Insomma, le Regioni con governatori di destra aprono prima solo per ripicca nei confronti di Conte. Certo che è un ragionamento responsabile! Tutto per creare il caos, nella speranza di raschiare qualche consenso. E tutto questo sulla pelle della gente!

 

Regioni

 

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Insomma, le Regioni con governatori di destra aprono prima solo per ripicca nei confronti di Conte. Certo che è un ragionamento responsabile! Tutto per creare il caos, nella speranza di raschiare qualche consenso. E tutto questo sulla pelle della gente!

C’è chi vuole il caos. Perchè se non hai idee, puoi raschiare qualche consenso solo se la gente è confusa… In mancanza del fumo negli occhi del nemico n. 1 del popolo italiano (i disperati sui barconi) appare chiara la nullità della lega e dei suoi compari.

Salvini e Meloni inanellano figure di merda una dietro l’altra, e la gente se ne sta rendendo conto…

Ed ecco il colpo di coda: aprire prima le regioni a guida di destra, contro ogni evidenza scientifica, contro il parere di medici e virologi…

Medici contro la presidente della Calabria Santelli: “Non ci ha consultato, l’avremo sconsigliata”

Un caso, quello della Calabria – Anche i medici non hanno preso bene la decisione della Presidente della Calabria Jole Santelli di consentire l’apertura di bar e ristoranti all’aperto nella sua regione. Neppure l’infettivologo Raffaele Bruno, direttore del reparto di “Malattie Infettive” del “San Matteo” di Pavia, che la governatrice ha voluto a tutti i costi come esperto della sua task force, sembra essere d’accordo con questa decisione. “La presidente non mi ha interpellato, ho appreso questa cosa dai giornali. Come medico, l’avrei vivamente sconsigliata”, ha detto a Cosenza Channel, mentre i medici calabresi hanno sottolineato che bisogna procedere con “la massima prudenza e una attenta gradualità di tempi e modi contraddetta invece dalla volontà di riaprire locali di ritrovo”.

E la Calabria, rispetto ad altre regioni a guida a destra è tra quelle messe meglio…

Un atto irresponsabile di cui, speriamo, qualcuno non se ne dovrà pentire amaramente…

Salvini incita alla rivolta contro il governo per la quarantena! Giusto, basta con questo Conte! Ci vuole uno come lui: governo trasferito al Papeete, tutti per strada dal 27 febbraio e magari iniettarsi candeggina, come suggerisce il suo amico…

 

Salvini

 

 

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Salvini incita alla rivolta contro il governo per la quarantena! Giusto, basta con questo Conte! Ci vuole uno come lui: governo trasferito al Papeete, tutti per strada dal 27 febbraio e magari iniettarsi candeggina, come suggerisce il suo amico…

Un poverino alla canna del gas. Ormai non potendo buttare il fumo dei migranti sui barconi negli occhi razzisti di chi gli sta appresso, è in continuo declino.

In un momento in cui contano i fatti e non le chiacchiere, la gente comincia a capire la differenza tra un politico (più o meno capace) e un ciarlatano.

C’è chi deve prendere decisioni drastiche e lo fa (più o meno bene) e chi di arrampica agli specchi delle fake news sempre più scivolosi…

Ed ecco l’ultima trovata: Salvini incita alla rivolta contro il governo.

In un video pubblicato sulla sua pagina facebook dopo la conferenza stampa di Conte, Matteo Salvini incita alla rivolta contro il governo per la quarantena e annuncia una manifestazione in strada per il primo a maggio, mentre sono ancora in vigore tutte le regole dell’emergenza Coronavirus. “Abbiamo accettato tutte le chiusure e i limiti ma la libertà non ha prezzo. Non vorrei che qualcuno nel nome del virus stesse abusando della pazienza degli italiani e preparando i saldi delle nostre aziende in Germania o in Cina”, sostiene Salvini. Che poi passa alle minacce: “Molti di voi mi dicono “organizzaci, Matteo”: raccogliamo le idee in questi giorni e il primo maggio lanciamo un piano per la ricostruzione nazionale e se sarà necessario perché non vi ascoltano ci faremo vedere e sentire compostamente e dignitosamente, distanti con guanti e mascherine, fuori dagli schermi e dai social. È un mese e mezzo che ci tengono a discutere su un telefonino, torniamo nelle nostre strade e nelle nostre piazze. C’è di mezzo il futuro dei nostri figli. La libertà non ha prezzo, non la puoi tener chiusa mentre mezza Europa sta riaprendo”.

E ancora: “Siamo stati zitti per queste settimane perché c’erano morti e feriti però gli italiani meritano di tornare a vivere. Se non ce lo permetteremo, lo chiederemo e lo otterremo. E non permetteremo a nessuno di vendere o svendere i nostri alberghi, i nostri ristoranti, i nostri bar”.

Con una tecnica di sciacallaggio politico di grande raffinatezza, Salvini quindi inventa che ci siano poteri forti e mani straniere che vogliano mettere le mani sui “nostri” bar (pura fantasia) per sfruttare il prevedibile riflusso di consenso nei confronti del governo Conte dopo gli annunci di ieri sul 4 maggio, che rappresentano un evidente passo indietro rispetto alle premesse di questi giorni. Riuscirà a risollevare le sorti della Lega data in crollo nel consenso dall’ultimo sondaggio?

Un’ultima considerazione.

