Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte

 

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Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte

Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte. L’Air Force di Renzi, l’Airbus fortemente voluto da Matteo Renzi, dal valore di 6,4 milioni di euro è costato ai coglioni Italiani 168 mln di euro. Insomma, 26 volte il suo prezzo di mercato!

Centosessantotto milioni di euro, spalmati in otto anni. E’ questo il costo, ventisei volte superiore rispetto il suo prezzo di mercato (6,4 milioni di euro), del cosiddetto “Air Forze Renzi”, l’Airbus che era stato fortemente voluto dall’allora governo Renzi, istituendo un leasing per i voli di Stato, anche se non fu mai usato dall’allora Presidente del Consiglio.

A rivelare le cifre è in esclusiva “Il Fatto Quotidiano”, con un articolo firma di Daniele Martini, che mette in fila una serie di documenti (fatture e contratti) firmati tra la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi (Etihad), Alitalia e il ministero della Difesa.

Nell’articolo, estremamente dettagliato, vengono messi in fila una serie di elementi, attorno a questo “affare”, che potrebbero anche ravvisare degli estremi di reato. In primo luogo vengono ipotizzati “strani giri di denaro” dove qualcuno, tanto in Italia quanto negli Emirati Arabi, “potrebbe essersi messo in tasca un bel po’ di soldi”.
Quel mega pagamento, secondo il Fatto, potrebbe anche rientrare in uno scambio di favori tra le due compagnie, Alitalia ed Ethiad, dal momento che quest’ultima era appena diventata socia della stessa Alitalia proprio grazie all’intervento di Renzi.
Il quotidiano ricorda come “poco tempo prima della stipula dell’accordo per l’Air Force, la compagnia di Fiumicino aveva emesso un’obbligazione per un importo quasi identico a quello del leasing, circa 200 milioni di dollari, interamente sottoscritti da Etihad”. Quindi quel leasing da 168 milioni spalmati in otto anni sarebbe un modo per restituire agli arabi il sostegno per salvare la compagnia. Il tutto, però, alle spalle dei contribuenti italiani anche perché quegli accordi furono di fatto secretati sotto l’egida del “segreto di Stato”.

La terza ipotesi avanzata dal giornale diretto da Marco Travaglio è che “coloro che a Roma trattarono la partita con il fiato sul collo del capo del governo, in particolare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, e il consigliere militare di Renzi, generale Carlo Magrassi, non riuscirono a impedire che Etihad facesse un facilissimo gol a porta vuota”.

E’ risaputo che nel 2018 venne posto fine all’intero affare grazie all’intervento del manager aeronautico Gaetano Intrieri, ovvero il soggetto che avrebbe messo a disposizione del “Fatto Quotidiano” le carte del caso.
Tra le scoperte di Intrieri vi è il rinvenimento di un doppio contratto – uno tra Alitalia ed Ethiad e l’altro tra Alitalia, il dicastero della Difesa, il Segretariato generale della Difesa e la Direzione degli armamenti aeronautici.

Intrieri, nel frattempo divenuto collaboratore del precedente governo gialloverde (che infine annullò il contratto), scoprì che un Airbus gemello di quello voluto dall’allora Premier Renzi – modello A340-500 Etihad – valeva 7 milioni di dollari (pari a 6,4 milioni di euro). Inoltre, contrariamente a quanto previsto dalle norme, il manager scoprì che per l’aereo non era stata bandita alcuna gara internazionale e che era stato sottoposto a una registrazione civile e non militare.

Tanti elementi, dunque, che adesso sono al vaglio sia della Procura della Repubblica di Civitavecchia che dei giudici contabili della Corte dei Conti.
Oggi il Signor Renzi, piaccia o non piaccia, fa parte della maggioranza di questo governo giallorosso. La speranza è che il Premier Conte abbia contezza di quanto accaduto in ogni su parte, e che possa agire di conseguenza così come l’eroe pistolero, interpretato da Clint Eastwood nel celebre film di Sergio Leone“Per un pugno di dollari”, agì per difendere il proprio “mulo” dalle angherie dei criminali che poco prima gli “avevano sparato tra le gambe”.

“Il mio mulo si è offeso per i quattro colpi sparati tra le zampe e pretende le scuse. Fate molto male a ridere. Al mio mulo non piace la gente che ride – recitava Eastwood – Ha subito l’impressione che si rida di lui. Ma se mi promettete di chiedergli scusa, con un paio di calci in bocca ve la caverete”.
Il “mulo”, in questo caso, sono tutti quei cittadini onesti che “caricano le provviste sulle spalle, lavorano e pagano le tasse. Il Signor Renzi è come uno di quei criminali che si spartivano la città di San Miguel. E’ come il cattivo Ramón Rojo (nel film interpretato splendidamente da un grandissimo Gian Maria Volonté). Come lui merita di essere “preso a calci in bocca”, o meglio, essere espulso dalla maggioranza di governo. Anche a costo di tornare a nuove elezioni. Ovviamente se tutto quello che ha svelato “Il Fatto Quotidiano” sarà confermato dalle indagini della magistratura.

La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani – Nient’altro che una truffa statistica per il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri…

 

 

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La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani – Nient’altro che una truffa statistica per il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri…

 

La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani

Il capo della polizia Franco Gabrielli reitera il luogo comune per cui gli stranieri, in percentuale, commettono più reati degli italiani. Una truffa statistica, questa, che nel corso degli anni ha dato il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri. Una truffa smentibile in tre semplici mosse. Prima tra tutte, il crollo dei reati all’aumentare degli stranieri.

