Uno degli stupratore di CasaPound aveva mandato al padre il video della violenza per vantarsi… Avete capito bene, al padre! Un padre che invece di sfracellare di botte un figlio così, ne va fiero… Ma c’è poco da stupirsi, i fascisti sono così…!

 

CasaPound

 

 

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Uno degli stupratore di CasaPound aveva mandato al padre il video della violenza per vantarsi… Avete capito bene, al padre! Un padre che invece di sfracellare di botte un figlio così, ne va fiero… Ma c’è poco da stupirsi, i fascisti sono così…!

Da Globalist:

Uno stupratore di CasaPound aveva mandato al padre il video della violenza per vantarsi

Nella lista c’era anche il padre di Licci, che consiglia al figlio di gettare via il telefono: «Riccardo, butta il cellulare subito».

Si tratta di quattro video e quattro foto raccapriccianti. I fotogrammi della sopraffazione violenta e bestiale, l’audio con i flebili lamenti della vittima e le bestemmie degli stupratori che cercano la luce migliore per fare le riprese. «Cancellare obbligatoriamente. Reset del telefono» come si legge su IlMessaggero.it.
Il comando in chat è chiaro: quei video devono sparire. Così come i filmati della telecamera di sorveglianza esterna del pub Old Manners, il circolo culturale di CasaPound dove la notte tra l’11 e il 12 aprile Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci, due giovani militanti di vent’anni, hanno trascinato una donna con la scusa di bere gratis per poi stuprarla.
I video, descritti con dettagli raccapriccianti nell’ordinanza che ha portato all’arresto dei due indagati, sono state recuperati dagli investigatori il giorno successivo alla violenza. Dal telefono di Chiricozzi erano già stati rimossi. Amici e parenti glielo consigliavano nella chat di Blocco studentesco, l’organizzazione neofascista dove le immagini erano state condivise e nella quale c’era anche il padre di Licci, che consiglia al figlio di gettare via il telefono: «Riccardo, butta il cellulare subito», scrive. Un altro suggerisce: «Fai l’hard reset del telefono».

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/05/01/uno-stupratore-di-casapound-aveva-mandato-al-padre-il-video-della-violenza-per-vantarsi-2040818.html

Dico a te, povero fesso. Ho fatto la bella vita con i soldi che ti ho rubato. Mi hanno beccato e sto in galera. Ma se firmi la petizione torno libero e posso continuare a godermela alla faccia tua. Che aspetti? Firma! – Sostieni anche tu la Petizione per la grazia a Roberto Formigoni!

Formigoni

 

 

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Dico a te, povero fesso. Ho fatto la bella vita con i soldi che ti ho rubato. Mi hanno beccato e sto in galera. Ma se firmi la petizione torno libero e posso continuare a godermela alla faccia tua. Che aspetti? Firma! – Sostieni anche tu la Petizione per la grazia a Roberto Formigoni!

Pagina creata per sostenere che a Formigoni NON può essere concessa la grazia: I Delinquenti devono stare in galera

Una raccolta di firme per chiedere che venga concessa la grazia all’ex governatore lombardo e senatore di Ncd Roberto Formigoni, che da fine febbraio sta scontando nel carcere di Bollate una condanna per corruzione. A lanciare l’iniziativa è stato l’imprenditore Angelo Cenicola, amico personale di Formigoni. Al momento la richiesta è stata sottoscritta da 3.500 persone. E su Facebook è stata aperta anche la pagina ‘Roberto Formigoni libero’.

L’ex governatore è finito in carcere, nonostante abbia superato i 70 anni, per effetto della legge ‘spazzacorrotti’ che non prevede pene alternative al carcere per i reati contro la pubblica amministrazione. I legali del ‘Celeste’, gli avvocati Mario Brusa e Luigi Stortoni hanno tentato nel corso di un incidente di esecuzione davanti alla Corte d’Appello di Milano di far ottenere gli arresti domiciliari al loro assistito ma i giudici hanno respinto l’istanza.

Cosa aspetti? Firma anche TU la petizione!

QUI la petizione per chiedere la grazia al Presidente

QUI, invece, la petizione No, alla concessione della “Grazia” a Roberto Formigoni.

 

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I Delinquenti devono stare in galera

Ma quanto siamo furbi noi Italiani… Regaliamo navi alla Libia per i soccorsi in mare… Ma loro interrompono i soccorsi, lasciano i migranti in mare e usano le navi italiane per la guerra…

 

Libia

 

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Ma quanto siamo furbi noi Italiani… Regaliamo navi alla Libia per i soccorsi in mare… Ma loro interrompono i soccorsi, lasciano i migranti in mare e usano le navi italiane per la guerra…

Aveva ragione l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) a esprimere «preoccupazione per la situazione in Libia». Seppure da Tripoli si rifiutano di ufficializzarlo, l’area di ricerca e soccorso libica da giorni non è più interamente operativa. Non bastasse, si paventa il rischio di una violazione dell’embargo Onu sulle armi da guerra a causa delle motovedette fornite dall’Italia e «modificate» dai militari della Tripolitania.

