La flat tax è un imbroglio dei ricchi ai danni dei poveri… Dico a te, coglione, che guadagni € 15.000. Tu paghi già il 23%…! Chi guadagna € 200.000 paga il 43%! Hai capito, coglione, le tasse non le tolgono a te, ma ai ricchi! E quello che risparmiano i ricchi lo pagherai TU con l’aggravio dei costi sociali

 

flat tax

 

 

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La flat tax è un imbroglio dei ricchi ai danni dei poveri… Dico a te, coglione, che guadagni € 15.000. Tu paghi già il 23%…! Chi guadagna € 200.000 paga il 43%! Hai capito, coglione, le tasse non le tolgono a te, ma ai ricchi! E quello che risparmiano i ricchi lo pagherai TU con l’aggravio dei costi sociali

Ci scusiamo per epiteto coglioni che ovviamente è rivolto (a giusta ragione) per chi crede a quello che sostiene Salvini & C. Con questi ultimi ci dovremmo scusare anche per il termine “epiteto”, ma non abbiamo intenzione di farlo…

Sulla Flat Tax ci sarebbe tanto da dire… Ma vogliamo essere sintetici. Un unico semplice esempio per capire quanto ti stanno prendendo per i fondelli…

Reddito 1.000.000 di € anno.

Oggi con l’aliquota al 43% pago 430.000 € (grossomodo, qualcosa in meno per gli scaglioni)

Domani – con flat tax al 23% pagherò 230.000 € di tasse.

Reddito di 15.000 € anno.

Oggi con l’aliquota al 23% pago 3.450 €

Domani – con flat tax  pagherò 3.450 € di tasse

Sulla Flat Tax il palazzo della politica sta dando il peggio di sé e come al solito la parola inglese serve a nobilitare la fregatura, come con il Jobsact.

Lega, Cinquestelle, PD, Forza Italia partono tutti dallo stesso punto di vista: bisogna ridurre le tasse. Nessuno di loro si pone la domanda di fondo: a chi va la riduzione delle tasse e chi la paga?

Non si pongono questa domanda perchè è scomoda. Tutte le principali forze politiche seguono l’ideologia liberista reazionaria di Ronald Reagan secondo la quale le tasse sono il male, quelle per i ricchi e le imprese il peggio, quelle che finanziano lo stato sociale il peggio del peggio.

La Flat Tax era il programma del presidente USA che negli anni 80 ha guidato e imposto, assieme alla Thatcher, quell’aggressione mondiale ai diritti sociali e del lavoro che oggi chiamiamo globalizzazione. Essa si fonda sulla teoria di uno dei più immeritati premi Nobel della storia, l’economista Laffer, che si era inventato una curva matematica secondo la quale meno tasse avessero pagato i ricchi, più lo stato avrebbe incassato per la crescita delle attività e la riduzione della evasione fiscale.

La riduzione delle tasse ai ricchi ha prodotto negli Stati Uniti privilegi fiscali scandalosi, basta guardare la misera quantità di imposte che oggi pagano i super miliardari e le loro imprese multinazionali. Nello stesso tempo i lavoratori ed i poveri hanno pagato dieci volte sul terreno dei servizi sociali quel poco che sono riusciti a ricevere come riduzione delle tasse.

In italia abbiamo una gigantesca evasione fiscale di 120 miliardi annui, agevolata da tutti i governi degli ultimi trent’anni, senza distinzione alcuna.

Casa, scuola, sanità, servizi sociali, queste sono oggi le voci di un bilancio sociale sempre più in passivo per la maggioranza della popolazione. Chi vuole abbassare le tasse a tutti vuole proseguire nella privatizzazione di tutto ciò che dovrebbe essere pubblico ed accessibile gratuitamente alla grande maggioranza della popolazione. Non a caso un vice ministro leghista si è “ricordato” che lo stato possiede 400 miliardi di edifici “non valorizzati”.

Oggi si promettono 50 euro al mese in meno di tasse a lavoratori e pensionati in cambio di un aggravio di dieci volte almeno di costi sociali.

Questo è il grande imbroglio verso i poveri della riduzione delle tasse: la mano che dà è piccola piccola, quella che riprende è enorme. E alla fine i soli che ci guadagnano davvero sono i ricchi.

Ora Salvini dice che la Flat tax sarebbe solo per chi ha meno di 50.000 euro annui di reddito. IMBROGLIA, vuole cominciare da lì, ma vuole arrivare molto più in alto, perché questo è lo scopo vero. Di Maio risponde che bisogna aiutare le famiglie, quindi parla d’altro e alla fine sarà d’accordo. Il PD dice che non ci sono i soldi, come sempre assieme a Forza Italia, ma non contesta la proposta in sé, anzi.

Tutte le posizioni del palazzo sulla Flat Tax sono solo diverse versioni della stessa destra liberista. Diverse versioni che assieme ignorano l’articolo 53 della Costituzione, che impone la PROGRESSIVITÀ del fisco.

Bisogna redistribuire la ricchezza con più tasse ai ricchi e meno ai poveri ai lavoratori e ai pensionati, con la lotta all’evasione fiscale, con il prevalere del pubblico sul mercato. Insomma con l’esatto contrario di ciò che si fa da trent’anni e che la Flat Tax vuole portare alle estreme e più feroci conseguenze…

Forse a quelli che attaccano i Cinquestelle per la loro battaglia contro il Tav non hanno ancora detto niente… Sapere che alla Francia non interessa affatto? Non hanno cacciato un solo Euro ed i fondi sono congelati fino al 2038?

