Dal 2018 in Vaticano vietato vendere sigarette… Perchè c’è vizio e vizio: NO al fumo, ma si proteggono i pedofili!

 

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Dal 2018 in Vaticano vietato vendere sigarette… Perchè c’è vizio e vizio: NO al fumo, ma si proteggono i pedofili!

 

Così il Vaticano protegge i preti pedofili

Alti prelati del Vaticano, italiani e stranieri. Molto vicini a papa Francesco. Che per anni hanno insabbiato le violenze sessuali sui minori da parte degli orchi con la tonaca. Le nuove rivelazioni su responsabilità, silenzi e omertà

Tre cardinali che hanno protetto sacerdoti pedofili sono stati promossi nel C9, il gruppo di nove alti prelati che assistono papa Francesco nel governo della Chiesa Universale. Altre quattro porpore italiane e straniere che non hanno denunciato predatori seriali e che hanno cercato di proteggere le casse della Chiesa dalle richieste di risarcimenti alle vittime, sono ascesi sulla cima della scala gerarchica della Santa Sede. In Italia, Spagna, Francia, Belgio e Sud America altri vescovi insabbiatori sono stati premiati con incarichi importanti, o graziati di recente con sentenze canoniche discutibili.

Insomma, se il Vaticano ha dichiarato da tempo guerra aperta ai crimini sessuali dei suoi preti nei confronti di bambini e ragazzine («una battaglia cruciale, che va vinta ad ogni costo», ha detto e ripetuto papa Francesco fin dall’inizio della sua elezione al soglio petrino) a quasi quattro anni dall’inizio del pontificato di Bergoglio la lotta mostra più di una crepa. Non solo per alcune nomine che appaiono sorprendenti, ma anche perché il fenomeno degli orchi in tonaca continua ad avere numeri impressionanti: tra il 2013 e il 2015 fonti interne alla Congregazione per la dottrina per la fede spiegano che sono arrivate dalle diocesi sparse per il mondo ben 1200 denunce di casi “verosimili” di predatori e molestatori di minorenni.

Un numero praticamente raddoppiato rispetto a quelli rilevati nel periodo che va dal 2005 al 2009: il trend dimostra come il cancro non è stato affatto estirpato.

Se delle denunce, delle vittime e dei carnefici non si sa praticamente nulla (ancora oggi i processi canonici sono sotto segreto pontificio, e chi tradisce la regola del silenzio rischia pene severissime, scomunica compresa), e se la commissione antipedofilia voluta da Francesco si è riunita in sede plenaria solo tre volte dalla sua nascita nel 2014 senza essere riuscita nemmeno a inserire nelle norme vaticane l’obbligo di denuncia alla magistratura ordinaria, in “Lussuria” (Feltrinelli) si raccontano storie inedite di insabbiamenti di altissimi prelati in tutto il mondo, di scandali sessuali coperti dal Vaticano per timore di ripercussioni mediatiche, del sistema di protezione messo in piedi in Italia e di lobby ecclesiastiche unite dagli interessi economici e dalle medesime inclinazioni sessuali.

L’UOMO NERO IN VATICANO

La storia di George Pell è emblematica. Il cardinale australiano è stato chiamato da Francesco a Roma con l’intento di “moralizzare” la corrotta curia romana. Pell, oggi, è il capo della potente Segreteria dell’Economia. Di fatto, il numero tre del Vaticano. Leggendo le carte della Royal Commission che sta indagando sui preti pedofili, i documenti riservati della vecchia diocesi della porpora, i bilanci della chiesa australiana e alcune lettere firmate dal prelato e dai suoi avvocati, non sembra che Bergoglio abbia puntato sull’uomo giusto. Non solo perché da qualche mese è accusato da cinque persone di aver commesso lui stesso abusi sessuali tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta (il cardinale smentisce ogni responsabilità, con sdegno), ma perché troppe volte, di fronte a crimini sessuali di sacerdoti, negò alle vittime giustizia e compassione pur riconoscendo la veridicità delle loro denunce. Come scrive la commissione d’inchiesta, «mancò di agire equamente da un punto di vista cristiano». È certo che Pell cercò di minimizzare le violenze e di proteggere in ogni modo la cassaforte della sua diocesi dalle richieste di risarcimento dei sopravvissuti.

I documenti dei giudici dell’organismo voluto dal governo australiano sono un pugno nello stomaco. Partiamo dal caso della famiglia Foster. Davanti alla tragedia dei genitori Anthony e Christine, le cui figlie Emma e Katie sono state violentate da bambine dal preside della loro scuola cattolica don Kevin O’ Donnell, Pell ha prima tentato di evitare ogni incontro faccia a faccia («se incontro la famiglia Foster poi dovrò incontrare anche le altre. Il mio tempo è molto limitato. Perché sono diversi dagli altri casi?», si chiede nel 1996 in una lettera spedita ai suoi avvocati), poi ha provato a chiudere la faccenda con un risarcimento di appena 50 mila dollari australiani, pari a 30 mila euro. La signora Foster ha raccontato ai giudici che durante il primo incontro a casa loro, Pell – di fronte alle rimostranze del marito che accusava l’allora arcivescovo di voler proteggere il portafoglio della Chiesa – rispose secco: «Se non ti va bene quello che siamo facendo, portaci in tribunale». «In un secondo incontro con altri genitori di piccoli abusati da padre O’ Donnell» si legge negli atti della commissione «la signora Foster ricorda che davanti a una domanda su perché alcuni noti pedofili servivano ancora nelle parrocchie di Melbourne, l’arcivescovo Pell rispose: «È tutto un pettegolezzo, finché non ci sono prove in tribunale; e io non do ascolto ai gossip».

Il 26 agosto del 1998 Pell spedisce finalmente una lettera di scuse ai Foster, accompagnandola con l’offerta formale di risarcimento a favore della piccola Emma, formulata dall’avvocato di fiducia dell’arcidiocesi Richard Leder. Trentamila euro. «L’indennizzo è offerto dall’arcivescovo a Emma nella speranza che possano aiutare il suo recupero e fornire un’alternativa realistica a un contenzioso legale. Nel quale, altrimenti, ci difenderemo strenuamente». Ai genitori delle piccole, leggendo la missiva, sale la rabbia: sia per la cifra umiliante, sia per la minaccia – in caso di mancata accettazione della proposta – di «difendersi strenuamente». «Ammetto che sia stata un’espressione poco felice, ma credo che certe espressioni vadano lette in maniera non offensiva», ha detto Pell in un interrogatorio del 2014.

SENZA MISERICORDIA
I Foster, alla fine, si rassegnano. I soldi sono davvero pochi, ma li prendono. Serviranno a poco: nel 2008 Emma si è infatti suicidata con una dose letale di eroina, che le farà dimenticare per sempre le mani e gli occhi del suo vecchio preside.

Trentamila euro, o meglio 50 mila dollari australiani, sono in realtà l’offerta massima consentita dal sistema di risarcimento creato dal braccio destro di Francesco, il cosiddetto “Melbourne Response”. Un tetto innalzato a 75 mila euro nel 2008. Analizzando i dati contabili dell’arcidiocesi della città si scopre che tra il 1996 e il marzo del 2014 le circa trecento vittime che hanno chiesto i danni per le violenze dei sacerdoti hanno ottenuto in media 32 mila dollari a testa, circa 20 mila euro. Il prezzo di una Fiat 500 accessoriata.