“I dati sulla criminalità ci dicono che, da 10 anni, c’è un trend in calo complessivo dei reati. Ma c’è anche, negli ultimi anni, un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati”. Così il capo della polizia Franco Gabrielli, intervenendo al Festival delle Città a Roma ha reiterato uno dei più grandi luoghi comuni del dibattito politico italiano: quello di una correlazione tra l’aumento degli stranieri nel nostro Paese e il numero dei reati commessi.

Un luogo comune, ma sarebbe meglio parlare di una bufala conclamata, o – ancora meglio – di una truffa statistica. Grave, perché altera le percezioni dell’opinione pubblica, inquina il dibattito politico e porta a conclusioni che giustificano persino la violazione della Costituzione o dei più basilari diritti umani: ad esempio, se gli stranieri sono più delinquenti di noi, se con l’immigrazione importiamo criminalità, chiudere i porti è uno strumento difensivo, a tutela della nostra sicurezza. No? No.

Primo: perché gli stranieri non fanno aumentare la criminalità. Intendiamoci, magari nemmeno la fanno diminuire. Semplicemente, sono due variabili indipendenti l’una dall’altra. Per dire, dal 2011 a oggi il numero degli stranieri residenti è aumentato del 16% e il numero di reati complessivi denunciati è diminuito di circa il 10%. Allo stesso modo, i reati hanno continuato a diminuire anche quando gli sbarchi dei richiedenti asilo si sono drasticamente ridotti, come nel corso degli ultimi due anni. Non solo: tra il 2003 e oggi l’arrivo di quattro milioni di migranti non ha prodotto, come ci viene raccontato, un aumento del tasso di detenzione, che si è anzi ridotto di un terzo, scendendo dall’1,16% allo 0,40%

Due: perché gli immigrati regolari commettono, in percentuale, lo stesso numero di reati degli italiani.  Sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati per i vari delitti, quelli senza permesso di soggiorno sono quasi il 70% per le lesioni volontarie, il 75% per gli omicidi, l’85% per i furti e le rapine. In altre parole, non è l’etnia, né la provenienza, né il background culturale che definisce il problema. Al contrario, è la clandestinità, l’impossibilità di poter avere un lavoro, una casa, un sostegno al reddito in quanto irregolari. Clandestinità, peraltro, che per effetto della legge Bossi-Fini è di per se, un reato. Banalizzando, potremmo dire che chiunque sia clandestino delinque per il solo fatto di esserlo.

Tre: perché il più grande fattore di recidività di un reato è il carcere. I dati raccontano infatti che il tasso di recidiva sia del 68,4% tra coloro che hanno scontato una pena in carcere e solo del 19% tra coloro che hanno scontato una pena in misura alternativa. Semmai il problema è che gli stranieri, soprattutto per le pene di breve entità, quelle fino ai cinque anni di reclusione, finiscono in carcere molto più degli italiani. Il rapporto si inverte, per le pene dai cinque anni in su, laddove il numero di italiani carcerati supera quello degli stranieri.

Ricapitolando, quindi, caro capo della polizia Franco Gabrielli. L’aumento degli stranieri in Italia non c’entra nulla con l’aumento della criminalità, anche perché più aumentano gli stranieri, più la criminalità diminuisce, semmai. La clandestinità e l’impossibilità di comminare agli stranieri misure alternative al carcere, invece, c’entrano un po’ di più. E allora forse bisognerebbe abolire il reato di immigrazione clandestina o aumentare le pene alternative al carcere aiuterebbe a risolvere il problema. Magari a dirla così, oggi avremmo qualche razzista in meno convinto che chiudendo le frontiere saremmo tutti più sicuri. E magari pure qualche decreto che nel nome della sicurezza discrimina gli stranieri. Che ne dice?

tratto da: https://www.fanpage.it/politica/la-grande-bufala-degli-stranieri-che-commettono-piu-reati-degli-italiani/
http://www.fanpage.it/

 

 

 

 

4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

 

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4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

Quanti conoscono la storia dell’eccidio di Kos, la cosiddetta “piccola Cefalonia”? Quanti sanno che nel 1943, in quell’isola greca del Dodecaneso, nel Mar Egeo, che allora era dominio italiano, furono trucidati 103 ufficiali italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti?

L’eccidio di Coo, o eccidio di Kos, fu un crimine di guerra perpetrato dall’esercito tedesco al comando del generale Friedrich-Wilhelm Müller ai danni dell’esercito italiano commesso tra il 4 ed il 7 ottobre 1943 sull’isola di Coo, che a quel tempo era territorio italiano, essendo parte del Dodecaneso. 103 ufficiali italiani vennero fucilati come rappresaglia per la resistenza opposta all’invasione tedesca dell’isola (la cosiddetta battaglia di Coo, parte della campagna del Dodecaneso).

Una documentazione sull’eccidio è stata ritrovata nel 1994 all’interno del cosiddetto armadio della vergogna.

Tra il 4 e il 6 ottobre i 148 ufficiali italiani catturati (che facevano parte del 10º Reggimento fanteria “Regina”, comandato dal colonnello Felice Leggio) subirono un processo sommario sotto la direzione di Müller, a conclusione del quale si decise che tutti gli ufficiali che avevano partecipato alla battaglia del 3 e 4 ottobre sarebbero stati fucilati (tale criterio peraltro non fu applicato molto rigorosamente, per esempio tra i condannati vi fu anche il veterinario dell’esercito, che non aveva avuto alcun ruolo nella difesa dell’isola).