 

 

Tav

 

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Forse a quelli che attaccano i Cinquestelle per la loro battaglia contro il Tav non hanno ancora detto niente… Sapere che alla Francia non interessa affatto? Non hanno cacciato un solo Euro ed i fondi sono congelati fino al 2038?

Da Il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2019

Emmanuel Macron s’appella all’“amore”. È “l’amour” che può superare i conflitti tra Italia e Francia. Ma nell’intervista a Fabio Fazio, a dispetto dei titoli dei giornali italiani, il presidente francese non pronuncia parole nette sul Tav: “È una cosa molto importante per le regioni transfrontaliere. È una cosa molto attesa, ed è la scelta che è stata fatta dai nostri predecessori che hanno sottoscritto quegli accordi che noi abbiamo confermato”. Le parole si moltiplicano, ma senza mai dire: si faccia, e si faccia subito. Anzi: “Quando si va troppo veloci, si fanno errori, io ne ho fatti in passato”.

Non stupisce, questa cautela di Macron. Perché a dispetto della leggenda secondo cui la Francia vuole il Tav e l’Italia frena, Parigi ha da tempo mostrato molto scetticismo sulla Torino-Lione. Nei fatti: non ha ancora stanziato nemmeno un euro per il tunnel di base; e ha rinviato addirittura a dopo il 2038 la realizzazione del tratto francese. Ma si sa: quando c’è “l’amour” è brutto parlare di soldi.

Il cerino di Macron. Il nodo è l’articolo 16 dell’Accordo tra Italia e Francia del 30 gennaio 2012 che stabilisce le regole per la realizzazione della Torino-Lione ed è stato ratificato dal Parlamento italiano e da quello francese. Dice che “La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale”. Orbene, questa “condizione preliminare” non è soddisfatta, perché la Francia non ha reso finora disponibile neppure un centesimo per la fase che dovrebbe iniziare l’11 marzo a Parigi, con il lancio dei primi due bandi per il tunnel da parte del cda di Telt (la società italo-francese che deve realizzare la Torino-Lione).

Ne discutono oggi, 5 marzo 2019, in un vertice del governo italiano, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Danilo Toninelli. I due bandi riguardano l’intero tratto francese del traforo, i tre quarti dell’opera, 45 dei 57,5 chilometri totali, del valore di 2,3 miliardi di euro. Senza “disponibilità del finanziamento”, dice l’Accordo tra Italia e Francia del 2012, non può esserci “l’avvio dei lavori”. L’Italia ha stanziato, per questa fase della realizzazione del tunnel (costo 9,63 miliardi di euro), 2,63 miliardi, il 27 per cento della spesa totale, assegnati dalla legge di stabilità 2013 (governo Monti) e approvvigionati in quote annuali nel bilancio dello Stato tra il 2015 e il 2027. L’Unione europea, dopo i finanziamenti per gli studi e i lavori preliminari, per il tunnel ha messo a disposizione 0,57 miliardi, il 6 per cento.

La Francia zero: non ha ancora deciso alcuna programmazione futura su base pluriennale per i finanziamenti del traforo, neppure attraverso l’agenzia pubblica Afitf (Agence de financement des infrastructures de transport de France) che ha pagato i lavori preparatori realizzati finora. Il Fatto Quotidiano ha chiesto al ministero dei trasporti francese se, quando e quanto vorrà finanziare l’opera. Al momento non ha ricevuto risposta. In queste condizioni, a dar retta all’articolo 16 dell’Accordo, l’11 marzo il cda di Telt dovrebbe dunque fermarsi e chiedere a Macron che cosa vuol fare del Tav. Gliel’hanno già chiesto i rappresentanti della regione Auvergne-Rhone-Alpes, guidata dai Repubblicani, che accusano il presidente di scarso amore per la Torino-Lione. La spiegazione che gira in Francia è questa: Macron non lo vorrebbe fare, il Tav, giudicato troppo costoso e poco utile; ma tira in lungo, lasciando che sia l’Italia a restare con il cerino della decisione in mano.

Le calende francesi. Il tunnel di base di 57,5 chilometri è per il 21 per cento (12,5 chilometri) in territorio italiano, per il 79 per cento (45 chilometri) in territorio francese. Nella ripartizioni dei costi, però, l’Italia paga di più (il 58 per cento del totale), con il risultato che l’esborso per l’Italia è di 280 milioni a chilometro, per la Francia 60 milioni a chilometro. Questa asimmetria è giustificata dal fatto che i francesi hanno però molte più spese per il loro tratto nazionale, dallo sbocco del tunnel di base fino a Lione, che comprende anche due tunnel a due canne, quello di Belledonne e quello di Glandon.

Ma nel gennaio 2018 è stata presa in Francia una decisione che ribalta gli accordi: il Coi (Conseil d’orientation des infrastructures) presieduto dal deputato socialista Philippe Duron, decide di rimandare le opere del tratto francese a dopo il 2038. Lo scrive il Coi a pagina 77 del suo rapporto sulla mobilità francese: “Ritiene che non sia stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni non vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038”.