Una miseria, anche perché l’arcidiocesi guidata fino al 2001 da Pell (nel marzo di quell’anno fu promosso vescovo di Sydney) è ricchissima. Controlla infatti due società, la Roman Catholic Trust Corporation e la Catholic Development Fund, che hanno in pancia contanti, proprietà immobiliari come appartamenti e palazzi, e fanno investimenti azionari e obbligazionari a sette zeri. Sommando il valore delle entrate, solo nel 2013 sono stati incassati, tra profitti finanziari e beneficenza dei fedeli, oltre 108 milioni di dollari australiani, mentre gli asset attualmente controllati dall’arcidiocesi valgono quasi 1,3 miliardi. Esatto: 1,3 miliardi di dollari. In pratica, per chiudere i fastidiosi contenziosi sulla vicenda pedofilia dei preti della città, Pell e i suoi successori hanno rinunciato a una cifra complessiva di appena 10 milioni di dollari australiani, pari allo 0,7 per cento del patrimonio della diocesi.

Qualche anno dopo aver accettato i soldi per le cure di Emma, i Foster decidono però di capire se la giustizia terrena sia meno avara di quella divina, e aprono un procedimento civile di fronte allo Stato di Victoria. Che capovolge la filosofia del Melbourne Response, riconoscendo come le cifre dei risarcimenti debbano essere molto più alte: alla fine della causa la Chiesa è costretta ad accettare una mediazione pagando i Foster ben 750 mila dollari.

Quello di Emma non è l’unico caso che imbarazza Pell. Tra le decine di migliaia di carte della Royal Commission ci sono anche i documenti e i verbali che provano come la sua diocesi, mentre lesinava aiuto alle vittime, non faceva mancare sostegno ai prelati pedofili usciti di prigione. Il successore di Pell, l’arcivescovo Denis James Hart famoso in Australia per aver scacciato una donna che voleva denunciare un’aggressione sessuale di un prete con l’epiteto «Vai all’inferno, cagna!», in un interrogatorio ha ammesso che la diocesi di Melbourne ha speso centinaia di migliaia di dollari per aiutare ex preti pedofili pagando loro sia lo stipendio sia l’affitto, la pensione, l’assicurazione sanitaria e persino quella dell’automobile.

Un documento interno del 2 ottobre 1996 segnala come Pell abbia presieduto una riunione dove lui e alti prelati discussero come poter aiutare tre preti (tra cui don Michael Glennon) dopo il loro rilascio dalla prigione. «Punto 15. Ipotesi su come aiutare i preti che stanno uscendo di galera» si legge nel verbale dell’incontro «Possibilità di un posto (appartamento indipendente) nel palazzo di Box Hill. Padre McMahon ha parlato di cure mediche necessarie, ed è stato invitato dall’arcivescovo Pell a far presente cosa serve alla loro assistenza». Se padre Wilfred Baker, che ha molestato 21 bambini, ha ricevuto dalla curia tra pensione e spese per l’affitto 21 mila dollari l’anno fino al 2014, (il massimo della pensione possibile, ha notato il giornale “The Age”), Desmond Gannon e David Daniel, anche loro condannati per crimini sessuali, hanno subito una semplice decurtazione della busta paga. I giudici hanno poi scoperto che una serie di giroconti finanziari per aiutare il pedofilo Gannon fu orchestrata in modo tale che «difficilmente la notizia dell’aiuto sarebbe diventata di dominio pubblico». Per la cronaca, i denari per aiutare i preti australiani caduti in disgrazia sono stati prelevati dal Fondo pensione del clero, che è per gran parte finanziato dai contributi dei parrocchiani. Tra loro, paradossalmente, c’erano anche alcune famiglie degli abusati.

INSABBIAMENTI
Ma il cardinale promosso da Francesco ha altri scheletri nell’armadio: ha protetto l’orco seriale Gerald Risdale (suo ex coinquilino, negli atti della Royal Commission spunta una foto che ritrae Pell a braccetto con il maniaco: nonostante le pesanti accuse aveva deciso di accompagnarlo alla prima udienza del processo; è un fatto che né Pell né altri vescovi cattolici abbiano mai accompagnato in tribunale le vittime dei loro colleghi predatori), né ha voluto ascoltare un ragazzo che lo avvertì come un sacerdote, Edward Dowlan, avesse abusato di alcuni ragazzini di un collegio cattolico di Ballarat, la città natale del cardinale («Mi disse: “Non essere ridicolo”, uscendo dalla stanza senza degnarmi di altre attenzioni» mette a verbale il testimone Timothy Green, «la sua reazione mi ha dato l’impressione che lui conoscesse fratello Dowlan, ma che non potesse o volesse fare nulla a riguardo»).

Non è tutto. Il ministro economico del Vaticano avrebbe anche tentato di corrompere una vittima («mi chiese cosa volessi per tenermi tranquillo», racconta il nipote abusato di padre Risdale. «Chiamai sconvolto mia sorella dicendogli: Il bastardo ha cercato di corrompermi»), e ha mentito per iscritto almeno su un altro caso di pedofilia, in modo da evitare di pagare risarcimenti alla vittima. Nonostante accuse circostanziate, decine di testimonianze durissime e documenti che dimostrano insabbiamenti e leggerezze, Pell è stato sempre protetto dal Vaticano, e fa tuttora parte del C9, il gruppo dei nove cardinali nominati dal pontefice in persona per aiutarlo nel governo della Chiesa Universale.

Il suo non è l’unico caso di promozioni discutibili. Strettissimo collaboratore del papa è infatti Francisco Errazuriz, anche lui chiamato a far parte dell’inner circle del pontefice. Ex arcivescovo di Santiago del Cile e oggi pezzo da novanta della Santa Sede, è stato protagonista, insieme al suo successore Ricardo Ezzati e al nuovo vescovo di Osorno Juan Barros Madrid, dello scandalo di padre Fernando Karadima. Un prete, per stessa ammissione del cardinale, che ha formato tre generazioni di prelati cileni. Una sorta di “santo vivente” per quasi tutta l’alta borghesia e il clero di Santiago che però, secondo le accuse di quattro uomini, dei giudici ordinari e perfino della Congregazione per la dottrina della Fede, nascondeva dietro l’aureola un’altra faccia. Quella di un criminale seriale che ha distrutto vite di giovani adolescenti.

L’inchiesta del giudice istruttore Jessica Gonzales è sintetizzata in un documento di 84 pagine dove vengono ricostruite le fasi dell’inchiesta interna della curia cilena, e mostrano il tentativo – da parte di Errazuriz – di evitare lo scandalo allungando a dismisura i tempi dell’istruttoria: nonostante il cardinale fosse stato avvertito delle violenze di Karadima già nel 2003, Errazuriz manderà il fascicolo a Roma solo nel 2010, quando ormai le vittime – che non erano riuscite ad ottenere giustizia dal loro vescovo – avevano deciso di raccontare le violenze pubblicamente.

Errazuriz spiega a verbale di non aver mai creduto alle accuse, ma schernisce chi lo indica, in patria, come un insabbiatore. Di certo nel 2006, dopo aver “sospeso” l’inchiesta interna che altri pezzi della sua curia volevano portare avanti, chiese a don Karadima di farsi da parte. Ma solo per raggiunti limiti di età. «Caro Fernando» si legge in una missiva privata pubblicata da un giornale cileno «la celebrazione per i suoi cinquant’anni di sacerdozio sarà un grande anniversario, nessuno potrà dire che non sia stato celebrato come si conviene…». Il giudice penale alla fine dell’istruttoria ha confermato le violenze, ma ha dovuto prescrivere i reati. La Congregazione ha condannato Karadima «a una vita di preghiera». Nel 2013 si è aperta una causa civile contro l’arcidiocesi di Santiago su cui pendono richieste di risarcimento da parte di quattro vittime pari a 450 milioni di pesos.