Da ieri vengono fatte circolare immagini di mitragliatori pesanti, fissati sulle torrette delle navi. Prima della consegna, però, i cantieri navali della Penisola a cui era stato affidato il rinnovamento, avevano completamente eliminato ogni arma dagli scafi, conformemente all’embargo stabilito dall’Onu e prorogato nel luglio 2018 per altri dodici mesi. Gli scatti vengono fatti circolare da quanti, proprio a Tripoli, vogliono smentire che la Guardia costiera non sia operativa. Un boomerang, perché secondo gli accordi le navi di fabbricazione italiana avrebbero dovuto essere usate solo per il pattugliamento marittimo e non per operazioni militari.

Nelle foto pubblicate su Twitter da sostenitori di Serraj, si vedono le navi donate dall’Italia in asseto da combattimento

Una conferma indiretta arriva da Roma. «La prosecuzione del conflitto potrebbe distogliere la Guardia costiera libica – spiega un portavoce del ministero delle Infrastrutture – dalle attività di pattugliamento e intervento nella loro area Sar, per orientarsi su un altro genere di operazioni». A cosa si riferiscano lo spiegano proprio i post pubblicati in rete attraverso profili vicini all’esercito del presidente Serraj: militari in tenuta da combattimento sul ponte delle navi che mostrano mitragliatori fissati sulle torrette. In passato i guardacoste libici avevano usato sistemi analoghi, il 26 maggio 2017 addirittura sparando «per errore» contro una motovedetta italiana. Subito dopo i cannoncini furono rimossi e mai più visti a bordo, dove di tanto in tanto apparivano militari con mitragliatori a spalla.

«Non abbiamo notizie ufficiali circa una riduzione delle capacità Sar della Guardia costiera libica», spiegano dal ministero guidato da Danilo Toninelli dopo avere approfondito la questione anche con il Coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso (Mrcc) di Roma. La Libia, dunque, non ha ufficializzato all’Italia alcun abbandono della propria Sar.

Farlo, del resto, avrebbe comportato l’immediata cancellazione della registrazione della competenza libica, costringendo l’Italia e l’Europa a decidere se tornare a coprire, come avveniva in passato, quel tratto di Mediterraneo. Oppure abbandonare nel nulla i migranti che continuano a partire. Le autorità italiane, però, sembrano non fidarsi affatto dei colleghi tripolini, la cui operatività «è quella che sappiamo tutti», aggiungono dalle Infrastrutture. Perciò «la nostra attenzione sulla Sar libica è alta». Nel corso di alcune interviste era stato anche il ministro dell’Interno libico a confermare che «la Guardia costiera è focalizzata sulla protezione della popolazione e della Tripolitania e ha dovuto interrompere le operazioni di intercettazione degli immigrati».

Ci sono però anche difficoltà tecniche. «Negli ultimi giorni – spiega un operatore umanitario di un’agenzia internazionale – scarseggia il carburante e le navi della Guardia costiera sono a secco». Testimonianza confermata anche da alcuni addetti alla sicurezza di aziende italiane presenti nel porto di Tripoli.

fonte: https://raiawadunia.com/gravissimo-la-libia-interrompe-i-soccorsi-in-mare-e-usa-le-navi-italiane-per-la-guerra/

La verità su Regeni? È che di Regeni non frega niente a nessuno! – Al dibattito alla Camera presenti solo 19 deputati…!

 

Regeni

 

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La verità su Regeni? È che di Regeni non frega niente a nessuno! – Al dibattito alla Camera presenti solo 19 deputati…!

Si è tenuta a Montecitorio la discussione dell’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. Nonostante le raccomandazioni del presidente della Camera, Roberto Fico, e la solidarietà raccolta da tutti i partiti politici per l’iniziativa, solo 19 deputati erano presenti in aula.

Avete letto bene: solo19…!

Roberto Fico aveva chiesto “unità” ai partiti politici che avrebbero discusso e votato, di lì a poche ore, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “Vogliamo tutti la verità, la pretendiamo tutti con forza, a prescindere dalle forze politiche di appartenenza”, ha scritto Fico sul suo profilo Facebook.

Con lui anche Arci nazionale, che ha realizzato il “dossier Egitto, contributo alla campagna per la verità”, sottolineando la speranza che “si proceda con voto unanime e con un mandato forte del Parlamento”. Mentre qualche settimana fa la deputata di Leu, Laura Boldrini, aveva parlato della commissione d’inchiesta come “ultima speranza per fare chiarezza sull’omicidio”.

