La famiglia di Rino Gaetano contro la Lega: “siamo stufi, la politica non usi più le sue canzoni”

 

Rino Gaetano

 

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La famiglia di Rino Gaetano contro la Lega: “siamo stufi, la politica non usi più le sue canzoni”

Le parole della sorella e del nipote del cantautore calabrese dopo la manifestazione di sabato scorso con Salvini in piazza del Popolo a Roma dove è stato usato il brano ‘Ma il cielo è sempre più blu’

Dopo la manifestazione della Lega di sabato scorso a piazza del Popolo a Roma, la famiglia di Rino Gaetano ha chiesto che le sue canzoni non vengano più utilizzate dalla politica.
“Siamo stufi: le canzoni di Rino Gaetano non vengano più utilizzate dalla politica”. Sono le parole di Anna Gaetano e suo figlio Alessandro, sorella e nipote del cantautore, che hanno criticato la decisione del Carroccio di usare il brano Ma il cielo è sempre più blu.
“Non voglio che la musica di Rino – ha affermato Anna Gaetano – sia mischiata alla politica. Non mi piace che venga utilizzato così, mi dissocio. Sono la sorella, posso dire la mia?”.
“Non ce l’abbiamo – ha aggiunto Alessandro – né con la Lega né con Matteo Salvini. Nel corso degli anni è capitato più volte che le canzoni e l’immagine di Rino venissero usate da parte di diversi schieramenti. Questo è solo stato l’ennesimo episodio che ci viene segnalato in questi anni e di cui siamo stufi”.
“Fosse stato chiunque altro – hanno aggiunto i familiari di Rino Gaetano – l’avremmo pensata allo stesso modo. Rino non è di destra né di sinistra, non ha colori politici. Perché devono farsi forza usando lui e la sua musica? Non ci è mai piaciuto. Anzi, ogni volta che ci hanno invitato a parlare o cantare su un palco abbiamo chiesto di togliere le bandiere del partito di turno”.
“Non critichiamo nessun messaggio – hanno aggiunto – semplicemente ci sembra scorretto politicizzare la sua musica. Rino non era d’accordo neanche allora. Ha suonato alcune volte alla Festa dell’Unità, ma lui era solo a favore del popolo e contro chi tradiva i suoi ideali”.
La famiglia ha precisato che non ci sarà alcuna azione legale nei confronti di nessuno, ma ha contattato la Sony Music, con cui detiene i diritti dei brani, “per sapere se lo possono fare, se possono usare le sue canzoni così. Ci hanno risposto che avrebbero controllato circa l’uso delle sue canzoni. E che comunque nelle manifestazioni si compila il borderò. Ma la nostra non è una questione di diritti, non è quello che ci interessa”.

 

tratto da: https://www.globalist.it/news/2018/12/11/la-famiglia-di-rino-gaetano-contro-la-lega-siamo-stufi-la-politica-non-usi-piu-le-sue-canzoni-2034782.html

Il mondo è in fiamme, ma i nostri media ci dicono poco o niente… Ed intanto i Gilet Gialli si dichiarano filo-5Stelle…!

 

Gilet Gialli

 

 

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Il mondo è in fiamme, ma i nostri media ci dicono poco o niente… Ed intanto i Gilet Gialli si dichiarano filo-5Stelle…!

 

Il mondo è in fiamme, ma a noi viene nascosto. I Gilet Gialli si dichiarano filo-5Stelle

Non sono parole al vento queste, ma sono parole di verità che squarciano il muro di mascherata e finta informazione quanto di effettivo silenzio che è stato costruito attorno alle manifestazioni di Parigi, Bruxelles, Amsterdam.

Non cercate informazioni accurate nei giornaloni italiani e relativi siti web o nei telegiornali RAI, Mediaset o La7. Troverete informazioni volutamente superficiali che mirano a nascondere la reale portata degli eventi in Francia, Belgio e Olanda.

In Francia le manifestazioni che si ripetono per il quarto sabato consecutivo assumono una rilevanza che sta addirittura portando a ipotizzare le dimissioni del primo ministro Edouard Philippe e a ipotizzare elezioni anticipate.

Ecco il bollettino di guerra.

Parigi :’Per il quarto sabato consecutivo, in Francia hanno protestato i cosiddetti gilet gialli. In strada sono scese 125’000 persone, 10’000 a Parigi. Il bilancio dei disordini e degli scontri con la polizia è di 118 feriti. Sono state identificate 1385 persone e 974 sono in stato di fermo’.

Bordeaux e Tolosa: La protesta si estende sempre di più in tutta la Francia. In particolare ci sono stati degli scontri nel sud-ovest della Francia. E’ successo a Bordeaux e a Tolosa, dove diverse migliaia di persone sono state allontanate dal centro della città con i gas lacrimogeni e hanno eretto e incendiato delle barricate.

Si tratta di una vera e rivolta contro lo stato di povertà di milioni di francesi. Si trovano in situazione di sopravvivenza, vivono di stenti ogni fine mese – i più fortunati tra gli sfortunati, beninteso – aspettando, come Godot, che quanto di triste e insopportabile stanno sopportando abbia a cessare.

Ma finora hanno aspettato invano. Anzi Macron intendeva ancor più aggravare il loro già grave e pesante disagio con l’aumento del carburante. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E che ha portato a dire a sé stessi e agli altri conoscenti, colleghi di lavoro o compagni di disoccupazione: mo’ basta!