Insieme a Pell e ad Errazuriz, nel C9 c’è anche Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del gruppo e uno dei cardinali più ascoltati dal papa. In pochi sanno che tra il 2003 e il 2004 la porpora ospitò in una delle diocesi sotto il suo arcivescovado di Tegucigalpa, in Honduras, un prete incriminato dalla polizia del Costarica per abusi sessuali. Un latitante, don Enrique Vasquez, braccato dall’Interpol fin dal 1998: dopo una fuga tra Nicaragua, New York, Connecticut e una casa di cura per preti in Messico, don Enrique si rifugerà per qualche mese anche a Guinope, dove diventa parroco di una parrocchia sotto il controllo dell’arcivescovado di Maradiaga. Il reporter Brooks Egerton, racconta che riuscì al tempo ad intervistare il segretario di Maradiaga per il Dallas Morning News, che non negò affatto la presenza del pedofilo, ma minimizzò solo il ruolo pastorale. L’attuale cardinale, invece, non volle mai rispondere alle sue domande. «Secondo un agente del’Interpol che intervistai, i funzionari della diocesi si resero conto di avere un problema con don Enrique, e così si liberarono di lui», azzarda Egerton. Maradiaga però è uno che non si nasconde, e non hai mai avuto sul tema alcun pelo sulla lingua: un anno prima dell’arrivo di Vasquez nella sua diocesi, in una conferenza pubblica a Roma spiegò che lui, anche di fronte a un sacerdote accusato di pedofilia, sarebbe stato «pronto ad andare in prigione piuttosto che danneggiare uno dei miei preti… Per me sarebbe una tragedia ridurre il ruolo di pastore a quello di poliziotto. Non dobbiamo dimenticare che siamo pastori, e non agenti dell’Fbi o della Cia».

Tra le porpore che hanno fatto strada “Lussuria” racconta anche le contraddizioni di Timothy Dolan, arcivescovo di New York che come capo della Conferenza episcopale statunitense che ha dato l’ok a pagare dal 2007 al 2015 parcelle da ben 2,1 milioni di dollari a favore di importanti società di lobbying con l’obiettivo – ovviamente non dichiarato – di bloccare, o quanto meno modificare, l’approvazione di una proposta di legge dello Stato che prevede l’abolizione della prescrizione per le vittime della pedofilia.

Ma omertà e i silenzi hanno caratterizzato anche il comportamento del cardinale francese Philippe Barbarin e dell’italiano Domenico Calcagno, e fedelissimi di Francesco come monsignor Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Bruxelles messo da Bergoglio in cima alla lista dei padri sinodali: possibile che il papa non conoscesse le imbarazzanti intercettazioni (mai pubblicate in Italia) con cui il porporato tentava di proteggere un vescovo lussurioso? È un fatto che documenti originali e testimonianze dimostrano come nell’anno di grazia 2017 il sistema attraverso cui la gerarchia ecclesiastica protegge le mele marce, nonostante qualche blando tentativo di scardinarlo, funziona ancora a pieno regime.

fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/01/12/news/cosi-il-vaticano-protegge-i-preti-pedofili-1.293368

 

Pier Luigi Boschi: scoperti conti cointestati con un camorrista. Ma state sereni, garantisce la figlia: anche il camorrista è una persona perbene!

 

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Pier Luigi Boschi: scoperti conti cointestati con un camorrista. Ma state sereni, garantisce la figlia: anche il camorrista è una persona perbene!

 

Nuovi guai per la Boschi: scoperti conti del padre cointestati con un uomo vicino ai clan

I grandi giornali precisano che Pier Luigi Boschi non è indagato, ma raccontano nel dettaglio l’ennesima tegola sulla famiglia del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. E anche stavolta, di mezzo, ci sono le banche, dei conti correnti sospetti scoperti dagli inquirenti che indagano nell’ambito dell’inchiesta sul riciclaggio dei beni del clan camorristico Mallardo. Mario Nocentini, imprenditore edile vicino al clan Mallardo, di stanza a Montevarchi, paesino in provincia di Arezzo, risulta titolare di decine di conti correnti di cui due — aperti presso la Banca del Valdarno — risultano cointestati anche a Boschi. «Oltre ai 19 arresti scattati due giorni fa che hanno portato in carcere il boss Francesco Mallardo e il cognato Antimo Liccardo, sono stati sequestrati beni per oltre 50 milioni di euro. Il gip ha negato il blocco delle proprietà di Nocentini, ma le verifiche degli investigatori proseguono proprio per ricostruire ogni passaggio di denaro e così individuare la provenienza delle somme. I Mallardo sono proprietari di un impero che spazia in diverse regioni, tra cui la Toscana. In provincia di Arezzo contano tra l’altro su una società, la Valdarno Costruzioni, e su alcune ditte che fanno parte della stessa galassia. Il ruolo di Nocentini emerge proprio da questi controlli….», scrive il Corriere della Sera.

La Procura di Napoli ha scoperto che Nocentini ha quote in nove società ed è titolare di ben 39 conti correnti. “Di questi sette, intestati alle aziende e sui quali ha la delega ad operare, risultano aperti presso Banca Etruria”. Due di questi conti, entrambi presso la Valdarno, sarebbero cointestati con papà Boschi. “Il primo, numero 604906, risulta intestato anche a Paolo Amerighi, Roberto Amerighi, Giuliano Scattolin e Pierluigi Maddii. Riguarda un investimento effettuato molti anni fa per un campeggio e secondo alcune verifiche effettuate servirebbe in particolare a pagare il mutuo ancora acceso. Boschi, avrebbero spiegato gli altri soci, fu coinvolto quando era dirigente della Coldiretti. L’altro deposito, numero 603551, è invece intestato soltanto a Nocentini e Boschi e sarebbe stato utilizzato per alcuni affari immobiliari che hanno effettuato insieme”, dettaglia ancora il Corriere della Sera.

fonte: http://www.secoloditalia.it/2017/11/nuovi-guai-per-la-boschi-scoperti-conti-del-padre-cointestati-con-un-camorrista/

Missioni di pace con armi radioattive? Per gli Stati Uniti é normale. E dall’Iraq alla Siria, una lunga scia di “pace” e bambini deformi!

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Missioni di pace con armi radioattive? Per gli Stati Uniti é normale. E dall’Iraq alla Siria, una lunga scia di “pace” e bambini deformi!

 

USA: Armi radioattive in Iraq, lasciando bambini deformi. Usate anche in Siria.

Durante le prime tre settimane del conflitto in Iraq del 2003, l’esercito statunitense ha commesso crimini di guerra eclatanti con armi radioattive. Anche se il Pentagono ha promesso di non usare mai questa tecnologia, il comando militare è andato avanti nel conflitto in Iraq del 2003, a distribuire missili carichi di uranio impoverito. Più di 2.000 tonnellate di questi rifiuti radioattivi e tossici son cascati in testa al popolo iracheno. Le ripercussioni radioattive dell’uranio impoverito  continueranno ad affliggere il popolo iracheno per molti anni a venire. Gli effetti sulla salute già si sono dimostrati sui soldati americani e non solo, anche sui nostri soldati, si parla di Cancro.