Alla fine, dei 148 ufficiali, sette passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, dieci furono ricoverati in ospedale per poi essere trasferiti in Germania, mentre gli altri 103 furono fucilati dai militari della Wehrmacht a partire dalla sera del 4 ottobre fino al 7.

 

Fabrizio Greco morto nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano, l’ultimo (purtroppo solo in ordine cronologico) omicidio da sfruttamento…!

 

 

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Fabrizio Greco morto nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano, l’ultimo (purtroppo solo in ordine cronologico) omicidio da sfruttamento…!

FCA Piedimonte San Germano, l’ultimo omicidio  da sfruttamento

Alle prime ore di martedì 1° ottobre nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano a Cassino è stato perpetrato l’ennesimo omicidio sul lavoro. Fabrizio Greco, addetto alla manutenzione, è stato schiacciato da una pressa a freddo che si era bloccata, lavorando cioè a un’operazione pericolosa che andava attuata rispettando le norme e le procedure di messa in sicurezza dei mezzi e delle parti, impedendo che questi colpiscano l’operaio addetto agli interventi a elevato rischio.
Non ci si può rassegnare all’omicidio  di questo giovane lavoratore. Mentre esprimiamo cordoglio alla famiglia, esprimiamo tutta la nostra rabbia nei confronti degli alibi e delle parole di circostanza che sempre si levano in queste occasioni. Questi omicidi hanno dei responsabili  e sono legati a condizioni di sfruttamento che vanno combattute e rimosse.
Lo stabilimento di Piedimonte San Germano nel tempo è stato colpito pesantemente da ristrutturazioni e tagli, e in questi giorni FCA ha chiesto altre ore di CIG.  In questi casi, prima di attivare la CIG, le aziende serrano i ritmi per saturare gli impianti e rispettare le commesse in chiusura. I tempi quindi si stringono, le macchine devono andare ad ogni costo e ci si deve sbrigare a rimettere a posto i macchinari. Quest’omicidio poteva accadere in qualsiasi stabilimento FCA e del suo indotto, dove le condizioni di sicurezza sono ancora più drammatiche.
Nel gruppo FCA c’è un solo livello contrattuale: il CCSL che al suo interno prevede ritmi di lavorazione che saturano oltre il 95% le operazioni dei lavoratori, cui si aggiunge il taglio delle pause di 10 minuti che ha portato l’aumento di 6 giorni lavorativi… senza aumento di salario.
Denunciamo la struttura e l’inefficacia della Commissione Sicurezza che in FCA vede al suo interno RLS e rappresentanti aziendali di FIM e UILM ed è convocata dal Presidente ossia un uomo scelto dall’azienda. L’USB con scioperi e iniziative da sempre denuncia le condizioni durissime dei lavoratori interni ed esterni, una condizione che nonostante il calo di ore lavorate a causa della CIG, vede l’aumento costante dei lavoratori con ridotte capacità lavorative.
Negli stabilimenti del gruppo FCA molte attività sono svolte da ditte che con appalti al ribasso acquisiscono attività centrali come: manutenzione, controllo qualità, approvvigionamento delle linee, logistica. L’USB ha denunciato la condizione dei lavoratori delle ditte in appalto sottoposti a orari estenuanti, con salari bassi, con le ferie in molti casi gestite dal padroncino di turno e dove c’è mancanza di sicurezza a partire dai DPI.
Dietro l’omicidio di un lavoratore, non c’è mai casualità, piuttosto c’è l’organizzazione del lavoro che mette al centro il profitto e c’è la mancanza di un’efficace struttura di prevenzione e controllo.  In questo caso la dinamica, e la situazione dispotica che rende i lavoratori più ricattabili, ci dice che questo è l’ennesimo omicidio da sfruttamento.
Lunedì 23 l’USB ha partecipato al tavolo ministeriale sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro, in quella sede abbiamo denunciato che le condizioni dei lavoratori sono peggiorate proprio a causa di leggi, come il Jobs Act, le normative inapplicate, i contratti vergognosi siglati da CGIL, CISL e UIL, l’allungamento dell’età pensionabile, e i tagli agli enti di prevenzione e controllo che hanno messo le aziende in una condizione di forza e di arbitrio nei confronti dei lavoratori.
La difesa della salute e della sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente ci vedrà sempre più impegnati a organizzare conflitto e conoscenza e difesa degli interessi dei lavoratori e del territorio.

tratto da: http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2019/10/01/fca-piedimonte-san-germano-lultimo-omicidio-da-sfruttamento-0119193?fbclid=IwAR0qIHitvtXBevzk5FLLeBo7eoJ3Ivqk6h29H_Rv7C8cnXyTciDDIguW2uY

Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

 

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Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

B. e Dell’Utri mandanti? Non mi stupisco

di Antonio Ingroia
La notizia dell’indagine su B. e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ’93 è stata accolta dai politicanti, Renzi in testa, con fastidio o addirittura stupore. Io, al contrario, sono stupito dallo stupore, e quindi provo a fare un’operazione “memoria”, visto che alcuni fatti sono noti da decenni e altri, che hanno imposto la nuova indagine, sono più recenti. La ricostruzione della strategia stragista, emersa da anni di indagini e processi a Palermo, Firenze, Caltanissetta e Reggio Calabria, è quella consacrata in sentenze, anche definitive, che dicono che si trattava di stragi a moventi e mandanti “multipli”, ove la mafia militare ebbe un ruolo non solo esecutivo, ma che un ruolo determinante lo ebbero soprattutto quei “mandanti esterni”, quelle “menti raffinatissime”, come le chiamava Giovanni Falcone, fino a oggi non identificati con sentenze, ma più volte indagati sulla base di elementi probatori che negli anni si sono stratificati.

