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“Io sono Giorgia, madre, italiana, cristiana, ma soprattutto lobbysta” – I soldi di Giorgia Meloni: ecco tutte le lobby che finanziano Fratelli d’Italia in barba al “Prima gli italiani” e “No all’Europa Lobbista”
L’ultradestra Usa. i Palazzinari romani. E i lobbisti di multinazionali in Europa: da Exxon a Huawei. Inchiesta sui segreti finanziari del partito di destra
Lei è Giorgia, madre, italiana, cristiana. Ma soprattutto è la leader di Fratelli d’Italia, partito che viaggia verso la soglia del 10 per cento dei consensi. E nei sondaggi più recenti risulta la seconda leader più gradita dagli italiani: col 40 per cento ha superato di tre punti Matteo Salvini. È vero che Meloni strizza l’occhio al capitano sovranista, ma alla Russia di Putin preferisce la grande famiglia dei conservatori britannici e dei repubblicani americani: era sul palco del Conservative Political Action Conference, l’evento più prestigioso del mondo conservatore, il primo marzo 2019 a Washington, alla presenza di Donald Trump. Il volto razionale del populismo di destra, l’ha definita Steve Bannon, l’ex stratega del presidente americano. La macchina messa in piedi da Fratelli d’Italia, però, costa: l’ultimo bilancio indica spese per 2,3 milioni, un milione in più dell’anno precedente. E proprio seguendo i soldi affiorano le contraddizioni dei Fratelli d’Italia. O piuttosto dei fratelli di lobby. I lobbisti, cioè, commensali degli eurodeputati di Giorgia Meloni alle cene di gala nella tanto vituperata Bruxelles.
I nazionalisti italiani si muovono con scioltezza in Belgio, nel ventre dell’Unione. Qui frequentano i salotti giusti, si siedono al tavolo con le multinazionali, in barba al “Prima gli italiani”. I Fratelli d’Italia con in testa la loro leader hanno persino dato vita a una fondazione e a un partito a Charleroi, 60 chilometri a Sud di Bruxelles.
Almeno sulla carta, perché all’indirizzo c’è in realtà l’abitazione di un architetto belga. Giorgia in Europa ha scelto come sherpa navigati berlusconiani, che l’hanno introdotta nell’Ecr, acronimo del gruppo parlamentare European Conservatives and Reformists. Il quinto per numero di membri (62) nell’emiciclo. E tra i più ricchi per sovvenzioni dell’Europarlamento, ma anche per le donazioni private, che arrivano dalla galassia degli ultraconservatori a stelle e strisce. La morfologia del potere che sostiene Fratelli d’Italia muta però a Roma. Assume la forma dei principi del mattone della Capitale, di fondazioni che custodiscono la storia della destra sociale e concludono ottimi affari immobiliari, di think tank ed enfant prodige del sovranismo, in società con grand commis di Stato e, di nuovo, lobbisti.
Insomma, il lato nascosto del partito di Giorgia Meloni è distante dalla propaganda sui bisogni degli italiani che non arrivano a fine mese. E stride con lo storytelling populista inciso al primo punto del programma di Fratelli d’Italia: «La capitale dell’Europa non può più essere Bruxelles, capitale dei lobbisti, ma Roma o Atene dove è nata la civiltà europea». Così senza darne risalto pubblico, alcuni dei suoi colonnelli di stanza a Bruxelles si ritroveranno a cena con lobbisti, multinazionali, banchieri. Da qui inizia il viaggio de L’Espresso nei segreti finanziari di Giorgia e i suoi fratelli d’Italia.
A CENA CON LE LOBBY
L’hotel Renaissance è tra i più chic della città, a pochi passi dai palazzi delle istituzioni dell’Unione. La hall è curata e sfarzosa. A sinistra della reception c’è un corridoio stretto che porta a una sala riservata. Si affitta per eventi e ha un’entrata sul retro. La sera del 12 novembre è prenotata per una cena di gala a inviti dell’European Conservatives and Reformists, di cui fanno parte i cinque deputati di Fratelli d’Italia eletti alle elezioni di maggio. I primi ospiti arrivano alle 19.30, per l’aperitivo di benvenuto. Atmosfera conviviale, utile a rinsaldare relazioni con i rappresentanti del potere finanziario ed economico che frequentano i palazzi della capitale d’Europa.
