Signore e Signori, ecco a Voi gli Stati Uniti, quelli che si ergono a paladini della giustizia nel mondo: 88 armi ogni 100 abitanti. Negli ultimi 1.735 giorni 1.516 sparatorie!

 

Stati Uniti

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Signore e Signori, ecco a Voi gli Stati Uniti, quelli che si ergono a paladini della giustizia nel mondo: 88 armi ogni 100 abitanti. Negli ultimi 1.735 giorni 1.516 sparatorie!

 

Negli Stati Uniti 88 armi ogni 100 abitanti. Negli ultimi 1.735 giorni 1.516 sparatorie.
Negli Stati Uniti le probabilità di morire in un conflitto a fuoco sono 11 volte superiori rispetto a qualsiasi altro paese sviluppato: le sparatorie, spesso con vittime, sono state negli ultimi anni quasi una al giorno.

Ottantotto armi da fuoco ogni cento abitanti. E’ questo il dato che più di ogni altro spiega cosa è accaduto domenica sera a Las Vegas, quando Stephen Paddock, pensionato di 64 anni, si è affacciato dal 32esimo piano di un hotel ed ha aperto il fuoco sulle persone che stavano assistendo a un concerto country. L’uomo era riuscito a portare nella sua stanza di albergo 23 tra pistole e fucili e centinaia di munizioni, mentre una perquisizione nella sua casa ha rivelato che ne possedeva altre 19, tutte perfettamente funzionanti. E’ probabilmente proprio nella facilità di accesso alle armi da fuoco che vanne trovate le ragioni della tragedia di Las Vegas, la più grave sparatoria nella storia degli Stati Uniti, ma anche di altri episodi simili numericamente meno consistenti, ma ugualmente gravi e soprattutto praticamente quotidiani.

USA: negli ultimi 1.735 giorni 1.516 sparatorie
E’ il Guardian a fornire alcuni dati che spiegano il fenomeno della stragi negli Stati Uniti, paese in cima alle classifiche mondiali per la quantità di armi possedute dai suoi cittadini. Episodi come quello di Las Vegas capitano in un numero 11 volte superiore rispetto a qualsiasi altro paese sviluppato, secondo uno studio pubblicato nel 2014 nel Journal of International Criminal Justice. Negli ultimi 1.735 giorni le sparatorie sono state 1.516, molte delle quali con la presenza di vittime. Come detto, mediamente negli USA ci sono 88 pistole ogni 100 abitanti: un dato impressionante anche se rapportato al secondo paese di tale classifica, lo Yemen, dove le armi sono invece 54 ogni 100 abitanti.

Curare persone ferite dalle armi costa agli USA 2,8miliardi di dollari
Secondo il Guardian, sono 30mila le persone uccise dalle armi da fuoco ogni anno negli States. In due casi su tre si tratta di suicidi. Sono invece 100mila gli uomini, donne o bambini che vengono feriti, stando a uno studio pubblicato sulla rivista Health Affairs. In termini sanitari, il costo sostenuto per curare le persone coinvolte in conflitti a fuoco è di 2,8miliardi di dollari all’anno. Dati emblematici: per gli americani le probabilità di morire a causa di un conflitto a fuoco sono 25 volte più alte rispetto agli altri paesi sviluppati. Un sondaggio dell’Università di Harvard rivela che la metà delle armi da fuoco in circolazione nel paese è detenuta dal 3% appena della popolazione e che 7,7 milioni di cittadini posseggono tra gli otto e i 140 fucili o pistole.

Uomo, conservatore e residente fuori dalle città: il profilo dei proprietari di armi
Significativo il profilo dei possessori di armi: si tratta di bianchi, prevalentemente conservatori e residenti fuori dalle grandi città. Il reddito naturalmente incide sulla possibilità di acquistare legalmente un pezzo: chi guadagna almeno 25.000 dollari ogni anno entra più facilmente in un’armeria. Il 30% dei conservatori dichiara il possesso di un’arma, rispetto al 19% dei moderati e al 14% dei liberali. L’acquisto di pistole e fucili continua ad essere una prerogativa maschile, dal momento che le donne che si rivolgono alle armerie rappresentano una porzione ridotta (12%) del mercato.

fonte: https://www.fanpage.it/negli-stati-uniti-88-armi-ogni-100-abitanti-negli-ultimi-1-735-giorni-1-516-sparatorie/

 

 

I fantastici risultati di 4 anni da Ministero della Lorenzin: dodici milioni di italiani fuori dalla sanità pubblica italiana e boom della sanità privata!

 

Lorenzin

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I fantastici risultati di 4 anni da Ministero della Lorenzin: dodici milioni di italiani fuori dalla sanità pubblica italiana e boom della sanità privata!

 

I RISULTATI DEL MINISTERO LORENZIN DOPO 4 ANNI: DODICI MILIONI DI ITALIANI FUORI DALLA SANITÀ PUBBLICA ITALIANA E BOOM DELLA SANITÀ PRIVATA

In pratica un italiano su quattro in età adulta. Dall’altro lato lo stato sempre più fatiscente della sanità pubblica italiana costringe chi se lo può permettere a spendere sempre di più nella sanità privata: lo scorso anno la spesa ha raggiunto i 37,3 miliardi di euro.

Abbiamo già denunciato su queste pagine delle situazioni-limite oramai insostenibili, dove dopo le parole di qualche politico non è avvenuto nulla di concreto. Si continua a brancolare nel buio e gli stanziamenti per il personale e le strutture sono state minime , avendo avuto il ruolo del padrone gli acquisti di vaccini e farmaci. Ma si può continuare così?