Si sono quindi convocati da sé stessi in tutte le piazze della Francia, fino a culminare nella oceanica manifestazione di 4 settimane fa a Parigi, la prima di quattro manifestazioni.

Ormai la protesta dei francesi emarginati non si ferma più fino a quando non otterranno fatti concreti che rappresentino un reale cambiamento in meglio per loro e per le loro famiglie. È un modo distorto e fuorviante di raccontare quanto sta succedendo quando si mette in evidenza che la protesta riguarda l’aumento dei prezzi del carburante. Ma sin dalle prime manifestazioni quella di impedire l’aumento dei prezzi per l’utilizzo dell’auto, nella Francia profonda l’unico mezzo a disposizione, era solo la parte delle richieste da ottenere immediatamente. Di ben più importanti e decisive richieste reclamano i Gilet Gialli.

Qui potete trovare le otto rivendicazioni da loro portate avanti, un manifesto politico che può rappresentare un programma di governo. Impressionano i punti in comune con il programma politico dei 5 Stelle e con il Contratto di Governo firmato da 5Stelle e Lega.

Che la situazione sia fuori del controllo dei Lor Signori d’oltralpe lo testimonia quanto ha fatto sapere ieri sera Macron tramite Le Maire secondo quanto titola La Stampa: ‘Gilet gialli una “catastrofe”, Macron pronto a cambiare rotta: “Ho fatto cavolate” ‘.

Macron ha capito ieri sera quanto non aveva capito fino ad avantieri sera: le proteste non si fermeranno con parole o contentini per fare fessi e contenti i Gilet Gialli.

Anche la Francia si avvia a un radicale cambiamento che sta travolgendo l’Ancien Regime di Sarkozy, Hollande, Macron, i quali sono stati messi a custodia degli interessi delle grandi multinazionali francesi. Qui sta il vero potere, di cui Macron è un semplice servo, pure inetto.

Nella storia francese è già successo che i cittadini inferociti abbiano fatto un repulisti anche truculento. Speriamo che questa volta ci sia il cambiamento senza arrivare a quegli eccessi.

La storia ai capataz francesi, cioè ai veri detentori del potere che detengono anche immense ricchezze, lancia un pesantissimo ammonimento cui è bene che prestino la massima attenzione.

Senza trascurare l’ammonimento a quelli italiani: anche loro hanno da stare attenti.

Ostacolare in ogni modo il cammino del Governo Conte è una scelta suicida.

Cercare di creare divisione all’interno dei 5 Stelle promettendo a singoli deputati o senatori chissà cosa, non porta da nessuna parte. Anzi aggrava l’esasperazione di coloro la cui unica speranza che è rimasta è che il Movimento possa realizzare quanto ha promesso dalla sua nascita e poi confermato nel programma presentato prima delle elezioni e che fa parte del Contratto Di Governo.

Cercare di generare contrapposizione tra Movimento 5 Stelle e Lega, oltre che essere improduttivo, rivela un modo di fare politica indisponente in quanto punta a ribaltare con manovre di palazzo il risultato elettorale.

Non riescono a immaginare i Lor Signori italiani come reagirà il nostro popolo di fronte a questi tentativi? Lo stanno già vedendo: il Consenso al Governo Conte si rafforza giorno dopo giorno!

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/12/10/il-mondo-e-in-fiamme-ma-a-noi-viene-nascosto-i-gilet-gialli-si-dichiarano-filo-5stelle/

La faccia tosta della Boschi che attacca il governo: “La manovra danneggia i risparmi degli italiani” – Sì, proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e dei 35.000 risparmiatori toscani truffati e rovinati.

 

Boschi

 

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La faccia tosta della Boschi che attacca il governo: “La manovra danneggia i risparmi degli italiani” – Sì, proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e dei 35.000 risparmiatori toscani truffati e rovinati.

Maria Elena Boschi ha affermato che la manovra varata dal governo Conte “danneggia i risparmi degli italiani”.

La replica del Movimento 5 Stelle è arrivata a stretto giro, da parte del deputato Raphael Raduzz, che ha detto in aula:

“I risparmiatori sono stati danneggiati dai vostri governi”.

Maria Elena Boschi, nel corso del suo intervento, ha anche attaccato l’esecutivo gialloverde parlando di un Parlamento “mai così umiliato, che discute “una legge di Bilancio che non c’è”.

E ha lanciato la profezia: “Sono sicura che sarà anche l’ultima legge di bilancio del governo del cambiamento”.

In un post pubblicato sul social network martedì scorso, Boschi aveva scritto:

“Mentre siamo in attesa di capire dal ministro Tria quale sarà la vera manovra, mentre al governo si discute se portare dal 2,4 al 2 il deficit, Lega e M5S hanno presentato un fondamentale emendamento. 1,5 milioni di euro per ogni anno dal 2019 in poi perché il ministro Savona possa prendersi qualche bravo consulente che possa spiegare al governo come funziona l’unione europea e come si recepiscono le norme europee in Italia.
In sostanza, 1,5 milioni all’anno per spiegare al governo quello che già dovrebbe sapere.
A questo punto, abbiamo proposto di destinare le stesse risorse a dei giovani laureati che magari possono farne un uso migliore. Ci pareva giusto intitolare queste borse di studio a Salvini e Di Maio, noti esperti di diritto comunitario”.