Qualche giorno fa uno di loro ha detto “Anpi in piazza per il 25 aprile? Dovrebbero sapere che il virus adora gli anziani”

Parafrasando questo genio leghista, un monito ai leghisti: “in piazza il 1° maggio? Dovrebbero sapere che il virus si accumula nei coglioni”

Ci vuole coraggio, ma soprattutto tanta, proprio tanta faccia tosta: la Regione Lombardia pubblicizza i successi della sua sanità privata. Con 11mila morti sulla coscienza!

 

Regione Lombardia

 

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Ci vuole coraggio, ma soprattutto tanta, proprio tanta faccia tosta: la Regione Lombardia pubblicizza i successi della sua sanità privata. Con 11mila morti sulla coscienza!

Quindi la Lombardia si vanta del disastro. La regione che da sola conta più della metà dei morti in tutto il Paese, la regione in cui fioccano le testimonianze di persone che sono mancate senza avere nessun tipo di assistenza sole nelle proprie abitazioni, la regione in cui nessuno sa esattamente se ha o se ha avuto o se è guarito dal Covid-19, la regione che è arrivata in ritardo sull’incendio di vite umane che è scoppiato in Val Seriana, la regione in cui i contagi non sembrano rallentare, la regione in cui le case di riposo sono state usate come parcheggio per i malati di Covid creando un disastro, la regione in cui (lo dice Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano) c’è stato “un clamoroso fallimento della medicina territoriale e della diagnostica”, la regione che in tutto il mondo viene osservata come caso-scuola di quello che non bisogna fare insiste nel vantarsi.

Tutti i giorni l’assessore Gallera, in una conferenza stampa che ha il sapore di un comizio infarcito di qualche numeretto, ci racconta che sono stati bravissimi, che sono i migliori, che non hanno sbagliato nemmeno una mossa e nei giorni scorsi addirittura ha comprato pagine dei quotidiani per vantarsi delle vite salvate con il suo sistema pubblico-privato con una scritta a tutta pagina che recita “28.224 vite salvate in Lombardia” e con la precisazione che è tutto merito della “sanità privata insieme alla sanità pubblica” e anche un bel hashtag #unasolasanità.

Siamo all’apoteosi: ieri l’assessore Gallera ha addirittura dichiarato di essere contento che l’ospedale Covid in zona Fiera “non sia servito” (21 milioni di euro spesi per qualche manciata di pazienti in una struttura che non ha medici e infermieri a disposizione) dimenticando che il ruolo della politica dovrebbe essere quello di fortificare le realtà ospedaliere esistenti: quanti tamponi vengono fuori da 21 milioni di euro? Quanti investimenti si sarebbero potuti fare sulla telemedicina con quei soldi? Niente.

Nessuna autocritica, nessuna risposta. La sistematica privatizzazione della sanità, la riduzione dei posti letto, lo sgretolamento del ruolo dei medici di famiglia sono tra le cause che hanno reso la Lombardia così debole. È il fallimento politico e culturale di una stagione che in Lombardia dura da vent’anni, eppure nessuno si permette nemmeno di aprire una riflessione. Se chiedete a Gallera perché la Lombardia è stata straziata dalle morti vi risponderà sardonico che c’è troppa gente che si sposta, nonostante i dati dicano tutt’altro. Dimentica anche di dirci che in Lombardia ci si sposta perché molte fabbriche in deroga (circa 15mila) sono rimaste aperte. Ma non sentono, non vedono, non parlano. Eppure i numeri raccontano, ed è un’ecatombe.
E loro si vantano del disastro.
fonte: https://www.tpi.it/opinioni/lombardia-regione-pubblicita-sanita-privata-disastro-20200415585844/?fbclid=IwAR2wrTiUDMXlcG6hWYo6bNx_JbuAskvlsGThB_uhk4jCWPR7p7DYTmY222E

“La Lombardia ha pagato caro le mancanze del suo sistema sanitario – Il tasso di letalità del virus è frutto di scelte fallimentari di una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente” Ecco l’articolo di Saviano su Le Monde che ha provocato l’ira di Salvini

 

Saviano

 

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“La Lombardia ha pagato caro le mancanze del suo sistema sanitario – Il tasso di letalità del virus è frutto di scelte fallimentari di una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente” Ecco l’articolo di Saviano su Le Monde che ha provocato l’ira di Salvini

Ecco l’articolo di Roberto Saviano che ha mandato su tutte le furie Salvini

È accaduto in Italia che proprio la regione ritenuta più forte, la più efficiente, la più ricca fosse quella meno pronta a fronteggiare la pandemia portando avanti scelte di cui presto i suoi dirigenti  saranno chiamati a rispondere. Nel sistema italiano, le regioni hanno competenza esclusiva in materia sanitaria e la regione Lombardia è capofila, sia per la ricchezza del territorio, che per il connubio pubblico-privato creato dalle amministrazioni di centro-destra, che hanno occupato il potere ininterrottamente negli ultimi due decenni.

La Lombardia è il territorio di Silvio Berlusconi e la Regione era il feudo di Roberto Formigoni, definitivamente condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere per gravi episodi di corruzione, innestatisi proprio sul rapporto tra potere regionale e sanità privata. Ma fino a un mese fa si credeva che quella corruzione fosse solo un incidente di percorso. Ma le cose non stavano così.