L’Italia continua ad avere una spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil inferiore a quella di altri grandi Paesi europei. Nel nostro Paese è pari al 6,8 per cento del Prodotto interno lordo, in Francia all’8,6 per cento, in Germania al 9 per cento. Per il Censis, in questi anni il recupero di sostenibilità dei servizi sanitari regionali non è stato indolore. Anzi, è costato migliaia di posti di lavoro per mancato turn over fra medici e infermieri e tanta qualità sul lato dell’offerta.

L’ottavo «Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata», presentato in occasione del Welfare Day 2017 con il patrocinio – che suona quasi beffardo – del ministero della Salute non lascia adito a dubbi. Alla vigilia del quarantennale della istituzione del Servizio sanitario nazionale – legge 833 del 1978 – lo stato di salute della sanità pubblica è pre-fallimentare: ci sono 20 servizi sanitari regionali diversi ma pochissimi sono all’altezza.

Le difficoltà di accesso al sistema pubblico sono infatti aumentate. Le liste d’attesa per la sanità pubblica italiana sono sempre più lunghe.

I dati indicano che per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva in media a 142 giorni. Per una colonscopia si aspettano mediamente 93 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono ben 109.

Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Sud ne sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma si sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud.

In questo contesto decadente il mercato della sanità diventa fiorente e sfrutta le mancanze della sanità pubblica italiana tramite lo strumento degli «accreditamenti» che, specie al Sud, lasciano spalancata la porta alle irregolarità e alla malavita che controlla e gestisce migliaia di strutture, come accertato dalla commissione parlamentare Antimafia presieduta proprio dall’ex ministro della Sanità – e autrice dell’ultima riforma che cercava di mettere al centro il sistema pubblico – Rosi Bindi.

Il Censis e Rbm stimano in oltre 15 miliardi le risorse spese ogni anno verso la sanità integrativa. Un mercato che ora sfrutta anche le defiscalizzazioni che imprese e lavoratori possono utilizzare per il welfare aziendale.

via RadicalBio

Ve lo ricordate il blog di Matteo Renzi? Doveva contrastare quello di Grillo! Che fine ha fatto? Affossato dallo stesso Renzi: ZERO LETTORI… Ennesima figura di m…., pietosamente nascosta dal silenzio dei media di regime.

 

Matteo Renzi

 

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Ve lo ricordate il blog di Matteo Renzi? Doveva contrastare quello di Grillo! Che fine ha fatto?  Affossato dallo stesso Renzi: ZERO LETTORI… Ennesima figura di m…., pietosamente nascosta dal silenzio dei media di regime.

 

Renzi affossa il suo blog: zero lettori

Doveva incalzare quello di Grillo. L’ultimo post è di due mesi fa
 – ilgiornale.it) – L’avvio è scoppiettante: un post ogni due settimane per incalzare Beppe Grillo sul terreno della comunicazione via web.
Otto mesi dopo, Matteo Renzi rivede i piani: il blog del rottamatore non decolla. Il segretario dei Pd valuta l’ipotesi di «rottamare» la principale arma soffiata all’artiglieria grillina. L’ultimo post sul blog è del 10 luglio. Il bilancio è impietoso: i messaggi dell’ex sindaco di Firenze non riscuotono più di 100 commenti. Nulla rispetto alle fucilate del comico genovese. Eppure, il 25 gennaio, giorno dell’esordio del blog, Renzi precisa che «non si tratta di un luogo (virtuale) per reduci». Anzi, scrive l’ex capo del governo – «il blog è il luogo dove camminare verso il futuro. Insieme, in tanti». Il cammino si è interrotto velocemente. In viaggio (virtuale) sono rimasti in pochi, a giudicare dall’insuccesso della piattaforma renziana. E sempre in tema di rottamazione renziana, ieri è stato il turno del presidente uscente della Regione Sicilia Rosario Crocetta: il governatore, dopo un incontro al Nazareno con il segretario del Pd, ha deciso di ritirare la candidatura per le regionali in Sicilia e sostenere Fabrizio Micari. «Mi prendo 18 ore per sentire i miei», ha spiegato il presidente siciliano che si dice disposto a rinunciare alla candidatura a governatore e alle primarie: «Non sono uno che sfascia tutto».
Chiusa la partita siciliana, grazie all’accordo Crocetta-Micari, il leader del Pd punta ora al rilancio della propria leadership. Da tempo, il fallimento del blog ne è la prova, l’intera strategia di comunicazione è in crisi. Il messaggio del rottamatore non sfonda. Gli interventi pubblici di Renzi sono invettive monotematiche contro D’Alema, Europa e magistrati del caso Consip. Il ritorno di Renzi al Nazareno, dopo la pausa estiva, rinfrancato anche da un sondaggio realizzato da Emg che lo vedrebbe avanti a Di Maio e Salvini sulla popolarità dei leader, è nel segno dell’operazione rilancio. Il 25 settembre, da Roma, il segretario dei dem partirà in treno per toccare tutte le province italiane. Esperimento non nuovo nel panorama politico italiano: nel 2001, Francesco Rutelli utilizzò lo stesso mezzo per la campagna elettorale che lo portò alla sconfitta contro Silvio Berlusconi. Renzi cambia strada, passando dalla piazza virtuale a quella reale. Nell’ottica della nuova strategia si inquadrerebbe anche il coinvolgimento di Walter Veltroni, che ieri ha incontrato sia Renzi che il premier Gentiloni, per la conferenza programmatica del Pd di ottobre. Sul piano politico, ius soli e alleanze sono i due dossier che il segretario dem si prepara ad affrontare per l’autunno pre-elettorale. In casa Pd si è consumato lo strappo sulle alleanza tra il presidente del Matteo Orfini e il portavoce Matteo Richetti. Per Orfini «una coalizione che vada da Angelino Alfano a Giuliano Pisapia non potrà essere riproposta a livello nazionale». Il presidente Pd ha smentito Richetti che in un’intervista alla Stampa aveva aperto all’ipotesi di «un listone unico con Alfano a Pisapia». Più delicata la partita sullo ius soli: il Pd spinge per l’approvazione del provvedimento prima di Natale. Sapendo di non avere i numeri in Parlamento ma soprattutto di minare la tenuta del governo Gentiloni.
fonte: https://infosannio.wordpress.com/2017/09/05/renzi-affossa-il-suo-blog-zero-lettori/amp/

