Erdogan dà il via all’invasione: è iniziato il massacro dei curdi – Ma a noi occidentali, ancora una volta, non ce ne frega niente!

 

 

massacro dei curdi

 

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Erdogan dà il via all’invasione: è iniziato il massacro dei curdi – Ma a noi occidentali, ancora una volta, non ce ne frega niente!

Erdogan dà il via all’invasione da terra: il massacro dei curdi sempre più grave

I bombardamenti si sono verificati nella notte nella località di Ayn Issa, lungo il confine tra Turchia e Siria, e nella località di Minnagh, tra Aleppo e la frontiera turca. éesante il bilancio delle vittime.

Dopo un pomeriggio di bombaramenti, la Turchia ha avviato anche l’operazione di terra contro le Forze democratiche siriane nel nord della Siria.

Lo ha annunciato il ministero della Difesa di Ankara.

“Le Forze armate turche – si legge in un tweet del ministero della Difesa – e l’Esercito nazionale siriano hanno lanciato un’operazione di terra a est del fiume Eufrate nell’ambito dell’operazione ‘Fonte di pace'”.

In poche ore 15 vittime, soprattutto civili

Almeno 15 persone sono rimaste uccise nell’offensiva aerea e terrestre lanciata dalla Turchia nel nordest della Siria. Tra le vittime, secondo quanto riferito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, ci sarebbero otto civili, di cui due bambini. Secondo la ong, sette combattenti delle Forze democratiche siriane ed altre 28 persone sono rimaste ferite.

L’inizio delle operazioni contro i curdi nel pomeriggio

Con un tweet il Presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha annunciato l’inizio dell’operazione militare contro le forze curde del nord est della Siria. Il massacro dei curdi ha avuto ufficialmente inizio, mentre il mondo osserva impotente e Donald Trump volta le spalle ai suoi ex alleati contro l’Isis. Clamorosamente, l’operazione si chiama #PeaceSpring, Primavera di Pace.
“Caccia turchi hanno lanciato raid su aree civili. C’è grande panico fra la popolazione nella regione”, ha twittato un portavoce dei combattenti curdi nel nord della Siria. I raid dei jet turchi sull’area di Ras al-Ayn sono confermati anche da fonti militari di Ankara, che sostengono di prendere di mira obiettivi delle forze curde dell’Ypg.

Diverse esplosioni sono avvenute nella località siriana di Ras al-Ayn, alla frontiera con la Turchia, nell’area in cui è iniziata l’operazione militare turca contro le forze curde. Lo riferiscono le tv locali, mostrando le immagini di una fitta coltre di fumo che si leva dalla parte siriana del confine.

Questa mattina cinquemila i soldati delle forze speciali turche erano pronti a entrare nel nord-est della Siria per l’annunciata operazione militare contro le milizie curde dell’Ypg. Lo riportano media locali, secondo cui i militari delle brigate commando sono schierati al confine con decine di convogli di blindati.

Le autorità curdo-siriane annunciano una mobilitazione e allerta generali in tutto il Nord-Est siriano per difendersi dalle “minacce dell’esercito turco e dei suoi mercenari di attaccare la regione frontaliera siriana nord-orientale”.

Intanto l’Isis ha rivendicato una serie di attacchi compiuti contro forze curdo-siriane nel nord-est della Siria. Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, secondo cui lo ‘Stato islamico’ ha ammesso tramite i suoi canali sui social network la responsabilità di attacchi compiuti nelle ultime 24 ore contro basi e postazioni curde e Raqqa e nella città di Tabqa, sull’Eufrate.

I militanti curdi dell’Ypg hanno due opzioni: ‘possono disertare oppure noi dovremo fermarli dall’interrompere i nostri sforzi di contrastare l’Isis’. Parlando dell’imminente offensiva oltreconfine che sta preparando, la Turchia fa sapere che proseguono i trasferimenti verso la frontiera.

Le forze armate di Ankara, infatti, non hanno ancora attraversato il confine turco-siriano.

Ma, sottolinea il capo della comunicazione della Presidenza di Ankara, Fahrettin Altun, “l’esercito turco, insieme all’Esercito siriano libero, attraverserà a breve il confine turco-siriano”.

“I militanti (curdi) dell’Ypg hanno due opzioni: possono disertare oppure noi dovremo fermarli dall’interrompere i nostri sforzi di contrastare l’Isis”, ha aggiunto Altun, che ha pubblicato sul Washington Post un commento per esprimere il punto di vista del governo di Recep Tayyip Erdogan sull’imminente offensiva oltre confine. “Il mondo deve sostenere il piano della Turchia per la Siria nordorientale”, è il titolo del suo editoriale sul quotidiano americano.