Un rinvio alle idi di marzo, o alle calende francesi. Intanto l’Italia paga di più il tunnel di base, finanziando di fatto la Francia in cambio di lavori che la Francia forse farà, “nel migliore dei casi”, dopo il 2038. Ci vuole davvero molto “amour” per fare da banca a Macron.

“Reddito di cittadinanza? Rischio di aumentare i cittadini parassiti nei confronti dello Stato” Lo hanno detto i Vescovi della Chiesa. Sì, quelli che vivono nel lusso più sfrenato, non pagano l’Ici, intascano l’8 per mille e che una volta in pensione li paghiamo noi…!

 

Reddito di cittadinanza

 

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“Reddito di cittadinanza? Rischio di aumentare i cittadini parassiti nei confronti dello Stato” Lo hanno detto i Vescovi della Chiesa. Sì, quelli che vivono nel lusso più sfrenato, non pagano l’Ici, intascano l’8 per mille e che una volta in pensione li paghiamo noi…!

I vescovi scettici sul reddito di cittadinanza, evitare la cittadinanza “parassitaria”

Tra i rischi riguardanti il reddito di cittadinanza spicca “quello di attenuare la spinta a cercare lavoro o a convincere a rinunciare a offerte di lavoro che prevedano una retribuzione non distante da quanto previsto”. E’ quanto afferma la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) in audizione alla Camera sul decretone. “E’ enorme il rischio di aumentare queste forme di cittadinanza non solo passiva ma anche parassitaria nei confronti dello Stato”, aggiunge.

Da huffingtonpost:

I vescovi scettici sul reddito di cittadinanza,evitare la cittadinanza “parassitaria”

Per conquistarsi la “cittadinanza”, ben prima del reddito, serve il lavoro. E il lavoro lo creano le imprese, non una norma e soprattutto non solo un sussidio. No, a parlare non è Confindustria e nemmeno un’altra associazione di imprenditori o commercianti. Sono i vescovi italiani che – davanti ai deputati che lavorano sul reddito di cittadinanza – hanno ricordato quanto sia importante riportare il lavoro, quello “degno”, al centro di tutto. Solo così si possono evitare i rischi “enormi” di una cittadinanza “parassitaria” nei confronti dello Stato. Per spiegarsi ancora meglio, i rappresentanti della Cei hanno preso in prestito un discorso fatto da Papa Francesco nel 2017, in cui il Pontefice usava esattamente queste parole: “Un assegno statale, mensile che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti”. Il messaggio a Governo e al Parlamento non poteva arrivare più forte e chiaro di così. La misura, secondo la Cei, rischia di attenuare la spinta degli italiani a cercare lavoro, o ad accettare delle offerte che prevedano una retribuzione non troppo distante da quella prevista dal Reddito. Si tratta di un vero e proprio effetto “spiazzamento” (già citato, non a caso, nelle scorse audizioni sul reddito proprio dagli industriali) che i vescovi suggeriscono caldamente di evitare, visto che andrebbe ad alimentare forme di cittadinanza non solo passiva ma anche, appunto, “parassitaria” nei confronti dello stesso Stato. Un’idea di cittadinanza attiva, secondo la Cei, non si rassegna alla mera assistenza che può anzi diventare assistenzialismo e generare atteggiamenti deleteri e soprattutto passivi.

Citando ricerche internazionali, la Conferenza episcopale italiana ha poi rincarato la dose confermando che le misure di sostegno simili al Reddito di cittadinanza “non hanno successo se l’ammontare è vicino al reddito che sarebbe percepito lavorando”. Il provvedimento italiano quindi rischia di scoraggiare il reinserimento delle persone disoccupate nel mercato del lavoro, visto che l’Inps ha già evidenziato che il 45% dei dipendenti privati nel Mezzogiorno ha redditi da lavoro inferiori a quelli garantiti dal Reddito di Cittadinanza. In questo caso, perciò, il timore che le persone beneficiarie del RdC non si attivino per cercare lavoro o per aumentare le proprie competenze diventa sempre più concreto. Ecco perché – continua la Cei – occorre anche evitare il rischio di entrate ‘in nero’ e di cumulare questo tipo di retribuzioni con il RdC.

Un ulteriore rischio è quello di sottostimare la situazione economica delle famiglie italiane. Le soglie di povertà – spiegano i rappresentanti dei vescovi – sono di solito corrette per un “fattore famiglia” (ad esempio, se la povertà per il single è 100, per una famiglia con due figli può essere 260 calcolando adulti 100 e figli 30 ciascuno) ma i fattori di conversione usati nel RdC sono molto più bassi di quelli standard. In questo modo, quindi, si rischia una stima al ribasso rispetto alla situazione reale dei cittadini.

Tra i consigli dei vescovi c’è poi anche quello di concentrarsi sulle vere causa della disoccupazione per capire meglio i problemi e come affrontarli. Per la Cei, infatti, le motivazioni alla base della mancanza di lavoro sono fondamentalmente tre: la domanda e offerta di lavoro farebbero un ‘matrimonio perfetto’ ma non si incontrano; l’aspirante lavoratore deve colmare il gap di competenze che gli impedisce al momento di poter ottenere il posto di lavoro; ci sono troppi pochi posti di lavoro nell’area per ragioni diverse (sia macroeconomiche che di sistema Paese).

