Per la serie “hanno fatto anche cose buone” – Quando, il 20 gennaio 1927, giusto 92 anni fa, il regime fascista decise che le femmine erano esseri inferiori da sfruttare: decreto legge per ridurre i salari delle donne alla metà di quelli degli uomini… Qualcuno lo spieghi alla Mussolini o alla Meloni…!

 

regime fascista

 

 

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Per la serie “hanno fatto anche cose buone” – Quando, il 20 gennaio 1927, giusto 93 anni fa, il regime fascista decise che le femmine erano esseri inferiori da sfruttare: decreto legge per ridurre i salari delle donne alla metà di quelli degli uomini… Qualcuno lo spieghi alla Mussolini o alla Meloni…!

 

Qual era l’atteggiamento del fascismo verso la donna? Più che dalle parole, cerchiamo di ricavarlo dai fatti. Nel 1927 i salari femminili vennero ridotti alla metà di quelli corrispondenti maschili, che avevano già subito una forte riduzione. Altro che salario eguale per lavoro eguale, come diceva il vecchio slogan femminista! Il lavoro della donna valeva esattamente la metà di quello del suo collega, ed era già molto se non le veniva tolto del tutto. Infatti secondo l’ideologia fascista la sua “missione” era una sola, come ricordò più volte Mussolini nei suoi discorsi: quella di “far figli, molti figli, per dare soldati alla patria”.

Lo slogan “la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo” era scritto sulle facciate delle case di campagna, e sulle copertine dei quaderni che le “piccole italiane” usavano a scuola. La prolificità veniva esaltata al massimo, quasi fosse la miglior qualità femminile: ad esempio, ogni settimana apparivano su La domenica del corriere fotografie di donne circondate da dodici o tredici figli, e insignite di una medaglia per il semplice fatto di averli messi al mondo. Avere un’abbondante figliolanza era un grande titolo di merito di fronte al regime, anche se poi le famiglie numerose nuotavano nella miseria e i bambini non avevano da mangiare. Naturalmente qualsiasi idea di controllo delle nascite era severamente bandita, e furono anzi inasprite nel codice Rocco le pene contro ogni forma di educazione demografica, che veniva considerata un attentato “all’integrità della stirpe”.
La donna, dunque, fu relegata in casa a far figli, e furono emanate addirittura delle leggi per impedirle di svolgere un’attività extracasalinga, soprattutto se di tipo intellettuale. La prima offensiva si ebbe nell’insegnamento. Nel ’27 si esclusero le insegnanti dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, poi si tolsero loro alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, e infine si vietò che fossero dirigenti o presidi di istituto. Quindi, per estirpare il “male” veramente alle radici, si raddoppiarono le tasse scolastiche alle studentesse, scoraggiando così le famiglie a farle studiare.
Una seconda offensiva riguardò i pubblici impieghi. Una legge deI ’33 limitò notevolmente le assunzioni femminili, stabilendo sin dai bandi di concorso l’esclusione delle donne o riservando loro pochi posti. Esse furono praticamente eliminate dalle carriere di categoria A e B, e furono ammesse, salvo rare eccezioni, solo a quelle C. Più tardi, un decreto precisava addirittura quali impieghi statali potessero essere loro assegnati, e furono naturalmente i meno qualificati e peggio retribuiti: quelli di dattilografa, stenografa, segretaria, addetta alla raccolta di dati statistici, agli schedari, alle biblioteche. La carica di segretario comunale era invece troppo importante per essere ricoperta da una donna, come precisò una sentenza del Consiglio di Stato.
In quindici anni, dal 1921 al 1936, la percentuale delle donne che svolgevano attività extradomestiche passò dal 32,5 per cento al 24 per cento. Inoltre quelle rimaste erano guardate male: si diceva che lavoravano per comprarsi le calze di seta, si raccontavano delle barzellette sulla loro ocaggine, si mettevano in berlina nelle vignette umoristiche, dove apparivano invariabilmente sedute sulle ginocchia del “principale”. Insomma l’immagine della donna come essere pensante fu umiliata in tutti i modi, mentre fu esaltata al massimo quella di generatrice di figli e di oggetto sessuale. Infatti, mentre da una parte si gonfiava il mito della virilità, di cui Mussolini e i gerarchi erano diventati i campioni nazionali, dall’altra si creava quello di una femminilità, intesa come totale sudditanza all’uomo.
É esattamente questa l’espressione che usa il teorico fascista Loffredo, nel suo libro Politica della famiglia, edito da Bompiani nel ’38. “La donna deve ritornare sotto la sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale, culturale ed economica” si legge a pagina 361. E basterebbe questa frase, senza alcun commento, per condannare tutto il fascismo come fenomeno di oscurantismo, di regressione storica e culturale.
Ma è anche interessante vedere in che modo si deve arrivare a questa “sudditanza”, giacché lo stesso Loffredo non lascia le cose a metà e ce lo spiega. “Gli stati che vogliono veramente eliminare una delle cause più notevoli di alterazione del vincolo familiare… devono adottare una misura veramente rivoluzionaria: riconoscere il principio del divieto dell’istruzione professionale media e superiore della donna, e, quindi, modificare i programmi d’istruzione, in modo da impartire alla donna un’istruzione (elementare, media ed anche universitaria, se occorre) intesa a fare di essa un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa.” Alle donne, dunque, si doveva impedire di studiare, in modo da poter loro impedire successivamente di fare un lavoro qualificato, e quindi di essere indipendenti economicamente e moralmente: esattamente l’opposto di quanto avevano sempre sosteputo i movimenti femministi, che infatti si proponevano l’emancipazione invece che la sudditanza femminile.