Dal mio osservatorio di studioso delle dinamiche criminali, e in particolare del potere delle mafie, ho negli anni osservato come per un settentrionale sia più accettabile pensare che il marcio sia comunque proveniente “da fuori”. Eppure, solo dieci anni fa, per aver raccontato nel corso di una trasmissione televisiva quello che era un’ovvietà per ogni investigatore – e cioè che la camorra napoletana e la ‘ndrangheta calabrese, seguendo le orme della mafia siciliana, che lo aveva fatto, almeno dagli anni ’70, avevano infiltrato l’economia legale del nord – fui attaccato al punto di dover ospitare, coattivamente, alla puntata successiva un monologo dell’allora Ministro degli Interni, Roberto Maroni (predecessore di Matteo Salvini alla guida della Lega Nord), ora fuori dalla politica per vicissitudini giudiziarie.

Dopo poco arrivarono anche le condanne e oggi è un dato assodato che in molte parti del Nord le mafie la facciano da padrone. Qui racconto ciò che so, ciò che accade. Ma con una premessa necessaria: non c’è un sistema sanitario al mondo che si è dimostrato in grado di fronteggiare con prontezza l’emergenza Coronavirus, ad eccezione, forse, per i dati che si conoscono oggi, della Corea del Sud. Per quanto possa apparire paradossale, il punto debole della Lombardia è rappresentato dalla sua dinamicità economica e dal volume di scambi e relazioni con l’estero e, in particolare, con la Cina.

Nelle valli bergamasche falcidiate dal virus (alcuni già adesso parlano di un’intera generazione cancellata) esiste una miriade (migliaia) di piccole aziende, spesso con meno di dieci dipendenti, che però rappresentano un’eccellenza tale da fare di quei distretti industriali una vera locomotiva, non solo per la Regione Lombardia. A un certo punto, però, mentre i media parlavano delle scelte drammatiche che erano rimesse ai medici delle terapie intensive, tra chi intubare e chi lasciar morire, altre scelte venivano fatte e il tema del contendere è stato: chiudere le produzioni, con il rischio di un collasso economico, o mantenere aperto tutto il possibile, sacrificando vite umane? Va da sé che non c’è stato un dibattito pubblico sulla questione, e ci mancherebbe.

La cosa grave è che la Regione Lombardia e il governo centrale si sono passati, nel corso di molte settimane, la patata bollente della decisione di chiudere tutto. Oggi sappiamo che, nel frattempo, per non confinare in casa operai che erano utili alla catena di montaggio e che, soprattutto nel caso di piccole imprese, dovevano e devono decidere tra la vita e il lavoro, si è favorita una massiccia diffusione del contagio, che al di là della parzialità dei dati, restituisce una mortalità, in termini assoluti, spaventosa.

Oggi questa realtà è venuta fuori in tutta la sua gravità, restituendo l’immagine di un territorio nel quale le classi dirigenti hanno deciso a tavolino di “non fermarsi”, probabilmente mettendo in conto l’ecatombe, magari puntando sulla sorte.

Quanto sta emergendo sui ritardi nel disporre la zona rossa nei comuni di Alzano e Nembro, nella Bergamasca, e sui ricoveri nelle residenze sanitarie in cui si prestano cure agli anziani (RSA) sono questioni sconvolgenti, che non possono non essere messe in connessione con un tasso di letalità del virus che, in quelle zone, è altissima e miete centinaia di vittime ogni giorno.  Da molte parti si sta invocando, proprio a causa della crisi lombarda, un passaggio della gestione sanitaria dalle regioni al governo centrale.

Per certi versi, è intuitivo pensare che quanto è accaduto, quindi le “indecisioni”, il “rischiare” siano stati frutto di un’eccessiva dipendenza del potere politico regionale rispetto a quello economico-produttivo. Ora che le cose sono andate malissimo, il rischio concreto è che chi ha deciso queste “strategie” criminali possa avere interesse a occultare le proprie responsabilità.

Il tasso di letalità del virus in Lombardia è frutto soprattutto delle scelte fallimentari compiute da una classe dirigente mediocre, che andrebbe esautorata immediatamente se non ci fosse un’emergenza drammatica in corso.  Ma mentre oggi le sirene delle ambulanze coprono ancora le voci dei familiari delle persone lasciate morire a causa di una sequela di errori che hanno aggravato l’effetto dirompente del contagio, tra poco sarà il tempo di processare chi è venuto meno ai suoi doveri.

Il caso lombardo assume peraltro una connotazione ancora più oscura se raffrontato a quello della regione confinante, il Veneto, che pure a fronte di una popolazione assai inferiore (circa la metà), ma caratterizzato da una simile vivacità sul piano economico, ha affrontato la crisi in maniera completamente differente e, ad oggi, più efficace.

Per quello che ora sappiamo, tra Lombardia e Veneto (entrambe governate dalla Lega) esiste una differenza di approccio all’epidemia che è quantificabile nel numero di persone che hanno perso la vita – 10mila in Lombardia vs meno di 1.000 in Veneto – a fronte di un numero di tamponi eseguiti pressappoco identico (quasi 170mila).

Il Veneto, a differenza della Lombardia, ha puntato molto sul tracciamento degli asintomatici per individuare ogni focolaio, per poi agire con prontezza sigillando i territori per impedire l’espansione del contagio. A differenza della Lombardia – dove il virus (come in molte altre parti del mondo, ma non con una tale intensità) ha visto crescere il contagio anche a causa della impreparazione al fenomeno dei piccoli ospedali sul territorio – il Veneto ha provato a ridurre l’ospedalizzazione dei malati (salve, ovviamente, le ipotesi gravi), privilegiando l’assistenza domiciliare.