Intanto, citando fonti locali, l’Osservatorio nazionale diritti umani in Siria fa sapere che una serie di raid di artiglieria sono stati compiuti dalla Turchia nelle ultime ore su basi curdo-siriane nel nord della Siria, a est e a ovest dell’Eufrate.

L’Osservatorio precisa che i bombardamenti di artiglieria si sono verificati nella notte nella località di Ayn Issa, lungo il confine tra Turchia e Siria, e nella località di Minnagh, tra Aleppo e la frontiera turca.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/politics/2019/10/09/lo-sterminio-dei-curdi-e-iniziato-erdogan-ha-dato-il-via-all-operazione-peace-spring-2047416.html

34 anni fa “ La notte di Sigonella ” – Su Bettino Craxi si può dire di tutto, ma nella nostra Storia è stato l’unico politico che ha avuto le palle di farsi rispettare dagli Stati Uniti! …E questa è stata anche la sua fine?

Craxi

 

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34 anni fa “ La notte di Sigonella ” – Su Bettino Craxi si può dire di tutto, ma nella nostra Storia è stato l’unico politico che ha avuto le palle di farsi rispettare dagli Stati Uniti! …E questa è stata anche la sua fine?

Craxi, a Sigonella iniziò la sua fine

La notte di Sigonella: Su Craxi si può dire di tutto,ma nella nostra Storia è stato l’unico politico che ha avuto “il fegato” di farsi rispettare dagli USA. Seguì subito la vendetta USA con tangentopoli e Mani Pulite. Sarà stata la notte di Sigonella a decretare l’inizio della sua fine?

Nella notte tra il 10 e l’11 ottobre del 1985, Bettino Craxi osò sfidare gli Stati Uniti d’America: a Sigonella iniziò la sua fine.

Oggi gli avvenimenti che precedettero e seguirono quella notte potrebbero essere un’ottima trama per una fiction a puntate, una fiction di quelle che solo gli americani sanno costruire con grande maestria quando fanno a riferimento a “fatti” veramente accaduti, ma quella notte d’autunno in quell’aeroporto di Sigonella (dove allora ancora contavano gli italiani) si rischiò tanto. Non ci sono immagini (almeno, fino ad ora, se ci sono, non sono disponibili se non in qualche spezzone Rai) che possano documentare con efficacia quanto si verificò in quelle ore drammatiche. Ore drammatiche che segnarono l’ultimo atto del sequestro della nave Achille Lauro da parte di un gruppo di terroristi palestinesi avvenuta il 7 ottobre alle ore 13.07, mentre si apprestava a lasciare le acque egiziane per approdare in Israele, al largo di Port Said, in Egitto, la nave da crociera viene dirottata dai terroristi palestinesi.

Arafat invia Abu Abbas e il 9 ottobre sembra delinearsi una soluzione senza spargimento di sangue: la nave viene liberata e i dirottatori e Abu Abbas vengono imbarcati su un Boeing dell’EgyptAir. Si scopre, nel frattempo, che un passeggero paralitico è stato ucciso e scaraventato in mare: la reazione USA è immediata.

La reazione degli USA

Il presidente statunitense Ronald Reagan, mentre era in volo da Chicago a Washington, decide di accogliere la proposta del Consiglio di sicurezza, disponendo unilateralmente di intercettare l’aereo egiziano.

Dalla portaerei USS Saratoga in navigazione nel Mediterraneo decollano quattro F-14 Tomcat che affiancano l’aereo poco sopra Malta. Alle 23.50 del 10 ottobre la Casa Bianca chiama il premier Bettino Craxi e annuncia: il Boeing dell’EgyptAir, con a bordo i dirottatori e Abu Abbas, è stato intercettato da quattro caccia F-14 e obbligato a dirigersi verso l’Italia. Di lì a pochi minuti tutti i velivoli saranno a Sigonella.

Le pretese degli USA e la reazione di Craxi

L’America vuole tutto e subito: la consegna degli assassini e dei mediatori palestinesi per trasferirli immediatamente negli Usa. Opposta la linea di Bettino Craxi: i sequestratori hanno colpito una nave italiana in acque internazionali, dunque devono essere processati a Roma e non negli Stati Uniti. Inoltre Abu Abbas è un mediatore e non un complice, anche se il commando appartiene alla sua fazione. Gli F-14 americani dirottano l’aereo egiziano sulla base di Sigonella, dove già dal 1959 esiste l’insediamento della Naval Air Facility della VI Flotta USA nel Mediterraneo. L’autorizzazione del Comando italiano all’atterraggio del volo egiziano arriva solo quando il velivolo aveva già dichiarato l’emergenza combustibile e appariva evidente che non sarebbe stato in grado materialmente di procedere oltre.