L’avventurosa storia del femminismo di Gabriella Parca
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. – Milano – Prima edizione Collana Aperta maggio 1976
Seconda Edizione Oscar Mondadori marzo 1981
Copyright by Gabriella Parca – Terza Edizione – www.cpdonna.it 2005

 fonte: http://www.cpdonna.it/cpd/index.php?option=com_content&task=view&id=73

Austria, il governo di estrema destra propone la giornata lavorativa a 12 ore. Perchè, se siete tanto coglioni da non averlo ancora capirlo, voi, gente comune, non siete altro che carene da macello!

 

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Austria, il governo di estrema destra propone la giornata lavorativa a 12 ore. Perchè, se siete tanto coglioni da non averlo ancora capirlo, voi, gente comune, non siete altro che carene da macello!

 

 

Decine di migliaia di persone hanno riempito le strade di Vienna lo scorso 30 maggio per esprimere la loro opposizione alle nuove leggi antipopolari del governo di destra-estrema destra che includono la giornata lavorativa di 12 ore e la settimana lavorativa di 60 ore, senza che le ore in più vengano pagate come straordinario.

Secondo le autorità alla manifestazione hanno partecipato circa 80.000 persone, mentre gli organizzatori della Confederazione Sindacale Austriaca (ÖGB) parlano di 100.000-120.000 partecipanti da tutto il paese e industrie. Attualmente, la giornata lavorativa in Austria è di 8 ore con una settimana lavorativa di 40 ore; tuttavia, esiste già una disposizione che consente alle aziende di far lavorare i propri dipendenti fino a 10 ore al giorno e fino a 50 ore settimanali, ma a seguito di contrattazione coi consigli di fabbrica. Il governo “nazionalista-populista”, guidato da Sebastian Kurz sostenuto da una coalizione composta dal Partito Popolare (ÖVP) di destra e dal Partito Libertà (FPÖ) di estrema destra (alleato della Lega di Salvini), ha ammesso che le modifiche alle leggi sul lavoro sono necessarie per dare alle imprese (i capitalisti) maggiore flessibilità per migliorare la loro competitività internazionale: perfettamente in linea con le strategie del capitale e direttrici dell’UE. Per il sindacato si tratta della «cambiale che Kurz deve agli industriali per il loro sostegno alla sua campagna elettorale».

Il Partito del Lavoro d’Austria (Partei der Arbeit, PdA), membro della Iniziativa Comunista Europea, ha partecipato con un proprio blocco alla manifestazione, chiamando a continuare e intensificare la lotta, la mobilitazione e le azioni dei lavoratori «fino a quando questa legge e questo governo non cadranno!». Inoltre, ha evidenziato, come questa manifestazione abbia dimostrato «come i lavoratori sono pronti a combattere» invocando l’organizzazione degli scioperi sottolineando come sia stato il fermento nella base dei lavoratori a costringere la leadership sindacale della ÖGB a chiamare la mobilitazione. Scioperi e assemblee sono in corso nel settore dei trasporti (ferrovie e trasporto locale).

Il progetto di legge dovrebbe esser approvato dal parlamento austriaco giovedì. La mobilitazione ha portato al momento ad una parziale marcia indietro da parte del governo che ha annunciato che i singoli lavoratori potranno rifiutarsi (sulla carta) di fare “straordinari” (non pagati) senza dare una motivazione. Ma questo naturalmente non cambia la portata dell’attacco antioperaio operato dal governo nazionalista che colpisce una delle primarie e principali conquiste del movimento operaio internazionale, spostando ulteriormente i rapporti di forza dalla parte del padrone che non dovrà giustificare l’estensione dell’orario di lavoro e di conseguenza nemmeno contrattarlo con il consiglio di fabbrica ma solo col singolo lavoratore altamente ricattabile. Un attacco che volto nella direzione di rafforzare il capitale nel proprio paese include anche il taglio e la limitazione dei sussidi di disoccupazione.

Inizialmente rivolta contro i rifugiati e gli immigrati, mirando a dividere i lavoratori, la linea politica del governo nazionalista-populista ha svelato ben presto nella pratica tutta la sua natura di classe al servizio dei capitalisti. L’attacco ai sussidi si vuol estendere adesso anche ai disoccupati austriaci dopo aver drasticamente ridotto (cambiando anche alcuni sostanziali criteri) quelli per i rifugiati e richiedenti asilo. Attualmente, il sussidio di disoccupazione (Arbeitslosengeld), a determinate condizioni, corrisponde al 55% del reddito netto precedente e dura circa 5 mesi (20 settimane). Alla scadenza di questo periodo, viene data la cosiddetta “assistenza d’emergenza” (Notstandshilfe) che consiste nel 90%-95% del sussidio di disoccupazione per una durata illimitata ma non sufficiente per il costo della vita.