Ora, che proprio la Boschi, quella di Banca Etruria e delle decine di migliaia di risparmiatori truffati si erga a paladina dei “risparmiatori italiani” mi sa proprio tanto di presa per i fondelli…

by Eles

Violenza sulle donne? Il caso della 16enne Lucia Perez morta dopo essere stata drogata, stuprata e seviziata con un palo nel retto – I tre imputati assolti dall’accusa di omicidio e stupro: per i giudici la ragazza era consenziente…! Ma allora di cosa vogliamo parlare?

 

Violenza sulle donne

 

 

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Violenza sulle donne? Il caso della 16enne Lucia Perez morta dopo essere stata drogata, stuprata e seviziata con un palo nel retto – I tre imputati assolti dall’accusa di omicidio e stupro: per i giudici la ragazza era consenziente…! Ma allora di cosa vogliamo parlare?

Lucia Perez, seviziata e uccisa con un palo a 16 anni: per i giudici era consenziente

Lucia Perez è morta a 16 anni dopo essere stata drogata, stuprata e impalata, nell’ottobre 2016. Pochi giorni fa i giudici di Mar del Plata hanno assolto dall’accusa di omicidio e stupro i tre imputati, ritenuti responsabili solo per il reato che riguarda lo stupefacente. L’assoluzione ha sconvolto l’opinione pubblica di tutto il mondo, suscitando la protesta dei movimenti femministi: “Sentenza patriarcale”.

Il caso di Lucia Perez, sedicenne drogata e seviziata mortalmente tramite impalamento, in Italia è sempre stato relegato in fondo alle pagine di cronaca o nei blog delle cosiddette femministe. La sua valenza come fenomeno politico, nella cultura italiana, è passata in sordina, ma anche la portata mediatica della storia – assimilabile a quella di Pamela Mastropietro – è sempre stata bassissima. Perché?

La morte di Lucia
Ricordiamo innanzitutto i fatti. L’8 ottobre 2016, Lucia, sedici anni, studentessa di quinta superiore di una famiglia di modesta estrazione sociale, finisce al pronto soccorso dell’ospedale di Mar del Plata, a pochi chilometri da Buenos Aires. Praticamente abbandonata all’ingresso da due sconosciuti che mormorano di ‘overdose’, muore pochi istanti dopo i tentativi di rianimazione. Un’altra tossicodipendente sbandata. L’esame medico legale porta alla luce una fine molto diversa: Lucia è stata stuprata brutalmente, torturata con un oggetto contundente nel retto che ne ha causato la morte. Prima di trasportarla in ospedale i suoi carnefici l’hanno lavata dal sangue, le hanno messo degli abiti puliti e l’hanno scaricata davanti all’ospedale.

Primo sciopero femminile in Argentina
In Argentina si scatena immediata la reazione della rete per i diritti delle donne che porta al primo sciopero generale femminile del Paese e a una serie di manifestazioni contro la violenza patriarcale, che per osmosi vengono replicate anche in Europa. Anche processualmente il caso sembra semplice, ci sono tutti gli elementi per ipotizzare l’omicidio come conseguenza della violenza sessuale a carico di due imputati: il 23enne Matías Farías, e il 41enne Juan Pablo Offidani. Un terzo sospettato, Alejandro Alberto Masiel, viene accusato sono di favoreggiamento.

Assolti gli assassini, sotto inchiesta la pm
È il processo a rendere unica la storia di Lucia Perez. Per la pm Maria Isabel Sanchez, gli imputati Farias e Offidani hanno attirato in casa di Farias, approfittando della sua dipendenza dalle droghe, la povera Lucia. Nell’appartamento del 23enne con marijuana e cocaina, l’hanno stuprata bestialmente e poi hanno cercato di occultarne la morte. Per la difesa, invece, la morte della ragazzina sarebbe avvenuta al limite di un rapporto sadomaso (non si può negare l’utilizzo di un bastone) di natura consenziente. Chi ha ragione? Le conclusioni dei giudici, a dispetto del clamore e della commozione suscitati dal caso, pendono in favore della difesa. Colpevoli solo di averle venduto la droga i due imputati vengono assolti dall’accusa di omicidio e perfino di stupro.

Un caso politico
E qui che il caso Perez si carica ancor di più di connotazioni politiche. La pm Maria Isabel Sanchez viene accusata di aver condizionato l’opinione pubblica diffondendo alla stampa i particolari dell’esame autoptico e messa sotto inchiesta. Alla fine del processo il massacro della povera Lucia, per i giudici  Pablo Viñas, Facundo Gómez Urso e Aldo Carnevale (motivazioni della sentenza) è solo “il parto dell’immaginazione della Sanchez”. Dunque, non solo la morte non viene collegata alle sevizie sessuali come conseguenza calcolata, ma neanche come conseguenza accidentale, caso in cui avrebbe dovuto essere contestato almeno l’omicidio colposo. E invece niente. Per la morte di Lucia, si evince dalle parole dei giudici, non bisogna incolpare nessuno, se non lei stessa.

“Non perdoniamo: è stato femminicidio”
Qui abbiamo lasciato i fatti, con la sentenza del 28 novembre 2018 emessa dal tribunale di Mar del Plata, l’ennesima pagina nera, anzi nerissima, della giustizia che calpesta la dignità della vittima, solo perché donna. Così commenta ‘Ni una menos’:

Lucía Pérez è stata uccisa due volte. La prima dagli esecutori diretti; la seconda, da coloro che li hanno assolti e che così hanno negato che due adulti che somministrano cocaina per assoggettare un’adolescente sono responsabili di abuso e femminicidio. Vogliono dirci che la sua vita non ha alcun valore, che le relazioni di potere che sono alla base della violenza maschilista non esistono, che l’enorme movimento femminista che ha portato il suo sorriso come bandiera di lotta in tutti gli angoli del paese, deve zittirsi. Non lo faremo, non perdoniamo, non dimentichiamo, non ci riconciliamo. È stato femminicidio.