Tutti pronti a far fuoco

Il Boeing egiziano atterra a Sigonella e viene subito accerchiato da venti carabinieri e trenta avieri armati del VAM, che a loro volta vengono accerchiati dalle forze d’assalto della “Delta Force” del generale Carl Steiner in precedenza atterrati con due Lockheed C-141 Starlifter dei Navy SEAL. A loro volta i militari americani vengono circondati da altri carabinieri, che erano nel frattempo arrivati dalle caserme di Catania e Siracusa. Tutti pronti a far fuoco. Alla fine Ronald Reagan cede e sotto il controllo di quattro ufficiali USA (e cinque militari addetti al collegamento via radio), i quattro terroristi vengono consegnati agli italiani e trasferiti a Ciampino.

Una vicenda nota, questa ricordata sommariamente, che ora viene riproposta in un libro edito da Mondadori dal titolo “La notte di Sigonella”, con la firma come autore dello stesso Bettino Craxi, che raccoglie molti documenti inediti e la corrispondenza declassificata statunitense. Già nel 2001 un quaderno della Fondazione Craxi, a cura di Franco Gerardi, metteva in luce quella vicenda che, all’epoca, inorgoglì gli italiani per le decisioni prese dal loro premier. Poi, come sempre accade alle vicende umane, si è dimenticato e ogni cosa è tornata nella “normalità”. Probabilmente per Bettino Craxi “la notte di Sigonella” fu il punto di partenza del suo declino e della sua forse non meritata fine politica.

Fonte: Blog Di Eles

 

Salvini, un mese da senatore senza mai vedere il Senato – Mai un voto, mai una riunione della sua commissione: dal 10 settembre non ha partecipato ad alcun lavoro parlamentare. Sempre in “missione”: cioè in campagna elettorale per le Regionali …Ovviamente il tutto a spese nostre!

 

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Salvini, un mese da senatore senza mai vedere il Senato – Mai un voto, mai una riunione della sua commissione: dal 10 settembre non ha partecipato ad alcun lavoro parlamentare. Sempre in “missione”: cioè in campagna elettorale per le Regionali …Ovviamente il tutto a spese nostre!

Salvini doveva fare «dura opposizione in Aula». Ma dal voto di fiducia non si è più visto in Senato

Perennemente in missione, nonostante la ‘minaccia’ al nuovo Esecutivo: «Faremo una dura opposizione in Aula». Una dichiarazione che, confrontata con il registro delle presenze al Senato ha il sapore del motto «Armiamoci e partite». Si parla, come storia politica nazionale ed europea insegna, dell’allergia del leader della Lega a partecipare attivamente al percorso decisionale di una democrazia: da quando si è insediato il nuovo governo Conte, il segretario del Carroccio (ora senatore) ha partecipato ai lavori parlamentari solo per il voto di fiducia (sfiducia, per lui) alla maggioranza giallorossa. Le assenze Salvini, dunque, tornano a fare notizia.

Come riporta il sito online del settimanale L’Espresso (che trova anche conferma sui numeri riportati dal portale OpenParlamento), il leader della Lega non ha partecipato a nessuna votazione (oltre a quella di fiducia) di quelle che si sono tenute al Senato dal giorno in cui si è insediato il nuovo Esecutivo. Sempre assente, sempre in missione. Non solo il suo scranno a Palazzo Madama è rimasto perennemente vuoto, ma anche la sua poltrona nella Terza Commissione ‘Affari esteri ed emigrazione’ (di cui fa parte) è rimasta deserta. E l’unica riunione si è tenuta il 2 ottobre e quel giorno Salvini era al Senato ma solamente per una conferenza stampa sulla proposta del 5Xmille alle Forze dell’Ordine e non per partecipare ai lavori.

Le assenze Salvini anche da quando è “solo” senatore

E in questo mese le assenze Salvini si sono moltiplicate anche durante i voti al Senato: mai presente, sempre in missione. Ma cosa si intende per parlamentare in missione? «I Senatori assenti per incarico avuto dal Senato, i quali pertanto non vengono computati ai fini della determinazione del numero legale», è scritto sul regolamento di Palazzo Madama. Insomma, la missione dovrebbe racchiudere solamente impegni istituzionali nel proprio ruolo di senatore della Repubblica o membro di una commissione. E, tra l’altro, un parlamentare che si dichiara in missione (oltre a non rientrare nel numero legale in Aula) non perdono neanche la diaria di quel giorno perché in realtà non risultano assenti.