La Lombardia, di fronte a una crisi senz’altro non prevedibile nella sua velocità di diffusione, ha pagato soprattutto per i deficit organizzativi che il sistema misto pubblico-privato – fino ad allora considerato, anche a ragione, dato che ogni anno migliaia di persone da altre regioni vi si recavano per cure, il meglio possibile – ha mostrato: a fronte di grandi eccellenze, un livello medio piuttosto basso sul piano organizzativo (fondamentale, a tal proposito, leggere la lettera che la FROMCeO Lombardia e cioè la Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia ha inviato ai vertici della Regione stigmatizzando l’incertezza nella chiusura di alcune zone, la mancanza di mascherine e dispositivi di protezione e i pochi tamponi effettuati) e un dominio incontrastato della politica e dei gruppi di potere.

Un esempio per comprendere questa dinamica è quello di Comunione e Liberazione, un’associazione cattolica della quale, fino alla condanna definitiva, il corrotto Roberto Formigoni era uomo di punta. Comunione e Liberazione è potentissima in Lombardia e detta legge; basti pensare alla percentuale maggioritaria, nelle strutture pubbliche, di medici antiabortisti e della difficoltà che la maggior parte delle donne trova a farsi prescrivere la pillola abortiva, nonostante sia previsto dalla legge: la “tecnica” elusiva è semplice.

I medici obiettori di coscienza hanno molte più possibilità di fare carriera rispetto a quelli non obiettori. Come si potesse, anche ieri, ascrivere questa dinamica mafiosa al concetto di efficienza è stato per me sempre un mistero. E dispiace che i lombardi debbano rendersi conto oggi, sulla pelle loro e dei loro cari, dell’anomalia di certe dinamiche, che lungi dal rappresentare eccezione gettano una luce sinistra sulla regola seguita in generale.

Vedete, nascere e crescere al Sud Italia, uno dei territori viceversa più poveri d’Europa (con un pil in molte parti inferiore a quello della Grecia), ti dà gli strumenti per capire oggi cosa accadrà domani.

E quello che è accaduto in Lombardia e in Veneto, che sono state le prime zone in Europa colpite dal Covid-19, è di vitale importanza per il resto del continente perché mostra due approcci differenti e indica esattamente, nel caso della Lombardia, cosa non fare, come non agire, come non comunicare.

Ma le colpe non sono solo del centro-destra al potere, poiché viceversa le città di Bergamo e Milano sono amministrate dal centro-sinistra. Ma il virus è arrivato a scoprire l’assoluta inadeguatezza di un approccio economicista e manageriale della cosa pubblica che caratterizza un territorio ricchissimo, nel quale il lavoro è un imperativo e la dimensione individualistica è accentuata fino al parossismo.

Le biografie stesse dei sindaci di centro-sinistra di Milano e di Bergamo aiutano a comprendere le falle nella gestione delle prime fasi dell’emergenza. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è un uomo di estrazione di centro-destra assurto alle cronache per la gestione dell’evento EXPO 2015, mentre quello di Bergamo, Giorgio Gori, è stato per lunghissimo tempo un uomo di punta dell’azienda televisiva di proprietà di Silvio Berlusconi.

Entrambi hanno sottovalutato al principio l’emergenza sanitaria, preoccupandosi solo delle possibili ricadute economiche. Non solo hanno provato in tutti i modi a non “fermare le macchine”, ma hanno addirittura invitato i cittadini, nonostante l’epidemia in corso, a prendere parte alla vita di comunità, assecondando in tutto i desiderata del comparto produttivo, che non riusciva a vedere nel lockdown una alternativa di vita praticabile e che, a questo punto, dobbiamo ritenere sia l’unico riferimento nella loro azione amministrativa.

Il paradosso di questa crisi sembra quasi delineare un insegnamento filosofico. Proprio i politici a capo della regione che si è sempre vantata di aver fatto tutto da sé e che negli ultimi trent’anni ha chiesto sempre maggiore autonomia – il partito più forte del Nord, la Lega, prima di essere sovranista era, fino a pochissimi anni fa, secessionista – lamentando il peso dell’improduttivo meridione (però formidabile serbatoio di “risorse umane”, come direbbe un manager), che ha sempre deprecato ogni accentramento e ogni decisione presa dalla inconcludente e disorganizzata Roma, in questa emergenza hanno finito per dare la responsabilità delle proprie indecisioni, e delle conseguenti omissioni, al governo centrale. Che avrebbe dovuto decidere al posto loro, levandogli le castagne dal fuoco: davvero disonorevole, oltre che criminale.

L’Europa – e il resto del mondo – sta affrontando un momento estremamente delicato in cui si deciderà davvero del suo futuro. È stato detto molte volte, ma questa è quella definitiva, perché oggi in Europa non si decide solo il destino del continente e dei paesi che ne fanno parte, ma si decide soprattutto del destino di tutte le persone che ci vivono e ci vivranno, anche di chi non è ancora nato.

Perché è bene dirlo: oggi si sta decidendo di condannare le future generazioni di buona parte dell’Europa a pagare i debiti contratti dai propri genitori a causa di una forza maggiore. E anche questo è assai poco onorevole, soprattutto per quei piccoli paesi che sottraggono risorse ad altri attraverso il dumping fiscale. Un mondo che è risorto dalle macerie della seconda guerra mondiale, del nazismo e del fascismo, dei campi di sterminio, dei totalitarismi comunisti per giungere alla sublimazione del contabile al posto del politico. Che disonore: non oso immaginare quale trattamento riserverebbero i padri dell’Europa a questi mediocri che credono che gli Stati siano delle aziende e le persone dei numeri da inserire in un bilancio.

Penso a Helmut Kohl e al coraggio che ebbe a riunire la Germania per condurla in un’Europa libera e solidale e al sostegno che trovò nei partner europei. Ma Kohl è morto e con lui, probabilmente, l’ultima idea nobile di Europa.