È accertato che l’accordo di reciproco supporto stipulato dalla mafia con i referenti tradizionali, la Dc andreottiana in testa, si era usurato e andava ristrutturato, di pari passo al processo di ristrutturazione del quadro politico, a cavallo fra Prima e Seconda Repubblica. E siccome la mafia “ristruttura” i propri rapporti a suon di bombe e omicidi, tutto era iniziato con il delitto Lima e l’azzeramento dei rapporti con la Dc, per proseguire con le stragi di Falcone e Borsellino, premesse per intavolare una “trattativa” e ricontrattare analogo accordo con un soggetto politico “nuovo”. È materia già accertata nel processo Dell’Utri, che ho seguito da pm dal 1997 al 2004, sette lunghi anni di un’istruttoria assai approfondita, che Dell’Utri fin dal 1992 si prodigò per il nuovo soggetto politico che poi fu Forza Italia, naturale approdo nel 1994 col primo governo B.

E siccome bisognava “convincere” con tutti i mezzi B. a scendere in campo per accogliere i desiderata del Sistema Criminale, è più che sostenibile, sulla base delle prove finora acquisite, che la mafia, assieme a Dell’Utri, definito nel processo come “l’ambasciatore di Cosa Nostra alla corte di B.”, abbia ritenuto Maurizio Costanzo come un ostacolo, così come tanti altri consiglieri di B. del tempo contrari alla sua discesa in campo, per realizzare il “piano”. Bisognava dare un segnale a B. perché capisse e un attentato a Costanzo era il modo migliore per farlo: contava che B. capisse, anche perché qualcuno a lui vicino glielo avrebbe spiegato, e che nessun altro comprendesse il vero movente del delitto. E chi meglio dunque di Maurizio Costanzo che aveva dato fastidio con i suoi programmi antimafia? Ed è significativo, come ha dichiarato Costanzo a Marco Lillo, che B., subito dopo l’attentato, gli raccomandò di “stare attento”. Quindi B. aveva ben capito l’avvertimento.

E ci sono poi le rivelazioni di Giuseppe Graviano prima a Gaspare Spatuzza, che le racconta in aula, e poi a un detenuto in carcere mentre viene intercettato, che spiega che le stragi furono “una cortesia” chiesta da B. e che nel gennaio 1994 occorreva il “colpo di grazia” per mettere definitivamente sottosopra il Paese e così favorire B. che qualche giorno dopo, il 26 gennaio, annuncia la sua discesa in campo. A quel punto i giochi sono fatti, e si può rinunciare all’attentato all’Olimpico, il più terribile progettato ma fallito il 23 per un guasto del telecomando. Dopo il 26 non serve più, perché, come diceva trionfalmente Graviano, con B. “loro”, gli stragisti, si stavano “mettendo l’Italia nelle mani”.

Ce n’è abbastanza per riaprire l’indagine su B. e D.U. come mandanti di quella stagione da cui è nata la politica dei decenni successivi. Verrebbe da ridere a sentire le dichiarazioni di Renzi e C., ma non c’è da ridere. È stato versato tanto sangue innocente, che attende giustizia, in quel tragico biennio da cui è nato tutto.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Mai analisi fu più puntuale – Il Prof. Francesco Erspamer docente di Letteratura Italiana a Harvard: “Maria Elena Boschi rappresenta il più emblematico prodotto del renzismo: il vuoto assoluto che per diventare visibile si riempie di cazzate”

 

Maria Elena Boschi

 

 

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Mai analisi fu più puntuale – Il Prof. Francesco Erspamer docente di Letteratura Italiana a Harvard: “Maria Elena Boschi rappresenta il più emblematico prodotto del renzismo: il vuoto assoluto che per diventare visibile si riempie di cazzate”

Francesco Erspamer – Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill.

«Maria Elena Boschi rappresenta il più emblematico prodotto del renzismo: il vuoto assoluto che per diventare visibile si riempie di cazzate, ossia di affermazioni buttate lì senza preoccuparsi se siano vere o false, con noncuranza e indifferenza, tanto il loro scopo (diceva il filosofo Harry Frankfurt) non è realizzare un progetto o affermare un’ideologia ma rendere tutto insignificante».

Così il professor Francesco Erspamer su Facebook:

Maria Elena Boschi rappresenta il più emblematico prodotto del renzismo: il vuoto assoluto che per diventare visibile si riempie di cazzate, ossia di affermazioni buttate lì senza preoccuparsi se siano vere o false, con noncuranza e indifferenza, tanto il loro scopo (diceva il filosofo Harry Frankfurt) non è realizzare un progetto o affermare un’ideologia ma rendere tutto insignificante. Me l’ero quasi scordata; rieletta nel 2018 nel collegio blindato di Bolzano grazie alla connivenza della Südtiroler Volkspartei, era però scomparsa in seguito alla batosta subita dal Pd e alla marginalizzazione di Renzi. Ora è risorta, tornata prepotentemente sulle prime pagine dei quotidiani come ogni altro politico legato a Italia viva, presumo in nome di quella par condicio che viene sistematicamente ignorata per il M5S.
L’argomento sul quale oggi era indispensabile dare rilevanza al suo parere è la tassa sulle merendine. Boschi si oppone, naturalmente, e se avesse spiegato che la funzione di Italia viva è boicottare il governo di cui pure fa parte, non avrei avuto da ridire; à la guerre comme à la guerre. Invece la sua spiegazione è stata che bisognerebbe piuttosto educare i bambini a mangiare meglio; come se una cosa escludesse l’altra e come se la tassa non fosse stata pensata proprio per sensibilizzare dei consumatori altrimenti plagiati dalla pubblicità martellante.
Insostituibile, Boschi, per rivelare il modus operandi del liberismo selvaggio. Nella fattispecie, il suo massimalismo e il suo individualismo: far finta di volere il meglio, irraggiungibile se non nel tempo, per ostacolare concreti miglioramenti immediati ma che potrebbero danneggiare qualche multinazionale, di quelle che per il profitto dei loro ricchissimi investitori stanno distruggendo l’ambiente e danneggiando la salute pubblica; e rifiutare qualsiasi intervento normativo dello Stato con il pretesto che le decisioni spettano solo agli individui e che in sostanza tutti debbano poter fare quello che gli pare – lo Stato serve solo a gestire le emergenze causate da tale irresponsabilità e pagare i danni provocati dai privati per arricchirsi (vedi autostrade).
La tragedia è che c’è chi condivide questa retorica, nella Lega e purtroppo anche nel M5S. Non fatevi illusioni: il partito dello spreco, del consumismo compulsivo, dell’appiattimento sul presente e sulle esigenze immediate, della resa nei confronti della finanza globalista, è fortissimo, sostenuto da tutti i media, da quasi tutti gli intellettuali, dai miliardari, dalle loro corporation. Sconfiggerlo o anche semplicemente costringerlo a rallentare il suo saccheggio delle ultime risorse naturali e sociali disponibili, sarà difficile. Proprio non possiamo permetterci di affrontarlo divisi, incerti o confusi; neanche se da piccoli le merendine ci piacevano tanto e non c’era niente di male a mangiarle e vorremmo far finta che si possa continuare a farlo.

tratto da: https://www.facebook.com/frerspamer/posts/2366389083477634

Lega primo partito in Italia? Leggete questo e capirete perché: “L’Italia? Il paese più ignorante di tutta Europa (e dodicesimo nel mondo)”

 

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Lega primo partito in Italia? Leggete questo e capirete perché: “L’Italia? Il paese più ignorante di tutta Europa (e dodicesimo nel mondo)”

L’Italia? Il paese più ignorante di tutta Europa (e dodicesimo nel mondo)

L’Italia? Il paese più ignorante d’Europa. A stabilirlo è l’annuale classifica di IPSOS Mori che mette il Belpaese al 12esimo posto nel mondo, ma primo in Europa nella “misperceptions”, ovvero nella “percezione erronea”. Vediamo di cosa si tratta.

Ogni anno, l’IPSOS Mori, azienda inglese di analisi e ricerca di mercato, stila una classifica, la “Perils of Perception”, letteralmente “Pericoli della Percezione” per stabilire quali siano i popoli più ignoranti al mondo attraverso delle domande che riguardano diversi aspetti della vita.

Per ogni nazione vengono arruolate 11mila persone che diventano il campione d’indagine. A loro vengono sottoposte delle domande per capire la loro percezione della realtà su determinati argomenti; incrociando poi le risposte, si ottiene una classifica dei popoli più ignoranti.

La parola ignoranza quindi non è strettamente legata al livello di istruzione, quanto al rapporto che alcune persone hanno su problemi chiave della società. Infatti, le domande non sono di cultura generale, ma sulla realtà che li circonda.

Facciamo qualche esempio. Viene chiesto agli intervistati se gli omicidi nel proprio paese sono aumentati o diminuiti rispetto al 2000.
“Solo una piccola minoranza di persone pensa che il tasso di omicidi sia diminuito nonostante ciò sia vero”, si legge nel rapporto.

O ancora viene chiesto se dopo l’11 settembre ci siano stati più o meno attacchi terroristici
“Pochissime persone pensa che gli attacchi siano in numero minore, nonostante questo rappresenti la realtà”, si legge ancora.

Ci sono poi domande sulla percezione dell’immigrazione e ancora sulla percentuale di adolescenti che rimangono incinte.
“Tutti i paesi sopravvalutano il numero di nascite di bambini che nascono da teenager perché il rapporto è uno su cinque”.

Si parla ancora di vaccini e autismo, di diabete e perfino sul consumo di zucchero. Per esempio, molti nominano Gran Bretagna e Francia tra i paesi che ne consumano di più assieme agli Stati Uniti, nonostante questi due paesi abbiano un consumo bassissimo. Ancora, rapporto con l’alcol, numero di suicidi, qualità della vita, smartphone, numero di veicoli e infine domande sull’esistenza o meno di paradiso e inferno.

Quello che ne viene fuori è che gli italiani nella maggior parte dei casi hanno una percezione sbagliata della realtà e tendono a crearsi un mondo parallelo e ciò potrebbe anche derivare dall’uso inconsueto che si fa dei social e del fatto che ormai non si riesca più a distinguere notizia falsa da notizia vera.

Fonte GreenMe

E voi vi meravigliate che la Lega è il primo partito in Italia? Il partito con a capo Salvini che ha convinto mezza Italia che il nostro problema sono i migranti? Che tutti i nostri problemi si potrebbero risolvere chiudendo i porti e sparando a chi ci sta sulle palle?

Gente, rendiamoci conto, siamo un paese di ignoranti…!