Ma basta fare un salto sulla bacheca Facebook del leader della Lega per capire come nei giorni in cui a Palazzo Madama sono state effettuate una sessantina di votazioni, lui fosse in giro per l’Italia per portare avanti la sua campagna elettorale in vista delle Regionali in Umbria, Calabria ed Emilia Romagna. Si tratta del 24 e 25 settembre: mentre al Senato si votano diversi provvedimenti all’ordine del giorno, le assenze Salvini crescono per via della sue ‘missioni’ elettorali a Cosenza e in varie cittadine del centro-Italia.

La pagina Facebook che annuncia le sue ‘missioni’

E il copione si ripeterà già oggi, quando la sua Commissione (secondo calendario) si riunirà. Ma la bacheca Facebook di Salvini già annuncia la sua assenza dai lavori parlamentari per via della tripletta umbra: prima la visita al Carcere di Sabbione (ore 9), poi l’incontro con i cittadini di Terni (ore 11) e alle 12.30 il comizio di Ferentillo. Tu chiamale se vuoi, missioni.

 

tratto: https://www.giornalettismo.com/assenze-salvini-senato/

Ernesto Che Guevara – Perché il suo mito è immortale?

 

Che Guevara

 

 

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Ernesto Che Guevara – Perché il suo mito è immortale?

Perché il suo mito di è immortale?

Il 9 ottobre 1967 – su precise disposizioni giunte da Washington – veniva ammazzato Ernesto Che Guevara.

Ma non si può uccidere un’idea

I ribelli caduti in campo di battaglia si dividono grosso modo in tre categorie: la prima, coloro che cercano la morte gloriosa perché le generazioni future cantino le loro gesta, un po’ come Ettore, che nella versione omerica non era ribelle, ma comunque da oltre 2.500 anni funziona da modello. Poi ci sono coloro che perdono la vita perché sconfitti in una battaglia che pensavano di poter vincere o che valeva la pena di combattere; e stiamo parlando di migliaia e migliaia di rivoluzionari, partigiani, rivoltosi, da Spartaco in giù. Infine, la terza categoria sono persone che hanno condiviso con il corpo e con la morte una rivolta delle cui ragioni e tempistica non erano convinti, ma l’hanno fatto per lo spirito di lealtà nei confronti dei compagni di lotta e delle proprie biografie; e viene in mente Rosa Luxemburg, assassinata a Berlino nel gennaio 1919.

E poi c’è il caso di un medico argentino, Ernesto Guevara, insofferente nei confronti delle ingiustizie del mondo; invaghitosi dell’avvocato cubano Fidel Castro che voleva cacciare dal suo Paese Fulgencio Batista, dittatore al servizio delle mafie statunitensi. Una volta ottenuto lo scopo, il medico, insoddisfatto dei compromessi e privilegi che accompagnano inevitabilmente l’esercizio del potere, era andato a finire i suoi giorni in Bolivia, Paese confinante con il suo.

Alle 13.10 del pomeriggio di Lunedì 9 Ottobre 1967, moriva all’età di 39 anni Ernesto Che Guevara, marxista rivoluzionario che insieme a Fidel Castro era stato l’anima della rivoluzione cubana del ’59 che portò alla caduta della dittatura di Batista. Nell’autunno del 1966 Guevara andò in Bolivia in incognito, a capo di un gruppo di guerriglieri nella regione di Santa Cruz. L’idea era quella di infiltrarsi fra la popolazione locale per sollevarla contro il regime di Barrientos.

L’8 Ottobre 1967 il gruppo fu quasi annientato da un distaccamento speciale dell’esercito boliviano. Guevara, ferito, fu catturato e condotto nel villaggio di La Higuera dove sarà ucciso il giorno seguente. Il suo corpo sarà successivamente trasferito a Vallegrande dove sarà sepolto in una tomba senza nome, dopo che le mani saranno amputate. Solo nel 1997 i resti verranno riesumanti e portati a Cuba per essere posti nel mausoleo di Santa Clara.

Siamo un esercito di sognatori. è per questo che siamo invincibili. (Ernesto Che Guevara)

Nato a Rosario in Argentina da una famiglia di origine basco-irlandese, Che Guevara attrae l’immaginario collettivo non solo per la sua singolare esistenza, vissuta all’insegna della lotta contro l’ingiustizia sociale, ma soprattutto per la morte che rispecchia uno stilema profondamente radicato nella cultura occidentale: quella del sacrificio estremo dell’uomo per i suoi simili.