Se penso alla Germania, non posso non pensare alla nostra Lombardia. Non posso non pensare che l’operosa Germania, in qualche modo, stia all’Europa come l’operosa Lombardia sta all’Italia. E mi torna in mente Scurati che ha descritto il milanese al tempo del Covid-19 come un animale spaventato, atterrito dalle sicurezze perse nel giro di poche, pochissime settimane: la debolezza insita nel credersi invincibili.  Che senso ha l’efficienza senza la solidarietà: forse è lì, ancora, la differenza tra l’uomo e la macchina.

I vertici della Regione Lombardia hanno sbagliato ad aver assecondato Confindustria lombarda, il cui presidente, Marco Bonometti in un’intervista ha difeso la scelta di non aver chiuso fabbriche dicendo: “Però ora non farei il processo alle intenzioni, bisogna salvare il salvabile, altrimenti saremo morti prima e saremo morti dopo”. Argomento da industriale, senz’altro; ma la Politica, quella con la P maiuscola, è altro e certo non possono farla gli industriali. Ma essere arrivati al dilemma: se morire prima, fisicamente, e morire poi, economicamente, fa capire bene la sfida posta dal virus alla politica europea, prima che italiana.

Forse, ma non ne sono certo, c’è ancora spazio per uscire dalla pandemia per seguire un’utopia: riscoprire che produttività e conti correnti valgono meno delle persone, riscoprire che allargare diritti, espanderli, significa salvarci tutti. Riscoprire ora che una politica che decide solo seguendo l’odore del denaro è una politica che genera morte e non ricchezza. E che dice a chiare lettere: “l’Europa non esiste più e oggi è un nuovo 1945”. Io spero che gli uomini di buona volontà non lo permetteranno.

 

 

La barzelletta dell’ospedale Covid in Fiera di Milano, inaugurato in pompa magna come “il più grande centro di terapia intensiva d’Italia”… doveva avere 600 posti, poi i posti sono scesi prima a 400 poi a 205 e infine a 24… I ricoverati sono solo 3, ma la struttura non funziona….

 

ospedale

 

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La barzelletta dell’ospedale Covid in Fiera di Milano, inaugurato in pompa magna come “il più grande centro di terapia intensiva d’Italia”… doveva avere 600 posti, poi i posti sono scesi prima a 400 poi a 205 e infine a 24… I ricoverati sono solo 3, ma la struttura non funziona….

Inaugurato in pompa magna come “il più grande centro di terapia intensiva in Italia“, l’ospedale Covid in Fiera di Milano è davvero il “miracolo” che tutti stavano aspettando? Sembrerebbe proprio di no!

Ricordate l’inaugurazione in pompa magna dell’ospedale alla Fiera di Milano da parte del governatore Fontana, con tanto di maxi-assembramento?

Bene.

A distanza di 13 giorni.

L’ospedale avrebbe dovuto ospitare, all’inizio, 600 pazienti. Poi sono diventati 400. Poi 205.

Doveva essere realizzato, secondo le dichiarazioni, in 6 giorni. Ma per farlo i giorni sono stati 20…

I posti in realtà da 600, da 400, da 205 in realtà sono stati solo 24…

Ah, una volta inaugurata la struttura, solo dopo l’inaugurazione, si sono accorti che mancava il personale!!!

In tutto questo casino, in questo momento, i pazienti Covid in Fiera sono 3. Tre!

Della mirabolante cifra di 1000 assunzioni a pieno regime, tra medici, infermieri e operatori sanitari, oggi sono operativi in 50. Cinquanta!

L’ospedale è isolato da qualunque altro centro o reparto, rendendo impossibile qualunque diagnosi multipla e integrata da parte di figure professionali diverse, fondamentale anche per pazienti Covid.

L’intero centro è costato nel complesso 21 milioni di euro – circa 7 milioni di euro a malato – e, finita l’emergenza, sarà smantellato senza lasciare traccia, se non il fumo della propaganda leghista.

Mentre in Campania e in Emilia-Romagna sorgono ospedali da campo e Covid center da centinaia di posti in dieci giorni, senza annunci, né proclami, in Fiera finora sono riusciti a mettere insieme più persone in conferenza stampa che pazienti e medici (sommati insieme) in corsia.

Eccolo lo sbandierato modello sanitario lombardo.

Un giorno, quando tutto sarà finito, qualcuno ne dovrà rispondere.

Ma sarà sempre troppo tardi.

 

 

 

Gli smemorati di Berlino – Merkel: NO agli eurobond chiesti dall’Italia – Il Die Welt: “la mafia non aspetta altro che i finanziamenti a pioggia di Bruxelles – gli italiani vanno controllati “… Ma dimenticano che quando rischiavamo il default, Italia e l’Europa dimezzò loro i debiti… Avrebbero dovuto pagare rate fino al 2060!

 

Merkel

 

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Gli smemorati di Berlino – Merkel: NO agli eurobond chiesti dall’Italia – Il Die Welt: “la mafia non aspetta altro che i finanziamenti a pioggia di Bruxelles – gli italiani vanno controllati “… Ma dimenticano che quando rischiavamo il default, Italia e l’Europa dimezzò loro i debiti… Avrebbero dovuto pagare rate fino al 2060!

Germania contraria alla condivisione del debito tra gli Stati membri dell’Unione Europeo.