In Italia, dove per la povera Pamela è andato in scena un analogo scempio, la notizia stranamente non ha attecchito. Eppure poteva essere un qualunque delle nostre ragazze. Anzi, forse lo è stata.

continua su: https://www.fanpage.it/lucia-perez-seviziata-e-uccisa-con-un-palo-a-16-anni-per-i-giudici-era-consenziente/p1/
http://www.fanpage.it/

Un parroco di Genova, Don Paolo Farinella, si schiera con Salvini: niente messa a Natale, Gesù era un clandestino…!

 

Salvini

 

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Un parroco di Genova, Don Paolo Farinella, si schiera con Salvini: niente messa a Natale, Gesù era un clandestino…!

La provocazione di Don Paolo Farinella: niente messa a Natale “Per Salvini Gesù era un clandestino”
La resistenza di un parroco a Genova: niente messa a Natale “Per Salvini Gesù era un clandestino”

Ad annunciarlo con un post su Facebook è il prete Paolo Farinella che, nel suo blog, dice di aver fatto questa scelta per “obiezione di coscienza al Decreto Sicurezza”.

Non ci sarà la tradizionale messa di Natale nella parrocchia di San Torpete nel cuore di Genova: la chiesa sarà chiusa per protesta durante le festività.

Ad annunciarlo con un post su Facebook è il prete Paolo Farinella che, nel suo blog, dice di aver fatto questa scelta per “obiezione di coscienza al Decreto Legge numero 113/2018”, più “conosciuto come Decreto Sicurezza”. “Dietro parole roboanti, confuse e immorali, si nasconde la volontà determinata di colpire ‘i Migranti’ – denuncia il parroco -, proprio alla vigilia di quel Natale che celebra la nascita di Gesù, emigrante perseguitato dalla polizia di Erode, fuggito alla persecuzione, accolto in Egitto e ritornato a stabilirsi a Nàzaret, dopo un viaggio allucinante e pericoloso attraverso il deserto del Neghev”.
L’attacco ai migranti, sostiene don Farinella, “avviene nel silenzio complice di un mondo cattolico che inneggia a un ministro che dondola un presepe di plastica, sventola un vangelo finto e illude con il Rosario in mano, senza suscitare un rigurgito di vomito dei cosiddetti cattolici da salotto”. Gli stessi che, aggiunge, “Papa Francesco chiama “‘cristiani da pasticceria’”.
“In questo anno 2018, se Gesù , con Maria e Giuseppe , si presentasse da noi per celebrare la sua nascita, col decreto immondo di Salvini, sarebbe fermato alla frontiera e rimandato indietro perché migrante economico, senza permesso di soggiorno e perché in Palestina non c’è una guerra ‘vecchia’ dal 1948”. Come ultimo “gesto di dignità, quindi, conclude il parroco, “la chiesa di San Torpete in Genova resterà chiusa”.

tratto da: https://www.globalist.it/news/2018/12/07/la-resistenza-di-un-parroco-a-genova-niente-messa-a-natale-per-salvini-gesu-era-un-clandestino-2034637.html

Unione Europea – Le regole valgono per tutti… Ma non se a infrangerle è Berlino… Loro possono fare come cavolo gli pare…!

 

Berlino

 

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Unione Europea – Le regole valgono per tutti… Ma non se a infrangerle è Berlino… Loro possono fare come cavolo gli pare…!

Le regole valgono finché la Germania le rispetta. È questo quello che si evince dall’ultimo scontro tutto interno all’Unione europea sulla procedura con cui la Commissione europea ha nominato il tedesco Martin Selmayr come segretario generale. Secondo il difensore civico, l’organo guidato da Jean-Claude Juncker non ha seguito le regole previste. E le indagini dell’Ombudsmanproseguono con uno scontro infuocato fra il suo ufficio e quello della Commissione.

L’ufficio di Juncker ha risposto che la Commissione ha agito nel massimo della trasparenza e che la procedura è stata regolarissima. Replica che non è piaciuta agli “inquirente”, tanto che l’ufficio presieduto dall’irlandese Emily  O’Reilly ha comunicato: “La risposta della Commissione alla nostra indagine non presenta nessuna nuova informazione e non ne modifica i risultati, che erano basati su un’ispezione di documenti interni della Commissione”. “La nostra indagine ha dimostrato in dettaglio come la nomina del signor Selmayr non abbia seguito il diritto europeo e non abbia seguito le regole della stessa Commissione”.

La questione è particolarmente delicata. Perché Selmayr non è un semplice funzionario: è il capo di gabinetto della Commissione europea e, secondo molti, è il burocrate più potente di Bruxelles. Non è un mistero che la sua figura sia diventata in questi quattro anni a dir poco fondamentale. Tra le sue mani sono passati tutti i principali dossier degli ultimi tempi, dalla Brexit alla crisi del debito greco. E questo lo ha reso una personalità non solo importante ma anche fondamentale. Tanto che c’è chi lo ha definito il “presidente ombra”.