Questo da solo, senza contare le imprese che lo videro protagonista in vita, sarebbe sufficiente a fare del Che un eroe. Guevara e i suoi compagni cadono sacrificandosi per la liberazione degli oppressi del Sud America, schiacciati dal mafioso strapotere degli Stati Uniti. Nonostante l’insuccesso la sua morte, dopo aver cercato di far uscire i feriti e i malati dalla gola dove era asserragliato con diciotto compagni, ne rafforzerà la fama di figura storica e ideale. Solo sei guerriglieri riusciranno a rompere l’accerchiamento di diverse migliaia di soldati delle forze governative e a riparare in Cile, dove saranno accolti personalmente da Salvador Allende.

Il Che, che sorregge un compagno ferito – El Chino – viene colpito a sua volta, catturato, e dopo un giorno di prigionia ucciso a sangue freddo per ordine del governo boliviano di Barrientos su indicazioni inviate da Washington. Il suo sacrifico finisce così per rievocarne molti altri, reali e letterari, che da millenni riecheggiano nella tradizione culturale occidentale, da quello di Leonida e degli Spartani che cadono alle Termopili per difendere la libertà della Grecia contro le preponderanti forze persiane, a quello di Rolando a Roncisvalle nell’Agosto del 778 DC.

Gli ultimi gesti del Che, che dopo essersi prodigato per i suoi compagni invita il suo scosso carnefice a finirlo – “Spara, non avere paura! Spara!” – conferiscono all’uomo qualcosa di sovrumano, e rievocano il principio cristiano che da duemila anni insegna che una delle forme d’amore più grande è quella di colui che consapevolmente sacrifica sé stesso per gli altri.

Forse il Che non è un eroe medievale, ma come i cavalieri idealizzati discendenti dalle immagini delle Chanson de geste rispetta un codice d’onore che lo vede combattere a difesa dei deboli. Può non essere un eroe romantico, ma come Byron dedica la vita alla lotta per la libertà degli oppressi. Sarebbe corretto dire che il Che non è solo un eroe medievale o romantico perché finisce per comprendere queste due figure e superarle, assurgendo al ruolo superiore di eroe mitico, e quindi universale – ed è per questo che lo percepiamo vicino a noi. Il suo esempio sopravvive alla sua scomparsa e lascia un significato imperituro a memoria della lotta per la libertà e del prezzo che essa può esigere.

Come scrisse il giornalista inglese Richard Gott, dopo averne visto la salma: “Ora è morto, ma e difficile immaginare che le sue idee possano morire con lui”.

Anche se politicamente non riuscì a portare a termine il suo “progetto”, storicamente ed idealmente la sua figura trionfa e la sua fine garantisce la continuità di quel trionfo oltre la barriera del tempo fissata dalla sua vita terrena.

Il paradosso è che in gran parte ad assicurare l’immortalità eroica dell’uomo Ernesto Guevara de la Serna sarà proprio la cultura di quel mondo occidentale che egli con ogni fibra del suo essere avrebbe voluto abbattere.

 

 

 

Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte

 

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Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte

Renzi e quell’aereo pagato ventisei volte. L’Air Force di Renzi, l’Airbus fortemente voluto da Matteo Renzi, dal valore di 6,4 milioni di euro è costato ai coglioni Italiani 168 mln di euro. Insomma, 26 volte il suo prezzo di mercato!

Centosessantotto milioni di euro, spalmati in otto anni. E’ questo il costo, ventisei volte superiore rispetto il suo prezzo di mercato (6,4 milioni di euro), del cosiddetto “Air Forze Renzi”, l’Airbus che era stato fortemente voluto dall’allora governo Renzi, istituendo un leasing per i voli di Stato, anche se non fu mai usato dall’allora Presidente del Consiglio.

A rivelare le cifre è in esclusiva “Il Fatto Quotidiano”, con un articolo firma di Daniele Martini, che mette in fila una serie di documenti (fatture e contratti) firmati tra la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi (Etihad), Alitalia e il ministero della Difesa.

Nell’articolo, estremamente dettagliato, vengono messi in fila una serie di elementi, attorno a questo “affare”, che potrebbero anche ravvisare degli estremi di reato. In primo luogo vengono ipotizzati “strani giri di denaro” dove qualcuno, tanto in Italia quanto negli Emirati Arabi, “potrebbe essersi messo in tasca un bel po’ di soldi”.
Quel mega pagamento, secondo il Fatto, potrebbe anche rientrare in uno scambio di favori tra le due compagnie, Alitalia ed Ethiad, dal momento che quest’ultima era appena diventata socia della stessa Alitalia proprio grazie all’intervento di Renzi.
Il quotidiano ricorda come “poco tempo prima della stipula dell’accordo per l’Air Force, la compagnia di Fiumicino aveva emesso un’obbligazione per un importo quasi identico a quello del leasing, circa 200 milioni di dollari, interamente sottoscritti da Etihad”. Quindi quel leasing da 168 milioni spalmati in otto anni sarebbe un modo per restituire agli arabi il sostegno per salvare la compagnia. Il tutto, però, alle spalle dei contribuenti italiani anche perché quegli accordi furono di fatto secretati sotto l’egida del “segreto di Stato”.