Hai figli? Stai per averne? Non sei una lavoratrice gradita! Il rapporto choc… E un grazie di cuore a chi ci governa!

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Hai figli? Stai per averne? Non sei una lavoratrice gradita! Il rapporto choc… E un grazie di cuore a chi ci governa!

 

‘Hai figli? Stai per averne? Non sei una lavoratrice gradita’. Il rapporto choc

Questo uno dei leit-motiv delle oltre seicento donne che si sono rivolte nel corso del tempo all’ufficio dell’ex consigliera di Parità della Regione Puglia, per denunciare le discriminazioni subite sul posto di lavoro. Dalle molestie alle mosse illegali

DI MAURIZIO DI FAZIO
Al tempo del mio insediamento, l’ufficio non era molto conosciuto sul territorio. E le risorse quasi azzerate per un maschilismo strisciante. Ho lavorato quasi da volontaria, consapevole che spesso le Consigliere sono l’ultimo baluardo di ascolto e difesa delle donne. E dire che la normativa europea (una direttiva del 2006 recepita con un decreto legislativo del 2010) ci ha reso ancor più protagoniste nella battaglia contro le discriminazioni di genere”. Per nove anni, fino al 2016, Serenella Molendiniè stata la Consigliera di parità della Regione Puglia e ha deciso di cristallizzare la sua esperienza in un volume intitolato “Pari opportunità e diritto antidiscriminatorio”. Radiografia di una regione, e di una nazione, sensibilmente in ritardo in tema di eguaglianza tra i sessi sul posto di lavoro. E tutto questo nel quarantennale della legge Anselmi sulla Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. La parità di partenza e di accesso resta un concetto astratto, così come la qualità delle condizioni e delle opportunità lungo il percorso. Anche il gap salariale di gender non accenna a diminuire, specialmente nel settore privato. Le donne italiane si laureano più degli uomini, compresi master e specializzazioni post-universitarie, ma guadagnano di meno e il numero di quelle che arrivano a posizioni di vertice non tocca il 20 per cento del totale. È quasi impossibile superare il cosiddetto “soffitto di cristallo”. L’ascensore è bloccato, il 40 per cento è assorbito da mansioni di segretariato, dilagano i contratti precari tra le ragazze dai trenta ai quarant’anni.

Il fardello che inibisce la libertà di carriera e la tranquillità in ufficio o in fabbrica delle donne è sempre lo stesso: la maternità. La maggior parte delle seicento donne che hanno bussato alla porta della Molendini lamenta che sia stata proprio questa la causa della discriminazione o del licenziamento subito. Le aziende tendono a mettere subito le cose in chiaro: se hai dei figli, e soprattutto se stai per averne qualcuno, non sei una lavoratrice gradita.

Così il colloquio non andrà a buon fine, o inizieranno rappresaglie programmatiche se già assunte. Molte neo-mamme non ce la fanno a sopportare un clima di terrorismo psicologico, e gettano la spugna: licenziamenti mascherati da “scelte autonome”.

Nel 2008 le donne pugliesi che si dimettevano dal lavoro dopo la maternità erano 666. Adesso sono 1587. L’aut-aut tra lavoro e maternità è ancora un’usanza invalsa nel mezzogiorno, ma a soffrire di questa “superstizione” antimoderna è un po’ tutta la penisola. E si cerca perfino di ignorare il divieto di licenziamento, previsto per legge, durante la gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Senza contare gli episodi di molestie sessuali, mobbing, trasferimenti forzati, maltrattamenti verbali, minacce e negazioni di orari flessibili, demansionamenti e riduzioni arbitrarie dello stipendio.

“Attraverso il lavoro di questi anni si è avuta la piena consapevolezza che le denunce pervenute rappresentino solo la punta dell’iceberg di un sommerso impalpabile” scrive Serenella Molendini nel suo report. Istituite nel 1991, il ruolo delle Consigliere regionali di parità è decollato solo negli ultimi dieci-quindici anni: oggi sono delle pubbliche ufficiali a tutti gli effetti, e dopo una denuncia possono farsi mediatrici in sede di conciliazione, o adire le vie giudiziarie oltreché adoperarsi per un profondo mutamento culturale della propria comunità.