Secondo una nuova rivelazione dal Comando Centrale USA (CENTCOM), le stesse armi sono state utilizzate nei raid aerei nel novembre 2015 nelle province di Deir ez-Zor e Hasakah nella Siria orientale. Questa rivelazione contraddice una dichiarazione di marzo 2015, emessa dallo stesso  Comando Centrale degli Stati Uniti: “noi e gli aerei della coalizione non abbiamo e non useremo  munizioni all’uranio impoverito in Iraq o in Siria”. (Come no? poi lo avete ammesso! Criminali di guerra!)

Secondo il portavoce CENTCOM, il maggiore Josh Jacques, nel novembre 2015,  l’uranio impoverito è stato utilizzato è anche in gran quantità, per eliminare 350 convogli carichi di petrolio di proprietà dello Stato islamico. I danni di questo materiale radioattivo non si fermano quando il “nemico muore”, le ripercussioni durano per molti anni.

L’uranio impoverito è utilizzato nella fabbricazione di armi nucleari e come combustibile per i reattori nucleari. Questo materiale, in esclusiva per gli Stati Uniti e il Regno Unito, è usato in missili per perforare efficacemente la blindatura di un bersaglio. Nel corso dei due conflitti in Iraq, gli Stati Uniti hanno scatenato decine di migliaia di tonnellate di questa porcheria sul popolo iracheno. Hanno inquinato notevolmente il suolo e l’acqua di queste terre per molti anni a venire. L’uranio è una sostanza altamente tossica, se inalata o ingerita, ed è  direttamente collegata a difetti di nascita, infertilità, e tutti i tipi di cancro.

Le ripercussioni non solo affliggono gli iracheni, ma anche tutti i soldati che ritornano dalle missioni. Abbiamo pubblicato un articolo qualche settimane fa che parlava appunto di questo: 4.000 militari italiani malati di cancro.
Che dire? Grazie Stati Uniti per tutto il male che avete causato per l’imperialismo, e in molti vi considerano eroi…bel modo di fare gli eroi complimenti.

fonte: La mia parte intollerante

Gli schiavi che lavorano da mezzanotte all’alba

 

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Gli schiavi che lavorano da mezzanotte all’alba

Spesso stranieri. Lavorano di notte. Prendono 5,16 euro all’ora. Lordi. Se si lamentano perdono il posto. Ma grazie a loro i supermercati sono aperti h24. Bella comodità, no?

C’è un momento della notte, imprecisato ma non per questo meno inesorabile, in cui i supermercati romani si sincronizzano sul fuso di Manila. Al Carrefour di Tor Vergata, periferia meridionale della metropoli, succede a mezzanotte. Chiudono le porte alla clientela, ma le spalancano a una squadra di sei filippini dai venti ai trent’anni, piccoli di statura ma instancabili, che sgattaiolano dentro in maglietta rossa aziendale per farli sembrare ciò che non sono. In quello di viale Ciamarra, aperto h24, ne trovi altri chini sulle carcasse di bancali che hanno appena liberato dal cellophane a estrarre biscotti, tonno e sapone liquido per lavastoviglie da sistemare ognuno al suo posto. Ne avvicino un paio invano: o non parlano italiano o fingono per evitare grane. Altri ancora sono febbrilmente all’opera al quartiere Alessandrino non si sa da quanto, oppure al Pigneto o al Villaggio Olimpico.

All’ultimo controllo sul sito del gruppo francese che ha introdotto l’apertura notturna in Italia nel 2012 sono 183 i punti vendita dove non tramonta mai il sole. Un boom che di recente ha spinto, nella capitale come altrove, anche chi non fa il tempo pieno a spostare in avanti le lancette della chiusura. Di questo passo l’ultima zona de-commercializzata della giornata sarà presto espugnata. Con la schizofrenia tipica del tardo capitalismo, da consumatori brindiamo per la maggiore comodità, mentre da cittadini rabbrividiamo quando scopriamo la retribuzione oraria degli scaffalisti asiatici che rendono possibile l’acquisto non-stop. Cinque euro e sedici dice la busta paga che ho davanti agli occhi. Che per un turno di quattro ore ne fa venti lordi con i quali, sì e no, potranno comprare i barattoli e le scatolette che sistemano in un minuto. Se la cosa non vi impressiona in assoluto, apprezzatela meglio in termini relativi: per fare lo stesso lavoro un vero dipendente dell’azienda prenderebbe circa il doppio. Grande distribuzione, grandissima ingiustizia.

Tu consumatore non lo sai, vedi addetti in divisa e pensi che tutti dipendano dal logo che hanno stampigliato all’altezza del cuore, ma non è così. Che imbocchi un corridoio o un altro, ti metta in fila a una cassa o in quella accanto, puoi incrociare valvassori, valvassini o servi della gleba. I primi sono gli assunti (paga oraria media 10 euro, straordinari, notturno, ferie). I secondi gli interinali, che per legge dovrebbero prendere quanto i primi ma in verità portano a casa sugli 8 euro (niente anzianità, niente straordinario). I terzi quelli delle cooperative, con paghe variabili dai 7 ai 5 euro, parliamo di lordo, no malattia, no quasi niente e se ti lamenti tanti saluti e avanti un altro. Judito, il filippino ventinovenne che incontro al McDonald’s di via Trionfale, rifugio con aria condizionata e wifi gratuito di tanti naufraghi metropolitani, appartiene all’ultima classe. Dice: «Negli ultimi due anni ho lavorato per due diverse cooperative trovate su Infojobs.it. Scaffalista per Conad e per Carrefour. Scarico la merce dal camion, la tolgo dai pallet, la carico sugli scaffali facendo la rotazione a seconda delle scadenze. Per 7 mila colli serve una squadra di cinque-sei persone. Per 10 mila otto».

È veloce, gli fanno i complimenti, così a un certo punto fa notare che 5 euro e 50 sono proprio pochini. Almeno lo spostassero in un punto vendita più vicino casa, che è un aumento indiretto in moneta di tempo perso. Prima dicono di sì poi, l’impudenza va sanzionata, ci ripensano e gli offrono una sede ancora più lontana. Così trova un’altra cooperativa che di euro gliene dà 6,50, con lo straordinario al 20 per cento e un piccolo premio per il notturno. È felice sin quando non si accorge che il caporeparto pugliese fa fare tutto a lui e agli altri suoi connazionali mentre, sostiene, gli italiani se la prendono comoda ed escono per fumare. Sua moglie lavora tutto il giorno come domestica e spetta a lui portare alla materna il figlio di cinque anni che ora siede davanti a me fiero della sua maglietta di Spider-Man. «Devo lavorare di notte per guardarlo, ma sono bravo e posso far meglio di così» motiva le sue ultime dimissioni. Su internet ha prenotato due colloqui con altrettante agenzie interinali ed è fiducioso che la sua vita migliorerà presto.

Valeria, nome di fantasia come la maggior parte degli altri, è già una «somministrata» ma non per questo si fa illusioni. Fa la cassiera in orari variabili dalle 20 alle 3 del mattino in una cittadina ligure e vengo a sapere della sua storia perché manda una richiesta di aiuto a Francesco Iacovone, dell’Unione Sindacati di Base, mentre mi fa da guida nel primo dei miei tour Supermarket-by-night. Quanto deve essere acuto il disagio affinché una quarantenne inequivocabilmente sana di mente mandi un WhatsApp dopo mezzanotte a un sindacalista con fama di combattività? Mi racconta dei suoi contratti, comunicati anch’essi via WhatsApp di settimana in settimana, orari inclusi. Del fatto che la maggiorazione notturna del 50 per cento dei colleghi assunti, per lei si ferma al 15 («Basta considerare come ordinarie le ore notturne»). Dello stress di dover correre a cambiare il rotolo delle etichette della bilancia quando finisce, o a dare la chiave a chi non riesce a entrare in bagno, quando sei l’unica in negozio assieme alla guardia e agli scaffalisti che, però, non devono avere contatti col pubblico.