Tra gli speaker della serata ci sono Carlo Fidanza, ex Fronte della gioventù, europarlamentare di Fratelli d’Italia nonché membro dell’ufficio di presidenza di Ecr. E Fred Roeder, lobbista e presidente di Consumer Choice Center, associazione collegata ai colossi del tabacco e all’ultradestra statunitense. Il politico italiano e il lobbista americano sono attovagliati allo stesso tavolo, il numero 1. Negli altri sedici, i posti sono assegnati ad ambasciatori, lobbisti dell’industria, esponenti di think tank americani e associazioni, come Confindustria.
Nell’elenco,di cui L’Espresso ha preso visione, compaiono più di 160 nomi. Non manca nessuno dei grandi brand della globalizzazione: giganti della telefonia come Huawei, del petrolio qual è Exxon, e del mondo bancario. Ci sono persino due responsabili di Scientology, tra questi Ivan Arjona Pelado, presidente europeo dell’organizzazione religiosa, che ha sedotto molti vip di Hollywood. Contattato, ha confermato la sua partecipazione, ma definisce Scientology “apolitica”.
La cena del 12 novembre è stata offerta dal gruppo parlamentare agli ospiti. Una spesa notevole visto il numero atteso di partecipanti. Tra gli invitati troviamo rappresentanti di multinazionali e società che hanno versato contributi sostanziosi negli ultimi anni ai conservatori. Per esempio At&T, il colosso texano delle telecomunicazioni quotato in Borsa, che ha donato 12mila euro nel 2017 e 13.230 euro l’anno successivo. Il capo di At&T, Randall Stephenson, risulta tra i maggiori finanziatori dei repubblicani americani. In sintonia con Paul Singer, padre del fondo Elliot Management che ha investito oltre 3 miliardi proprio in AT&T e che negli anni è stato molto generoso con il partito di Trump. La corporation era presente alla cena del 12 novembre con Alberto Zilio, direttore degli affari pubblici in Europa e lobbista di At&T. La società non ha risposto alla nostra richiesta di commento.
Al tavolo 3 con Zilio c’era Raffaele Fitto, già berlusconiano di ferro, oggi europarlamentare di Fratelli d’Italia. Fitto è il regista dell’entrata del partito di Giorgia Meloni nel movimento dei conservatori europei, di cui è peraltro co-presidente. L’ex ministro di Berlusconi ha un ruolo di peso anche nella fondazione dei conservatori, fondata nel 2009 dalla lady di ferro del neoliberismo, Margaret Thatcher.
EURO AMERICANI
Fitto, infatti, è vicepresidente di New Direction, costola strategica dell’Ecr per convogliare finanziamenti. La fondazione ha incassato più di 840 mila euro dal 2015 a oggi. Tra i versamenti più sostanziosi spicca di nuovo At&T con 48 mila euro. A seguire c’è British American Tobacco, terzo gruppo al mondo per produzione di sigarette: 23 mila euro negli ultimi due anni. Un rapporto solido quello tra i conservatori europei della Meloni e le industrie delle sigarette. Alla cena di gala, infatti, era stato invitato anche un lobbista della Japan Tobacco, che però a L’Espresso ha risposto di aver partecipato solo alla cena di giugno dell’Ecr e di non aver fatto alcuna donazione.
Chi sicuramente ha donato a New Direction e a Ecr è un insieme di fondazioni americane che fanno capo al mondo ultraconservatore dei Repubblicani, in particolare all’ala destra del Tea Party. C’è per esempio The Heritage Foundation, think tank che ha ispirato la politica di Reagan nel 1980. Sui conservatori europei, Heritage ha scommesso 20 mila euro. Un piccolo contributo a New Direction è arrivato anche dall’American Freedom Alliance: “I difensori della libertà”, si definiscono sul sito web, contro quelle che loro ritengono fantasiose teorie sul cambiamento climatico e l’islamizzazione dell’Occidente. L’Afa nel 2009 ha accolto come un eroe Geert Wilders, il leader dell’estrema destra olandese che ha coniato il termine “Eurabia” e considera la religione musulmana al pari del nazismo. Il fondatore, Avi Davis era portato in palmo di mano da Steve Bannon, l’ex stratega di Trump. Lasciata la Casa Bianca ha una sola ossessione: formare i nuovi “gladiatori” del sovranismo europeo.