“Si tollera che le donne si vedano precludere alcune tipologie di lavori e mansioni, o che al momento dell’assunzione si sentano richiedere se si è sposate o fidanzate, o se pensino di avere un figlio. Non desta nessuna meraviglia che una donna laureata, con master e specializzazioni, faccia carriera meno frequentemente e guadagni meno, o lavori in un call center – aggiunge l’ex Consigliera di parità -. Le lavoratrici conoscono bene le pressioni, più o meno sottili, di datori di lavoro e familiari per indurle a lasciare l’impiego, magari perché ritengono non ce la facciano a tenere il ritmo del doppio “carico”.

Dunque atteggiamenti culturali, stereotipi duri a morire: non c’è da stupirsi che crolli il tasso di natalità, con un’Italia fanalino di coda in Europa”. La strada è ancora lunga, necessita di sentinelle in trincea, giorno dopo giorno, contro le discriminazioni di genere e il rapporto “Pari opportunità e diritto antidiscriminatorio”, costellato di casi concreti (e vertenze vinte), indica la via.

Ti licenzio perché sei in età fertile. Una donna già vittima di mobbing, rientrando al lavoro dopo un periodo di assenza, è stata invitata ossessivamente a rassegnare le dimissioni “vista anche la sua età, rischiosa per l’azienda, perché avrebbe potuto sposarsi e avere dei figli”.

Una gravidanza non può fermare la macchina giudiziaria. 
Un’avvocata incinta aveva chiesto il rinvio di un’udienza per complicanze della gravidanza. Ma la sua domanda è stata rigettata perché “pervenuta tardivamente in cancelleria”. La legale è stata finanche accusata di negligenza professionale. “Una colica non si fa preannunciare” ha polemizzato la Molendini.

Stalking occupazionale. 
Al rifiuto delle lavoratrici di sopportare apprezzamenti del genere “hai un culo da sballo” e “ti faccio diventare donna”, strusciamenti e pacche sui glutei, fanno spesso seguito atti di ripicca, sopraffazione e vendetta. Uno stillicidio di persecuzioni in stile stalking che osserva sempre il medesimo copione e pare non presentare alternative all’auto-licenziamento, passando per la discesa negli inferi della depressione.

Non ci stai? E allora ti pago lo stipendio quando pare a me (e ti calunnio).
Nel 2010 una donna, assistente in uno studio medico, si è rivolta a Serena Molendini raccontandole di essere stata molestata ripetutamente dal suo datore di lavoro. Angherie a sfondo sessuale cominciate due anni prima, quando si stava separando dal marito. La donna respinge al mittente gli approcci e il medico passa al contrattacco. Sa bene che la sua dipendente non naviga in buone acque e prende quindi a retribuirla non più il primo giorno del mese, ma con assegni fuori piazza, accreditati anche quindici giorni dopo. La donna trova però il coraggio di denunciare l’accaduto, e il dottore si vendica contestandole delle presunte inadempienze lavorative. Inoltre l’aggredisce, per futili motivi, di fronte ai pazienti dell’ambulatorio. La segretaria finisce nel gorgo delle strutture pubbliche di igiene mentale che le diagnosticano “uno stato ansioso depressivo reattivo in relazione a problematiche lavorative”, curabili con ansiolitici e psicoterapia. Ma l’azione della Consigliera di parità le garantisce una conciliazione stragiudiziale della querelle, e le restituisce la dignità perduta.

Non ci stai? E io ti perseguito fino a costringerti al licenziamento. 
Un risarcimento per le molestie subite sul luogo di lavoro, per l’avvilimento psichico, lo stato di disoccupazione
subentrato e la conseguente perdita di chance. di possibilità di conseguire vantaggi economici e morali dalla progressione di carriera. È riuscita a ottenerlo un’altra lavoratrice pugliese tormentata a lungo dal suo datore di lavoro, a colpi di mail e sms espliciti. Night and day. Blandizie e ricatti, profferte sessuali e ritorsioni. La donna, rischiando di impazzire, si era licenziata. L’ex Consigliera l’ha salvata.

fonte: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/09/11/news/hai-figli-stai-per-averne-non-sei-una-lavoratrice-gradita-il-rapporto-choc-1.309424?ref=HEF_RULLO

MISSIONE COMPIUTA: gli italiani accettano tutto senza fiatare – I suoi nuovi schiavi del lavoro!

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MISSIONE COMPIUTA: gli italiani accettano tutto senza fiatare – I suoi nuovi schiavi del lavoro!

 

Società flessibile e i suoi nuovi schiavi del lavoro

Chi sono gli “schiavi” del lavoro in questa nuova Società “flessibile”?

Sin dagli anni ’80 e ’90, con lo sviluppo tecnologico, i mercati di consumo hanno cominciato ad essere saturi, cioè l’industria aveva capacità produttiva in eccesso. Avere capacità produttiva in eccesso significa che il capitale investito non rende o rende poco, cioè il rendimento è basso facendo sì che l’industria veda diminuita la sua rendita.

Un primo problema è che i proprietari di queste imprese, gli azionisti, chiedono rendimenti sempre più alti. Cosa succede allora? Con i bassi profitti, che non possono salire per il fatto che si produce troppo e si vende poco, la classe dirigente delle imprese, che devono accontentare gli investitori, che altro non sono che i proprietari delle imprese stesse, hanno puntato a comprimere il costo del lavoro.

Le imprese, spremute dagli azionisti e dagli investitori, cercano di comprimere i costi del lavoro per inseguire rendimenti elevati, assurdi dal punto di vista industriale ma tipici della speculazione.