L’episodio più indigesto riguarda un cliente che, seccato per aver dovuto aspettare qualche minuto nella fascia oraria dove osa solo Marzullo, le ha detto con disprezzo «dovresti ringraziare di avere un lavoro»: «Io non devo ringraziare proprio nessuno, se non me, per questo lavoro di merda che ho». Ma il motivo per cui ha scritto a Iacovoni è che il caporeparto le ha appena negato due settimane di ferie: «Ovviamente non pagate: solo uno stacco dopo un anno e mezzo, per prendere fiato col mio compagno che lavora anche lui da Carrefour ma di giorno, così non ci vediamo mai». Non può permettersi il rischio di trovare al rientro un’altra al posto suo ma neppure vuole correre quello, a forza di chinare la testa, di finire per strisciare.

Gianni Lanzi, della Filcams Cgil, ne ha viste troppe per meravigliarsi. Contesta in radice l’allargamento dell’orario («Ma sul serio, chi ha l’impellente bisogno di farsi una carbonara alle 4 di notte?») e denuncia «la disumanizzazione del lavoro» quando due che fanno la stessa identica cosa prendono uno la metà dell’altro. Per darmi la misura del Far West mi racconta anche di grosse catene romane che avrebbero praticamente solo personale che gli arriva via cooperative e che poi si vantano di laute elargizioni alla Caritas. O di fuoriusciti dalla Carrefour che avrebbero aperto cooperative che poi intrattengono con la ex alma mater relazioni preferenziali. È sempre lui ad aiutarmi a decrittare la busta paga di Judito: «Com’è possibile dargli così poco? Perché il contratto collettivo che gli applicano è quello Cisal, uno di quelli che noi definiamo contratti pirata» («Accusa infamante» è la risposta, però la vera infamia continuano a sembrarmi i 5,16 euro). Tant’è che Aneta, altra cooperativa altro contratto, di base ne prende 7,23 che è poco ma tanto di più. Però, da quando ha denunciato i suoi capi, non fa più vita: «Prima i turni erano settimanali, ora arrivano giorno per giorno. Così devi essere sempre pronta all’alba, anche se alla fine lavori di notte. E il responsabile bestemmia, mi umilia in pubblico: è diventato insopportabile!».

 L’ufficio stampa di Carrefour, dal canto suo, è stato gentile e inutile in parti uguali. Gli ho chiesto un censimento di dipendenti, interinali e cooperativi, con relative differenze salariali, e mi ha risposto che «ovviamente tutti i lavoratori sono inquadrati anche da un punto di vista retributivo sulla base del contratto di riferimento aziendale». Ovviamente. È stato anche molto dettagliato su un progetto per valorizzare i prodotti lattiero-caseari piemontesi e su un «format gourmet (tipo Eataly) per privilegiare piccole produzioni autoctone». Ha rivendicato che le aperture notturne fanno lavorare ogni giorno centinaia di «giovani che vogliono arrotondare» (termine che andrebbe abolito per sempre) «e disoccupati che trovano un modo per guadagnare di più rispetto a un lavoro simile diurno» (magari). Infine ha aggiunto che in ogni caso le cooperative «devono rispettare precise regole e codici dell’azienda». Al che mi sono permesso di domandargli se questi codici fossero compatibili con i cinque euro e spiccioli, curiosità che lo ha letteralmente ammutolito.

Christian Raimo, in uno sterminato, magistrale e raro reportage sul tema, stima in 3.000 i lavoratori delle coop rispetto ai 20 mila assunti Carrefour. Il muro di gomma aziendale mi ha fatto tornare in mente uno spot della Conad, sapidamente parodizzato, con la moglie di un socio Conad che aspetta invano nel parcheggio perché l’abnegazione dell’uomo è tale che, dalle sette quando doveva uscire, non si farà vivo che due ore dopo. E anche un passaggio di 24/7 (Einaudi) il saggio in cui Jonathan Crary racconta l’assalto del capitalismo al sonno: «L’enorme quantità di tempo che trascorriamo dormendo, affrancati da quella paludosa congerie di bisogni artefatti, rappresenta uno dei grandi atti di oltraggiosa resistenza degli esseri umani alla voracità del capitalismo contemporaneo». Una resistenza che, a quanto pare, stiamo perdendo.

 C’è chi preferisce minimizzare, negando la novità del fenomeno: «I medici, gli infermieri, i poliziotti, i vigili del fuoco e i camerieri l’han sempre fatto». Iacovone, il sindacalista di base, sul suo sito si è dato la briga di risponder loro confrontando salari e  condizioni complessive. Il punto è che la somma di due torti non fa mai una ragione (dovrebbero guadagnare meglio anche loro). E che nella grande distribuzione notturna la caratteristica di servizio pubblico essenziale scolora. Tanto vale far notare che siamo in buona compagnia. In The Fissured Workplace David Weil segnala che oggi in America un lavoratore su tre non è assunto dall’azienda che corrisponde al marchio del prodotto.

Apple, per dire, a fronte a 63 mila dipendenti ha 750 mila contractors. Se le vendite del prossimo iPhone andranno meno bene del previsto, indovinate chi saranno i primi a saltare? Non c’è bisogno di licenziarli, basta non riassumerli. Magari con un iMessage gratuito. Quanto ai filippini non mi sorprende che accettino ciò che gli altri scartano. Hanno una soglia di sopportazione notoriamente alta. Di quella nazionalità è un terzo di tutti i marinai delle portacontainer e un terzo è anche la quota del loro stipendio rispetto a quello degli ufficiali europei. Però, come Judito dimostra, non bisogna esagerare. «Chiunque competa con gli schiavi, diventa uno schiavo» ammoniva Kurt Vonnegut, non sapendo di parlare a Salvini. Se oggi sono loro, domani saremo noi. Non expedit.

 

tratto da: http://www.repubblica.it/venerdi/articoli/2017/10/09/news/supermercati_notte-177802768/

Elezioni Sicilia, Berlusconi: “Abbiamo impedito che la regione cadesse in mano a chi non ha mai lavorato” …Ora, se riuscissimo ad impedire che finisca nelle mani di noti puttanieri, pregiudicati, evasori fiscali che puzzano di mafia, saremmo nel pallone!

 

Berlusconi

 

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Elezioni Sicilia, Berlusconi: “Abbiamo impedito che la regione cadesse in mano a chi non ha mai lavorato”

Un Berlusconi che somiglia sempre più alle sue barzellette (dovrebbe fa ridere, ma è sempre più pietoso) dice la sua sulle elezioni in Sicilia.

QUI il video

La stoccata contro l’incubo cinquestelle non poteva mancare…

“Abbiamo impedito che la regione cadesse in mano a chi non ha mai lavorato”

…beh, ora se riuscissimo ad impedire che finisca nelle mani di noti puttanieri, oregiudicati, evasori fiscali che puzzano di mafia, saremmo nel pallone!