La terza ipotesi avanzata dal giornale diretto da Marco Travaglio è che “coloro che a Roma trattarono la partita con il fiato sul collo del capo del governo, in particolare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, e il consigliere militare di Renzi, generale Carlo Magrassi, non riuscirono a impedire che Etihad facesse un facilissimo gol a porta vuota”.

E’ risaputo che nel 2018 venne posto fine all’intero affare grazie all’intervento del manager aeronautico Gaetano Intrieri, ovvero il soggetto che avrebbe messo a disposizione del “Fatto Quotidiano” le carte del caso.
Tra le scoperte di Intrieri vi è il rinvenimento di un doppio contratto – uno tra Alitalia ed Ethiad e l’altro tra Alitalia, il dicastero della Difesa, il Segretariato generale della Difesa e la Direzione degli armamenti aeronautici.

Intrieri, nel frattempo divenuto collaboratore del precedente governo gialloverde (che infine annullò il contratto), scoprì che un Airbus gemello di quello voluto dall’allora Premier Renzi – modello A340-500 Etihad – valeva 7 milioni di dollari (pari a 6,4 milioni di euro). Inoltre, contrariamente a quanto previsto dalle norme, il manager scoprì che per l’aereo non era stata bandita alcuna gara internazionale e che era stato sottoposto a una registrazione civile e non militare.

Tanti elementi, dunque, che adesso sono al vaglio sia della Procura della Repubblica di Civitavecchia che dei giudici contabili della Corte dei Conti.
Oggi il Signor Renzi, piaccia o non piaccia, fa parte della maggioranza di questo governo giallorosso. La speranza è che il Premier Conte abbia contezza di quanto accaduto in ogni su parte, e che possa agire di conseguenza così come l’eroe pistolero, interpretato da Clint Eastwood nel celebre film di Sergio Leone“Per un pugno di dollari”, agì per difendere il proprio “mulo” dalle angherie dei criminali che poco prima gli “avevano sparato tra le gambe”.

“Il mio mulo si è offeso per i quattro colpi sparati tra le zampe e pretende le scuse. Fate molto male a ridere. Al mio mulo non piace la gente che ride – recitava Eastwood – Ha subito l’impressione che si rida di lui. Ma se mi promettete di chiedergli scusa, con un paio di calci in bocca ve la caverete”.
Il “mulo”, in questo caso, sono tutti quei cittadini onesti che “caricano le provviste sulle spalle, lavorano e pagano le tasse. Il Signor Renzi è come uno di quei criminali che si spartivano la città di San Miguel. E’ come il cattivo Ramón Rojo (nel film interpretato splendidamente da un grandissimo Gian Maria Volonté). Come lui merita di essere “preso a calci in bocca”, o meglio, essere espulso dalla maggioranza di governo. Anche a costo di tornare a nuove elezioni. Ovviamente se tutto quello che ha svelato “Il Fatto Quotidiano” sarà confermato dalle indagini della magistratura.

La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani – Nient’altro che una truffa statistica per il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri…

 

 

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La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani – Nient’altro che una truffa statistica per il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri…

 

La grande bufala degli stranieri che commettono più reati degli italiani

Il capo della polizia Franco Gabrielli reitera il luogo comune per cui gli stranieri, in percentuale, commettono più reati degli italiani. Una truffa statistica, questa, che nel corso degli anni ha dato il là a tutte le politiche securitarie contro gli stranieri. Una truffa smentibile in tre semplici mosse. Prima tra tutte, il crollo dei reati all’aumentare degli stranieri.

“I dati sulla criminalità ci dicono che, da 10 anni, c’è un trend in calo complessivo dei reati. Ma c’è anche, negli ultimi anni, un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati”. Così il capo della polizia Franco Gabrielli, intervenendo al Festival delle Città a Roma ha reiterato uno dei più grandi luoghi comuni del dibattito politico italiano: quello di una correlazione tra l’aumento degli stranieri nel nostro Paese e il numero dei reati commessi.