Come fare quindi per favorire l’occupazione, soprattutto quella dei giovani? La ricetta suggerita dai vescovi riporta alle misure che “negli ultimi anni si sono rivelate più efficaci”, ossia quelle intraprese soprattutto dalle Regioni e definite di “dote lavoro” perché coinvolgono direttamente i migliori Centri di formazione professionale e le Agenzie del lavoro per far incontrare domanda e offerta e accompagnare con orientamento e percorsi formativi efficaci la ricerca del lavoro. L’efficacia di questo tipo di misure utilizzate dalle Regioni (specie della Lombardia) è stata, secondo la Cei, determinata dallo strumento utilizzato, ossia un’agenzia del lavoro che poteva reperire la totalità del beneficio economico solo se il processo di accompagnamento al lavoro e di formazione si concludeva con un contratto.

#CambiamolaInsieme – I Cinquestelle all’attacco dei privilegi della casta europea: tagliare gli stipendi faraonici dei Commissari e azzerare i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi…!

 

privilegi della casta

 

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#CambiamolaInsieme – I Cinquestelle all’attacco dei privilegi della casta europea: tagliare gli stipendi faraonici dei Commissari e azzerare i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi…!

 

Tagliamo gli stipendi dei Commissari europei: basta privilegi a Bruxelles (2) #CambiamolaInsieme

L’Europa da cambiare al più presto concede assurdi privilegi ai politici, mentre ai cittadini impone sacrifici nel nome dei vincoli di bilancio. In un precedente post abbiamo raccontato gli sprechi da tagliare: la pensione degli europarlamentari e la tripla sede del Parlamento europeo. La nostra inchiesta continua con gli stipendi dei Commissari europei. Guardate questi dati e scoprirete quanto Bruxelles è distante dai cittadini. #CambiamolaInsieme

STIPENDI COMMISSARI EUROPEI 
Gli stipendi dei Commissari europei sono uno schiaffo agli oltre 100 milioni di poveri in tutta l’Unione europea. Il Presidente della Commissione Juncker percepisce il 138% dello stipendio del funzionario con più alto grado della Commissione e cioè 27.436,90 euro al mese. L’alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini 25.845,35, i i vicepresidenti 24.852,26 euro al mese, mentre tutti gli altri Commissari 22.852,26 euro al mese. A queste esorbitanti cifre vanno aggiunte alcune indennità variabili, come l’indennità di residenza , di espatrio e dei figli. I Commissari hanno inoltre a disposizione 1.500 euro al mese per le spese di rappresentanza. In totale nel 2019 i contribuenti spenderanno per mantenere il collegio del Commissari una cifra pari a 12.6 milioni di euro. Rispetto al 2018 la spesa aumenta di quasi 2,5 milioni perché nel 2019 i Commissari (entranti e uscenti) avranno diritto a rimborsi per le spese di viaggio dei membri della Commissione (compresi i familiari), per le indennità di prima sistemazione e di nuova sistemazione, e per le spese di trasloco dovute ai membri della Commissione in occasione della loro entrata in servizio o della loro cessazione dal servizio. (fonte)

LIQUIDAZIONE VECCHI COMMISSARI

Nel 2019 sono stati messi a bilancio anche 682.000 euro previsti per le indennità transitorie, ovvero una sorta di sussidio che i Commissari ricevono alla fine del loro mandato per una durata di due anni.

Azzeriamo i fondi a partiti e fondazioni europee. In Europa basta sprechi (3) #CambiamolaInsieme

I cittadini pagano, i partiti spendono. In Europa c’è un sistema ben oleato di finanziamento pubblico a partiti e fondazioni che in pochi conoscono: tutte le delegazioni, presenti al Parlamento europeo, hanno dei fondi messi a disposizione per costituire dei partiti politici europei e delle fondazioni europee. Basta 1 europarlamentare che si iscriva a un partito con rappresentanti in almeno 1/4 degli Stati membri e il gioco è fatto.

COME SPENDONO I SOLDI?
I partiti e le fondazioni europee devono giustificare le loro spese. Ecco quali sono quelle rimborsabili:
– per riunioni e di rappresentanza
– per pubblicazioni
– spese amministrative
– per il personale e di viaggio
– tutti i costi relativi alle campagne per le elezioni europee

Per il 2019 sono stati previsti 50 milioni per i partiti politici europei e 19.7 milioni per le fondazioni politiche.

I PARTITI ITALIANI E I FONDI EUROPEI DA SPARTIRSI
Avete mai sentito parlare dell’Alleanza per la pace e la libertà? O della Coalizione per la vita e la famiglia? Ecco l’elenco di tutti gli improbabili partiti europei che si spartiscono una torta di 50 milioni l’anno. Il Partito democratico, per esempio, è parte della famiglia del PES che ha raccolto oltre 43 milioni di euro dal 2008 al 2018. La parte del leone la fa il Partito popolare europeo che ha racimolato in 10 anni quasi 54 milioni di euro. Sono ben sei i partiti italiani che fanno parte del PPE: Forza Italia, Udc, Alternativa popolare, Popolari per l’Italia, Svp e il Partito autonomista tirolese. Non rinunciano ai rimborsi anche i Verdi e molti partiti di destra.

Fra i partiti beneficiari di questi fondi c’è anche un fantomatico Partito democratico europeo: ha sede a Bruxelles e ha raccolto oltre 6 milioni di euro negli ultimi 10 anni. Peccato che il link del sito web pubblicato dal Parlamento europeo è fantasma. Sparito! Non si conoscono, dunque, i beneficiari.