By Eles

 

Un governo coerente come quello del Pd a chi può dare la “delega per le politiche giovanili”? Al Ministro Poletti, ovviamente, quello che insultò i giovani italiani all’estero!

 

Poletti

 

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Un governo coerente come quello del Pd a chi può dare la “delega per le politiche giovanili”? Al Ministro Poletti, ovviamente, quello che insultò i giovani italiani all’estero!

ROMA – PARLAMENTO – “Per la serie la persona sbagliata nel posto sbagliato… ecco che da oggi la delega alle Politiche Giovanili spetta al ministro Poletti, ministro del Lavoro, e ministro della teorica Occupazione giovanile, in realtà il ministro della Disoccupazione giovanile, visto che è intorno al 40%, e della delocalizzazione dei giovani, visto quanti di loro sono costretti a emigrare. Ma siamo su scherzi a parte?”. Lo afferma il sen. Roberto Calderoli, Vice Presidente del Senato e Responsabile Organizzazione e Territorio della Lega Nord.

“La delega alle Politiche giovanili all’uomo che liquidò i giovani che vanno all’estero in cerca di fortuna con il generoso epitaffio ‘questo Paese non soffrirà a non averli tra i piedi’. Chissà come saranno contenti i giovani di avere un ministro che ha così ben dimostrato di comprendere i loro problemi”.

Dello stesso parere Angelo Ciocca, europarlamentare della Lega Nord: “Leggiamo che il Consiglio dei ministri ha condiviso la decisione del presidente Paolo Gentiloni di conferire al ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti le funzioni, attualmente proprie, in materia di politiche giovanili. Le politiche giovanili a quel Poletti che disse che e’ meglio non averli tra i piedi quei 100mila giovani che sono andati via dall’Italia per cercare lavoro all’estero? Spero che la notizia sia uno scherzo”.

Anche per Elvira Savino, deputata di Forza Italia, la nomina di Poletti è una scempiaggine:”Affidare la delega alle politiche giovanili al ministro Poletti, dopo quello che disse sui giovani che vanno a cercare lavoro all’estero, e’ una decisione insensata. Una beffa per tutti quei giovani che si sentirono giustamente offesi dalle sue parole e un incentivo ulteriore a lasciare il Paese”.

E il pensiero di cotanto ministro, che non ha uno straccio di laurea, che non ha mai lavorato un solo giorno in vita sua come dipendente è presto riassunto in queste “perle”: “Se 100mila giovani se ne sono andati non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’. Ci sono persone andate via e che è bene che stiano dove sono perché questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”.

E poi: “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21. Così un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare”. Lui che una laurea non l’ha mai conseguita riuscì a far arrabbiare tutti coloro che invece cercano di ottenerla, e pure bontà loro con voti alti.

E quindi: “Nulla impedisce agli studenti italiani di lavorare durante le vacanze scolastiche gratuitamente”. È di questo genio la proposta di “progetti di alternanza scuola-lavoro” per stage lavorativi “anche d’estate, se è una scelta volontaria. Bisogna incominciare a far capire ai giovani cosa sia il lavoro e cosa sia un’impresa”, disse ad aprile 2015. E quando bordate di attacchi gli sono arrivate da più parti, il ministro del Lavoro cambiò verso: “Non ho mai pensato di mandare a lavorare gratis nessuno”, rispose alla cantante Fiorella Mannoia che lo aveva duramente attaccato. Ah, no?

Se questo è il ministro del Lavoro per i giovani italiani…

via Il Nazionalista

Ricordiamo lo sfogo del maestro Battiato: “Politici? Esseri del sottosuolo”

 

Battiato

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Ricordiamo lo sfogo del maestro Battiato: “Politici? Esseri del sottosuolo”

Battiato non si ferma più: “Politici? Esseri del sottosuolo”

Dopo aver detto “in parlamento ci sono delle tr…”, ora il cantautore rincara la dose e attacca ancora i politici: “Sono tutti dei disgraziati”. Ora che non è più assessore si lascia andare

30 Marzo 2013

Franco Battiato non riesce proprio a cantare. Ormai ama solo parlare della politica e dei politici. Dopo essere stato cacciato da Rosario Crocetta dalla giunta regionale siciliana per aver apostrofato come “tr…” le nostre parlamentari, il cantautore catanese rincara la dose: “La politica è menzognera. Sei costretto a seguirla per il bene del Paese, anche per vedere se puoi fare qualcosa per cambiare questa Italia, ma ti lascia delle ferite, perchè quelli sono esseri del sottosuolo“. Il suo giudizio sui politici è feroce e spietato. Per Battiato chi fa politica è un povero disgraziato. “Anche se uno deve avere la pazienza e la compassione necessarie, perchè sono dei disgraziati, dei poveri disgraziati – aggiunge l’ex assessore al Turismo del governo Crocetta – ti disturbano. Incontrare delle persone oneste è una boccata d’ossigeno indimenticabile: già questo ti basta, sebbene io sia uno di quelli che crede solo nelle cose eccellenti. E’ questa la direzione da seguire”. Crocetta subito dopo avergli tolto l’incarico aveva detto: “Franco è una persona speciale alla quale voglio bene. Ma nello stesso tempo ho deciso di revocargli l’incarico per evitargli il linciaggio mediatico”. E dopo queste sue ultime parole, Crocetta di sicuro non ha sbagliato.

Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”? Ogni bambino che nasce in Italia ha già un debito di 40.000 Euro. Ogni bambino che nasce in Norvegia ha un patrimonio di 161.000 Euro. Ecco cosa andrebbe spiegato ai nostri politici…!

 

Norvegia

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Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”? Ogni bambino che nasce in Italia ha già un debito di 40.000 Euro. Ogni bambino che nasce in Norvegia ha un patrimonio di 161.000 Euro. Ecco cosa andrebbe spiegato ai nostri politici…!

 

Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”?
La Norvegia non ha il nostro debito pubblico, perchè:
1 – Non ha aderito all’euro. La moneta Norvegese è la Corona (coniata in una banca centrale statale)
2 – Non ha privatizzato le principali banche del paese (DnB NOR) e le aziende energetiche: petrolio (Statoil), energia idroelettrica (Statkraft), alluminio (Norsk Hydro) e le telecomunicazioni (Telenor)
3 – Circa il 30% di tutte le aziende quotate alla borsa di Oslo è statale
4 – I titoli di stato rendono il 6,75% netto ai risparmiatori
5 – Pur essendo il principale produttore di petrolio europeo, NON fa parte dell’OPEC (per la cronaca, l’Italia è il secondo produttore europeo e in Basilicata è stato individuato il più grande giacimento d’Europa su terraferma).
Naturalmente, in Norvegia, non si sognano di parlare di privatizzazione dell’acqua o privatizzazione della raccolta di rifiuti, come fanno i nostri politici e NON hanno un debito pubblico schiacciante come il nostro, anzi! Hanno un avanzo di bilancio statale del 16,5%, mentre noi, che abbiamo privatizzato quasi tutto, abbiamo un debito pubblico pari al 127% del nostro PILIn pratica questa situazione garantisce alla Norvegia un debito che ammonta al 48,4% del PIL, permettendole di incassare ogni anno più di quanto spende.
E l’Italia (e tutti gli altri paesi del mondo) cosa sta aspettando?