La riforma dal titolo “Nuovo sussidio di disoccupazione” (Arbeitslosengeld NEU), prevede la cancellazione dell’”assistenza d’emergenza” e i disoccupati accederanno solo al reddito minimo garantito (Mindestsicherung) legato all’accettazione di un “qualsiasi lavoro”. L’indennità di disoccupazione sarà ridotta, soprattutto per coloro che hanno lavorato per molti anni, che hanno avuto un salario decente e, quindi, un relativamente alta disoccupazione. Inoltre, i beneficiari del reddito minimo garantito non possono avere “beni” (auto, depositi ecc.) superiori ai 4.200€. Insomma, da adesso i disoccupati saranno costretti a vendere quello che hanno per accedere al reddito minimo garantito e, inoltre, i beneficiari, saranno fortemente spinti ad accettare lavori di qualsiasi natura e in qualsiasi parte del paese. Le agenzie per l’impiego assegneranno i disoccupati in tutto il paese, a seconda delle esigenze delle imprese, sotto la minaccia della perdita del sostegno.

Ma l’attacco contro i disoccupati è già in atto. Lo scorso anno il Servizio del Mercato del Lavoro (ArbeitsMarktService-AMS) ha tagliato i sussidi di disoccupazione o l’assistenza di emergenza a 111.541 disoccupati, di cui circa 19.000 per aver rifiutato il lavoro non accettando come motivazioni la “distanza” o il “basso salario” anche se prossimo alla soglia di povertà.

 

 

fonte: http://www.lariscossa.com/2018/07/02/austria-governo-estrema-destra-porta-la-giornata-lavorativa-12-ore-forti-proteste/

Paragone contro il Pd: “è imbarazzante che da sinistra arrivino critiche sul reddito di cittadinanza. Perdete perché avete tradito i lavoratori”

 

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Paragone contro il Pd: “è imbarazzante che da sinistra arrivino critiche sul reddito di cittadinanza. Perdete perché avete tradito i lavoratori”

“Provo un certo imbarazzo nel sentire che proprio dai banchi di sinistra arrivano le critiche sul reddito di cittadinanza, che spazza via il ricatto di quegli imprenditori che continuano a dire ‘o prendete questo contratto, o vi adeguate a questa paga, oppure fuori c’è la fila di disoccupati pronti a fare quello che tu oggi neghi’. Magari stranieri illegali che sono così più facili da minacciare”.

Lo ha detto Gianluigi Paragone intervenendo giovedì al Senato.

“Il neoliberismo accettato dal centrosinistra, o come primo attore o come sostegno di governi tecnici – ha proseguito l’esponente pentastellato – ha fatto sì che il lavoro diventasse sinonimo di occupazione. Ma lavoro e occupazione non sono la stessa cosa, assolutamente. Il lavoro che diventa lavoretto, com’è un po’ nel predicato della frontiera della gig economy, che se non normata rischia di produrre un moderno feudalesimo”.

“Bene quindi ha fatto il ministro Di Maio – ha aggiunto Paragone – un segno evidente e marcato sui riders, cioè sui fattorini che consegnano il cibo a domicilio”.

Secondo il senatore del M5S non servono nuove leggi, ma “quelle che ci sono vanno rispettate per onorare la legge e onorare il lavoro. Investendo in sicurezza si rispetta la legge e si onora il lavoro”. “Per questo – ha continuato – premiare anche fiscalmente chi investe in sicurezza serve anche di più che intervenire con altre norme”.

“La sicurezza – ha affermato l’ex conduttore de La Gabbia rivolgendosi ai senatori di sinistra – è un fatto culturale, i cittadini e i lavoratori sono centrali. Lo dico ai banchi di sinistra: se avete perso anche nelle regioni rosse è perché forse avete tradito i lavoratori. Questo è l’insegnamento che arriva”.

Paragone ha poi invitato a fermare la pubblicità del gioco d’azzardo e ha concluso: “La sicurezza parte dai diritti e dalla dignità.”

 

Gianluigi Paragone vs Pd: “Avete tradito i lavoratori!”

Lula dalla prigione: «È stato realizzato un golpe per eliminare i diritti dei lavoratori e dei pensionati»

 

Lula

 

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Lula dalla prigione: «È stato realizzato un golpe per eliminare i diritti dei lavoratori e dei pensionati»

L’ex presidente del Brasile, attualmente imprigionato senza prove, ha rilasciato un’intervista al quotidiano cubano Granma.

Granma

Il leader operaio, l’uomo che a suo tempo come presidente del Brasile ha promosso leggi e piani sociali che hanno permesso di liberare dalla povertà circa 30 milioni di brasiliani, al quale tutti i sondaggi indicano come favorito con un ampia maggioranza per vincere le elezioni presidenziali del 2018, Luiz Inácio Lula da Silva, ha rilasciato un’intervista al Granma.

L’intervista non ha potuto essere – per ovvi motivi – ampia come avrebbe voluto il giornalista. Tuttavia, il fatto di essere imprigionato e aver dedicato una parte del suo tempo prezioso per rispondere alle nostre domande dona un valore aggiunto, non solo ai lettori cubani, ma a quelli di tutto il mondo.

Come candidato per la presidenza del Brasile con il maggior sostegno popolare e che tutti i sondaggi indicano come favorito, come valuta questa persecuzione e la reclusione a cui è sottoposto?

È un processo politico, una prigionia politica. Il processo contro di me non indica un crimine, né ci sono prove. Hanno dovuto violare la Costituzione per arrestarmi. Quello che sta diventando sempre più chiaro per la società brasiliana e per il mondo è che vogliono impedirmi di partecipare alle elezioni del 2018. Il colpo di Stato del 2016, con la rimozione di un presidente eletto, indica che non ammettono che il popolo possa votare chi preferisce.