Ma ieri, nonostante la solidarietà espressa in momenti diversi da tutte le componenti dell’Aula, a Montecitorio c’erano solo 19 deputati: 8 del Partito Democratico, 5 del Movimento 5 Stelle, 2 della Lega, 2 di Forza Italia e 2 di Liberi e Uguali.

Veramente squallido. Veramente vergognoso. E questi miserabili si riempio la bocca con “Vogliamo la verità su Regeni”? La verità su Regeni è che di Giulio Regeni non glie ne frega un cazzo. È utile solo quando serve un po’ di propaganda populista… Ma poi, se si tratta di stare in aula in un pomeriggio post-ponte… Chissenefrega di Regeni…!

Nauseanti…

By Eles

Mimmo Lucano dà, ancora una volta, una lezione all’intero mondo politico: rifiuta candidature sicure alle Europee (stipendio di 20.000 euro lordi) e sceglie ancora Riace, candidandosi come consigliere comunale (stipendio zero).

 

Mimmo Lucano

 

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Mimmo Lucano dà, ancora una volta, una lezione all’intero mondo politico: rifiuta candidature sicure alle Europee (stipendio di 20.000 euro lordi) e sceglie ancora Riace, candidandosi come consigliere comunale (stipendio zero).

 

 

Mimmo Lucano sceglie ancora Riace e dà una lezione all’intero mondo politico

Mimmo Lucano si candida. Nel suo paese, Riace, e non per fare il sindaco, ma il consigliere comunale in una lista che vede come candidata a primo cittadino del paese dei bronzi e dell’accoglienza, una donna, Maria Spanò.

E la notizia potrebbe finire qui, ma solo se chi scrive fosse cieco e sordo. Perché dietro la scelta di Mimmo, c’è tanto altro, un tanto che parla alla coscienza civile di questo Paese.

Mimmo Lucano è un personaggio, nel bene e nel male, e questo nella società dove tutto è spettacolo e tutto deve essere ridotto a show (idee, politica e giornalismo) avrebbe potuto giovargli e non poco. Mimmo si presenta bene, ha la faccia schietta dei calabresi il cui carattere è stato temprato dai rigori della montagna e dalle bizzarrie del mare, in tv sorride e parla bene. Le sue parole evocano mondi dove parole come solidarietà, fratellanza e giustizia, non sono state cancellate dal vocabolario della civiltà. Il suo nome e la sua faccia hanno fatto gola a partiti e schieramenti che si richiamano a certi valori.

Sappiamo che sia il Pd che le formazioni alla sua sinistra gli hanno offerto una candidatura alle elezioni europee. I partiti che ruotano attorno al governatore della Calabria lo corteggiano da tempo offrendogli un posto nelle liste per le prossime regionali. Mimmo, come è nel suo carattere, ha ascoltato tutti e a tutti ha regalato un sorriso. Ma alla fine ha deciso: “mi candido a Riace perché qui ci sono le radici della mia vita e della mia lotta contro razzismi e intolleranze”. In quel pugno di case affacciate sullo Jonio sono arrivati sindaci di grandi città europee, studiosi dalle università di tutto il mondo, registi famosi, scrittori e musicisti, volontari e poeti, e lo hanno fatto per capire e studiare un modello di integrazione da esportare in altre realtà mondiali.
Mimmo Lucano non fugge, non accetta comode poltrone europee o regionali, Mimmo Lucano sceglie di restare!

E ricordiamo che mentre la poltrona sicura al parlamento Europeo frutta qualcosa come 20.000 Euro al mese, fare il consigliere comunale a Riace non rende niente in quanto a soldi. Una lezione per l’intero mondo politico. Una lezione che parla di coerenza e di valori forti, merce da tempo rara in tutti i partiti. Una grande lezione.

tratto da Il Fatto Quotidiano

 

Il 29 aprile di 103 anni fa nacque Enrico Mattei – Cari italiani non dimenticate mai l’Uomo che visse lottando per la libertà e per questo motivo fu assassinato!

Enrico Mattei

 

 

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Leggi anche: 

Quando Enrico Mattei e l’Italia facevano paura al mondo

Il 29 aprile di 103 anni fa nacque Enrico Mattei – Cari italiani non dimenticate mai l’Uomo che visse lottando per la libertà e per questo motivo fu assassinato!

Enrico Mattei, un Uomo che visse lottando per la libertà, per il benessere di tutti, contro ogni forma di sfruttamento, di sottomissione. Un visionario nella posizione di poter risolvere la gran parte dei problemi del mondo semplicemente proponendo un modello diverso di gestire il petrolio.