Nazifascismo, quelle le stragi impunite per preservare le relazioni italo-tedesche – Decine di migliaia di vittime che non avranno mai giustizia, ancora sacrificate, questa volta all’altare della politica…

 

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Nazifascismo, quelle le stragi impunite per preservare le relazioni italo-tedesche – Decine di migliaia di vittime che non avranno mai giustizia, ancora sacrificate, questa volta all’altare della politica…

Molti, tanti, troppi eccidi dei nazifascisti non sono stati oggetto di alcuna indagine. I casi furono archiviati per non danneggiare le relazioni italo-tedesche. E aspettano ancora giustizia.

Parliamo di circa 5.550 episodi solo in Italia (poi vi è una lunga lista di massacri avvenuti fuori confine), compresi nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945, con oltre 23.000 morti, perlopiù civili, con altissime percentuali di anziani, donne e bambini…

La verità sui crimini nazifascisti ha fatto e fa ancora paura. Non si può spiegare altrimenti quello che è successo al tribunale militare di Roma tra la fine degli Novanta e l’inizio del nuovo secolo e che è raccontato in uno studio della storica Isabella Insolvibile .

Stiamo parlando delle decine di migliaia di italiani (civili e militari) trucidati dai tedeschi e dai fascisti in Italia e all’estero e delle centinaia di processi chiusi per decenni nell’archivio segreto scoperto nel 1994 nelle stanze della procura generale militare. Franco Giustolisi, che per primo ne parlò sull’Espresso, lo definì l’ “Armadio della vergogna” e in un libro con questo titolo ne descrisse nel dettaglio il contenuto.

Nell’armadio della vergogna vi erano 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente” nel 1960 e dalle intestazioni capaci di evocare, al solo leggerle, terrore, sangue, morte: Cefalonia, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine… Sono le stragi impunite, nascoste per decenni perché la ricerca dei responsabili non interferisse nella costruzione dei nuovi rapporti italo-tedeschi.

L’armadio venne aperto, molti processi celebrati, decine di condanne all’ergastolo comminate. Sembrava, insomma, che la giustizia avesse fatto qualche passo. Anche se con decenni di ritardo, anche se nessun criminale ha fatto poi un solo giorno di prigione.

Lo scrupoloso lavoro della Insolvibile (Archiviazione “definitiva”, la sorte dei fascicoli esteri dopo il rinvenimento dell’armadio della vergogna, in Giornale di storia contemporanea, XVIII, 1,. 2015) dimostra invece che quell’armadio, in realtà, è rimasto in parte chiuso perché molti fascicoli sono stati aperti solo formalmente per poi essere richiusi frettolosamente, senza reali indagini.

Tra il 1994 e il 1995, dopo la scoperta dell’armadio, le carte vennero mandate alle procure militari competenti ma i processi “sono stati istruiti e si sono svolti perlopiù solo dal 2003 a oggi: su 695 fascicoli rinvenuti, infatti, le più di 300 indagini istruite e portate a compimento sono state effettuate quasi tutte dalla procura militare di La Spezia tra il 2002 e il 2008, da quella di Verona dal 2008 al 2010 e da quella di Roma dal 2010 a oggi. Limitandosi a un computo banale, c’è evidentemente un buco lungo almeno 8 anni, che va dal 1994 al 2002-2003”.

CEFALONIA ARCHIVIATA – La Insolvibile ha concentrato il proprio studio sui cosiddetti “casi esteri”. Sono gli eccidi di militari italiani compiuti dalle truppe tedesche subito dopo l’8 settembre, soprattutto nelle isole greche, nei Balcani, nei campi di prigionia. Il caso più famoso è quello dell’ isola di Cefalonia dove i soldati della divisione Acqui, che si rifiutarono di arrendersi, vennero sterminati. Ed è da Cefalonia, per capire concretamente quello che è successo negli uffici giudiziari militari romani, che parte la Insolvibile. “La documentazione relativa alla strage avvenuta nell’isola ionica”, scrive, “spettava, per competenza, alla procura militare di Roma. A capo di tale procura c’era, fino al 2010, colui che è unanimemente considerato lo “scopritore” dell’archivio segreto, Antonino Intelisano, che rinvenne i fascicoli durante le indagini del 1994 relative al caso Priebke.

L’indagine di Intelisano su Cefalonia partì però solo nel 2007, dopo le sollecitazioni provenienti dalla stampa, da un’assai opinabile decisione della corte di Monaco di Baviera (nel 2006 aveva archiviato l’inchiesta su Cefalonia per prescrizione, ndr) e da un’istanza presentata da alcuni parenti delle vittime”. L’unico indagato, l’allora sottotenente Otmar Mühlhauser, venne rinviato a giudizio nel 2009, ma poco tempo dopo morì e l’indagine condotta dalla procura romana si concluse. “Sarebbe stato solo il successore di Intelisano, Marco De Paolis, a riprendere in mano il caso, includendo sottufficiali e truppa tra i possibili responsabili, e portando finalmente Cefalonia in aula, con la condanna all’ergastolo (in contumacia) del caporale Störk nell’ottobre 2013”.