La prigione è stata, per molti leader imprigionati per il semplice fatto di combattere per lil popolo, un luogo di riflessione e organizzazione di idee per continuare la lotta. Nel suo caso, come affronta questi giorni, dal momento che non è in grado di entrare in contatto con le persone?

Sto leggendo e pensando molto, è un momento di grande riflessione sul Brasile e soprattutto su quello che è successo negli ultimi tempi. Sono in pace con la mia coscienza e dubito che tutti quelli che mentono contro di me dormano con la tranquillità con cui dormo io.

Certo che mi piacerebbe avere la libertà e fare ciò che ho fatto per tutta la vita: il dialogo con il popolo. Ma sono consapevole che l’ingiustizia che viene commessa contro di me è anche un’ingiustizia nei confronti del popolo brasiliano.

Quanto è importante sapere che in tutti gli stati brasiliani ci sono migliaia di connazionali in favore della sua liberazione

La relazione che ho costruito nel corso dei decenni con il popolo brasiliano, con le entità dei movimenti sociali, è una relazione molto affidabile ed è qualcosa che apprezzo molto, perché in tutta la mia carriera politica ho sempre insistito nel non tradire mai quella fiducia .

E non tradirei questa fiducia per nessun denaro, per un appartamento, per niente. È stato così prima di essere presidente, durante la presidenza e dopo. Quindi, per me, quella solidarietà è qualcosa che mi emoziona e mi incoraggia a rimanere forte.

Come definire il concetto di democrazia imposto come modello dall’oligarchia per scartare i leader della sinistra e far sì che non giungano al potere?

L’America Latina ha vissuto negli ultimi decenni il suo momento più forte di democrazia e conquiste sociali. Ma di recente le élite della regione stanno cercando di imporre un modello in cui il gioco democratico è valido solo quando vincono, il che, ovviamente, non è democrazia. Quindi è un tentativo di democrazia senza popolo. Quando non viene fuori quel che vogliono, cambiano le regole del gioco per avvantaggiare la visione di una piccola minoranza. Questo è molto grave. E lo stiamo vedendo, non solo in America Latina, ma in tutto il mondo, un aumento dell’intolleranza e della persecuzione politica. È successo in Brasile, Argentina, Ecuador e altri paesi.

Quale messaggio invia a tutti coloro che, in Brasile e in tutto il mondo, sono solidali con lei e chiedono il suo rilascio immediato

Sono molto grato per tutta la solidarietà. È necessario essere solidali con il popolo brasiliano. Aumenta la disoccupazione, più di un milione di famiglie sono tornate a cucinare con la legna per l’aumento del prezzo del gas da cucina, milioni di persone che erano usciti dalla miseria non hanno più da mangiare, e anche la classe media ha perso impiego e reddito.

Il Brasile era su una traiettoria di decenni di progresso democratico, di partecipazione politica e insieme ad esso progressi sociali, che sono aumentati con i governi del PT, che ha vinto quattro elezioni di fila.

Non hanno compiuto un golpe solo contro il PT. Non mi hanno arrestato solo per fare del male a Lula. Lo hanno fatto contro un modello di sviluppo nazionale e inclusione sociale. È stato realizzato un golpe per eliminare i diritti dei lavoratori e dei pensionati, conquistati negli ultimi 60 anni. E le persone lo percepiscono. Avremo bisogno di molta organizzazione per tornare ad avere un governo popolare, con sovranità, inclusione sociale e sviluppo economico in Brasile.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

tratto da: http://www.politicamentescorretto.info/2018/06/19/lula-dalla-prigione-e-stato-realizzato-un-golpe-per-eliminare-i-diritti-dei-lavoratori-e-dei-pensionati/

 

La strage di cui non si può parlare: 151 morti sul lavoro in soli tre mesi!

morti sul lavoro

 

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La strage di cui non si può parlare: 151 morti sul lavoro in soli tre mesi!

 

I numeri della più grande strage che tutti ignorano: 151 morti sul lavoro in tre mesi

Lo riferisce l’Osservatorio indipendente di Bologna. Con i due morti di Bergamo il numero è ancora aumentato

Questa mattina, con i due morti nel bergamasco, è salito a 151 il bilancio dei morti sul lavoro in questi primi tre mesi del 2018, come si apprende dall’Osservatorio indipendente di Bologna. Nello stesso periodo, l’anno scorso, sono morte ‘solo’ 113 persone, su un totale di 632 in tutto l’anno.

Il Veneto, con i suoi 20 morti, è la Regione in testa in questa triste gara, seguono Lombardia, Piemonte, Campania e Toscana. A Milano ci sono stati 8 decessi in tre mesi, 7 morti a Treviso e Verona. Due vigili del fuoco sono morti a Catania, altri due a Livorno lo scorso 28 marzo con l’esplosione della cisterna del porto.

È il settore edile quello più colpito: la maggior parte sono morti a causa di cadute dall’alto, come ad esempio da impalcature o tetti; il 10% delle vittime sono stranieri, il 25% ha superato i 60 anni.

tratto da: http://www.globalist.it/news/articolo/2018/04/01/i-numeri-della-piu-grande-strage-che-tutti-ignorano-151-morti-sul-lavoro-in-tre-mesi-2021988.html

Ricapitoliamo, Calenda si scaglia contro Embraco che licenzia 500 lavoratori: “Gentaglia – Totale irresponsabilità verso i lavoratori” …Eppure Embraco non fa altro che avvalersi del JOBS ACT voluto da Renzi ed appoggiato dallo stesso Calenda… E allora?