Ma chi è Selmayr? Tedesco, avvocato, 47 anni, la sua carriera è stata rapida e decisa, passando da portavoce a segretario generale della Commissione. Come scrive Linkiesta, “alcuni colleghi lo chiamano il ‘mostro’ di Berlaymont per come gestisce in modo autoritario e dispotico i lavori nel palazzo della Commissione a Bruxelles. Altri ancora invece l’hanno definito il ‘Rasputin di Juncker’ o il ‘Frank Underwood della politica europea’ per il cinismo unito alla spregiudicatezza politica”. E nel frattempo, ha blindato la sua posizione al’interno della Commissione. Perché il segretario generale è un ruolo amministrativo: quindi non è sottoposto alle tempeste politiche. Ed è proprio per questo che l’Unione europea ha messo sotto osservazione la sua figura.

Secondo molti osservatori, la nomina è una mossa anche spregiudicata di Juncker, per mantenere il più possibile lo status quo della Commissione europea anche dopo le elezioni europee del 2019. Il presidente della Commissione non potrà ricandidarsi per ovvi motivi. Inviso da molti governo dell’Unione europea, ma soprattutto dallo stesso elettorato continentale, la sua leadership è già abbondantemente sul viale del tramonto. Ma può dare il suo ultimi colpo di cosa: e l’ha fatto con la nomina di Selmayr.

Ma la questione non investe solo Junker. La nomina di un tedesco come segretario generale ha lasciato tutti parecchio perplessi: perché tutti i ruoli amministrativi più importanti dell’Ue sono ricoperti da tedeschi. Quindi da una parte c’è uno Juncker sempre più debole che blinda la sua Commissione. Dall’altra parte, la Germania ha praticamente invaso gli uffici burocratici dell’Unione europea. Klaus Welle è segretario generale del Parlamento europeo, Helga Schmid è segretario generale dell’Eeas, il Servizio europeo per l’azione esterna. E adesso si parla anche di Manfred Weber alla presidenza della Commissione europea e di Jens Weidmann a capo della Banca centrale europea.

La strategia tedesca è molto interessante. La Germania di Angela Merkel non ha scelto ruoli di prestigio o posizioni di comando in questi anni, ma ha scelto i posti “che contano”, quelli burocratici. È dal sottobosco dei funzionari europei che la Merkel coordina la politica dell’Unione. E in questi anni ha fatto in modo di fondere completamente i desideri di Berlino con quelli di Bruxelles grazie anche alla presidenza di Juncker. Anche infrangendo le regole.

fonte: http://www.occhidellaguerra.it/europa-germania-selmayr/

Come i nostri media leccano il culo al potente di turno: un marocchino salva la vita alla dottoressa aggredita? Per Tg1 e Tg2 della Rai la notizia è che “parla un italiano stentato”…!

marocchino

 

 

 

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Come i nostri media leccano il culo al potente di turno: un marocchino salva la vita alla dottoressa aggredita? Per Tg1 e Tg2 della Rai la notizia è che “parla un italiano stentato”…!

Il marocchino salva la dottoressa, ma i Tg Rai sottolineano: ‘parla un italiano stentato’

Mustafa El Aoudi ha salvato la vita alla donna aggredita a colpi di cacciavite. Su Tg1 e Tg2 un servizio nel quale come prima cosa si parlava della scarsa dimestichezza con la nostra lingua dell’uomo. Ma era necessario?

Lui si chiama Mustafa El Aoudi, è marocchino di 40 anni, vive in Italia da vent’anni, ha una moglie e tre figli che sono nati tutti a Crotone.
Mustafa fa il venditore ambulante e la sua bancarella è davanti ai cancello dell’ospedale San Giovanni di Dio.
E’ stato lui, con il suo intervento, a salvare la dottoressa Maria Carmela Calindro, aggredita a colpi di cacciavite da un uomo che la riteneva responsabile della morte di un suo parente.
Un gesto nobile di altruismo che ha fatto di Mustafa il personaggio del giorno.
Peccato che sia Tg1 che Tg2 (che hanno trasmesso lo stesso servizio) siano stati protagonisti di quella che a tanti è sembrata una bruttissima scivolata, tanto più antipatica in tempi di xenofobia spinta ai massimi livelli con gli atti del governo pentastellato e da tanti amministratori che fondano il loro consenso sulla discriminazione e gli stereotipi.
Così il servizio sull’aggressione cominciava con Mustafa, che brevemente ha ricostruito l’aggressione e un suo intervento.
A questo punto in campo la voce del giornalista che ha detto testualmente: “Racconta così l’aggressione, in un italiano stentato, Mustafa El Audi”.
In un italiano stentato? Possibile? Sì, la prima cosa che il giornalista ha sottolineato è stato “l’italiano stentato” di Mustafa, che poi stentato non è (perché si capiva benissimo il suo racconto) ma era un italiano con inflessione e un paio di parole in calabrese.
La domanda è: perché la prima cosa che nel servizio si è voluta sottolineare è stata la (presunta) scarsa dimestichezza di Mustafa con l’italiano? Qual era il senso?
Che anche se parla male l’italiano è in grado di compiere un gesto di altruismo?
Che c’entra l’italiano stentato (che – ripetiamo – stentato non era nemmeno, anzi tra governo e parlamento sentiamo di peggio) con il salvataggio della dottoressa?
Da garantisti, immaginiamo e vogliamo immaginare che l’autore del servizio non avesse intenzioni malevole. Che si sia trattato di una scivolata, di una frase messa lì senza valutarne l’impatto, soprattutto in questi tempi bui.
Ma se quel servizio è andato in onda così sia nel Tg1 delle 20 che nel Tg2 delle 20.30 (il Tg3 delle 19 l’aveva annunciato ma poi non l’ha mandato in onda perché non pronto, ndr) significa che è sicuramente passato sotto gli occhi di capiservizio, capiredattori. Possibile che nessuno si sia accorto di questa antipatica stonatura?
In tempi di odio crescente e di stereotipi che galoppano ci vorrebbe più sensibilità. Soprattutto nel servizio pubblico.
Ps: nel lanciare il servizio la conduttrice del Tg1 ha detto che la dottoressa era stata salvata da un “ambulante maghrebino”.
Mentre la conduttrice del Tg2 ha detto solo ‘ambulante’. Tanto che un collega della Rai ha maliziosamente commentato: la qualifica di immigrato non manca mai se sono spacciatori o stupratori…