NOMI SBAGLIATI – Ma Cefalonia, scrive Isabella Insolvibile, non è l’unico caso “a ricevere un’attenzione quanto meno frettolosa e inadeguata”. Ha contato 41 episodi riconducibili ai “casi esteri” e sui quali “era ancora necessaria un’indagine e possibile un processo” in 26 dei quali vi erano “i nomi di alcuni dei presunti responsabili”. Solo per 18 di questi si è tentato un “qualche tipo di indagine” che non ha portato a nulla. Come nel caso delle stragi di Kos (vennero uccisi almeno 89 ufficiali italiani, ndr) e Leros (almeno 12 morti) il cui percorso giudiziario dopo il 1994 è ricostruito dettagliatamente nel saggio. L’allora pubblico ministero militare Intelisano chiede l’archiviazione del fascicolo quasi subito, nel 1995, per prescrizione. Ma il giudice respinge la richiesta ricordando che si tratta di reati imprescrittibili. Dopo otto mesi parte la prima lettera per la Germania con la richiesta, tra l’altro, di individuare un generale, Friedrich Wilhelm Muller , di cui si fornisce un nome errato e di cui era nota l’esecuzione ad Atene nel 1947. Le ricerche, ovviamente, non ebbero esito, e così il 12 ottobre 1999 Intelisano chiede nuovamente l’archiviazione del fascicolo intestato a “Muller Franz Ferdinando” che questa volta venne concessa.

Sorte simile a quella di Kos-Leros anche per gli altri fascicoli sui casi esteri dell’armadio della vergogna di competenza della procura romana e analizzati da Isabella Insolvibile. Le statistiche che si ricavano dalla dettagliata appendice, che analizza i procedimenti uno per uno, dimostrano a sufficienza la “frettolosa e inadeguata attenzione” riservata alle indagini sui massacri dei soldati italiani. I procedimenti per i quali non è stata svolta alcuna attività di indagine (in tutto 22) sono stati archiviati entro il 1996 (ad eccezione di un fascicolo archiviato nel 1999). Gli altri 18, per i quali qualche indagine, del tipo di quelle fatte per Kos e Leros, sono state svolte, sono stati archiviati nel 1999. Ma con una singolare concentrazione dei provvedimenti in pochi giorni. La procura della Repubblica militare chiede l’archiviazione dei 18 procedimenti in 11 giorni: per cinque l’8 ottobre 1999, per otto il 12 e per gli ultimi cinque il 19 ottobre. Il giudice per le indagini preliminari risponde con grande velocità. Archivia 11 procedimenti il 5 novembre, sei il 9 novembre e solo per uno la decisione slitterà al 28 luglio del 2000. Insomma tra l’8 ottobre e il 9 novembre 1999 è come se un’anta dell’armadio della vergogna si fosse richiusa, negando ancora una volta giustizia a migliaia di morti.

AUTORIZZAZIONE NEGATA – Alla procura militare di Roma, dopo l’assegnazione, tra il 1994 e il 1995, dei processi alle procure competenti, non restarono solo i fascicoli sui casi esteri ma anche quelli sulle stragi di centinaia e centinaia di civili massacrati dai nazifascisti nel centro Italia durante il periodo dell’occupazione. Per tentare di capirne la sorte avevo chiesto personalmente e formalmente, al Gip militare di Roma, il permesso di visionare i fascicoli archiviati da anni. La procura militare, guidata adesso da Marco De Paolis, aveva dato parere positivo spiegando che non sussiste “alcun impedimento”. Il gip Isacco Giorgio Giustiniani ha invece rigettato la richiesta perché “generica, relativa alla totalità degli atti, di una serie sostanzialmente indeterminata di procedimenti”. Eppure la richiesta non era per nulla generica, era accompagnata dall’elenco dettagliato dei processi fornito ufficialmente dalla procura. Processi su stragi famose e sanguinose su cui segreti e riservatezza dovrebbero essere spariti da tempo.

Ma cosa è successo alle indagini su queste stragi? Incrociando l’elenco fornito dalla procura e gli atti della commissione parlamentare che indagò sull’occultamento dei fascicoli si capisce facilmente come anche i fascicoli sui “casi italiani” abbiano subito la sorte dei quelli studiati da Isabella Insolvibile. Ricorrono, ad esempio, le stesse date. Il 5 novembre 1999, il giorno in cui il gip firma l’archiviazione di 11 “casi esteri” viene archiviato anche il fascicolo 536 relativo a fatti avvenuti a Capistrello e lo stesso giorno cade il silenzio anche su omicidi commessi a Tagliacozzo, sempre nell’aquilano. Tre anni prima ci fu un altro giorno di grande attività per il gip militare di Roma. Il 18 aprile 1996 archivia senza nessuna attività investigativa, come documenta la Insolvibile, quattro “casi esteri”. Lo stesso giorno, verosimilmente anche in questi casi senza nessuna attività investigativa, torna la pietra tombale sulla strage di Calvi, in Umbria (12 morti), di Tolfa, in provincia di Roma (quattro morti), dell’Aquila (nove morti).

NESSUNA VERITA’ – Tutto questo dimostra che l’archivio segreto scoperto nel 1994, l’armadio della vergogna, alla fine non è mai stato aperto del tutto. In poco più di un lustro quasi un terzo dei fascicoli che vi erano contenuti sono tornati a chiudersi dopo nessuna indagine o dopo indagini come quelle descritte. Proprio come se, davvero, la verità su quei crimini facesse ancora paura e rischiasse di creare tensioni nei rapporti tra Italia e Germania.