Di conseguenza, Non ci saranno gli eurobond. Angela Merkel chiude la polemiche che si sono scatenate in Europa dopo la pandemia da Coronavirus: “Voi sapete che io non credo che si dovrebbe avere una garanzia comune dei debiti e perciò respingiamo gli Eurobond”, ha dichiarato il cancelliere tedesco in conferenza stampa a Berlino.

Ed intanto un articolo del quotidiano tedesco di stampo conservatore (nazista, insomma) Die Welt avvisa: “Signora Merkel, rimanga incrollabile!”. L’editoriale a firma Christoph B. Schiltz chiede al governo tedesco di non cedere alle richieste italiane sui coronabond. Nel testo si scrive, tra l’altro, che in Italia la mafia sta aspettando i finanziamenti a pioggia dell’Ue. “La solidarietà è una importante categoria dell’Europa” ma “la sovranità nazionale nei confronti degli elettori è centrale”, scrive Welt online. La solidarietà deve essere generosa, ma “senza limiti e controlli?”, si chiede nell’articolo. “Dovrebbe essere chiaro che in Italia – dove la mafia è forte e sta adesso aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia di Bruxelles – i fondi dovrebbero essere versati soltanto per il sistema sanitario e non per il sistema sociale e fiscale”. “E naturalmente gli italiani devono essere controllati da Bruxelles e usare i fondi in modo conforme alle regole”, si aggiunge. “Anche nella crisi del coronavirus i principi fondamentali devono valere ancora”, conclude.

Ovviamente queste carogne dimenticano (o fanno finta di dimenticare, perchè – per cazzi loro – i crucchi hanno la memoria corta) la Conferenza di Londra del 1953…

Cosa si decise alla Conferenza di Londra del 1953? La prima della classe Germania è andata in default due volte durante il Novecento (nel 1923 e, di fatto, nel secondo dopoguerra).

In quella conferenza internazionale le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire.

Tra i Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’era l’Italia di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, e anche la povera e malandata Grecia, che pure subì enormi danni durante la seconda guerra mondiale da parte delle truppe tedeschi alle sue infrastrutture stradali, portuali e ai suoi impianti produttivi.

L’ammontare del debito di guerra tedesco dopo il 1945 aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra colossale che era pari al 100% del Pil tedesco. La Germania non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre. Guerre da essa stessa provocate.

I sovietici pretesero e ottennero il pagamento dei danni di guerra fino all’ultimo centesimo. Mentre gli altri Paesi, europei e non, decisero di rinunciare a più di metà della somma dovuta da Berlino.

Il 24 agosto 1953 ventuno Paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni.

In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto.

L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Helmut Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto.

Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.

 

 

 

Lo sfogo di Schröder “Siamo stati aiutati, molto, dopo la guerra che abbiamo provocato noi – La Germania renda l’aiuto che ebbe” – Così l’ex cancelliere tedesco ha chiesto alla sua Germania di essere solidali con gli altri Paesi in questo grave momento di crisi…

 

Schröder

 

 

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Lo sfogo di Schröder “Siamo stati aiutati, molto, dopo la guerra che abbiamo provocato noi – La Germania renda l’aiuto che ebbe” – Così l’ex cancelliere tedesco ha chiesto alla sua Germania di essere solidali con gli altri Paesi in questo grave momento di crisi…

L’ex cancelliere Schröder deluso: “La Germania renda l’aiuto che ebbe” – “Abbiamo bisogno di uno strumento di debito comune europeo”, spiega l’ex numero 1 di Berlino in un’intervista al Corriere della Sera.

Coronabond sì o coronabond no? “Sono convinto che come prossimo passo abbiamo bisogno anche di uno strumento di debito comune europeo”. In un’intervista al Corriere della Sera l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder all’interrogativo iniziale risponde che possono pur essere gli eurobond, “anche se – sottolinea – non sono veloci da realizzare, oppure – aggiunge poi – può essere un’obbligazione comune e una tantum”.

Tuttavia l’impressione dell’ex cancelliere tedesco tra il 1998 e il 2005 è che “l’atteggiamento della Germania sul debito stia cambiando” perché “la situazione è anche molto diversa da quella della crisi finanziaria del 2008” e “le conseguenze economiche, sociali e umane sono molto più devastanti di allora”. Tanto più, aggiunge l’ex primo ministro, che nel frattempo proprio “molti economisti tedeschi, gli stessi che finora avevano sempre osteggiato gli eurobond, esprimono l’opinione che siano proprio questi la direzione da prendere”.

E a proposito del Fondo per la ricostruzione proposto dal premier italiano Conte, Schröder sostiene che “se c’è un Paese che deve capire che dopo una crisi esistenziale è indispensabile avere un sostegno paneuropeo per la ricostruzione, questo è la Germania” in quanto “noi – aggiunge – siamo stati aiutati molto dopo la Seconda guerra mondiale, nonostante fossimo stati proprio noi a causarla” per aggiungere anche di ritenere che “ci avvantaggiamo tutti dall’Europa unita, sul piano politico, culturale ed economico” dunque per questo “dobbiamo rapidamente tornare a una normalizzazione della vita” dice l’ex cancelliere federale, perché “le frontiere interne non possono rimanere chiuse a lungo. Le persone devono potersi incontrare di nuovo. Le imprese devono tornare a produrre. È una questione che si pone non solo la Germania”. E lancia un appello: “Cruciale è agire insieme e possibilmente cercare soluzioni europee”.

Dunque, “invece di confrontazione, abbiamo bisogno di più cooperazione. Se questa semplice verità venisse compresa a Washington, a Mosca, a Pechino e a Bruxelles, sarebbe un bene per tutti” conclude l’intervista Gerhard Schröder.