I risultati sono: compressione dei salari, intensificazione dei ritmi, emarginazione dei sindacati e aumento del precariato.

Quando le cose vanno bene le imprese aumentano i profitti che vengono spartiti tra gli azionisti, ma quando le cose vanno male i costi li paga il lavoratore.

Tutto questo è inaccettabile!

Come può essere accettabile che i profitti, ottenuti con l’impiego del lavoro, restino alle imprese e che invece i rischi derivanti dalle eventuali perdite ricadano sui lavoratori?!

I nostri politici ci vogliono far credere che per rivitalizzare l’economia, che sta attraversando un momento di grave stagnazione, sia necessario aumentare la flessibilità del lavoro per poter competere, ai tempi della globalizzazione, con gli altri paesi avanzati. Sostengono anche che la flessibilità del lavoro favoriscal’aumento dell’occupazione. In sostanza vogliono farci credere che l’aumento del numero dei lavori flessibili sia a vantaggio degli interessi generali della collettività.

Balle!

In realtà non esiste nessuno studio empirico di peso che metta in correlazione flessibilità del lavoro e aumento dell’occupazione. Le cosiddette riforme del lavoro, progettate dalla fine degli anni ’90 in poi hanno aumentato il lavoro precario e la precarietà tra l’altro contribuisce alla crescita del coefficiente di disoccupazione, perché tra un contratto e l’altro passa sovente parecchio tempo.

Che il lavoro flessibile produca occupazione è la “balla” che ci hanno raccontato per poter legittimare lo smantellamento delle tutele dei lavoratori.

Il lavoro flessibile sottintende in modo più o meno esplicito la “facilità di licenziare”.

Possiamo dire quindi che l’illegalità è all’interno di un sistema di legalità.

I lavori flessibili sono ad esempio: i lavori con contratto a termine, le collaborazioni continuative, ma di fatto discontinue, il lavoro intermittente, lavori occasionali, lavori in nero, lavori a progetto, etc… Tali lavori sono un modo nuovo di lavorare, coerente e necessario con le esigenze dell’economia dominante che ha come unico obiettivo l’aumento della rendita. Un numero crescente di persone, soprattutto i giovani, sembra abbiano ormai aver accettato passivamente questo nuovo modo di lavorare, e anzi dichiara anche di gradirlo… questo è l’effetto dello straordinario potere ideologico delle dottrine che ha reso “normale” questo stile di lavoro e di vita.

Il lavoro flessibile, che si può riassumere con la parola “precarietà” infligge ai lavoratori una ferita esistenziale, fonte di ansia e di diminuzione dei diritti di cittadinanza.

La precarietà implica “insicurezza” perché il reddito che deriva dal lavoro è revocabile a discrezione del datore di lavoro che lo ha concesso. I contratti di lavoro precarizzanti limitano o addirittura annullano la possibilità di formulare previsioni e progetti, sia di breve che di lunga portata, riguardo al proprio futuro professionale ma anche e soprattutto esistenziale e familiare.

I lavori flessibili comportano elevati costi umani: lacune nella formazione, esperienze professionali frammentarie, progetti di vita rinviati, bassi livelli reddituali e conseguente riduzione della sicurezza previdenziale. Inoltre coloro che trascorrono lunghi periodi nella precarietà e/o nella disoccupazione finiscono con il percepire se stessi in modo diverso dagli altri, la loro identità è minacciata, si sviluppano sentimenti di vergogna per non riuscire ad integrarsi pienamente all’interno della comunità. Nasce, in questo quadro, la figura dei Neet (Not in Education, Employment or Training), ragazzi sfiduciati che hanno rinunciato a studiare e a cercare un lavoro, che non fanno nulla e che vivono in famiglia. I Neet sono giovani condannati a consumare senza il diritto di produrre.

A trarre beneficio dal lavoro flessibile sono le imprese perché con esso si riduce il rischio di retribuire personale che non sia utilizzato al 100% quando la produzione non tira.

Il lavoro flessibile costringe il lavoratore a lavorare a ritmi frenetici in quanto la sua presenza in azienda viene appunto richiesta per affrontare con urgenza una problematica circoscritta all’interno della catena produttiva o di erogazione di servizi. I ritmi di lavoro sono paragonabili ad una linea di montaggio o a una sala presse degli anni Settanta.

La modernizzazione non è quindi servita a migliorare le condizioni di lavoro, ma anzi la precarizzazione ha riportato indietro di generazioni il mondo del lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori.

Perché non abolire la flessibilità? La flessibilità va mantenuta, e anzi innalzata, poiché giova alle imprese, alla competitività e al risanamento del bilancio pubblico. Pazienza per chi vive di stenti, per chi vive nell’angoscia, pazienza per le vite spezzate, pazienza per il sacrificio umano dei nuovi schiavi.

Inoltre al precario viene a mancare il senso di appartenenza ad un gruppo, viene a mancare il poter partecipare, con altri, alla realizzazione di un progetto lavorativo, di vederne i risultati, di poter vivere le ore di lavoro con lo spirito della collaborazione. In lui viene via via a mancare la fiducia nell’affidarsi agli altri e questo alimenta un senso di sfiducia nei sindacati e nelle associazioni in genere.

Ma ricordiamoci che l’essere umano attinge forza dall’unione con altri esseri umani.