Conclude il suo saggio Isabella Insolvibile: “Il lavoro giudiziario che avrebbe dovuto essere fatto sulle stragi riscoperte, avrebbe potuto creare problemi, oltre a rappresentare un onere notevole per uno Stato, il nostro, da sempre a corto di risorse. Si scelse, quindi, di dichiarare la prescrizione e in ogni caso di archiviare, trasformando così una decisione illegale quale quella dell’archiviazione provvisoria in una sentenza storica definitiva, chiusa dal sigillo di una formale legalità”.

tratto da: http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/04/news/stragi-nazifasciste-quei-fascicoli-archiviati-dell-armadio-della-vergogna-1.223928

Fascismo, abbiamo perso la memoria? “La memoria vogliono farla perdere a te” – Le parole di Ferruccio Laffi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto. Parole dure come pietra, che dovremmo riascoltare tutti i giorni e farle ascoltare ai nostri figli nelle scuole…

 

Ferruccio Laffi

 

 

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Fascismo, abbiamo perso la memoria?  “La memoria vogliono farla perdere a te” – Le parole di Ferruccio Laffi, sopravvissuto alla strage di Marzabotto. Parole dure come pietra, che dovremmo riascoltare tutti i giorni e farle ascoltare ai nostri figli nelle scuole…

Intervista a Ferruccio Laffi sopravvissuto alla strage di Marzabotto dell’aprile 2019.

Ferruccio Laffi ha 91 anni e nessuna voglia di dimenticare. È uno dei pochissimi superstiti, rimasti ancora in vita, della strage di Marzabotto. Una serie di rappresaglie dei nazifascisti che tra il 29 settembre 1944 e i primi di ottobre hanno portato alla morte di 775 persone. Le truppe di Walter Reder hanno fatto terra bruciata di donne, anziani e bambini di una intera zona, quella di Monte Sole, dove era nata la brigata Stella Rossa, diretta dal comandante Musolesi, detto Lupo.

Ferruccio Laffi racconta di come sia avvenuta la strage a Marzabotto e di come lui si sia salvato dai nazifascisti: “Sapevamo che cercavano gli uomini, io a 16 anni mi consideravo un uomo così mi sono nascosto nel bosco”. Quando a sera non ha sentito più nulla è sceso giù, verso casa con i fratelli, “c’erano 18 persone ma non c’era nessuno. Pensavamo li avessero portati via, invece li avevano uccisi tutti. C’era un uomo nudo, ranicchiato, era mio padre. Gli hanno fatto vedere lo spettacolo e hanno ucciso anche lui”.

Ecco cosa è stato il fascismoAbbiamo perso la memoria? “Adesso abbiamo un ministro degli interni – Matteo Salvini – che non riconosce la Liberazione. Queste persone qui non è che hanno perso la memoria. La memoria vogliono farla perdere a te”. “Io lo so cosa vuol dire essere liberati, essere liberi di poter dire quello che pensi, le tue ragioni. Quando c’era il duce potevi dire solo viva il duce altrimenti ti davano l’olio di ricino”, racconta Ferruccio Laffi. 

 

fonte: https://www.michelesantoro.it/2019/04/ferruccio-laffi-fascismo-marzabotto/?fbclid=IwAR2DB8h3AhZjfVrQ2EdWaASf3fmr27lmSBcEo2z79LltmobfFLDXd0rzQjg

29 settembre – 5 ottobre 1944, la strage nazifascista di Marzabotto. 1834 vittime. 216 erano bambini, la più piccola aveva solo 27 giorni …Però hanno fatto anche cose buone…!

 

Marzabotto

 

 

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29 settembre – 5 ottobre 1944, la strage nazifascista di Marzabotto. 1834 vittime. 216 erano bambini, la più piccola aveva solo pochi giorni …Però hanno fatto anche cose buone…!

L’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto, dal maggiore dei comuni colpiti) fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un’operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa. La strage di Marzabotto è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale.

Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana. (Salvatore Quasimodo)

Kesserling fu il mandante di una strage che nessun’altra superò per dimensioni e per ferocia.
L’esecutore si chiamava Walter Reder. Era un maggiore delle SS soprannominato «il monco» perché aveva lasciato l’avambraccio sinistro a Charkov, sul fronte orientale. Kesserling lo aveva scelto perché considerato uno «specialista» in materia.
Al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», il «monco» portò avanti la sua “eroica” azione spalleggiato da elementi delle Brigate nere e con l’aiuto dei collaborazionisti in camicia nera.

A Marzabotto alcune SS parlavano un italiano perfetto: erano italiani. (Un sopravvissuto)

La mattina del 29 settembre ha inizio quella che verrà ricordata come la “strage di Marzabotto“, anche se in realtà i comuni interessati sono molti. Prima di muovere l’attacco ai partigiani, le SS accerchiano e rastrellano numerosi paesi: in località Caviglia i nazisti interrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano, a Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108.

Le truppe si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate: nessuno viene risparmiato.

Anche nei comuni lo sterminio procede senza sosta; sono distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini.

L’azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre: i partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante, Mario Musolesi, durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe delle SS.

Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1834 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari.

Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane.

Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all’ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all’intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso.

Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l’identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all’azione penale per motivi di opportunità politica internazionale.

I collaborazionisti italiani – Per i fatti di Marzabotto ci fu anche una coda processuale italiana. Prima della condanna del maggiore Reder, nel 1946, la corte d’assise di Brescia aveva giudicato Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, due repubblichini (il primo, reggente del Fascio di Marzabotto, nonché commissario prefettizio durante la carneficina), per collaborazione, omicidio, incendio e devastazione. Mingardi ebbe la pena di morte, poi trasformata in ergastolo. Il secondo, 30 anni, poi ridotti a dieci anni e otto mesi. Tutti e due furono successivamente liberati per amnistia.

Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.