 

Calenda

 

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Ricapitoliamo, Calenda si scaglia contro Embraco che licenzia 500 lavoratori: “Gentaglia – Totale irresponsabilità verso i lavoratori” …Eppure Embraco non fa altro che avvalersi del JOBS ACT voluto da Renzi ed appoggiato dallo stesso Calenda…  E allora?

 

Quanto sbraita Calenda: gentaglia, totale irresponsabilità verso i lavoratori, ne ho fin sopra i capelli…

500 persone sbattute in mezzo ad una strada da un giorno all’altro…

Ma di chi è la colpa, caro Ministro Calenda?

Le multinazionali in fondo stanno semplicemente sfruttando ciò che consente loro il Jobs Act. La riforma ha abolito la Cigs per cessazione e tagliato gli ammortizzatori. Il ministro dovrebbe prendersela con Renzi&Co (e con se stesso, visto che l’ha calorosamente appoggiato).

Embraco (come per casi precedenti K Flex e Alstom Power) infatti ha detto «No» alla richiesta di chiedere la cassa integrazione non per cattiveria ma per semplice calcolo economico.

La riforma del lavoro voluta da Renzi (e appoggiata da Calenda) ha reso per le imprese molto più conveniente licenziare rispetto a chiedere gli ammortizzatori sociali e ha cancellato la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività.

Concederla in questi casi – «per garantire una continuità occupazionale mentre si approfondiscono gli interessi degli imprenditori per una re-industrializzazione», Calenda dixit – alle aziende costa: il Jobs act ha introdotto un «contributo addizionale» che va dal 9 al 15 per cento «della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore».

Molto meno costoso proporre il part time fino alla chiusura definitiva, come ha fatto Embraco.

In più anche i lavoratori sarebbero stati più garantiti sia prima che dopo il licenziamento: prima del Jobs Act la cassa integrazione per cessazione era di 12 mesi rinnovabili (totale due anni); dopo il licenziamento un 50enne aveva diritto a 3 anni di mobilità. Ora ha diritto a soli due anni di Naspi.
Insomma, la «gentaglia» contro cui si dovrebbe scagliare Calenda sono Renzi e i suoi economisti, nonché un certo Ministro dello sviluppo economico che lui ben conosce…

By Eles

“Il tuo contratto per il momento cessa”: 530 operai interinali Fca lasciati a casa con un sms …Se vi viene da sputare in faccia a qualcuno ricordate: quello a destra fa il suo “mestiere” di padrone. Quello a sinistra dovrebbe tutelare gli interessi della Gente!

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“Il tuo contratto per il momento cessa”: 530 operai interinali Fca lasciati a casa con un sms …Se vi viene da sputare in faccia a qualcuno ricordate: quello a destra fa il suo “mestiere” di padrone. Quello a sinistra dovrebbe tutelare gli interessi della Gente!

“Il tuo contratto per il momento cessa”: 530 operai interinali Fca lasciati a casa con un sms

Da un giorno all’altro, a 530 operai dello stabilimento Fca di Cassino è stata comunicata la cessazione del rapporto di lavoro con un sms automatico inviato dall’agenzia interinale Manpower. Il motivo, stando a quanto dichiarato da Fca ai sindacati, è il mancato raggiungimento del target minimo di vendite.

Con uno scarno sms inviato dall’agenzia interinale in modo automatico, 530 operai dello stabilimenti Fca di Cassino sono stati lasciati a casa da un giorno all’altro.  A riportare la notizia è il quotidiano Huffington Post, che pubblica uno screenshot del messagino: “Il tuo contratto per il momento cessa. Ci aggiorniamo per ulteriori novità”, questa l’unica comunicazione ricevuta dagli operai che da qualche mese lavoravano nel nuovo stabilimento Fca inaugurato lo scorso anno dall’ad Sergio Marchionne e dall’allora ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. In tutto, dall’inaugurazione dello stabilimento di Cassino, sono stati assunti 830 lavoratori, tutti con contratti di sommistrazione, cioè non assunti direttamente da Fca ma dall’azienda interinale Manpower.

I contratti di sommistrazione sono particolari contratti a termine che permettono al committente di assumere forza lavoro appaltandone la gestione alle agenzie per il lavoro, gestione che comprende anche le procedure per la cessazione delle collaborazioni. I contratti interinali possono essere rinnovati a scadenza, ma in questo caso, nonostante le promesse fatte ai lavoratori dall’agenzia per il lavoro e dalla stessa Fca, sono cessati senza preavviso. Tecnicamente non si può parlare di un vero e proprio licenziamento, i contratti sono arrivati a scadenza naturale e non rinnovati, ma gli operai che speravano in una prosecuzione del rapporto di lavoro sono stati avvertiti della cessazione del contratto solamente mediante uno scarno sms, comunicazione che peraltro – purtroppo – la legge permette.

tratto da: https://www.fanpage.it/il-tuo-contratto-per-il-momento-cessa-530-operai-interinali-fca-lasciati-a-casa-con-un-sms/

Gli schiavi che lavorano da mezzanotte all’alba

 

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Gli schiavi che lavorano da mezzanotte all’alba

Spesso stranieri. Lavorano di notte. Prendono 5,16 euro all’ora. Lordi. Se si lamentano perdono il posto. Ma grazie a loro i supermercati sono aperti h24. Bella comodità, no?