La nostra responsabilità è di non tradire tutti coloro che in passato si sono battuti per ottenere condizioni più umane per i lavoratori ma principalmente la nostra responsabilità è verso l’essere umano che, in quanto tale, ha il diritto di vivere in un mondo fondato su leggi naturali, con ritmi naturali che diano vita e vigore ogni giorno all’azione finalizzata a creare una società dove regna la quiete e l’armonia.

Per attuare questa “nuova società” bisogna iniziare a immettere luce nelle tenebre affiché dal disordine e dal caos si possa creare l’ordine. L’ordine deve penetrare in ogni ambito della vita fino a quando la coerenza, basata sulla giustizia, porterà alla creazione di una società che assolva alle reali necessità dell’uomo.

Non sarebbe auspicabile passare da un “capitalismo selvaggio” a un “capitalismo comunitario”?

Creare un “luogo” dove la vita economica diventa funzionale all’uomo e alle esigenze di tutti, dove l’economia si fonda sulla utilità reciproca e sulla fiducia tra individui: noi lavoriamo per altri che lavorano per noi. Qui il lavoro dovrebbe generare e ampliare le correnti dell’agire solidale, tendendo a trasformare le dinamiche di competizione in dinamiche di cooperazione. Il lavoro dovrebbe consentire la creazione di nuove e più umane condizioni di vita al fine di rendere la terra una dimora ospitale per l’umanità senza distruggere o avvelenare la natura. Come sarebbe bello se fosse possibile una partecipazione corale alla realizzazione di questo luogo!!! Il lavoro è mediazione tra la nostra creatività e la bellezza del creato.Sarebbe bello che il lavoro, accessibile a tutti, potesse essere concepito come dedizione, servizio a qualcuno e non solo alla realizzazione di qualcosa da vendere.

Colpire il lavoro significa lacerare il tessuto di una società, promuovere il diffondersi di una mentalità di schiavi e mandare in rovina la democrazia.

Autore: 

fonte: http://www.primapaginadiyvs.it/societa-flessibile-suoi-nuovi-schiavi/

SVEGLIA GENTE – I politici CAMPANO sulla vostra STUPIDITÀ…!

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SVEGLIA GENTE – I politici CAMPANO sulla vostra STUPIDITÀ…!

La stupidità ci circonda: “Contro la stupidità anche gli dèi sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio. Non è il momento dei bambini”. John Maynard Keynes

Come diceva Napoleone in politica la stupidità non è un handicap. Anzi è una virtù, semmai è un handicap per un politico non essere stupido.

Il motivo è semplice. I politici devono piacere alla gente, che è in massima parte stupida: dunque, un politico non stupido è costretto a fingere di esserlo. E, spesso, ci riesce bene. La stupidità del politico si manifesta banalmente nel dire e nel fare cose stupide.

L’Italia è un Paese senza memoria. Puoi affermare tutto e il contrario di tutto. Tanto nessuno si ricorderà mai cosa hanno detto, solo due mesi prima, i politici.

Questo avviene perché la passione politica è un fatto congenito, che sabota il funzionamento dei nostri cervelli. La conoscenza, le informazioni corrette, non hanno quasi alcun peso sulle nostre convinzioni. Una volta scelta la nostra verità preferita, le restiamo dogmaticamente attaccati, a scapito di qualunque cosa.

Già si sapeva che i politici sono disonesti. Ora sappiamo che sono anche stupidi perché lo devono essere. Insomma il politico è la razza peggiore. Invece chi lo vota? È stupido o intelligente?

 

TRATTO DA: http://uomoqualunque.net/2017/05/i-politici-sono-stupidi-2/

I media di regime lo hanno nascosto, ma le accuse dell’Unione Europea smascherano il governo Renzi: mentre tartassava gli Italiani, tasse giù del 50% alle multinazionali!

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I media di regime lo hanno nascosto, ma le accuse dell’Unione Europea smascherano il governo Renzi: mentre tartassava gli Italiani, tasse giù del 50% alle multinazionali!

 

Tasse giù del 50% alle multinazionali: le accuse della UE al governo Renzi

Un’inchiesta europea pone sotto accusa l’Italia per la riforma fiscale del 2015 quando era a capo del governo Matteo Renzi

Un favore alle multinazionali, rappresentato del taglio delle tasse nella misura del 50%. Questa è l’accusa nei confronti dell’ex Premier, Matteo Renzi, formulata all’interno di una inchiesta che è stata aperta da parte dell’Unione Europea. Sarebbero state fatte inoltre pressioni nei confronti del governo presieduto da Paolo Gentiloni da parte dell’UE in modo da ottenere una sostanziale modifica della normativa oppure la sua completa abolizione.

L’inchiesta è stata avviata da una commissione, il Gruppo del codice di condotta, che in sede europea si occupa di analizzare nel dettaglio le riforme fiscali emesse dai vari Paesi componenti dell’Unione Europea, in modo da verificare l’adesione a quelle che sono sue stesse direttive. L’inchiesta, iniziata segretamente, solo ora è venuta a conoscenza di tutti. Già nello scorso mese di aprile il Governo italiano era intervenuto sulla normativa per le necessarie modifiche, senza che ciò fosse portato a conoscenza dell’opinione pubblica. In sostanza, secondo quanto emerso nel corso dell’inchiesta, da parte del governo Renzi erano stati concessi ad alcune società multinazionalidei benefici fiscali non solo eccessivi, ma anche ingiustificati.