Bannon nel 2018 è stato ospite di Atreju, festa annuale di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, del resto, non ha mai nascosto l’amicizia con il politico dell’alt right americana. All’Afa si aggiunge poi Atlas, che ha donato direttamente a Ecr, organizzazione no profit, più simile a un vero e proprio gruppo di pressione, legata sempre agli ultraconservatori Usa. Del network Atlas fa parte Consumer Choice Center, il think tank presieduto da Roder, commensale di Carlo Fidanza alla cena di gala del 12 novembre. Un contributo di 35 mila euro è arrivato alla fondazione anche da Fratelli d’Italia, che ha favorito così il suo ingresso nella casa dei conservatori europei. Ci sono poi i contributi pubblici del Parlamento europeo ricevuti da New Direction: finora ha goduto in media di 1,2 milioni ogni anno, per il 2019 la previsione è di 1,7 milioni.
Giorgia Meloni, grazie a Raffaele Fitto, è salita sul cavallo giusto. Anche perché è d’oro: nel 2017 il gruppo Ecr ha incassato 1,44 milioni sovvenzioni dal Parlamento. Che, stando ai dati ufficiali dell’Autorità che si occupa di monitorare questi flussi, potrebbe versare altri 7 milioni per gli anni 2018 e 2019. Ecr si piazza così tra il terzo e quarto posto per soldi pubblici ricevuti. E lo strapotere dei burocrati dell’Unione? In questo caso nulla da eccepire.
I FANTASMI DI CHARLEROI
Rue des Alliés è una via poco trafficata di Roux, sobborgo residenziale di Charleroi, a un’ora di macchina da Bruxelles. Al civico numero 15, in un edificio in cortina rossa di due piani, dovrebbe esserci, carte alle mano, la seconda “casa” di Giorgia Meloni, l’Alliance pour l’Europe des Nations (L’Espresso ne ha dato conto con Vittorio Malagutti e Andrea Palladino a ottobre dell’anno scorso).
Il 18 luglio del 2018 – a meno di un anno alle elezioni europee di maggio 2019 – la leader di Fratelli d’Italia fonda a Bruxelles l’associazione, secondo le norme previste dall’Europarlamento per la costituzione dei partiti e per l’accesso ai finanziamenti. Segretario di Aen è Carlo Fidanza, allora senatore di Fratelli d’Italia, mentre il tesoriere è Francesco Lollobrigida, deputato e cognato di Meloni.
L’Alliance ha anche una fondazione, stando a quanto riportano i documenti ottenuti dall’Espresso, la Foundation pour l’Europe des Nations, presieduta da Marco Scurria, cognato di Fabio Rampelli (maestro politico di Giorgia) ex eurodeputato di Fratelli d’Italia, oggi professore alla Link Campus di Vincenzo Scotti, l’università legata al Movimento 5 Stelle finita al centro delle cronache per il Russiagate.
Anche la fondazione ha indicato come sede Rue des Alliés, a Roux. Sul citofono, tuttavia, non ci sono indicazioni di partiti e fondazioni. Figura solo il nome di un architetto belga, Jean-Pierre Dooms. Ma al citofono non risponde nessuno ed è impossibile sapere se all’interno ci siano degli uffici. L’esistenza dell’associazione e della fondazione non risultano nemmeno nell’apposito spazio delle note al bilancio 2018 pubblicate da Fratelli d’Italia. «Non c’era bisogno di scriverlo in quel documento, le due associazioni non avevano nessun rapporto economico con noi», è la risposta ufficiale del partito, che aggiunge: «Sono in corso le pratiche per chiuderle».
FRATELLI D’ARMI
Quando la Brexit sarà compiuta, Giorgia Meloni avrà il suo sesto eurodeputato. Consoliderà così la seconda posizione per numero di parlamentari nell’Ecr, dietro ai polacchi del PiS, partito di ultradestra al governo a Varsavia. A volare nella capitale europea sarà Sergio Berlato, strenuo difensore della lobby delle armi. Un compagno di banco perfetto per Pietro Fiocchi, anche lui eletto con Fratelli d’Italia.
Fiocchi, il cui nome è nella lista degli invitati alla cena del 12 novembre, è nel board dell’omonima multinazionale delle armi . E rischia di dover gestire un rapporto che puzza di conflitto di interessi. Infatti, nell’elenco dei lobbisti accreditati all’Europarlamento figura l’Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni, il cui presidente è Stefano Fiocchi, a capo della Fiocchi Munizioni di Lecco. Stessa azienda in cui è cresciuto Pietro, il prescelto di Giorgia Meloni.
Un settore vasto, le armi. Che riguarda anche i cacciatori. Anche loro fedeli a Giorgia. Il 9 maggio 2018, due mesi dopo le elezioni politiche, Fratelli d’Italia ha ricevuto un bonifico di 70mila euro dall’Associazione Cacciatori Veneti. E di questa generosità Giorgia deve probabilmente ringraziare proprio il futuro eurodeputato Berlato, punto di riferimento per il mondo venatorio del Nord Est.