Oltre ai fondi ai partiti, una stessa famiglia politica può ottenere fondi attraverso anche delle fondazioni. Ecco il link a tutte quelle che ricevano finanziamenti. Con 5,8 milioni erogati nel 2018, il centro di studi europei Wilfried Martens (collegato al PPE) è quello che ha ricevuto più fondi pubblici.

IL MOVIMENTO 5 STELLE RINUNCIA A QUESTI FONDI
Il Movimento 5 Stelle è diverso da tutti i partiti. La delegazione del MoVimento 5 Stelle ha rinunciato totalmente alla possibilità di usufruire di questi fondi perché non ha aderito a nessun partito europeo o ne ha creato uno nuovo. Rinunciamo a circa 3 milioni di euro. Noi siamo la dimostrazione concreta che si può fare politica senza pesare sulle tasche dei cittadini. In questi anni al Parlamento europeo, i grandi gruppi politici hanno bocciato tutti i nostri emendamenti al bilancio per azzerare questi fondi e restituirli ai cittadini. Dopo le elezioni di maggio, saremo l’ago della bilancia del prossimo Parlamento europeo e la lotta a questi sprechi sarà la nostra priorità. La nostra idea di democrazia è: i cittadini partecipano, le forze politiche scelgono. E cambiano.

 

fonte:

http://www.efdd-m5seuropa.com/2019/01/tagliamo-gli-stipend.html

http://www.efdd-m5seuropa.com/2019/01/azzeriamo-i-fondi-a.html

Perché la Gente ha votato i Cinquestelle? La risposta ce la dà Buzzi: “Mafia Capitale, HO FINANZIATO TUTTI, solo al Pd ho dato 380 mila euro”…!

 

Mafia Capitale

 

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Perché la Gente ha votato i Cinquestelle? La risposta ce la dà Buzzi: “Mafia Capitale, HO FINANZIATO TUTTI, solo al Pd ho dato 380 mila euro”…!

Se lo chiedono in tanti. Ultimamente anche all’interno del Partito Democratico…

Una risposta ce la dà proprio Buzzi: HO FINANZIATO TUTTI… Tutti, ovviamente escluso i Cinquestelle

Da Il Messaggero del 14 dicembre:

Mafia Capitale, Buzzi: «Ho finanziato tutti, solo al Pd ho dato 380 mila euro»

«Da Rutelli in poi ho contribuito a tutte le campagne elettorali, ho finanziato tutti, solo al Pd ho dato 380 mila euro».  Così Salvatore Buzzi, collegato in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo, sentito oggi in tribunale a Roma nell’ambito del filone del processo di Mafia Capitale che vede imputato l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, accusato di corruzione e finanziamento illecito.

«Nell’intercettazione in cui mi si sente dire che con Alemanno sindaco eravamo a cavallo mi riferivo al contorno, non a lui direttamente, perché avevamo dalla nostra parte Franco Panzironi, ex direttore generale di Ama, che era corrotto, il quale mi obbligò a fare finanziamenti alla fondazione di Alemanno, sempre tramite altre cooperative, mai direttamente con la 29 giugno – ha aggiunto Buzzi – Le tangenti le davo a Panzironi ma Alemanno non era da considerarsi “comprato”, lui lo avrò incontrato 1 o 2 volte. Con l’arrivo di Alemanno in Campidoglio invece il nostro fatturato è sceso di 5 milioni».

Ad Alemanno, anche oggi presente in aula, si contesta di avere compiuto atti contrari ai suoi doveri d’ufficio, ricevendo somme di denaro dal presidente della Coop 29 giugno Salvatore Buzzi, nel periodo che va dal 2012 al 2014. In particolare, si tratterebbe, secondo l’accusa, di 75mila euro per cene elettorali, di 40mila a titolo di finanziamento alla Fondazione Nuova Italia di cui Alemanno era presidente, e di circa 10mila euro in contanti.
Ovviamente, niente di nuovo, ma valeva la pena rammentarvelo. Anzi, ecco qualche articolo di qualche anno fa. Se fate il giro sulla rete ne troverete tanti altri…

Spunta il nome della Boschi nell’inchiesta “Mafia Capitale” – “Abbiamo consegnato alla Boschi la lettera per Matteo”

“Se parlo cade governo…”. E Buzzi tira in ballo Renzi

Mafia Capitale, da Buzzi 5mila euro alla fondazione di Renzi e 15mila al Pd

LA DEPUTATA RENZIANA CHE MANDAVA SMS E “BACINI” AL BOSS DI MAFIA-CAPITALE

Renzi attacca duramente i Cinquestelle per il 2,4% di deficit per 3 anni – Perchè lo sappiamo tutti che la sua forza è la coerenza… Infatti ricorderete che solo un anno fa andava dicendo che si sarebbe dovuto fare il 2,9% di deficit per 5 anni… BUFFONE

 

 

Renzi

 

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Renzi attacca duramente i Cinquestelle per il 2,4% di deficit per 3 anni – Perchè lo sappiamo tutti che la sua forza è la coerenza… Infatti ricorderete che solo un anno fa andava dicendo che si sarebbe dovuto fare il 2,9% di deficit per 5 anni… BUFFONE

Quando Renzi chiedeva all’Ue il 2,9% di deficit per cinque anni

Oggi l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, critica la decisione del governo M5s-Lega di arrivare al 2,4% di deficit per tre anni per finanziare le sue promesse elettorali. Ma, solo un anno fa, Renzi lanciava una proposta che qualunque esecutivo in questa legislatura avrebbe dovuto inviare all’Ue: fare il 2,9% di deficit per cinque anni per “ridurre la pressione fiscale e rimodulare la crescita”. I governi a guida Pd e quello Renzi, comunque, non hanno aumentato il deficit.