Nelle sue direttive l’Ocse permette che i singoli stati aderenti alla UE agevolino le società riguardo ai loro brevetti ed alle loro innovazioni, ma questo può avvenire solo se le spese sono direttamente collegate alle attività di ricerca effettuate dalle società. Dopo aver analizzato la legge italiana che il governo Renzi aveva varato nel 2015, la commissione ha invece accertato che per alcune società era previsto uno sconto fiscale pari al 50%, e che questo sconto avrebbe avuto la durata di 5 anni, con la possibilità di prolungarlo sino a 10 anni.

I nomi delle società beneficiarie di questo sconto fiscale sono rimasti sconosciuti, anche se alcuni mesi fa da parte dell’Europa c’è stata una richiesta precisa al Governo italiano per renderli noti. Il problema degli sconti verso le multinazionali non riguarda solo il nostro Paese, in quanto da parte della commissione UE sono partite accuse anche per due altri stati, Francia e Spagna; anche per loro si tratta di “eccessiva generosità” che l’Unione Europea vuole combattere, in modo da mettere tutte le aziende sullo stesso piano nei confronti del fisco.

 

 

fonte: http://www.breaknotizie.com/tasse-giu-del-50-alle-multinazionali-le-accuse-della-ue-al-governo-renzi/

Vergognoso – Tanto “Gentiloni” coi consulenti. La legislatura sta per finire, ma a Palazzo Chigi ancora si “imbarcano” collaboratori… Amici loro che non servono a niente, non faranno niente, ma che paghiamo NOI!

Palazzo Chigi

 

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Vergognoso – Tanto “Gentiloni” coi consulenti. La legislatura sta per finire, ma a Palazzo Chigi ancora si “imbarcano” collaboratori… Amici loro che non servono a niente, non faranno niente, ma che paghiamo NOI!

Tanto Gentiloni coi consulenti. La legislatura sta finendo ma a Palazzo Chigi si imbarcano collaboratori

Mancano quattro mesi o poco più alla fine della legislatura. Ormai secondo molti resta da giocare soltanto la partita della Legge di Stabilità, dopodiché partiti e movimenti saranno tutti presi dalla corsa elettorale per cui i tanti provvedimenti rimasti in stand-by potranno dire addio ad una loro approvazione in questi ultimi scampoli di legislatura. Les jeux sont faits, dunque. Ma non per consulenti e collaboratori. Qui il capitolo resta  aperto. Esattamente come lo sono le porte di Palazzo Chigi. A scorrere l’ultimo aggiornamento del personale e dei dirigenti pubblicato in questi giorni dal Governo, infatti, ecco che ci si accorge di come il numero di consulenti sia cresciuto.  Per dire: i collaboratori che lavorano fianco a fianco di Paolo Gentiloni sono aumentati di tre unità, passando dai 12 che si contavano nell’aggiornamento precedente (maggio) agli attuali 15. I nomi, come spesso accade, non sono casuali. E così, accanto all’incarico di “esperto-consiglirere per le politiche industriali” affidato a titolo gratuito all’ex amministratore delegato di Poste, Francesco Caio, è curiosa la nomina di Andrea Lezzi ad “assistente del  capo dell’ufficio”. Cosa faceva Lezzi prima di approdare a Palazzo Chigi? Ce lo dice il suo profilo Linkedin: “produzione contenuti web e articoli presso Basta un Sì”. La campagna referendaria del Pd. C’è da sorprendersi? No, considerando che tra i tanti che hanno lavorato nel comitato Basta un Sì troviamo anche Rudy Francesco Calvo, oggi capo ufficio stampa della ministra per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, con una retribuzione, tra le varie indennità, di 80mila euro.

Ovviamente, però, ministri senza portafoglio e sottosegretari non sono da meno al premier. E così, ad esempio, il sottosegretario alle Politiche europee, Sandro Gozi, conta oggi cinque collaboratori in più rispetto al precedente aggiornamento di maggio (da 12 a 17). Ad accrescere il numero di suoi consulenti, poi, anche la sottosegretaria per i rapporti col Parlamento, Sesa Amici: nell’ultimo aggiornamento spunta il nome di Caterina Conti che oggi svolge “attività di supporto”. Bene, il nome della Conti è tra i venti millenials che Matteo Renzi ha scelto per la direzione del Pd. Ma d’altronde anche qui non è l’unico caso: stessa sorte è capitata anche ad un altro millenialDavide Ragone, che oggi lavora nel dipartimento di Maria Elena Boschi. Alla faccia di chi diceva che quella dei giovani in direzione fosse solo una mossa “strategica” di Renzi.

Esercito aureo – Infine il capitolo dirigenti. Anche qui l’ultimo aggiornamento regala sorprese. Sono i numeri a disegnare il quadro: appena insediato l’esecutivo diretto da Gentiloni, Palazzo Chigi contava 236 dirigenti; l’ultimo aggiornamento ne conta 259, con un “saldo” attivo di 23 unità. E qui non parliamo di stipendi di poco conto considerando che, nella maggior parte dei casi tra parte fissa, retribuzione di posizione e di risultato, i compensi sfiorano  (e a volta superano) i 100mila euro cadauno.

 

fonte: http://www.lanotiziagiornale.it/tanto-gentiloni-coi-consulenti-la-legislatura-sta-finendo-ma-a-palazzo-chigi-si-imbarcano-collaboratori-e-dirigenti/

L’accusa di CODACONS: commissione banche è presa per i fondelli – Non porterà ad alcun risultato se non affossare le responsabilità!

commissione banche

 

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L’accusa di CODACONS: commissione banche è presa per i fondelli – Non porterà ad alcun risultato se non affossare le responsabilità!