Un luogo comune, ma sarebbe meglio parlare di una bufala conclamata, o – ancora meglio – di una truffa statistica. Grave, perché altera le percezioni dell’opinione pubblica, inquina il dibattito politico e porta a conclusioni che giustificano persino la violazione della Costituzione o dei più basilari diritti umani: ad esempio, se gli stranieri sono più delinquenti di noi, se con l’immigrazione importiamo criminalità, chiudere i porti è uno strumento difensivo, a tutela della nostra sicurezza. No? No.

Primo: perché gli stranieri non fanno aumentare la criminalità. Intendiamoci, magari nemmeno la fanno diminuire. Semplicemente, sono due variabili indipendenti l’una dall’altra. Per dire, dal 2011 a oggi il numero degli stranieri residenti è aumentato del 16% e il numero di reati complessivi denunciati è diminuito di circa il 10%. Allo stesso modo, i reati hanno continuato a diminuire anche quando gli sbarchi dei richiedenti asilo si sono drasticamente ridotti, come nel corso degli ultimi due anni. Non solo: tra il 2003 e oggi l’arrivo di quattro milioni di migranti non ha prodotto, come ci viene raccontato, un aumento del tasso di detenzione, che si è anzi ridotto di un terzo, scendendo dall’1,16% allo 0,40%

Due: perché gli immigrati regolari commettono, in percentuale, lo stesso numero di reati degli italiani.  Sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati per i vari delitti, quelli senza permesso di soggiorno sono quasi il 70% per le lesioni volontarie, il 75% per gli omicidi, l’85% per i furti e le rapine. In altre parole, non è l’etnia, né la provenienza, né il background culturale che definisce il problema. Al contrario, è la clandestinità, l’impossibilità di poter avere un lavoro, una casa, un sostegno al reddito in quanto irregolari. Clandestinità, peraltro, che per effetto della legge Bossi-Fini è di per se, un reato. Banalizzando, potremmo dire che chiunque sia clandestino delinque per il solo fatto di esserlo.

Tre: perché il più grande fattore di recidività di un reato è il carcere. I dati raccontano infatti che il tasso di recidiva sia del 68,4% tra coloro che hanno scontato una pena in carcere e solo del 19% tra coloro che hanno scontato una pena in misura alternativa. Semmai il problema è che gli stranieri, soprattutto per le pene di breve entità, quelle fino ai cinque anni di reclusione, finiscono in carcere molto più degli italiani. Il rapporto si inverte, per le pene dai cinque anni in su, laddove il numero di italiani carcerati supera quello degli stranieri.

Ricapitolando, quindi, caro capo della polizia Franco Gabrielli. L’aumento degli stranieri in Italia non c’entra nulla con l’aumento della criminalità, anche perché più aumentano gli stranieri, più la criminalità diminuisce, semmai. La clandestinità e l’impossibilità di comminare agli stranieri misure alternative al carcere, invece, c’entrano un po’ di più. E allora forse bisognerebbe abolire il reato di immigrazione clandestina o aumentare le pene alternative al carcere aiuterebbe a risolvere il problema. Magari a dirla così, oggi avremmo qualche razzista in meno convinto che chiudendo le frontiere saremmo tutti più sicuri. E magari pure qualche decreto che nel nome della sicurezza discrimina gli stranieri. Che ne dice?

tratto da: https://www.fanpage.it/politica/la-grande-bufala-degli-stranieri-che-commettono-piu-reati-degli-italiani/
http://www.fanpage.it/

 

 

 

 

4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

 

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4 ottobre 1943 – 76 anni fa la strage dimenticata – 103 ufficiali Italiani trucidati dai nazisti sull’isola di Kos, in Grecia.

Quanti conoscono la storia dell’eccidio di Kos, la cosiddetta “piccola Cefalonia”? Quanti sanno che nel 1943, in quell’isola greca del Dodecaneso, nel Mar Egeo, che allora era dominio italiano, furono trucidati 103 ufficiali italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti?

L’eccidio di Coo, o eccidio di Kos, fu un crimine di guerra perpetrato dall’esercito tedesco al comando del generale Friedrich-Wilhelm Müller ai danni dell’esercito italiano commesso tra il 4 ed il 7 ottobre 1943 sull’isola di Coo, che a quel tempo era territorio italiano, essendo parte del Dodecaneso. 103 ufficiali italiani vennero fucilati come rappresaglia per la resistenza opposta all’invasione tedesca dell’isola (la cosiddetta battaglia di Coo, parte della campagna del Dodecaneso).

Una documentazione sull’eccidio è stata ritrovata nel 1994 all’interno del cosiddetto armadio della vergogna.