L’approvazione della nota di aggiornamento al Def da parte del Consiglio dei ministri con l’aumento del deficit al 2,4% per i prossimi tre anni non piace all’ex segretario del Pd, Matteo Renzi. E lo dice esplicitamente parlando di “conseguenze devastanti delle scelte di oggi” (superamento della Fornero, reddito di cittadinanza e avvio della flat tax) che vedremo nel 2019/2020. Eppure, poco più di un anno fa, Renzi non era affatto contrario all’idea di aumentare il deficit, tanto da proporre, in un intervento pubblicato sul Sole 24 Ore, all’Unione europea di accettare cinque anni di deficit al 2,9% per l’Italia. Una incongruenza fatta notare quest’oggi anche dall’ex deputato del MoVimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista, con un post su Facebook. Va comunque riconosciuto che, nella scorsa legislatura, né il governo Renzi né il governo Gentiloni ha aumentato il deficit, rispettando invece le richieste europee.

Oggi Renzi ritiene che il problema dell’innalzamento del deficit derivi dalla decisione di puntare “su condoni e assistenzialismo”. In questo la sua proposta era in parte, ma non del tutto, diversa. Renzi partiva da un discorso riguardante l’immigrazione, spiegando che in caso di mancato cambio di atteggiamento da parte di alcuni paesi sul tema, l’Italia avrebbe dovuto cambiare atteggiamento in campo economico. Renzi chiedeva a tutte le forze politiche italiane di “remare nella stessa direzione”, avanzando insieme questa proposta e affermando: “Non accetto che l’Italia sia trattata come una studentessa indisciplinata da rimettere in riga, è un atteggiamento che fa male all’Europa che, da speranza politica, diventa guardiana antipatica”.

Renzi parla allora di un ritorno a Maastricht: “Stare dentro i parametri sembrava un’impresa quasi impossibile, al punto che quando l’Italia raggiunse quel traguardo per molti fu festa grande. Oggi Maastricht ha cambiato significato. L’avvento scriteriato del Fiscal compact nel 2012 fa del ritorno agli obiettivi di Maastricht (deficit al 3% per avere una crescita intorno al 2%) una sorta di manifesto progressista”.

Ed ecco quindi la proposta di Renzi:

Noi pensiamo che l’Italia debba porre il veto all’introduzione del Fiscal compact nei trattati e stabilire un percorso a lungo termine. Un accordo forte con le istituzioni europee, rinegoziato ogni cinque anni e non ogni cinque mesi. Un accordo in cui l’Italia si impegna a ridurre il rapporto debito/Pil tramite sia una crescita più forte, sia un’operazione sul patrimonio che la Cassa depositi e prestiti e il ministero dell’Economia e delle Finanze hanno già studiato, sebbene debba essere perfezionata; essa potrà essere proposta all’Unione europea solo con un accordo di legislatura e in cambio del via libera al ritorno per almeno cinque anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%. Ciò permetterà al nostro paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita. La mia proposta è semplice: questo spazio fiscale va utilizzato tutto, e soltanto per la riduzione delle tasse, per continuare l’operazione strutturale iniziata nei mille giorni. La prossima legislatura, qualunque sia il giorno in cui comincerà, dovrà mettere sul tavolo uno scambio chiaro in Europa: noi abbassiamo il debito, ma la strada maestra per farlo è la crescita. Quindi abbiamo bisogno di abbassare le tasse. Punto.

L’attacco di Di Battista
L’ex deputato del M5s, Alessandro Di Battista, rilancia su Facebook quell’intervento di Renzi, datato luglio 2017: “Renzi scrive un lungo capitolo del suo libro (riportato in prima pagina dal Sole 24 ore) dove spiega ‘la base della proposta economica del Pd per le prossime elezioni’. E cosa scrive il senatore semplice, all’epoca segretario del Pd? Decifit al 2,9% per 5 anni per avere miliardi di euro da investire in crescita. Adesso che un governo (non più il loro) decide di arrivare ad un decifit del 2,4% non per trovare denari da dare alle banche ma per dare una mano a chi vive in povertà, per alzare le pensioni minime, per abbassare le tasse alle partite IVA e per sostenere i truffati dalle banche (e dallo stesso governo Renzi) il Pd che fa? Scende in piazza per mettere in pericolo gli italiani da questi barbari, ‘ladri di futuro’ che non pensano ai conti pubblici”.

tratto da: https://www.fanpage.it/quando-renzi-chiedeva-allue-il-29-di-deficit-per-cinque-anni/

 

Ricapitoliamo: Sallusti accusa i Cinquestelle di comportamenti mafiosi… Sì, Sallusti, quello che sosteneva che Dell’Utri (condannato per MAFIA) era un galantuomo e che ha sempre scodinzolato intorno a Berlusconi che sovvenzionava la MAFIA…!