BANCHE: COMMISSIONE E’ PRESA PER I FONDELLI
CODACONS ACCUSA: NON PORTERA’ AD ALCUN RISULTATO E RISCHIA DI AFFOSSARE LE RESPONSABILITA’ DEI DISASTRI BANCARI

Nient’altro che una presa per i fondelli. Così il Codacons giudica la commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario, dopo la decisione di consentire al presidente Pier Ferdinando Casini di mettere il veto sull’ammissibilità delle domande da porre ai testimoni.
“Fin dall’inizio avevamo forti dubbi sulla reale utilità di tale commissione – spiega il presidente Carlo Rienzi – Ora abbiamo la certezza che si tratta di una presa in giro, l’ennesima sul fronte delle banche, che non porterà ad alcun risultato concreto nell’interesse della collettività”.
“Ma addirittura il regolamento della commissione, così come studiato, rischia di avere l’effetto contrario, ossia di creare confusione e insabbiare le responsabilità dei disastri bancari che si sono succeduti negli ultimi anni, coinvolgendo migliaia e migliaia di piccoli risparmiatori – prosegue Rienzi – Riteniamo una mera operazione di facciata l’istituzione di tale commissione, e ribadiamo che l’unica strada da seguire sia quella della giustizia ordinaria, con la pena del carcere per chi ha mandato il fumo i risparmi degli italiani”.

fonte: https://codacons.it/banche-commissione-presa-fondelli/

 

Ricapitoliamo: i dati sulla salute di Roma sbandierati contro la Raggi da Lorenzin, Governo, Istat, Ansa, Stampa e Tg si riferiscono a quando la Raggi non c’era. Però “loro” sono preoccupati delle Fake News della rete… Tipo sputtanare menzogne come questa…!!

Raggi

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Ricapitoliamo: i dati sulla salute di Roma sbandierati contro la Raggi da Lorenzin, Governo, Istat, Ansa, Stampa e Tg si riferiscono a quando la Raggi non c’era. Però “loro” sono preoccupati delle Fake News della rete… Tipo sputtanare menzogne come questa…!!

 

Giornaloni – Le statistiche e i numeri sulla “salute malata” attribuiti alla giunta M5S da “Messaggero” e altre testate.

Più si avvicina la campagna elettorale, più aumentano gli scontri sui dati: Pil, occupati, sanità, con titoli di giornale e dichiarazioni indignate. Il caso del presunto degrado sanitario della Capitale è un utile esempio di quello che ci attende: “Caso salute, Roma, peggiora”, era il titolo di apertura del Messaggero di ieri, quotidiano sempre ostile alla giunta M5s di Virginia Raggi.

Il lettore subito pensa a un recente tracollo. Tutto parte da un convegno che si è tenuto proprio a Roma venerdì: “Crescita vs Crisi”. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin (Ncd) ha chiesto a Walter Ricciardi, direttore dell’Istituto superiore di sanità di elaborare una sintesi della situazione sanitaria della capitale. Tra i dati che Ricciardi cita ce n’è uno molto ripreso dai giornali, attinto da un monitoraggio dell’associazione di medici di famiglia Simg, Health Search 2016: nelle Asl romane si registra un tasso di diabete pari al 6-7% della popolazione residente, “mentre a livello nazionale, secondo i dati Istat, si attesta al 5,3%”.

Nelle 7 slide proiettate da Ricciardi si legge quello che gli italiani, anche i non residenti nel Lazio, sanno bene: a Roma la sanità funziona poco e male. La percentuale di persone soddisfatte del servizio sanitario nazionale si attesta tra l’8 e il 10% a seconda delle Asl, in molte province del Veneto e dell’Emilia Romagna il dato è sopra il 30. Tutti gli altri dati di Ricciardi sono presi dal rapporto Istat 2015 oppure da Urbes, un altro progetto sempre dell’Istat sulle principali città. Tra questi i dati sull’aspettativa di vita, più bassa nella Capitale che in altre grandi città. Anche se, osserva il direttore del dipartimento di Oncologia medica dell’ospedale Regina Elena Francesco Cognetti sul Messaggero, sono numeri da maneggiare con cautela perché “gli ospedali ospitano il 40%o dei pazienti che arrivano da altre Regioni”.

A Roma il Movimento Cinque stelle governa dal giugno 2016, tutta la fotografia della situazione sanitaria della città si basa su dati più vecchi (come inevitabile per tutte queste analisi quantitative che non sono mai in tempo reale). Gli esponenti locali M5s vivono la presentazione dei numeri come un attacco del ministro Lorenzin per il tramite del professor Ricciardi: “La sanità è di competenza regionale”, ricorda un comunicato del M5s Roma, e le statistiche riguardano “le amministrazioni precedenti di centrodestra e centrosinistra”. Se proprio bisogna criticare qualcuno, dicono i Cinque stelle, il bersaglio è Nicola Zingaretti, Pd, governatore del Lazio. Per esempio: nel 2015 il consiglio regionale ha approvato la proposta di matrice M5s di istituire un registro tumori, utile a monitorare meglio le malattie più gravi e i rischi per la salute, ma due anni dopo ancora non è partito.

Tratto da il Fatto Quotidiano del 03/10/2017.