C’è un momento della notte, imprecisato ma non per questo meno inesorabile, in cui i supermercati romani si sincronizzano sul fuso di Manila. Al Carrefour di Tor Vergata, periferia meridionale della metropoli, succede a mezzanotte. Chiudono le porte alla clientela, ma le spalancano a una squadra di sei filippini dai venti ai trent’anni, piccoli di statura ma instancabili, che sgattaiolano dentro in maglietta rossa aziendale per farli sembrare ciò che non sono. In quello di viale Ciamarra, aperto h24, ne trovi altri chini sulle carcasse di bancali che hanno appena liberato dal cellophane a estrarre biscotti, tonno e sapone liquido per lavastoviglie da sistemare ognuno al suo posto. Ne avvicino un paio invano: o non parlano italiano o fingono per evitare grane. Altri ancora sono febbrilmente all’opera al quartiere Alessandrino non si sa da quanto, oppure al Pigneto o al Villaggio Olimpico.

All’ultimo controllo sul sito del gruppo francese che ha introdotto l’apertura notturna in Italia nel 2012 sono 183 i punti vendita dove non tramonta mai il sole. Un boom che di recente ha spinto, nella capitale come altrove, anche chi non fa il tempo pieno a spostare in avanti le lancette della chiusura. Di questo passo l’ultima zona de-commercializzata della giornata sarà presto espugnata. Con la schizofrenia tipica del tardo capitalismo, da consumatori brindiamo per la maggiore comodità, mentre da cittadini rabbrividiamo quando scopriamo la retribuzione oraria degli scaffalisti asiatici che rendono possibile l’acquisto non-stop. Cinque euro e sedici dice la busta paga che ho davanti agli occhi. Che per un turno di quattro ore ne fa venti lordi con i quali, sì e no, potranno comprare i barattoli e le scatolette che sistemano in un minuto. Se la cosa non vi impressiona in assoluto, apprezzatela meglio in termini relativi: per fare lo stesso lavoro un vero dipendente dell’azienda prenderebbe circa il doppio. Grande distribuzione, grandissima ingiustizia.

Tu consumatore non lo sai, vedi addetti in divisa e pensi che tutti dipendano dal logo che hanno stampigliato all’altezza del cuore, ma non è così. Che imbocchi un corridoio o un altro, ti metta in fila a una cassa o in quella accanto, puoi incrociare valvassori, valvassini o servi della gleba. I primi sono gli assunti (paga oraria media 10 euro, straordinari, notturno, ferie). I secondi gli interinali, che per legge dovrebbero prendere quanto i primi ma in verità portano a casa sugli 8 euro (niente anzianità, niente straordinario). I terzi quelli delle cooperative, con paghe variabili dai 7 ai 5 euro, parliamo di lordo, no malattia, no quasi niente e se ti lamenti tanti saluti e avanti un altro. Judito, il filippino ventinovenne che incontro al McDonald’s di via Trionfale, rifugio con aria condizionata e wifi gratuito di tanti naufraghi metropolitani, appartiene all’ultima classe. Dice: «Negli ultimi due anni ho lavorato per due diverse cooperative trovate su Infojobs.it. Scaffalista per Conad e per Carrefour. Scarico la merce dal camion, la tolgo dai pallet, la carico sugli scaffali facendo la rotazione a seconda delle scadenze. Per 7 mila colli serve una squadra di cinque-sei persone. Per 10 mila otto».

È veloce, gli fanno i complimenti, così a un certo punto fa notare che 5 euro e 50 sono proprio pochini. Almeno lo spostassero in un punto vendita più vicino casa, che è un aumento indiretto in moneta di tempo perso. Prima dicono di sì poi, l’impudenza va sanzionata, ci ripensano e gli offrono una sede ancora più lontana. Così trova un’altra cooperativa che di euro gliene dà 6,50, con lo straordinario al 20 per cento e un piccolo premio per il notturno. È felice sin quando non si accorge che il caporeparto pugliese fa fare tutto a lui e agli altri suoi connazionali mentre, sostiene, gli italiani se la prendono comoda ed escono per fumare. Sua moglie lavora tutto il giorno come domestica e spetta a lui portare alla materna il figlio di cinque anni che ora siede davanti a me fiero della sua maglietta di Spider-Man. «Devo lavorare di notte per guardarlo, ma sono bravo e posso far meglio di così» motiva le sue ultime dimissioni. Su internet ha prenotato due colloqui con altrettante agenzie interinali ed è fiducioso che la sua vita migliorerà presto.

Valeria, nome di fantasia come la maggior parte degli altri, è già una «somministrata» ma non per questo si fa illusioni. Fa la cassiera in orari variabili dalle 20 alle 3 del mattino in una cittadina ligure e vengo a sapere della sua storia perché manda una richiesta di aiuto a Francesco Iacovone, dell’Unione Sindacati di Base, mentre mi fa da guida nel primo dei miei tour Supermarket-by-night. Quanto deve essere acuto il disagio affinché una quarantenne inequivocabilmente sana di mente mandi un WhatsApp dopo mezzanotte a un sindacalista con fama di combattività? Mi racconta dei suoi contratti, comunicati anch’essi via WhatsApp di settimana in settimana, orari inclusi. Del fatto che la maggiorazione notturna del 50 per cento dei colleghi assunti, per lei si ferma al 15 («Basta considerare come ordinarie le ore notturne»). Dello stress di dover correre a cambiare il rotolo delle etichette della bilancia quando finisce, o a dare la chiave a chi non riesce a entrare in bagno, quando sei l’unica in negozio assieme alla guardia e agli scaffalisti che, però, non devono avere contatti col pubblico.