Un Uomo che voleva un capitalismo diverso, etico, funzionale per tutti, anche per i più deboli.  Un uomo che voleva trattare con i paesi arabi in modo pacifico, alla pari. Che voleva creare la possibilità di rendere liberi ed indipendenti i paesi del terzo mondo. Un uomo che aveva la visione di un mondo dove le risorse energetiche sono di tutti, non di poche ricche società.

Ed il 27 Ottobre del 1962 fu assassinato. Fu assassinata l’Italia, fu assassinata la libertà.

La sua storia

Enrico Mattei nasce il 29 aprile del 1906 ad Acqualagna, nelle Marche Primo di cinque fratelli. La famiglia è modesta, il padre brigadiere dei carabinieri.

Finite le scuole elementari, Enrico frequenta la scuola tecnica inferiore. Diplomato, è assunto in una fabbrica di letti di Scuriatti come verniciatore. Nel 1923 entra come garzone alla Conceria Fiore. La carriera di Mattei nell’Azienda è rapida: prima operaio, poi, a soli vent’anni, direttore del laboratorio e infine collaboratore principale del padrone della Conceria.

 Nel 1929, per la crisi economica, la Conceria chiude. Si trasferisce a Milano dove continua la sua attività industriale; nel 1934 fonda l’industria Chimica Lombarda. Lo sviluppo dell’impresa assume un ritmo veloce, cresce rapidamente anche il fabbisogno di materie prime. Mattei tenta di trovare una propria fonte attraverso l’integrazione verticale dell’impresa, ma il progetto viene insabbiato per l’opposizione del regime e degli altri operatori italiani del settore.

Mattei si diploma ragioniere e si iscrive all’Università Cattolica. Nel maggio 1943  entra in contatto con i circoli antifascisti milanesi. Viene creato, nel 1944, un Comando militare Alta Italia del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) di cui Enrico Mattei fa parte per la Dc.

Terminata la guerra , Enrico Mattei venne incaricato di liquidare le attività dell’Agip ma Mattei sceglie di disattendere questa indicazione; nel 1953 fonda l’Eni.

Con la stessa intraprendenza e tenacia che lo aveva caratterizzato tutta la vita, Mattei riesce ad affermare il ruolo strategico dell’energia nello sviluppo economico italiano e a ispirare fiducia nel possibile miracolo dell’indipendenza energetica.
E’ abile nel costituire una rete di collaboratori capaci di muoversi sulla scena internazionale e questo diverrà uno dei punti di forza che la società, oltre gli interessi specifici, saprà offrire all’azione diplomatica dell’Italia. E’ tra i primi a coltivare lo spirito di frontiera e il rispetto delle culture diverse.
Nel film “Il caso Mattei” il protagonista dice a un giornalista: “Il petrolio fa cadere i governi, fa scoppiare le rivoluzioni, i colpi di stato, condiziona l’equilibrio nel mondo…se l’Italia ha perso l’autobus del petrolio è perché gli industriali italiani, questi grandi industriali, non se ne sono mai occupati…non volevano disturbare la digestione dei potenti… Il destino di milioni e milioni di uomini nel mondo in questo momento dipende da 4 o 5 miliardari americani… La mia ambizione è battermi contro questo monopolio assurdo. E se non ci riuscirò io, ci riusciranno quei popoli che il petrolio ce l’hanno sotto i piedi“.

Il 27 ottobre 1962 il “Morane Saulnier 760” di Mattei proveniente da Catania e diretto a Linate precipita a Bascapè (Pavia). Ad oggi sono ancora discordi le opinioni sulla natura dell’incidente mortale occorso a Mattei, da varie ipotesi confermate da testimonianze di mafiosi pentiti negli anni ’90, sembrerebbe che fosse stata piazzata una bomba sull’aereo e che si fosse trattato quindi di un sabotaggio. Totale incertezza si ha sui possibili mandanti, si va da ipotesi che vanno dalla CIA, alle “Sette Sorelle” (le sette grandi multinazionali del petrolio nate per lo più alla fine dell’Ottocento ad opera di alcuni famosi petrolieri), a interessi politici italiani rivali di Mattei.

 

Per rinfrescarVi la memoria: Quando l’attuale Presidente del Senato della Repubblica Italiana Casellati andava in Tv a raccontare: “Ruby è la nipote di Mubarak. Mubarak stesso la presentò a Berlusconi”…

 

Casellati

 

 

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Per rinfrescarVi la memoria: Quando l’attuale Presidente del Senato della Repubblica Italiana Casellati andava in Tv a raccontare: “Ruby è la nipote di Mubarak. Mubarak stesso la presentò a Berlusconi”…

In un video del 2011 della trasmissione Otto e Mezzo, l’attuale presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati parlava di Silvio Berlusconi e del caso Ruby: “Quando Berlusconi incontrò Mubarak, pare sia venuto fuori da alcune testimonianze che il presidente egiziano aveva parlato di questa sua nipote, ed era un incontro ufficiale”.