 

Fonte: http://siamolagente.altervista.org/la-norvegia-non-ha-debito-pubblic/

Norvegia, il fondo sovrano vale mille miliardi. Ogni cittadino nasce con un patrimonio da 161mila Euro

Ogni norvegese ha un credito di 161mila euro. Altro che debito pubblico, il fondo sovrano norvegese ha sfondato quota mille miliardi di dollari. E’ il fondo sovrano tra i più ricchi al mondo in assoluto e “appartiene al popolo norvegese”, si legge sul sito di Norges bank investment management.

La storia del successo. Tutto è iniziato nel 1998 quando fu costituito il “Norges bank investment management”, poi diventato il fondo sovrano più grande al mondo. Merito del greggio, certo. Ma non solo. Del totale degli investimenti, il 65 per cento sono azioni, dal “gettone” di 7,4 miliardi di dollari puntato su Apple, ai 5,5 miliardi su Alphabet (Google). Un altro 32 per cento è rappresentato da obbligazioni, mentre la quota di investimenti immobiliare è quasi irrilevante (3 per cento).

Oltre 400 miliardi di dollari sono stati investiti a Wall Street, in Europa è rimasto il 36 per cento del forziere, mentre il 18 per cento è finito in Asia. Il rimanente 4 per cento si divide tra Sud America, Africa e Oceania. Dalle piattaforme dell’oro nero nel Mar del Nord, fino alle aziende della Silicon Valley: chi nasce in Norvegia ha già una discreta dote finanziaria.

Il Prodotto interno lordo dalle parti di Oslo viaggia spedito, il debito pubblico è tra i più contenuti del Vecchio continente. Insomma, sui fiordi non c’è il sole che risplende a Roma, ma sicuramente ci sono più soldi. Se facessimo il paragone tra la quota di debito pubblico pro capite in Italia (38mila euro) e quella del credito del fondo sovrano norvegese (161mila euro pro capite), salterebbe all’occhio uno spread di 199mila euro. Un gap che neanche il sole riuscirà a colmare facilmente. 

fonte: https://it.finance.yahoo.com/notizie/norvegia-il-fondo-sovrano-vale-mille-miliardi-ogni-cittadino-nasce-con-un-patrimonio-da-161mila-euro-093813263.html

Papa Francesco: “La mafia è segno di una politica deviata, attecchisce e si sviluppa dove c’è corruzione”

 

Papa Francesco

 

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Papa Francesco: “La mafia è segno di una politica deviata, attecchisce e si sviluppa dove c’è corruzione”

 

Mafia, Papa Francesco: “È segno di una politica deviata, attecchisce e si sviluppa dove c’è corruzione”

Nel suo discorso in udienza alla commissione parlamentare Antimafia il Pontefice ha parlato delle “responsabilità di chi riveste un ruolo pubblico”, di “giustizia sociale”, ma anche di beni confiscati e testimoni di giustizia. “Un vero programma di lotta alla mafia”, lo definisce Rosy Bindi

“È segno di una politica deviata, piegata a interessi di parte e ad accordi non limpidi”. Il discorso di Papa Francesco in udienza alla commissione parlamentare Antimafia è “un vero programma di lotta alla mafia“, parole della presidente Rosy Bindi. Il Pontefice, nel giorno dell’anniversario della morte del giudice Rosario Livatino, parla della “corruzione che, nel disprezzo dell’interesse generale, rappresenta il terreno fertile nel quale le mafie attecchiscono e si sviluppano”, ma anche di chi approfitta “del ruolo di responsabilità pubblica che riveste”.

“La politica autentica, quella che riconosciamo come una forma eminente di carità, opera invece per assicurare un futuro di speranza e promuovere la dignità di ognuno – afferma Bergoglio – proprio per questo sente la lotta alle mafie come una sua priorità, in quanto esse rubano il bene comune, togliendo speranza e dignità alle persone”. Per questo, aggiunge Papa Francesco, “diventa decisivo opporsi in ogni modo al grave problema della corruzione”.

Davanti alla commissione Antimafia il Pontefice sottolinea come “la corruzione trova sempre il modo di giustificare sé stessa, presentandosi come la condizione normale, la soluzione di chi è furbo, la via percorribile per conseguire i propri obiettivi”. “Ha una natura contagiosa e parassitaria – aggiunge – perché non si nutre di ciò che di buono produce, ma di quanto sottrae e rapina. È una radice velenosa che altera la sana concorrenza e allontana gli investimenti”. “La corruzione è un habitus costruito sull’idolatria del denaro e la mercificazione della dignità umana, per cui va combattuta con misure non meno incisive di quelle previste nella lotta alle mafie”, è il pensiero del Papa.

“Lottare contro le mafie significa non solo reprimere. Significa anche bonificare, trasformare, costruire“, afferma Bergoglio. Il Pontefice propone un impegno a due livelli. Il primo “è quello politico, attraverso una maggiore giustizia sociale, perché le mafie hanno gioco facile nel proporsi come sistema alternativo sul territorio proprio dove mancano i diritti e le opportunità: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria”. Il secondo “è quelloeconomico, attraverso la correzione o la cancellazione di quei meccanismi che generano dovunque disuguaglianza e povertà”. “Questo duplice livello, politico ed economico – continua Francesco – ne presuppone un altro non meno essenziale, che è la costruzione di una nuova coscienza civile“, dice il papa.

Secondo Bergoglio, “l’Italia deve essere orgogliosa di aver messo in campo contro la mafia una legislazione che coinvolge lo Stato e i cittadini, le amministrazioni e le associazioni, il mondo laico e quello cattolico e religioso in senso lato”. “I beni confiscati alle mafie e riconvertiti a uso sociale – dice alla commissione – rappresentano, in tal senso, delle autentiche palestre di vita”. Poi affronta anche il problema della tutela dei testimoni di giustizia, “persone che si espongono a gravi rischi scegliendo di denunciare le violenze”. “Va trovata – afferma – una via che permetta a una persona pulita, ma appartenente a famiglie o contesti di mafia, di uscirne senza subire vendette e ritorsioni”.

Concludendo il suo discorso, Francesco ricorda infine “tutte le persone che in Italia hanno pagato con la vita la loro lotta contro le mafie”. “In particolare, tre magistrati: il servo di Dio Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre 1990, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi 25 anni fa insieme a quanti li scortavano”.

“Un momento molto emozionante, ci siamo sentiti anche fortemente responsabilizzati, perché le sue parole sono un vero programma di lotta alla mafia”, è il commento della presidente della commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, che ha portato in dono a Papa Francesco una copia in scala della Pala del Caravaggio Natività con i Santi Lorenzo e Francesco, trafugata dalla mafia a Palermo nel 1969. “E ancora una volta – prosegue – abbiamo ascoltato parole chiare contro la corruzione: ci ha invitato a combatterla con le stesse armi con le quali abbiamo combattuto la mafia, che ha riconosciuto essere efficaci nel nostro Paese, e questo per noi è molto importante”.

A proposito, poi, dell’accento posto dal Pontefice sui testimoni di giustizia e sui beni confiscati alle mafie, Rosy Bindi sottolinea che sono “due disegni di legge che sono uno all’approvazione definitiva al Senato, quello dei testimoni di giustizia, e l’altro all’approvazione definitiva alla Camera. Io non userò le parole del Papa, tutti le hanno sentite – osserva – e credo che queste due leggi che sono il frutto del lavoro di tutto il Parlamento, ma su impulso del lavoro della commissione parlamentare antimafia, potranno vedere la luce nelle prossime settimane e saranno un grande regalo al Paese”.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/21/mafia-papa-francesco-e-segno-di-una-politica-deviata-attecchisce-e-si-sviluppa-dove-ce-corruzione/3870048/

“Noi non dimentichiamo gli insulti contro la Sicilia” – No, cari Siciliani, pare proprio che ve ne state dimenticando. Vi rinfreschiamo la memoria: 25 anni di insulti leghisti contro il Sud.