L’episodio più indigesto riguarda un cliente che, seccato per aver dovuto aspettare qualche minuto nella fascia oraria dove osa solo Marzullo, le ha detto con disprezzo «dovresti ringraziare di avere un lavoro»: «Io non devo ringraziare proprio nessuno, se non me, per questo lavoro di merda che ho». Ma il motivo per cui ha scritto a Iacovoni è che il caporeparto le ha appena negato due settimane di ferie: «Ovviamente non pagate: solo uno stacco dopo un anno e mezzo, per prendere fiato col mio compagno che lavora anche lui da Carrefour ma di giorno, così non ci vediamo mai». Non può permettersi il rischio di trovare al rientro un’altra al posto suo ma neppure vuole correre quello, a forza di chinare la testa, di finire per strisciare.

Gianni Lanzi, della Filcams Cgil, ne ha viste troppe per meravigliarsi. Contesta in radice l’allargamento dell’orario («Ma sul serio, chi ha l’impellente bisogno di farsi una carbonara alle 4 di notte?») e denuncia «la disumanizzazione del lavoro» quando due che fanno la stessa identica cosa prendono uno la metà dell’altro. Per darmi la misura del Far West mi racconta anche di grosse catene romane che avrebbero praticamente solo personale che gli arriva via cooperative e che poi si vantano di laute elargizioni alla Caritas. O di fuoriusciti dalla Carrefour che avrebbero aperto cooperative che poi intrattengono con la ex alma mater relazioni preferenziali. È sempre lui ad aiutarmi a decrittare la busta paga di Judito: «Com’è possibile dargli così poco? Perché il contratto collettivo che gli applicano è quello Cisal, uno di quelli che noi definiamo contratti pirata» («Accusa infamante» è la risposta, però la vera infamia continuano a sembrarmi i 5,16 euro). Tant’è che Aneta, altra cooperativa altro contratto, di base ne prende 7,23 che è poco ma tanto di più. Però, da quando ha denunciato i suoi capi, non fa più vita: «Prima i turni erano settimanali, ora arrivano giorno per giorno. Così devi essere sempre pronta all’alba, anche se alla fine lavori di notte. E il responsabile bestemmia, mi umilia in pubblico: è diventato insopportabile!».

 L’ufficio stampa di Carrefour, dal canto suo, è stato gentile e inutile in parti uguali. Gli ho chiesto un censimento di dipendenti, interinali e cooperativi, con relative differenze salariali, e mi ha risposto che «ovviamente tutti i lavoratori sono inquadrati anche da un punto di vista retributivo sulla base del contratto di riferimento aziendale». Ovviamente. È stato anche molto dettagliato su un progetto per valorizzare i prodotti lattiero-caseari piemontesi e su un «format gourmet (tipo Eataly) per privilegiare piccole produzioni autoctone». Ha rivendicato che le aperture notturne fanno lavorare ogni giorno centinaia di «giovani che vogliono arrotondare» (termine che andrebbe abolito per sempre) «e disoccupati che trovano un modo per guadagnare di più rispetto a un lavoro simile diurno» (magari). Infine ha aggiunto che in ogni caso le cooperative «devono rispettare precise regole e codici dell’azienda». Al che mi sono permesso di domandargli se questi codici fossero compatibili con i cinque euro e spiccioli, curiosità che lo ha letteralmente ammutolito.

Christian Raimo, in uno sterminato, magistrale e raro reportage sul tema, stima in 3.000 i lavoratori delle coop rispetto ai 20 mila assunti Carrefour. Il muro di gomma aziendale mi ha fatto tornare in mente uno spot della Conad, sapidamente parodizzato, con la moglie di un socio Conad che aspetta invano nel parcheggio perché l’abnegazione dell’uomo è tale che, dalle sette quando doveva uscire, non si farà vivo che due ore dopo. E anche un passaggio di 24/7 (Einaudi) il saggio in cui Jonathan Crary racconta l’assalto del capitalismo al sonno: «L’enorme quantità di tempo che trascorriamo dormendo, affrancati da quella paludosa congerie di bisogni artefatti, rappresenta uno dei grandi atti di oltraggiosa resistenza degli esseri umani alla voracità del capitalismo contemporaneo». Una resistenza che, a quanto pare, stiamo perdendo.

 C’è chi preferisce minimizzare, negando la novità del fenomeno: «I medici, gli infermieri, i poliziotti, i vigili del fuoco e i camerieri l’han sempre fatto». Iacovone, il sindacalista di base, sul suo sito si è dato la briga di risponder loro confrontando salari e  condizioni complessive. Il punto è che la somma di due torti non fa mai una ragione (dovrebbero guadagnare meglio anche loro). E che nella grande distribuzione notturna la caratteristica di servizio pubblico essenziale scolora. Tanto vale far notare che siamo in buona compagnia. In The Fissured Workplace David Weil segnala che oggi in America un lavoratore su tre non è assunto dall’azienda che corrisponde al marchio del prodotto.