Hanno già cominciato a dirlo: “Il coronavirus ha fatto anche cose buone” – Non è ancora arrivato ad ammazzare 400.000 italiani come fece quell’altro, ma già ha i suoi estimatori… Sallusti ringrazia il Covid-19 che non permetterà di festeggiare il 25 aprile…

 

Sallusti

 

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Hanno già cominciato a dirlo: “Il coronavirus ha fatto anche cose buone” – Non è ancora arrivato ad ammazzare 400.000 italiani come fece quell’altro, ma già ha i suoi estimatori… Sallusti ringrazia il Covid-19 che non permetterà di festeggiare il 25 aprile…

Il Coronavirus ha ucciso 16.000 persone ma l’anti-partigiano Sallusti ha lo stomaco di parlare di regali

Il direttore de Il Giornale: “Il Coronavirus ci ha fatto pure il regalo – uno dei pochi – di liberarci, per la prima volta dal dopoguerra, della retorica del 25 aprile”.

Davanti alla bestialità di Alessandro Sallusti non si sa davvero da dove cominciare. La risposta migliore sarebbe, ovviamente, il silenzio, l’oblio. Ma Alessandro Sallusti, a differenza di Vittorio Feltri che conta ormai quanto il due di coppe, è ovunque: invitato in ogni trasmissione televisiva, consultato come polo della destra ‘razionale’, quella che non urla e non strepita ma che argomenta e lo sa fare bene. Sallusti è un affabulatore consumato e ha la capacità di nascondere la peggiore volgarità (quella che Feltri esprime con i culi, le tette, i finocchi) dietro una retorica elegante e toni pacati.

 

Ma concentriamoci su quanto ha avuto il coraggio di scrivere: “Il Coronavirus ci ha fatto pure il regalo – uno dei pochi – di liberarci, per la prima volta dal dopoguerra, della retorica del 25 aprile”. Ecco, disgustoso è un eufemismo che riesce a malapena a esprimere la rabbia che si dovrebbe provare davanti a parole del genere, a prescindere dalla fede politica. Perché su una cosa Sallusti ha ragione: il virus non ha partito, come non ha razza, religione, nazionalità.

 

E proprio in virtù di questa sua pervasività, la nostra Festa della Liberazione avrà quest’anno un valore diverso, ma non meno importante: non sarà mera celebrazione istituzionale o sterile occasione per aggiungere altra carne alla grigliata della festa, ma può diventare una riflessione sul valore della libertà, della Resistenza, della Nazione. Fino a un mese fa (tanto è passato dagli entusiastici primi giorni di quarantena), l’Inno d’Italia risuonava su ogni balcone, i tricolori sventolavano festosi al grido di ‘Ce la faremo’. La scena ricordava i gioiosi saluti alle truppe che partivano per la guerra. Poi sono arrivate le bombe, e i canti si sono interrotti. Allo stesso modo, in Italia sono arrivati i numeri dei morti. Più di 16.000, stando alle ultime stime. Ci vuole davvero un bel coraggio a parlare di ‘regali’ del Coronavirus.

 

Ma è proprio per questi morti che il 25 aprile andrebbe celebrato: perché è un giorno in cui ricordiamo il sacrificio dei partigiani, vecchi e nuovi, e coloro che sono caduti sotto le strali della guerra, di tutte le guerre, anche quella combattuta ogni giorno negli ospedali. La ‘retorica dell’antifascismo’, che tanto spiace alla destra che vorrebbe dimenticate (o peggio, riabilitate) le malefatte dei criminali fascisti, altro non è che celebrazione di chi combatte per noi, di chi si sacrifica per noi. Nel passato come adesso, e come sempre.

La saggezza di José Mujica ci indica la strada per battere il Coronavirus e il virus del capitalismo

 

José Mujica

 

 

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La saggezza di José Mujica ci indica la strada per battere il Coronavirus e il virus del capitalismo

L’ex presidente dell’Uruguay ha detto: “Non sarà il virus a sconfiggere il capitalismo. A quello ci debbono pensare gli uomini che l’hanno creato”.

Chi lo ha detto che i saggi non esistono più? Chi lo ha detto che nel mondo non ci sono politici illuminati, coerenti e morali, con la coscienza limpida quanto l’intelligenza?

Prendi José “Pepe” Mujica, presidente emerito dell’Uruguay. Il suo percorso umano e politico, le prese di posizione, i fatti che ne hanno segnato la vita pubblica e l’impatto che hanno avuto sul suo Paese testimoniano di un uomo straordinario. Un uomo integerrimo e passionale che ad ogni parola suscita emozioni, stimola riflessioni. Il suo libro Una pecora nera arriva al potere è un distillato di insegnamenti, trasuda una saggezza maturata in anni di lotte e di esperienze, un testo da distribuire nelle scuole, da spacciare tra i giovani, gli unici in grado di immaginare e realizzare un futuro migliore.

Bene, Mujica è tornato a parlare. Qualche giorno fa ha rilasciato un’intervista in video chiamata a Jordi Évole, personaggio pubblico e ideatore del programma tv “Lo de Évole”, in questi giorni sul web per le condizioni imposte dal coronavirus.

Seduto davanti al suo pc, una felpa rosa sul corpaccione, il volto pieno da contadino magnificato dalla telecamera, la candida chioma scompigliata e gli iconici baffetti grigi, l’anziano politico ha parlato dell’emergenza in atto, di questo mondo in ginocchio e del sistema che lo governa, delle nuove abitudini, delle nuove priorità, del futuro. E lo ha fatto con la consueta passione, accendendosi di rabbia, sussultando di indignazione, ricorrendo al suo linguaggio colorito ma dalla precisione chirurgica.