tratto da: https://www.globalist.it/media/2018/12/05/il-marocchino-salva-la-dottoressa-ma-i-tg-rai-sottolineano-parla-un-italiano-stentato-2034523.html

6 dicembre, 11 anni fa il Rogo Thyssen, 7 operai uccisi in modo atroce, ma i manager tedeschi, già condannati da 2 anni, si fanno beffa della giustizia e del dolore dei parenti…!

 

Thyssen

 

 

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6 dicembre, 11 anni fa il Rogo Thyssen, 7 operai uccisi in modo atroce, ma i manager tedeschi, già condannati da 2 anni, si fanno beffa della giustizia e del dolore dei parenti…!

Undici anni dopo l’atroce morte di 7 operai a Torino e oltre due anni dopo la sentenza definitiva di condanna i manager tedeschi, ancora liberi, si fanno beffa del dolore dei parenti…! Sì, tedeschi, quelli che chiamavano noi “scrocconi” ma che alla prima occasione dimostrano tutta la loro meschinità.

Le carone in questione sono l’ex AD di Ast Harald Espehnahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz.

I manager italiani stanno scontando le loro pene, diversamente da quelli tedeschi. Nonostante la richiesta di arresto da parte dell’Italia sono ancora liberi. “Ora non ci sono più scuse, la Germania ha tutte le carte per procedere”, dice l’unico sopravvissuto Antonio Boccuzzi.

Da TerniToday:

 

Rogo Thyssen, i manager tedeschi ancora liberi inseguiti dalle Iene

Undici anni dopo la morte di 7 operai a Torino e oltre due anni dopo la sentenza definitiva di condanna l’inviato della trasmissione è andato a cercare l’ex ad di Ast Espenhahn. Il figlio Lucas: “Siamo dovuti andare via, era pericoloso”

Undici anni esatti dopo il rogo di Torino in cui perserò la vita sette operai, oltre due anni dopo la condanna definitiva i manager tedeschi della Thyssen Krupp, l’ex ad di Ast Harald Espehnahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz sono ancora liberi. E la trasmissione televisiva di Italia Uno “Le Iene” è andata in Germania a cercarli. Anzi, letteralmente a inseguirli.

I due manager, intercettati dall’inviato Alessandro Politi mentre facevano jogging vicino alle rispettive case, alla vista della telecamera sono corsi via evitando le domande. Chi non si è sottratto al microfono della Iena è stato il figlio di Espenhahn, Lucas, che ha vissuto per anni a Terni e proprio con accento ternano ha risposto all’inviato. “Non è vero che ha ucciso un sacco di persone – dice – è una questione di politica questa. Io ci sono cresciuto in Italia, sono italiano quanto te. Terni la conosci? E’ lì che stanno le acciaierie”. Ma perché siete scappati dall’Italia, chiede Politi. “Siamo dovuti andare via, era abbastanza evidente. Era troppo pericoloso”.

A commentare le immagini dei due manager che scappano e le parole del figlio di Espenhahn, Antonio Boccuzzi, operaio sopravissuto alla tragedia ed ex deputato del Pd, e Noemi Laurino, figlia di Angelo, uno dei sette lavoratori morti carbonizzati nella notte tra il 5 e 6 dicembre del 2007 di cui vengono anche mostrate le immagini inedite – crudissime – a pochi minuti dalla tragedia.

A perdere la vita, oltre a Laurino, Antonio Schiavone, Giuseppe De Masi, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Roberto Scola, Rocco Marzo. Espenhahn è stato condannato in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo a nove anni e otto mesi mentre Priegnitz a sei anni e dieci mesi. Stessa condanna per il ternano Marco Pucci, successore di Espehahn alla guida dell’Ast di Terni, che sta scontando la condanna come l’ex direttore dello stabilimento, Daniele Moroni, anch’egli ternano, sette anni e sei mesi, Raffaele Salerno, sette anni e due mesi, e il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri, sei anni e otto mesi. Sia Pucci (che nel 2017 ha chiesto la grazia al presidente della Repubblica Mattarella) che Moroni da più di un anno hanno ottenuto il permesso di poter svolgere durante il giorno un’attività lavorativa – il primo alle Fucine Umbre, l’altro alla Mascio Engineering – mentre i manager tedeschi sono ancora a piede libero in attesa che la Germania dia seguito alle richieste della magistratura italiana per far rispettare la sentenza.

A settembre chiesta la carcerazione in Germania

La questione il 15 novembre scorso è stata discussa anche in commissione Giustizia al Senato dove il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Guido Guidesi, ha risposto a un’interrogazione della vicepresidente del Senato, Anna Rossomando del Pd, al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. “Nei giorni scorsi il ministero ha sollecitato nuovamente la definizione del procedimento chiedendo di ricevere informazioni”, la replica.