Sabato 24 marzo Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata eletta presidente del Senato e da quel momento sono stati diffusi video e notizie riguardanti la sua precedente attività politica. Uno di questi video è quello pubblicato dalla trasmissione di La7 Otto e Mezzo che ricorda come alcuni anni fa, nel 2011, Casellati parlava della vicenda riguardante Berlusconi e la giovane Ruby (allora presentata come la nipote del presidente egiziano Mubarak) nel periodo in cui l’attuale presidente del Senato era sottosegretaria alla Giustizia. Nel video diffuso da Otto e Mezzo si sente la Casellati dire che Mubarak, durante un incontro ufficiale con Berlusconi, avrebbe parlato di questa sua nipote.

Lo spezzone di trasmissione ripubblicato anche su Twitter riguarda proprio Silvio Berlusconi e il caso Ruby, la ragazza marocchina al centro della polemica dopo che il leader di Forza Italia chiamò la questura per farla rilasciare dopo un fermo sostenendo che fosse la nipote del presidente egiziano. Berlusconi, comunque, per quella vicenda venne assolto dall’ipotesi di reato di concussione. Casellati difese a spada tratta l’ex presidente del Consiglio mettendo in chiaro come la vicenda riguardante Ruby prendesse spunto da due questioni diverse. La prima “‘è che ha ritenuto che fosse la nipote di Hosni Mubarak”. La seconda, spiega ancora l’attuale presidente del Senato, riguarda i soldi che Berlusconi avrebbe dato a Ruby: “Siccome si è parlato di denari dati a questa ragazza, ha detto di averli dati per lavorare e permetterle di non prostituirsi”.

QUI il video

Secondo Casellati questi sono due episodi certamente legati fra loro ma si tratta comunque di “due cose diverse”. E l’ex sottosegretario alla Giustizia sottolinea ancora come Berlusconi sia sempre stata “una persona che ha fatto tanta beneficienza e ha fatto tanti regali a tante persone”. Tornando nello specifico alla telefonata di Berlusconi alla questura, Casellati ribadisce nella trasmissione del 2011 che quella chiamata fu fatta “per dire che è la nipote di Mubarak”.

E proprio su questo punto si sofferma ancora la presidente del Senato, eletta solo pochi giorni fa con i voti di centrodestra e MoVimento 5 Stelle. Berlusconi non avrebbe soltanto affermato, secondo la Casellati, della parentela tra Ruby e Mubarak, ma, anzi, si sarebbe basato su un episodio che lei stessa racconta: “Quando Berlusconi aveva incontrato Mubarak pare sia venuto fuori da alcune testimonianze che in quell’incontro aveva parlato di questa sua nipote, ed era un incontro ufficiale”.

 

La grande truffa della tessera sindacale. Parliamo di Un Miliardo di Euro che ogni anno Cgil, Cisl e Uil prendono dalle tasche di lavoratori e pensionati…

 

tessera sindacale

 

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La grande truffa della tessera sindacale. Parliamo di Un Miliardo di Euro che ogni anno Cgil, Cisl e Uil prendono dalle tasche di lavoratori e pensionati…

 

La grande truffa della tessera sindacale

Un miliardo. È la cifra che aziende ed enti previdenziali versano ogni anno a Cgil, Cisl e Uiltrattenendola da stipendi e pensioni degli iscritti. Che spesso, magari senza saperlo, continuano a pagare per molti mesi anche dopo aver ritirato la loro delega al sindacato.

La maggiore risorsa economica dei sindacati nazionali sono i contributi pagati ogni anno dagli iscritti, cui vanno sommate le cosiddette quote di servizio, e cioè i quattrini raccolti con la vendita dei testi dei nuovi accordi contrattuali stampati dalle tre centrali.

I lavoratori versano circa l’l% della paga base (anni fa i metalmeccanici della Cisl con un’alzata di ingegno hanno proposto di tassare anche i non iscritti quando questi beneficiano di accordi stipulati dalle tre confederazioni: non è affatto certo che scherzassero).

I pensionati beneficiano di uno sconto e danno un obolo dell’ordine dei 30-40 euro. Ma la tassa non risparmia neanche i disoccupati, i cassintegrati e i lavoratori socialmente utili: l’Inps trattiene a favore dei sindacati il 3% dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (quella che spetta a chi nei due anni precedenti ha lavorato a singhiozzo) e l’1% della Cig ordinaria e straordinaria e del sussidio per gli Lsu. Un esperto della materia come Giuliano Cazzola, già presidente dei sindaci dell’Inps, parla di un miliardo e forse più all’anno. Una cifra impressionante. A voler fare un calcolo della serva, solo per la Cgil che ha 2,5 milioni di lavoratori iscritti e 3 milioni di pensionati, si tratterebbe di 350-400 milioni di euro l’anno.

