpita d’Italia ci si aspettavano numeri maggiori di tamponi e test sierologici, ma questa non si è mai attrezzata per aumentare il numero dei suoi cittadini controllati ogni giorno. Il confronto è ancora più impietoso quando si prende a metro di paragone un’altra regione guidata dalla Lega, il Veneto di Luca Zaia che il 20 maggio ha dichiarato di non aver registrato nessun nuovo contagio, a differenza della Lombardia dove i casi continuano ad aumentare. Il motivo di questo risultato è che Zaia e la sua giunta hanno avuto l’umiltà di affidarsi alla scienza, e in particolar modo al consulente Andrea Crisanti, un virologo e microbiologo di eccellenza dell’Università di Padova. Umiltà che Fontana non ha mai avuto, con i risultati ora sotto gli occhi di tutti.

Quando gli esperti consigliavano a Fontana di usare diversamente i fondi destinati alla costruzione dell’Ospedale in Fiera, lui non ha ascoltato nessuno. In molti hanno sostenuto che non fosse una mossa logica costruire un polo con le terapie intensive distaccate dagli altri reparti ospedalieri, e che avrebbe dovuto usare quelle risorse per potenziare le strutture già esistenti, aumentando i posti in terapia intensiva. Il risultato è stato un ospedale che ha accolto meno di una trentina di pazienti in due mesi e che già rischia la chiusura, mentre la procura di Milano ha aperto un fascicolo sulle procedure attuate. Dei 21 milioni di euro raccolti dai privati, 17 sono stati indirizzati alla costruzione dell’ospedale e all’allestimento dei suoi 221 posti letto di terapia intensiva, poi inaugurati il 31 marzo con il più grande assembramento di tutta l’epidemia. Erano presenti centinaia di persone tra giornalisti, fotografi, politici, medici e ospiti vari, per una cerimonia che è sembrata una tappa della campagna elettorale di Fontana. Il tutto contravvenendo alle direttive nazionali e regionali sul distanziamento sociale. Lo stesso Guido Bertolaso, incaricato per la realizzazione dell’Ospedale, si è definito sconcertato per la piega che ha preso il progetto, scaricando le colpe sulla Regione Lombardia.

Certo, non ci si poteva aspettare un’analisi lucida da chi ha affrontato l’emergenza Coronavirus postando sui social notizie diffuse tramite WhatsApp e link da boomer complottista. Mentre Fontana e Gallera inanellavano un errore dopo l’altro, Matteo Salvini dava eco a immondizia mediatica senza fondamento scientifico, come le tesi sul COVID-19 creato in un laboratorio di Wuhan, oggi tornata in auge grazie al suo grande amico Donald Trump e al suo tentativo di deviare il dibattito pubblico dalla sua disastrosa gestione dell’emergenza negli Stati Uniti. Complottisimi a parte, la cronistoria delle sparate del leader leghista degli ultimi mesi è un ottovolante in cui ha detto tutto e il contrario di tutto. Il 27 febbraio, in pieno dibattito sulle zone rosse al Nord, è iniziata la prima campagna di Salvini dal motto “Apriamo tutto, l’Italia ha bisogno di ripartire”. Il virus era già arrivato in Italia, con la seguente istituzione a  Codogno della prima zona rossa e a seguire di altri comuni tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Quando poi il lockdown si è esteso a tutto il Paese, la giravolta di Salvini è stata drastica, con il “Chiudiamo tutto” che per giorni ha giganteggiato sulla sua pagina Facebook. Poi Salvini ha fiutato l’insofferenza degli italiani, provati da settimane di isolamento, e ha di nuovo cambiato idea. È sparita dalla sua immagine di copertina su Facebook la scritta “Chiudiamo tutto”, per celebrare il grande ritorno del “Riapriamo tutto”. Questo stile da Giorno della marmotta è il marchio di fabbrica di uno staff della comunicazione che conosce bene le dinamiche della comunicazione ai tempi dei social, quella per cui le parole di ieri sono già dimenticate e la velocità degli slogan polverizza la coerenza di ogni pensiero.

Quindi no, non dobbiamo sciacquarci la bocca quando parliamo degli errori della Lega in Lombardia, perché equivarrebbe a omettere la realtà dei fatti. Piuttosto Salvini, che in questi mesi si è concentrato più sulle preghierine da Barbara D’Urso e sui deliri pauperistici nel suo bilocale, dovrebbe avere la decenza di chiedere scusa per i disastri commessi dal suo partito ai danni dei cittadini lombardi, o avere il buongusto di tacere. Almeno una volta nella sua carriera.

fonte: https://thevision.com/politica/lombardia-salvini-pandemia/