“La corte d’appello di Hamm non ha tuttavia concesso l’estradizione – ha ricordato la nota del ministero – in base al principio generale secondo cui all’estradizione richiesta è ostativa la mancata prestazione del consenso da parte dei cittadini tedeschi condannati. Il 30 novembre e il 17 gennaio 2017 il ministero della Giustizia ha trasmesso alle competenti autorità tedesche la predetta certificazione corredata dalla sentenza esecutiva pronunciata dalla corte d’assise d’appello di Torino il 29 maggio 2015, con relativa traduzione in lingua tedesca”. Obiettivo la possibilità di far scontare la pena ai due nel loro paese. Le traduzioni sono state inviate in Germania il 6 agosto scorso e a settembre la procura di Essen ha chiesto la carcerazione di Espenhahn e Priegnitz  per cinque anni, vale a dire la pena massima prevista in Germania per i reati contestati. Ma ancora non è stata eseguita.

 

Una porcata del genere non l’aveva partorita manco Salvini: la Danimarca vuole confinare i migranti che non possono essere rimpatriati su un’isola deserta

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Una porcata del genere non l’aveva partorita manco Salvini: la Danimarca vuole confinare i migranti che non possono essere rimpatriati su un’isola deserta

La Danimarca vuole confinare i migranti che non possono essere rimpatriati su un’isola deserta

La struttura di Lindholm tratterrà i cittadini stranieri che la Danimarca non è in grado di espellere, ad esempio perché non esiste alcun accordo di rimpatrio tra la Danimarca e il paese d’origine. L’accordo di Lindholm, in sostanza, mira a  rendere la vita degli immigrati irregolari intollerabile così da costringerli a lasciare il paese volontariamente

La Danimarca sta pensando di isolare i cittadini stranieri con condanne pendenti o che si sono visti respingere la richiesta di asilo e non possono essere rimpatriati sull’isola di Lindholm, un territorio di sette ettari in mezzo al mare raggiungibile solo via traghetto. Secondo quanto si apprende dalla stampa danese, la disposizione fa parte del nuovo accordo di bilancio raggiunto tra il governo conservatore della Danimarca e il Partito popolare danese, che da sempre chiede norme più restrittive in materia di immigrazione. L’accordo prevede dunque che i cittadini stranieri condannati per crimini e in attesa di espulsione saranno trattenuti in una struttura a Lindholm.

I richiedenti asilo respinti ma che non possono essere rimpatriati ricevono dal governo danese un alloggio in cui non possono preparare i loro pasti, del cibo e un assegno di circa 1,20 dollari al giorno, che viene però trattenuto se non cooperano con le autorità. Al momento, nei due centri di espulsione della Danimarca ci sono centinaia di migranti che non hanno diritto a restare nel paese ma che si rifiutano di tornare nel loro paese di origine e non possono essere espulsi.

“Non saranno imprigionati”, ha dichiarato il ministro delle Finanze Jensen. “Ci sarà un servizio di traghetti da e per l’isola, ma il traghetto non opererà tutto il giorno, e di notte dovranno rimanere al centro di partenza. In questo modo saremo in grado di monitorare meglio dove si trovano”. La struttura di Lindholm tratterrà i cittadini stranieri che la Danimarca non è in grado di espellere, ad esempio perché non esiste alcun accordo di rimpatrio tra la Danimarca e il paese d’origine. L’accordo di Lindholm, in sostanza, mira a  rendere la vita degli immigrati irregolari intollerabile così da costringerli a lasciare il paese volontariamente.

“Per noi è un problema vedere che alcuni stranieri che sono stati effettivamente condannati al rimpatrio stanno ancora commettendo reati e non abbiamo modo di monitorarli”, ha spiegato il ministro Jensen. Le opposizioni danesi nel frattempo protestano e segnalano la disumanità insita nella proposta avanzata dal governo.

Attualmente, Lindholm è utilizzata dall’Istituto veterinario della Technical University of Denmark che svolge attività di ricerca sui virus che colpiscono bovini e suini. L’attività di ricerca viene effettuata su quest’isola disabitata per precauzione, per scongiurare eventuali contagi. Quando il centro di  Lindholm entrerà in funzione, probabilmente nel 2021, il DTU lascerà l’isola.

Tratto da: https://www.fanpage.it/la-danimarca-vuole-confinare-i-migranti-che-non-possono-essere-rimpatriati-su-unisola-deserta/

Marco Travaglio: “Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti”

 

Marco Travaglio

 

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Marco Travaglio: “Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti”

 

Pesi e misure

di Marco Travaglio

La butto lì, casomai qualcuno volesse riflettere seriamente sul ruolo dell’informazione nell’Italia del 2018, uscendo per un attimo dalle opposte trincee del giornalismo embedded: avete idea di quanti articoli di giornale, servizi di tg e dibattiti da talk show e da social sono stati dedicati ai guai del padre di Di Maio e alla sentenza sulla trattativa Stato-mafia? Da una parte abbiamo tre o quattro operai in nero, tre o quattro abusi edilizi, una betoniera, una carriola e un mucchietto di mattoni abbandonati nella microditta dei genitori di Di Maio (che per ora non risulta aver fatto un bel nulla). Dall’altra abbiamo la Corte d’assise di Palermo che condanna penalmente Marcello Dell’Utri, inventore di FI (il partito che ha dominato la scena politica dal 1994 all’altroieri), e i massimi vertici del Ros dei Carabinieri del 1992-’96, per aver aiutato gli stragisti di Cosa Nostra a ricattare lo Stato a suon di stragi; e condanna politicamente i governi Amato (1992), Ciampi (1993), Berlusconi (1994) per aver subìto quel ricatto mafioso senza mai né respingerlo né denunciarlo.