Questa montagna di soldi, e qua sta la prima anomalia, il sindacato non deve neanche fare la fatica di raccoglierla. L’articolo 26 dello Statuto dei lavoratori del 1970 ha assegnato il compito di esattori del denaro alle aziende, che lo trattengono dalle buste paga dei dipendenti, e agli istituti di previdenza, che lo sottraggono alla fonte dalle pensioni: solo l’Inps nel 2006 ha girato 110 milioni alla Cgil, 70 alla Cisl e 18 alla Uil.

Nel 1995 Marco Pannella ha tentato di far saltare il meccanismo, proponendo un referendum che abolisse la trattenuta automatica dalle busta paga. Il 12 giugno la maggioranza degli italiani s’è schierata al fianco del vecchio leader radicale. Il 57,1% ha partecipato al referendum. E 56 votanti su 100 si sono espressi per l’abrogazione dell’obbligo alla trattenuta. Un colpo durissimo per il sindacato. “Vogliono ridurci alla colletta” ha commentato acido Sergio Cofferati, all’epoca numero uno dei sindacalisti italiani. Ma il momento di sbandamento è durato poco.

Cgil, Cisl e Uil hanno semplicemente deciso di ignorare l’esito della consultazione popolare.Uscita dalla porta, la trattenuta è rientrata dalla finestra: non più prevista dalla legge, è stata salvata nei contratti collettivi, con la complicità dunque degli imprenditori, che subiscono dei costi ma non hanno alcuna voglia di mettersi a menare le mani con i sindacati.

Con un buco nell’acqua è finita anche, più di recente, l’offensiva di Forza Italia. Gli uomini di Silvio Berlusconi avevano presentato un emendamento al decreto Bersani. In pratica, la delega con cui il pensionato autorizza l’ente previdenziale a effettuare la trattenuta sulla pensione, che oggi è di fatto a vita, avrebbe avuto bisogno di un periodico rinnovo. Non sia mai. I sindacati hanno fatto capire che sarebbero stati pronti a salire sulle barricate. Il governo, già nei guai per conto suo, ha fatto pollice verso. E l’emendamento è saltato.

La delega, dunque, continua a non avere una scadenza. E già questa è una faccenda ben strana. Ma l’argomento assume i contorni di un vero e proprio scandalo se si va a guardare cosa accade quando un dipendente pubblico decide che del sindacato ne ha piene le tasche e dunque non vuole più versargli la sua quota annuale.

È scritto nero su bianco su un librone intitolato Prerogative sindacali e normativa di riferimento, con tanto di stemma della repubblica e intestazione della presidenza del consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica. Si legge a pagina 65: “La delega può essere revocata solamente entro il 31 ottobre di ogni anno e gli effetti della revoca decorrono dal  1° gennaio dell’anno successivo”.

Vuol dire che se un travet si sveglia di malumore il 1° gennaio di un certo anno e decide di mandare a quel paese i sindacati continua comunque a pagargli la tessera per un altro anno. Se invece lo storico passo lo compie il 1° novembre allora il contributo lo sborsa addirittura per quattordici mesi, fino al gennaio di due anni dopo. In base a un calcolo matematico un impiegato dello stato che cancella la sua iscrizione al sindacato continua a vedersi effettuare trattenute abusive sulla busta paga, in media, per sette mesi e mezzo. Se il suo versamento annuale fosse intorno ai 100 euro, ecco che se ne vedrebbe sfilare poco meno di 60.

Una truffa in piena regolanella quale lo stato si rende complice del sindacato a danno di quelli che normalmente vengono definiti i suoi assistiti. E sulla quale nessuno, a partire dalla corte dei conti, ha mai pensato di dover alzare il velo.

La micidiale trappola non scatta solo per gli impiegati dello stato. Dal 1973 al 1998, per un quarto di secolo, ha funzionato così anche all’Inps: se la revoca veniva presentata all’istituto entro il mese di settembre il prelievo a favore del sindacato andava comunque avanti fino alla fine dell’anno; se arrivava dopo il 1° ottobre il pensionato continuava a subire la decurtazione dell’assegno mensile addirittura fino alla fine dell’anno successivo: un salasso lungo 15 mesi.

Dal 1998 il prelievo forzoso è stato solo ridotto. Oggi la revoca ha effetto dall’inizio del terzo mese successivo alla data della sua presentazione. Un lasso di tempo sufficiente per il sindacato a contattare il pensionato dimissionario e convincerlo a tornare sui suoi passi. Già, perché dal 1998 al 2001 la prassi era che, appena ricevuta la revoca, l’Inps informava tempestivamente del pericolo in vista la confederazione interessata.