I PALAZZINARI
Dalla polvere da sparo al mattone, fonte inesauribile di denari. Solo tra il 2016 e il 2018 Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia hanno ricevuto dai più noti costruttori romani circa 180 mila euro di donazioni. «Si tratta di erogazioni liberali da parte di società che non avevano alcuna criticità giudiziaria da noi conosciuta», è la risposta del partito ricevuta dall’Espresso.
Negli elenchi ufficiali ci sono tutti: Angiola Armellini, immobiliarista già indagata, nel 2014, per una maxi evasione fiscale, con 20 mila euro, versati tramite quattro società nel 2016 quando cioè era nota la sua disavventura giudiziaria; Sergio Scarpellini, palazzinaro deceduto l’anno scorso, coinvolto nello scandalo della casa dell’ex braccio destro di Virginia Raggi, Raffaele Marra ; i costruttori Santarelli; un’azienda del gruppo Mezzaroma; le imprese del gruppo Navarra, attivissime negli appalti pubblici che hanno versato 25 mila euro; infine l’immancabile Luca Parnasi, l’imprenditore del mattone che voleva realizzare il nuovo stadio della Roma, poi travolto da un’inchiesta giudiziaria per corruzione e per finanziamento illecito. Oltreché a fondazioni e associazioni legate a Pd e Lega, ha donato anche a Fratelli d’Italia, sezione Roma-Lazio, che ha percepito 50 mila euro dalla stessa società, l’Immobiliare Pentapigna, con cui Parnasi ha foraggiato Carroccio e Dem.
L’Espresso ha ottenuto la ricevuta di quel versamento datato 1 marzo 2018. Per il partito tutto regolare: «I documenti sono stati consegnati, su richiesta, alla Corte dei Conti». Tuttavia l’erogazione non risulta negli elenchi ufficiali della tesoreria di Montecitorio alla quale vanno comunicate le donazioni entro tre mesi dall’accredito: alla voce “Fratelli d’Italia Roma-Lazio” non c’è la Pentapigna di Parnasi. Al contrario troviamo due società e due nomi che ci riportano sempre al costruttore romano e che in tutto hanno versato 100 mila euro.
Finanziamenti registrati il 20 giugno 2018. Le due aziende sono Sofrac Group e Sepac, che hanno elargito complessivamente 60 mila euro. Due aziende riconducibili a Maurizio e Prospero Calò, che a loro volta hanno versato 20 mila a testa. Entrambi consiglieri fino al 2017 di Parsitalia, società del gruppo Parnasi. E soci in un’azienda di cui l’azionista di maggioranza è proprio la Pentapigna del costruttore.
Insomma, dal palazzinaro e dall’area imprenditoriale che gli ruota attorno, sono arrivati sui conti di Fratelli d’Italia la bellezza di 150 mila euro. Durante la campagna elettorale del 2016 per le comunali, Giorgia Meloni avrebbe dovuto partecipare a una cena organizzata dall’associazione leghista Più voci alla presenza dell’immarcescibile Parnasi. Almeno questo è quello che sosteneva il tesoriere della Lega, Giulio Centemero, nella chat con il costruttore . Fratelli d’Italia, però, smentisce questa circostanza.
Seppure non c’entri col mattone, di certo tra i maggiori benefattori di Fdi c’è Daniel Hager, rampollo di una famiglia azionista di una potente multinazionale americana: la Southern wine&spirits, colosso della distribuzione del vino da 16 miliardi di fatturato, da poco entrata nel mercato canadese della cannabis legalizzata. Hager è il marito di Ylenja Lucaselli, neo meloniana, eletta alla Camera, che non ha badato a spese per sostenere il partito: generosissima con i suoi 90 mila euro, che sommati a quelli del marito fanno 200 mila euro. La coppia d’oro a stelle e strisce dei fratelli d’Italia.
LA SEDE È UN AFFARE
Ma i soldi non sono l’unico patrimonio di Giorgia Meloni. Per questo Fratelli d’Italia ha promosso la nascita della Rete delle fondazioni e dei centri studi “non conformi”, per difendere la sacralità della vita e combattere le derive gender. Di questa rete, due sono le fondazioni più legate al partito. Una è la Fondazione Alleanza Nazionale, che nasce nel 2012 per tutelare il patrimonio, ideale e immobiliare, dell’ex Msi. Presidente è Giuseppe Valentino, ex parlamentare missino. Insieme a lui tanti altri che per anni hanno militato per la fiamma tricolore: da Ignazio La Russa a Italo Bocchino, da Maurizio Gasparri a Gianni Alemanno. Manca lei, Giorgia Meloni, che nel 2015 dopo una battaglia interna alla fondazione riuscì ad accaparrarsi la fiamma tricolore, simbolo di Msi e An, prima di dimettersi da consigliera.