Apple, per dire, a fronte a 63 mila dipendenti ha 750 mila contractors. Se le vendite del prossimo iPhone andranno meno bene del previsto, indovinate chi saranno i primi a saltare? Non c’è bisogno di licenziarli, basta non riassumerli. Magari con un iMessage gratuito. Quanto ai filippini non mi sorprende che accettino ciò che gli altri scartano. Hanno una soglia di sopportazione notoriamente alta. Di quella nazionalità è un terzo di tutti i marinai delle portacontainer e un terzo è anche la quota del loro stipendio rispetto a quello degli ufficiali europei. Però, come Judito dimostra, non bisogna esagerare. «Chiunque competa con gli schiavi, diventa uno schiavo» ammoniva Kurt Vonnegut, non sapendo di parlare a Salvini. Se oggi sono loro, domani saremo noi. Non expedit.

 

tratto da: http://www.repubblica.it/venerdi/articoli/2017/10/09/news/supermercati_notte-177802768/

SONO SENZA VERGOGNA! – La Fornero attacca Papa Francesco perchè si è “permesso” di criticare le “pensioni d’oro” e si è schierato dalla parte dei lavoratori e dei disoccupati…!!!

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SONO SENZA VERGOGNA! – La Fornero attacca Papa Francesco perchè si è “permesso” di criticare le “pensioni d’oro” e si è schierato dalla parte dei lavoratori e dei disoccupati…!!!

Non poteva mancare la reazione della casta. Papa Francesco si è schierato contro le pensioni d’oro e ha criticato il fatto di far lavorare gli anziani e lasciare i giovani senza lavoro: “Non sempre e non a tutti è riconosciuto il diritto a una giusta pensione, giusta perché né troppo povera né troppo ricca: le ‘pensioni d’oro’ sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni. Quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti”, ha detto Francesco.

Apriti cielo: ai fake media e al regime le parole del Papa non sono piaciute. Ma non possono reagire, perché è troppo impopolare attaccare il Santo Padre su un tema così popolare.
Ma c’è chi ha il coraggio di farlo. Elsa Fornero, che con la sua riforma ha innalzato l’età pensionistica e prodotto migliaia di esodati. L’ex ministra dovrebbe perlomeno avere la dignità di tacere. E invece apre ancora bocca, e lo fa nel modo sbagliato:
“Tutto dipende da cosa intendiamo per anziano,” ha detto la Fornero in un’intervista a Radio Capital. E ha poi aggiunto: “Se guardassimo dall’ottica di chi difende il pensionamento in età giovane, il Papa dovrebbe forse essere in pensione già da molti anni”.

E ancora:
“Il pensionamento graduale per chi è a fine carriere è una bella idea, ma faticosa da attuare. Sarebbe bello se il Papa mettesse in piedi una commissione per valutare operativamente quest’ipotesi senza però aumentare i debiti che andrebbero a ricadere sulle spalle dei giovani”.
Cara Fornero, istituire commissioni non è compito del Papa. Francesco ha invitato una politica corrotta ad ascoltare i bisogni degli ultimi, colpiti dalle riforme lacrime e sangue dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni.

I signori al governo hanno creato una guerra tra poveri: anziani vs giovani. Ma questa opposizione non deve esistere: lo Stato deve garantire il benessere di entrambi. E poi, cara Fornero, ci spieghi due cosette: perché non l’ha creata lei questa commissione, invece di invitare il Papa a farlo?
E perché il suo governo non ha tagliato davvero tutte le pensioni d’oro, alleviando i giovani da questo debito enorme?

 

Fonte: SilenzieFalsità.it

I lavoratori italiani? Sono i più poveri d’Europa…!!

 

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I lavoratori italiani? Sono i più poveri d’Europa…!!

 

Le retribuzioni dei lavoratori italiani, a tutti i livelli, sono in linea con la media europea, ma a differenza della maggior parte della popolazione dei Paesi del continente, Paesi Bassi, Irlanda, Francia, Austria e tutti i Paesi scandinavi, soffriamo per un basso potere di acquisto. I dati pubblicati nel rapporto “Global 50 Remuneration Planning” non lasciano scampo. Colpa di una pressione fiscale record, ma non solo.

Il nostro Paese, come lo scorso anno, risulta all’ultima posizione per quanto riguarda i salari d’ingresso con una media di circa 27mila euro.

Analizzando la media della retribuzione annuale lorda delle prime 20 economie europee, i manager di medio livello e i nuovi entrati nel mondo professionale italiani si posizionano al 14° posto del ranking, posizione che cambia però se ad essere presa in considerazione è la media relativa al potere d’acquisto: i primi scendono alla 17esima posizione, i secondi alla 15esima.

La Svizzera rimane il paese con le retribuzioni più alte. I dipendenti godono di retribuzioni lorde in media più alte di tutti gli altri Paesi europei, superiore di circa 50% rispetto all’Irlanda, seconda nel ranking.

Precari e sottopagati. È questo il mondo del lavoro in Italia. In compenso abbiamo gli stipendi dei politici, magistrati e manager pubblici che sono il triplo della media europea.

fonte: http://www.mondoallarovescia.com/i-lavoratori-italiani-sono-i-piu-poveri-deuropa/#more-16226