Il giornalista spara subito la sua domanda: “Il coronavirus metterà fine alla globalizzazione capitalista?” Mujica non fa attendere la sua risposta: “Non sarà il virus a decretare la fine del capitalismo. Questa deve venire dalla volontà organizzata degli uomini, che sono stati quelli che lo hanno creato: è l’uomo che deve distruggerlo. Il dio mercato è la religione fanatica del nostro tempo, governa tutto”. Caro, vecchio Mujica, lucido come sempre.
E come sempre battagliero: “Non so se sia una situazione reversibile, ma dobbiamo lottare affinché lo diventi. Questo virus ci spaventa e prendiamo un certo grado di misure quasi eroiche. Sul piano del mercato, della globalizzazione bisognerebbe rispettare determinati parametri”.

Évole insiste: “Pensa che da questa pandemia possa uscire qualcosa di buono?”

“Grazie a questo spavento generale potrebbe emergere un po’ più di generosità e meno egoismo” concede l’anziano presidente. “Ma mi domando perché i vecchietti continuino ad accumulare denaro. Parlo di miliardari, di gente che concentra la ricchezza”. Già, i cronici, irrisolti problemi dell’umanità: la sperequazione delle risorse, l’ingiustizia sociale e lo sfruttamento: mali che risalgono alla notte dei tempi e che dei farabutti mascherati da politici e da intellettuali hanno cercato di darci a bere che fossero stati debellati.

“Non siamo in guerra” prosegue Mujica nella sua analisi di questo triste tempo, “questa è una sfida che la biologia ci pone per ricordarci che non siamo i proprietari assoluti del mondo come ci sembra. Questa crisi così grave può servire per ricordarci che i problemi globali sono anche i nostri problemi. Dobbiamo combattere l’egoismo che ci portiamo dentro al fine di superare il coronavirus, dobbiamo diventare socialmente uniti gli uni agli altri”. La voce del saggio: senza la solidarietà, la fratellanza, l’uguaglianza, l’uomo è condannato a perire. Dai mali bisogna trarre degli insegnamenti, per non ripetere gli errori commessi: dov’è altrimenti la tanto sbandierata intelligenza umana?

Ma al miele di queste parole, Mujica aggiunge il vetriolo, scagliandosi contro i leader mondiali sordi al pericolo del riscaldamento globale: “Non è un problema ecologico ma politico. Mai l’uomo ha avuto così tante risorse, capacità o capitale per fermarlo. Stiamo andando verso un ‘olocausto ecologico’ e stanno preparando una padella gigantesca per friggerci”. Più chiaro di così.

Poi il vecchio saggio zoomma su noi tutti, che come lui stiamo vivendo questa nuova e inquietante esperienza della quarantena forzata, prova a darci coraggio e ad indicarci la via: “La peggiore solitudine è quella che abbiamo dentro, è tempo di meditare. Parla con te stesso e cerca di immaginare una finestra sul cielo. Finché avrai una ragione per vivere e combattere, non avrai tempo per la tristezza”.

Grazie, maestro. Che le tue parole siano accolte e interiorizzate da noi tutti, e che ci diano la forza di cambiare questo mondo folle che abbiamo edificato.

fonte: https://www.globalist.it/world/2020/04/03/la-saggezza-di-mujica-ci-indica-la-strada-per-battere-il-coronavirus-e-il-virus-del-capitalismo-2055511.html

In Svizzera basta compilare un modulo e lo Stato stanzia 4.300 miliardi di Euro a favore dei cittadini… Ci credi? Eppure nel nostro Paese il 30% della popolazione crede a baggianate del genere! E perchè siamo un popolo di fessi, che certi pseudo-politici possono esistere…

 

Svizzera

 

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In Svizzera basta compilare un modulo e lo Stato stanzia 4.300 miliardi di Euro a favore dei cittadini… Ci credi? Eppure nel nostro Paese il 30% della popolazione crede a baggianate del genere! E perchè siamo un popolo di fessi, che certi pseudo-politici possono esistere…

Facciamoci un po’ di conti “alla Salvini”: gli svizzeri sono circa 8,6 milioni. 8,6 milioni x 500.000 Euro fa la simpatica cifra di 4300 miliardi di Euro… Una sciocchezza, no?

Coronavirus, la bufala di Salvini sui 500mila franchi accreditati in Svizzera

“In Svizzera con un solo foglio ti accreditano subito fino a 500mila franchi sul conto, in Italia milioni di Italiani in coda virtuale” ha scritto Salvini sui suoi social in riferimento ai problemi registrati dal sito dell’Inps, preso d’assalto per le richieste del bonus di 600 euro emesso a causa dell’emergenza Coronavirus.

Tuttavia, l’affermazione del leader della Lega è quantomeno inesatta.

I 500mila franchi a cui fa riferimento Salvini non sono altro che un prestito bancario a interesse zero. Inoltre il prestito può arrivare solo in casi estremi fino a 500mila franchi e non c’entra assolutamente nulla con il bonus da 600 euro dell’Inps, che non deve essere né restituito e che non ha nessun “valore” ai fini fiscali.

Insomma, se stiamo ridotti così è perché il 30% degli Italiani crede a puttanate come quella di uno stato disposto a regalare alla gente, riempendo un modulo, 4.500 miliardi di Euro…

Mi sa che non ne usciremo…

By Eles