Dal 2002, con l’arrivo di Paolo Sassi come commissario, l’Istituto non si presta più al giochino di spifferare in anticipo a Cgil, Cisl e Uil la possibile perdita di un tesserato e dei relativi contributi. Continua però a prelevare abusivamente per due-tre mesi (che possono ancora oggi arrivare fino a nove per i lavoratori autonomi agricoli) la quota sindacale sulla pensione a chi ha dato la disdetta. Eppure la procedura dev’essere piuttosto semplice, almeno a giudicare dell’esiguità del compenso che l’Inps chiede per metterla in moto.

Le cifre sono contenute nella deliberazione n. 39 del consiglio di amministrazione del 5 febbraio 2002: per la cancellazione della delega l’Istituto fattura ai sindacati 2 euro e 1 centesimo. E infatti la scusa dei tempi tecnici non è solo poco credibile, ma totalmente falsa. La sfasatura temporale tra il ritiro della delega e la cessazione del prelievo è oggetto di accordi scritti (e standardizzati) tra l’Inps le diverse confederazioni.

Lo rivela un documento di 5 pagine, datato 23 novembre 2006 e firmato dal direttore generale dell’Istituto, Vittorio Crecco. Si tratta della circolare n. 135, che ha per oggetto la Convenzione tra l’Inps e il Sindacato autonomo pensionati padani (Sapp) per la riscossione dei contributi associativi sulle pensioni.

In allegato c’è il testo della convenzione che, al quarto comma dell’articolo 3, recita: “Nel caso in cui l’Inps riceva comunicazione direttamente dal pensionato della sua volontà di revocare la delega per la trattenuta sindacale sulla pensione, la struttura periferica dell’Inps procederà all’acquisizione della revoca, che avrà efficacia dal primo giorno del terzo mese successivo a quello in cui è pervenuta alla struttura stessa”.

È la tassa da pagare per uscire dal sindacato, la cui figura in questo caso richiama alla mente la banda Bassotti più che i tre porcellini. In barba al referendum, tutto è dunque rimasto come prima.

*Tratto da L’altra casta – Stefano Livadiotti 

A Trieste si inaugura la maratona razziale: non potranno gareggiare atleti africani… Ci siamo quasi?

 

 

maratona

 

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A Trieste si inaugura la maratona razziale: non potranno gareggiare atleti africani… Ci siamo quasi?

Gli organizzatori del Running Fest sostengono che sia una protesta per difendere la dignità degli atleti africani, sfruttati. Ma lo fanno discriminandoli ulteriormente… E c’è chi parla apertamente di discriminazione.

La nuova frontiera del razzismo è nascondersi dietro il politically correct per giustificare scelte inammissibili che fanno vergognare e sprofondano ancora di più il nostro paese nel buio: a Trieste, gli organizzatori della maratona Running Fest hanno dichiarato che quest’anno la partecipazione alla maratona sarà consentita soltanto ad atleti europei e non agli africani.
La scusa utilizzata, un capolavoro di ipocrisia, è che si tratta di una protesta affinché “vengano presi dei provvedimenti che regolamentino quello che è attualmente un mercimonio di atleti africani di altissimo valore, che vengono semplicemente sfruttati”. Peccato che in questo modo a rimetterci siano esclusivamente gli atleti, che non possono partecipare in quando ‘africani’.

A rendere nota la notizia è il presidente di Running Fest Fabio Carini, che ha dichiarato: “in Italia roppi organizzatori subiscono le pressioni di manager poco seri che sfruttano questi atleti e li propongono a costi bassissimi e questo va a scapito della loro dignità, perché molto spesso non intascano niente e non vengono trattati con la giusta dignità di atleti e di esseri umani, ma anche a discapito di atleti italiani ed europei che chiaramente rispetto al costo della vita non possono essere ingaggiati perché hanno costi di mercato”.

“Mi spiace se qualcuno se l’è presa – commenta ancora Carini – hanno preso una cantonata mostruosa. Ora è il momento che da questa Trieste, città multiculturale, si dica basta allo sport che non è etico”. “Il nostro obiettivo – ha poi concluso – è che questo non rimanga un fatto isolato ma che si cambi le regole”.

Il Pd è immediatamente partito all’attacco: “A Trieste siamo arrivati alle epurazioni nello sport: ultima follia di un estremismo che sta impregnando e snaturando la città, sulla quale i più alti rappresentanti politici e istituzionali hanno messo la faccia. Fatto grave e indegno”. Lo afferma in una nota Isabella De Monte, eurodeputata Pd e ricandidata al Parlamento europeo nel Nordest.