 

Sallusti

 

 

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Ricapitoliamo: Sallusti accusa i Cinquestelle di comportamenti mafiosi… Sì, Sallusti, quello che sosteneva che Dell’Utri (condannato per MAFIA) era un galantuomo e che ha sempre scodinzolato intorno a Berlusconi che sovvenzionava la MAFIA…!

 

Qualche mese fa il pm Nino Di Matteo in un’intervista a El País ricordò che Silvio Berlusconi “sovvenzionò la mafia per vent’anni”.

“C’è una sentenza definitiva – spiegò il magistrato – che afferma che tra il 1974 e il 1992 Berlusconi ebbe relazioni con la mafia siciliana”.

Il direttore de Il Giornale di Berlusconi, Alessandro Sallusti, si dimentica di citare questa sentenza nel suo editoriale di oggi intitolato “IL RICATTO MAFIOSO”, nel quale immagina la seguente scena:

“Siamo nella primavera del 1992, Totò Riina, capo indiscusso della mafia, al termine di una cena con i suoi picciotti, annuncia: se queste merde dei ministeri non aboliscono il carcere duro noi li andiamo a prendere con il coltello, con le pistole, se il caso con la dinamite, come poi in effetti avvenne con Falcone, Borsellino e tanti altri”.

“Veniamo a oggi” continua “Il boss dei Cinque Stelle, un bullo ex Grande Fratello, al termine di una cena riservata annuncia come svelato ieri da questo giornale: ‘Noi quelle merde del ministero delle Finanze se non mollano il quattrini per il reddito di cittadinanza l’anno venturo li anviamo a prendere uno a uno con il coltello’”.

“Le analogie sono impressionanti,” scrive ancora Sallusti “e non sono solo formali. I Cinque Stelle come la mafia, Casalino – braccio destro del premier Conte – come Riina a minacciare organi dello Stato che non si piegano al suo volere”.

Quelle di Sallusti sono solo analogie, immaginate dal direttore di un giornale che pensa più a fare gli interessi del suo padrone che a informare i suoi lettori.

Il M5S la mafia la combatte davvero, ed è per questo motivo che inizia a far paura a molti.

Quella che riguarda Berlusconi, di cui Sallusti non parla, non è un’analogia ma una sentenza: come affermato dal pm Di Matteo “è stato stipulato un patto con Cosa nostra, intermediato da Marcello dell’Utri, che è stato mantenuto dal 1974 fino al 1992 dall’allora imprenditore Silvio Berlusconi”.

Sallusti, visti i trascorsi di B., farebbe meglio a tacere, o quanto meno a non parlare di certi argomenti.

 

FONTE: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/23/il-vile-attacco-di-sallusti-mi-immagino-la-scena-i-cinque-stelle-come-la-mafia-casalino-come-riina/

2,4 miliardi di tagli alle Regioni più povere: lo scherzetto europeo che piace tanto alla Merkel – Ed al quale solo i Cinquestelle si ribellano!

 

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2,4 miliardi di tagli alle Regioni più povere: lo scherzetto europeo che piace tanto alla Merkel – Ed al quale solo i Cinquestelle si ribellano!

 

“L’Europa sta commettendo un grave errore. Lo diciamo senza giri di parole: dirottare ben 21 miliardi di euro (circa 2,4 per l’Italia) destinati alla coesione economica, sociale e territoriale per rivolgerli ad altri obiettivi tipo privatizzazioni o Jobs Act è l’ennesimo schiaffo ai nostri territori che mai come adesso avrebbero bisogno di investimenti per lo sviluppo.

VIDEO. L‘intervento di Rosa D’Amato in difesa dei diritti dei cittadini del Sud Italia.

Sulle riforme strutturali il gruppo Efdd – MoVimento 5 Stelle è assolutamente contrario a tutte quelle misure che intaccano il Welfare State, inclusi gli interventi sul mercato del lavoro, mentre siamo aperti a misure relative al miglioramento sulla capacità amministrativa o alla lotta all’evasione fiscale.

Le elezioni italiane hanno dimostrato che i cittadini NON vogliono queste riforme calate dall’alto che servono solo alle multinazionali per abbassare i diritti dei cittadini. Siamo dunque rimasti francamente sorpresi dalla proposta della Commissione di ‘liberare’ anticipatamente queste risorse per destinarle, tra l’altro, alle riforme strutturali. Non capiamo la fretta, tanto più che le norme attuali prevedono che una verifica avrà luogo soltanto nel 2019.

Le riforme strutturali non hanno nulla a che vedere con la ratio della politica di coesione. Chiediamo alla Commissione di ascoltare le richieste e gli appelli che arrivano dalle autorità regionali e locali di non tagliare i fondi della coesione e di non distorcere gli obiettivi di queste preziose risorse che servono alle regioni più povere. Faremo di tutto – anche grazie alla forza che arriva dai cittadini italiani – per trasformare questa Europa in una terra in cui nessuno rimarrà indietro”.

 

 

fonte: http://www.efdd-m5seuropa.com/2018/03/24-miliardi-di-tagli.html

Ricapitoliamo: hanno tenuto in piedi il governo (facendo maturare i vitalizi) solo per fare una legge elettorale che ci consentisse di andare al voto, per poter eleggere un governo che faccia una legge elettorale decente! …Ma ricordate, gli incapaci sono i Cinquestelle!