In quella sentenza si legge, fra l’altro, che: l’allora presidente Scalfaro mentì sotto giuramento ai pm sostenendo di non sapere nulla dell’avvicendamento ai vertici del Dap fra il duro Nicolò Amato e il molle Adalberto Capriotti, mentre era stato proprio lui a imporlo per ammorbidire il 41-bis che un anno prima era costato la vita a Falcone; molti altissimi rappresentanti delle istituzioni mentirono o dimenticarono per anni il proprio ruolo in quel turpe negoziato, ostacolando l’accertamento della verità; l’allora premier Giuliano Amato fu informato nell’estate ’92 della trattativa fra il Ros e il mafioso Ciancimino dalla sua capo-segretaria Fernanda Contri, ma non fece nulla per bloccarla e non ricordò un bel nulla dinanzi ai pm; Violante, presidente dell’Antimafia, fu avvicinato dal colonnello Mori, che gli caldeggiò invano un incontro riservato con Ciancimino, e non ne avvertì mai i pm di Palermo, né allora né quando seppe che indagavano sulla trattativa; mentre B. era al governo, Dell’Utri riceveva nella sua villa a Como il boss Mangano e gli spifferava in anteprima le leggi pro mafia; B. continuò – come faceva da 20 anni – a finanziare Cosa Nostra con versamenti semestrali in contanti almeno fino al dicembre ’94, cioè mentre era premier; senza la trattativa Ros-Ciancimino-Riina-Provenzano, non ci sarebbe stata l’“accelerazione” che indusse Cosa Nostra a sterminare Borsellino e la sua scorta appena 57 giorni dopo aver assassinato Falcone, la moglie e la scorta.

Senza la trattativa – scrivono i giudici – le stragi mafiose si sarebbero interrotte con l’arresto di Riina il 15 gennaio ’93, dunque fu la trattativa a causare gli eccidi della primavera-estate ’93 a Roma, Firenze e Milano (10 morti e 30 feriti). Da due settimane il caso Di Maio (padre) occupa le prime pagine dei quotidiani, le homepage dei loro siti, i titoli dei tg, i dibattiti nei talk e sui social, i discorsi nei bar. Invece all’agghiacciante sentenza Trattativa, che chiude in primo grado uno dei processi più cruciali dell’ultimo cinquantennio, la Norimberga sulle classi dirigenti di sinistra&destra che hanno dominato, e ancora in parte dominano, il potere italiano, giornali e tg hanno dedicato un paio di servizi il primo giorno, e nemmeno fra i principali. Poi silenzio. Zero dibattiti, approfondimenti, inseguimenti modello Iene. Zero domande e dunque zero risposte, autocritiche, scuse al popolo italiano da chi collaborò a metterlo per 25 anni sotto il ricatto mafioso.
Sui guai di suo padre, che non hanno prodotto non dico una sentenza, ma neppure un avviso di garanzia, il vicepremier Di Maio è stato intervistato quattro volte dalle Iene, e bene ha fatto a rispondere, anziché fuggire dal retro e far cacciare i cronisti dalla scorta, come facevano quelli di prima, o seppellirli sotto valanghe di cause civili o minacciare di spezzargli le gambe, come fanno i berluscones e i rignanos. E bene ha fatto suo padre ad ammettere le sue colpe e a mettersi a disposizione delle autorità in due video sul web e un’intervista al Corriere. Ma a voi pare normale che nessuno abbia mai chiesto nulla ad Amato, magari attendendolo sotto casa o davanti alla Consulta, su quel che gli disse la Contri sulla trattativa con la mafia che aveva appena ucciso Falcone e Borsellino? Che nessun politico di destra e di sinistra abbia dovuto scusarsi di aver promosso e coperto Mori&C., anziché degradarli sul campo per aver trattato con Cosa Nostra, omesso di perquisire e sorvegliare il covo di Riina, fatto fuggire Santapaola e Provenzano? Che non una sola domanda sia stata rivolta a B. sui soldi versati alla mafia anche dopo Capaci e via D’Amelio? E che dunque nessuno abbia mai dovuto spiegare o discolparsi per fatti lievemente più gravi di una vasca posticcia, tre ruderi e quattro laterizi? Quale devastazione intellettuale, quale tsunami culturale ha ridotto l’informazione in questo stato comatoso, impermeabile al senso della notizia e financo del ridicolo? Si dirà: le 5.252 pagine della sentenza Trattativa non le ha lette nessuno. Giovedì ne pubblicheremo con Paperfirst una sintesi di un decimo, nel libro Padrini fondatori curato da Marco Lillo e dal sottoscritto. Ma sappiamo tutti che non è questo il punto. Dalla saga Spelacchio alla sitcom Casa Di Maio, quella che chiamiamo “informazione” non ha più nulla a che vedere col diritto-dovere di informare. Quanti pensano di usare il nulla per gettare discredito su chi ha l’unico torto di aver vinto le elezioni, non si accorgono che stanno sputtanando se stessi e l’intera categoria. Ormai la libertà di stampa è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai giornalisti.

Da Il Fatto Quotidiano