Sicilia

 

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“Noi non dimentichiamo gli insulti contro la Sicilia” – No, cari Siciliani, pare proprio che ve ne state dimenticando. Vi rinfreschiamo la memoria: 25 anni di insulti leghisti contro il Sud.

Premesso che la Lega non ha insultato solo il Sud. Anzi forse la prima vettima del carroccio è stato proprio il Nord. Un grande, prolungato insulto all’intelligenza. Una presa per i fondelli continua.

Ma 25 anni di Lega quale concreto vantaggio ha portato al Nord? Gli unici a trarne vantaggio sono stati i politici leghisti che non hanno mai disdegnato i faraonici stipendi provenienti da “Roma ladrona” né i vitalizi d’oro né tantomeno gli “arrotondamenti” più o meno legali (ma molto meno).

E vogliamo parlare della secessione? 25 anni di presa per il culo e poi? …scusate tanto, abbiamo scherzato (anzi lo hanno fatto senza manco chiedere scusa. Anzi senza proprio dire niente) fino all’ultima beffa del popolo “Padano”: via il “nord” dalla “lega”

Ormai lo sappiamo, obiettivo primario della “politica” è prendere per i fondelli la Gente. E su questo, tanto di cappello ai politici leghisti!

by Eles

25 anni di insulti leghisti contro il Mezzogiorno. Che il Sud non dimentica
Il Mezzogiorno non dimentica 25 anni di insulti leghisti. Ecco i peggiori.
Di Mauro Orrico – 11 MARZO 2017

Una delle ultime campagne elettorali di Matteo Salvini, quella delle elezioni regionali del 31 maggio 2015, è stata tra le più costose che la “casta” ricordi: oltre 8 mila agenti hanno scortato il leader leghista nelle sue tappe in giro per lo Stivale. Agenti – hanno accusato Pd e M5S – sottratti al controllo delle nostre città per difendere il capitano – così lo chiamano i suoi seguaci – dalle decine di contestazioni che lo hanno accolto, soprattutto al sud. La storia si ripete e, oggi come ieri, Napoli “caccia” il leader leghista. Contro la manifestazione che ha visto la partecipazione di Matteo Salvini alla Mostra d’Oltremare, hanno sfilato in centinaia. Al corteo anti leghista ha aderito anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. In queste ore sono in corso scontri, lacrimogeni e tafferugli tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Mentre si consuma lo scontro a distanza tra il sindaco e il prefetto che ha autorizzato il comizio del leader del Carroccio, nonostante la contrarietà del primo cittadino. Alla base delle contestazioni non vi sono soltanto le posizioni di Salvini su migranti e sicurezza. Ma anni di insulti, allusioni, offese leghiste contro i meridionali.

Recentemente Matteo Salvini ha chiesto scusa per i suoi attacchi. Una svolta improvvisa che più di un cambiamento culturale ha il sapore di una metamorfosi di facciata, per espandere il consenso oltre i confini padani. La conversione leghista non trova però riscontri nell’attività parlamentare. Un anno fa, ilfattoquotidiano.it ha monitorato le proposte di legge del Carrocciodepositate in Parlamento dall’inizio di questa legislatura. Tra tutti i testi, sono pochissimi quelli rivolti al Sud. Tra questi, uno riguarda il tema immigrazione a Lampedusa e Linosa. E poco altro.

I peggiori epiteti leghisti contro il Mezzogiorno
Roma ladrona è ormai celeberrima, ma decisamente superata dagli scandali di ogni genere che in questi anni hanno macchiato i curricula padani. Noi abbiamo fatto una selezione dei peggiori insulti – tra i tanti – rivolti verso il Centro Sud, in 25 anni di storia leghista, da Salvini a Borghezio, da Comencini a Bossi.

2009. Festa di Pontida. Salvini intona questo coro:
“Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”

In seguito ha precisato:
“Sono troppo distanti dalla nostra impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord. Non abbiamo nessuna cosa in comune. Siamo lontani anni luce”.

2011. In merito al terremoto a L’Aquila, l’europarlamentare Mario Borghezio dichiara:
“Questa parte del Paese non cambia mai, l’Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud. Il comportamento di molte zone terremotate dell’Abruzzo è stato singolare, abbiamo assistito per mesi a lamentele e sceneggiate”.

Agosto 2012. Salvini su Facebook:
“Una sciura sicialiana grida e dice “vogliamo l’indipendenza, stiamo stanchi degli attacchi del Nord”. Evvaiiiiiiii”

Settembre 2012. Vito Comencini, segretario di sezione e vice coordinatore provinciale dei Giovani padani, su Radio Padania, dice:
«Carta igienica al Sud, che devono ancora capire a cosa serve».

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Novembre 2012. Donatella Galli, consigliera leghista della provincia di Monza e Brianza, invoca l’aiuto dei vulcani per pulire il sud:
“Forza Etna, Forza Vesuvio, Forza Marsili!!!”

2013. Al Congresso Giovani Padani, Matteo Salvini esclama:
“Ho letto sul Sole 24 Ore che, ancora una volta, verranno aiutati i giovani del Mezzogiorno. Ci siamo rotti i coglioni dei giovani del Mezzogiorno, che vadano a fanculo i giovani del Mezzogiorno! Al Sud non fanno un emerito cazzo dalla mattina alla sera. Al di là di tutto, sono bellissimi paesaggi al Sud, il problema è la gente che ci abita. Sono così, loro ce l’hanno proprio dentro il culto di non fare un cazzo dalla mattina alla sera, mentre noi siamo abituati a lavorare dalla mattina alla sera e ci tira un po’ il culo”.

Se oggi Salvini si dichiara acerrimo nemico dell’euro, poco tempo fa non la pensava nello stesso modo. E il Sud, a suo dire, l’euro non lo meritava.

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2014. Riguardo ad una possibile riforma della Scuola, il solito Salvini dichiara:
“Bloccare l’esodo degli insegnanti precari meridionali al Nord”.

Dicembre 2014. Il leader del Carroccio scrive su facebook:
“Chi scappa non merita di stare qui, lo considero un fannullone. E non è un caso che siano AFRICANI o MERIDIONALI ad andarsene, gente senza cultura del lavoro”.

Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso:
“E’ proprio per questo che invito ad assumere trevigiani: i meridionali vengono qua come sanguisughe”.

E, ancora, un’altra storica “perla” salviniana:
“Carrozze metro solo per milanesi”.

25 anni di insulti, non solo contro il Centro Sud
Ma non solo i meridionali sono stati al centro di anni di insulti leghisti. Anche i migranti, gli omosessuali, i disabili e tutte le minoranze. Ecco alcuni dei più raccapriccianti.

“Nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga”.
(Renzo Bossi, ex consigliere regionale della Lombardia)

“I disabili nella scuola? Ritardano lo svolgimento dei programmi scolastici, più utile metterli su percorsi differenziati”.
(Pietro Fontanini, presidente della provincia di Udine)

“Meglio noi del centrodestra che andiamo con le donne, che quelli del centrosinistra che vanno con i culattoni”.
(Umberto Bossi, ex ministro delle Riforme per il Federalismo)

tratto da: http://www.facemagazine.it/25-anni-di-insulti-leghisti-che-il-sud-non-dimentica/