 

 

legge elettorale

 

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Ricapitoliamo: hanno tenuto in piedi il governo (facendo maturare i vitalizi) solo per fare una legge elettorale che ci consentisse di andare al voto, per poter eleggere un governo che faccia una legge elettorale decente! …Ma ricordate, gli incapaci sono i Cinquestelle!

 

Dopo la debacle (francesismo che tradotto rigorosamente in Italiano significa grossomodo “madornale figura di merda”) di Renzi al referendum del 4 dicembre 2016 il governo Pd era appeso ad un filo.

Fu incaricato Gentiloni di traghettare l’esecutivo alle imminenti elezioni anticipate… anticipate una beata minchia.

Da una parte c’erano gli amici parlamentari che correvano il rischio di non maturare i vitalizi. Dall’altra una legge elettorale con cui il M5s avrebbe stracciato, distrutto, disintegrato, umiliato, azzerato qualsiasi avversario…

…E allora 2 piccioni con una fava: niente voto finché non si fa una nuova legge elettorale.

Risultato? La legislatura che diveva sciogliersi anticipatamente è giunta alla sua fine naturale. Quei poveretti dei nostri parlamentari hanno ottenuto il loro agognato vitalizio ed è stata varata la più schifosa delle leggi elettorali.

Quest’ultima se da una parte tiene lontano l’incuno Grillino, dall’altra assolutamente non consente alcuna governabilità.

Morale della favola?

Hanno tenuto in piedi il governo solo per fare una legge elettorale che ci consentisse di andare al voto, per poter eleggere un governo che faccia una legge elettorale decente!

…E voi italioti provate un po’ ad indovinare chi, in tutto questo, lo prende a quel posto?

By Eles

Tanto per approfondire:

La Stampa del 26.02.2018 – Veltroni con Gentiloni: “Senza maggioranza, serve legge elettorale e ritorno al voto”

Panorama del 04.06.2017 – Legge elettorale ed elezioni anticipate: tutte le date

 

“Il M5S è una setta pericolosa” lo ha dichiarato il sig. Berlusconi Silvio, tessera n. 1816 della Loggia Massonica P2…!

 

Berlusconi

 

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“Il M5S è una setta pericolosa” lo ha dichiarato il sig. Berlusconi Silvio, tessera n. 1816 della Loggia Massonica P2…!

…E si. Lo ha detto e ripetuto. Il Massone Silvio Berlusconi dice che i Cinquestelle sono una setta… Ci vuole una bella faccia tosta, non trovate?

Leggiamo da Fanpage:

Berlusconi: “M5S è una setta pericolosa, il Pd una scatola vuota. Il voto utile siamo noi”

Il leader di Forza Italia torna ad attaccarre M5S e Partito Democratico: “Mi rivolgo agli Italiani delusi da questa politica, fra loro ci sono moderati che avevano creduto in Renzi ma il PD non è più competitivo, è una scatola vuota, divisa e senza possibilità di vittoria. Il M5S è una setta pericolosa. L’unico voto utile siamo noi”.

Silvio Berlusconi torna ad attaccare il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico. In un’intervista concessa a Studio Aperto, il leader di Forza Italia ha definito il Movimento guidato da Luigi Di Maio “una setta pericolosa” e il Pd “una scatola vuota non più competitiva”. “Mi rivolgo agli Italiani delusi da questa politica, fra loro ci sono moderati che avevano creduto in Renzi ma il PD non è più competitivo, è una scatola vuota, divisa e senza possibilità di vittoria. Il M5S è una setta pericolosa. L’unico voto utile siamo noi”, ha dichiarato Berlusconi. “Abbiamo perso troppo tempo con questi governi di sinistra che non abbiamo votato. L’Italia non può più aspettare, ha bisogno di un governo capace di prendere subito provvedimenti per le tante emergenze che ci sono nel nostro paese”, ha proseguito il leader di Forza Italia.

Nel corso dell’intervista, Silvio Berlusconi ha parlato poi del programma di coalizione e della Flat Tax che intende introdurre una volta al governo: “La Flat Tax è la colonna portante del nostro programma: funziona benissimo in tutti i Paesi che l’hanno applicata e porterà doni a tutti, soprattutto ai più deboli. Con la Flat Tax chi guadagna poco non pagherà più nessuna tassa, mentre i ceti medi pagheranno molto meno, i grandi capitali avranno una ragione per rimanere in Italia: mai più un’azienda come l’Embraco se ne potrà andare all’estero mettendo sul lastrico i lavoratori italiani e le loro famiglie”, ha dichiarato a Studio Aperto.

Per quanto riguarda gli altri punti di programma, Silvio Berlusconi è tornato a parlare delle misure per le fasce più deboli della popolazione: “Per i più deboli abbiamo pronti degli interventi immediati: reddito di dignità, pensioni minime a mille euro anche per le mamme, tasse e decontribuzione per le imprese che assumono un giovane disoccupato”. Il leader di Forza Italia è ormai convinto di avere la vittoria in tasca e infatti già questa mattina ha dichiarato di non aspettarsi sorprese dal voto: “Non mi aspetto sorprese dal voto, ci sarà un’affermazione importante di Forza Italia e del centrodestra: sento in giro intorno a me affetto, vicinanza e sostegno che mi fanno pensare a uno splendido risultato”.

fonte: https://www.fanpage.it/berlusconi-m5s-e-una-setta-pericolosa-il-pd-una-scatola-vuota-il-voto-utile-siamo-noi/