Nel patrimonio immobiliare degli ex missini figura l’appartamento di via della Scrofa, 39, a due passi da Camera e Senato, dove Fratelli d’Italia ha da poco trasferito il suo quartier generale. Un altro indirizzo denso di storia: sede del Msi di Almirante e poi di Alleanza Nazionale con Gianfranco Fini. Poi c’è un altro luogo identitario dell’ex Msi, in via Ottaviano, 9. A pochi passi da lì nel 1975 è stato ucciso lo studente greco Mikis Mantakas e per questo ha avuto sempre una centralità nella topografia della destra romana. Dopo lo scioglimento di An era stata occupata dal Movimento Sociale Europeo fino a quando, nel 2015 non è stato minacciato lo sfratto. Fu forte la mobilitazione di tutti i camerati romani per evitare che la sede si trasformasse in un locale commerciale. Interviene allora la Fondazione An, che a inizio luglio 2018 compra l’immobile da Pasquale ed Eleonora Romualdi. Un ottimo affare. Per 174 metri quadrati a pochi passi da San Pietro, gli ex missini hanno speso solo 50 mila euro: 288 euro al metro quadro in una zona in cui anche per un box le quotazioni sono assai più alte.
Da quando è stato acquistato però «non è più frequentato come un tempo», racconta la portiera. Pasquale Romualdi non è parente di Pino, uno dei camerati fondatori del Movimento sociale italiano insieme a Giorgio Almirante. È un’immobiliarista romano che ha perso la battaglia con i militanti morosi. E ha permesso alla fondazione di chiudere un buon affare. «Siamo stati costretti, non si è trovata una situazione migliore in 45 anni», spiega Romualdi a L’Espresso, «L’appartamento era occupato da persone non facilmente gestibili. Siamo stati espropriati di quel bene molto tempo fa».
Oltre allo stabile di via Ottaviano, ce n’è anche un terzo, sempre nel cuore di Roma. È al civico 40 di via Paisiello, a due passi da Villa Borghese, polmone verde della Capitale. È stato donato ad Alleanza nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni, una «camerata vera», dice di lei chi la conosceva bene: alla sua morte, nel 1999, tutto il suo patrimonio finì al partito allora guidato Gianfranco Fini.
Da allora l’appartamento nel centro di Roma ha avuto più inquilini: l’ultimo “legale” è stato La Destra di Francesco Storace, poi è stato occupato dai neofascisti di Forza Nuova dell’ex terrorista nero Roberto Fiore. Sul citofono c’è ancora la sigla F.N. e la scritta Futura Vis, srl riconducibile alla famiglia di Roberto Fiore che ha sede proprio al domicilio che fu della Colleoni.
Quello di via Paisiello non è l’unico lascito della contessa camerata ad An. Ce n’è stato un altro ben più noto, poi venduto: era al 14 di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo. È stata la celebre casa di Fini a Montecarlo. Era stata ceduta nel 2008 dagli ex missini per 330 mila euro a una società offshore di proprietà di Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, moglie di Fini . Società che poi lo rivende per 1 milione e 360 mila euro a un’altra offshore, di proprietà di Francesco Corallo, ex re delle slot machine legali, rinviato a giudizio a giugno per associazione a delinquere, peculato, riciclaggio ed evasione fiscale, e anche per la casa di Montecarlo.
Nella lista delle fondazioni d’area c’è poi la Giuseppe Tatarella. A capo Francesco Giubilei, ’92, fondatore di Nazione Futura. Organizza eventi in giro per l’Italia, a cui partecipa anche l’uomo di Steve Bannon, Benjamin Harnwell. Giubilei ha per soci d’affari anche grand commis di Stato buoni per tutte le stagioni. Ne “Il periscopio delle idee”, una piccola casa editrice, con lui troviamo: Carlo Malinconico, sottosegretario alla presidenza con Monti; Pino Pisicchio, ex Dc, che rimpiange «i tempi di De Mita e Andreotti»; Andrea Monorchio, già ragioniere generale dello Stato; infine, Luigi Tivelli, che intercettato in un’inchiesta sui fondi al teatro Eliseo si definiva «il Fausto Coppi del lobbying». Altro che popolo sovrano.
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