“Mancava questo al Friuli Venezia Giulia: essere la Regione che non fa correre gli atleti africani. Con motivazioni che hanno un retrogusto d’ipocrisia all’ennesima potenza, la nostra regione apre la stagione della discriminazione nello sport. Il fatto che questa scelta sia frutto di un organizzatore che è anche giornalista dipendente della Regione rende ancora più imbarazzante tutta la situazione”. Lo afferma il segretario regionale del Pd Fvg, Cristiano Shaurli.

 

Fonti:

https://www.globalist.it/news/2019/04/26/a-trieste-si-inaugura-la-maratona-razziale-non-potranno-gareggiare-atleti-africani-2040612.html

https://www.fanpage.it/alla-maratona-di-trieste-iscrizione-vietata-agli-atleti-africani/

Forse non ci avete fatto caso, ma in Francia i gilet gialli sono scesi in piazza a protestare quando la benzina è arrivata a € 1,50 al litro. Da noi ha raggiunto i 2 €, ma il massimo dell’incazzatura ce la prendiamo per l’eliminazione del nostro vip dal Grande Fratello…! – AGGIORNAMENTO: LA BENZINA HA TOCCATO € 2,20, MA QUI ANCORA TUTTO TACE…

 

benzina

 

 

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Forse non ci avete fatto caso, ma in Francia i gilet gialli sono scesi in piazza a protestare quando la benzina è arrivata a € 1,50 al litro. Da noi ha raggiunto i 2 €, ma il massimo dell’incazzatura ce la prendiamo per l’eliminazione del nostro vip dal Grande Fratello…! – AGGIORNAMENTO: LA BENZINA HA TOCCATO € 2,20, MA QUI ANCORA TUTTO TACE…

 

Aggiornamento: abboamo pubblicato questo articolo 2 giorni fa. Nel frattempo la benzina è salita ancora, toccando in autostrada quaota € 2,20. Ma qui in Italia ancora tutto tace… Sarà perché in Tv stanno passando la replica di Ballando con le stelle…?

La benzina 2 euro al litro, per il reddito di cittadinanza se va bene prendi 40 Euro, la disoccupazione è più che raddoppiata dal 2006, ci sono fascisti e mafiosi ovunque, i politici non hanno smesso di rubare, ma ora lo fanno senza neanche vergognarsene. E poi il debito pubblico, la sanità che non funziona, le scuole peggio, lo spread che saltella, l’industria ferma, i negozi che chiudono…

Ma non vi preoccupate, state sereni, hanno tolto i termini Genitore 1 e Genitore 2…

E poi tutti a guardare il Grande Fratello, Amici e Ballando con le stelle… Siamo Italiani, o no?

Da un articolo del novembre dell’anno scorso:

Caro benzina, esplode la protesta dei gilet gialli: “In 81mila nelle strade”

Barricate sugli Champs Elysees a Parigi dove 8mila manifestanti stanno prendendo parte alle proteste contro il rialzo dei prezzi dei carburanti

Sono 81mila le persone che stanno manifestando in tutta la Francia nell’ambito della mobilitazione dei gilet gialli. A Parigi i manifestanti sono 8mila, 5mila dei quali sugli Champs Elysees. Il dato è stato fornito dal ministro dell’Interno, Christophe Castaner.

Alcuni gruppi di gilet gialli hanno anche costruito delle barricate sugli Champs Elysees a Parigi, utilizzando gli arredi delle terrazze dei caffè, pezzi di pavimentazione e barriere di cantiere. Ma le barricate non hanno tenuto a lungo, come dimostrano le immagini sui siti francesi, con mucchi di sedie di caffè rovesciati.

La polizia ha lanciato lacrimogeni e usato gli idranti contro i dimostranti che tentavano di marciare verso Place de la Concorde e verso l’Eliseo intonando la Marsigliese: i gilet gialli urlano slogan come “Macron dimettiti” e “La Francia in collera”.

Chi sono i gilet gialli e perché protestano

Una settimana fa – in occasione delle precedenti mobilitazioni dei gilet gialli – alla stessa ora i manifestanti erano 244mila, ricordano i media francesi.

Perché protestano? Al centro della protesta dei gilet gialli, spiega ancora Le Figaro, l’aumento dei prezzi del carburante deciso dal governo francese, con l’abolizione della riduzione delle tasse sul gasolio non stradale e il conseguente aumento di 6,5 centesimi per litro del gasolio e 2,9 centesimi per la benzina a partire dal 1 °gennaio 2019. Tra le altre istanze, inoltre, i pedaggi autostradali, controlli tecnici e potere d’acquisto.”
…Ma noi siamo Italiani, mica ci incazziamo se la benzina arriva a 2 Euro o se il politico di turno ci prende per i fondelli in campagna elettorale sventolando il suo “elimineremo tutte le accise”…

By Eles