Tra il 4 e il 6 ottobre i 148 ufficiali italiani catturati (che facevano parte del 10º Reggimento fanteria “Regina”, comandato dal colonnello Felice Leggio) subirono un processo sommario sotto la direzione di Müller, a conclusione del quale si decise che tutti gli ufficiali che avevano partecipato alla battaglia del 3 e 4 ottobre sarebbero stati fucilati (tale criterio peraltro non fu applicato molto rigorosamente, per esempio tra i condannati vi fu anche il veterinario dell’esercito, che non aveva avuto alcun ruolo nella difesa dell’isola).

Alla fine, dei 148 ufficiali, sette passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, dieci furono ricoverati in ospedale per poi essere trasferiti in Germania, mentre gli altri 103 furono fucilati dai militari della Wehrmacht a partire dalla sera del 4 ottobre fino al 7.

 

Fabrizio Greco morto nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano, l’ultimo (purtroppo solo in ordine cronologico) omicidio da sfruttamento…!

 

 

Fabrizio Greco

 

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Fabrizio Greco morto nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano, l’ultimo (purtroppo solo in ordine cronologico) omicidio da sfruttamento…!

FCA Piedimonte San Germano, l’ultimo omicidio  da sfruttamento

Alle prime ore di martedì 1° ottobre nello stabilimento FCA di Piedimonte San Germano a Cassino è stato perpetrato l’ennesimo omicidio sul lavoro. Fabrizio Greco, addetto alla manutenzione, è stato schiacciato da una pressa a freddo che si era bloccata, lavorando cioè a un’operazione pericolosa che andava attuata rispettando le norme e le procedure di messa in sicurezza dei mezzi e delle parti, impedendo che questi colpiscano l’operaio addetto agli interventi a elevato rischio.
Non ci si può rassegnare all’omicidio  di questo giovane lavoratore. Mentre esprimiamo cordoglio alla famiglia, esprimiamo tutta la nostra rabbia nei confronti degli alibi e delle parole di circostanza che sempre si levano in queste occasioni. Questi omicidi hanno dei responsabili  e sono legati a condizioni di sfruttamento che vanno combattute e rimosse.
Lo stabilimento di Piedimonte San Germano nel tempo è stato colpito pesantemente da ristrutturazioni e tagli, e in questi giorni FCA ha chiesto altre ore di CIG.  In questi casi, prima di attivare la CIG, le aziende serrano i ritmi per saturare gli impianti e rispettare le commesse in chiusura. I tempi quindi si stringono, le macchine devono andare ad ogni costo e ci si deve sbrigare a rimettere a posto i macchinari. Quest’omicidio poteva accadere in qualsiasi stabilimento FCA e del suo indotto, dove le condizioni di sicurezza sono ancora più drammatiche.
Nel gruppo FCA c’è un solo livello contrattuale: il CCSL che al suo interno prevede ritmi di lavorazione che saturano oltre il 95% le operazioni dei lavoratori, cui si aggiunge il taglio delle pause di 10 minuti che ha portato l’aumento di 6 giorni lavorativi… senza aumento di salario.
Denunciamo la struttura e l’inefficacia della Commissione Sicurezza che in FCA vede al suo interno RLS e rappresentanti aziendali di FIM e UILM ed è convocata dal Presidente ossia un uomo scelto dall’azienda. L’USB con scioperi e iniziative da sempre denuncia le condizioni durissime dei lavoratori interni ed esterni, una condizione che nonostante il calo di ore lavorate a causa della CIG, vede l’aumento costante dei lavoratori con ridotte capacità lavorative.
Negli stabilimenti del gruppo FCA molte attività sono svolte da ditte che con appalti al ribasso acquisiscono attività centrali come: manutenzione, controllo qualità, approvvigionamento delle linee, logistica. L’USB ha denunciato la condizione dei lavoratori delle ditte in appalto sottoposti a orari estenuanti, con salari bassi, con le ferie in molti casi gestite dal padroncino di turno e dove c’è mancanza di sicurezza a partire dai DPI.
Dietro l’omicidio di un lavoratore, non c’è mai casualità, piuttosto c’è l’organizzazione del lavoro che mette al centro il profitto e c’è la mancanza di un’efficace struttura di prevenzione e controllo.  In questo caso la dinamica, e la situazione dispotica che rende i lavoratori più ricattabili, ci dice che questo è l’ennesimo omicidio da sfruttamento.
Lunedì 23 l’USB ha partecipato al tavolo ministeriale sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro, in quella sede abbiamo denunciato che le condizioni dei lavoratori sono peggiorate proprio a causa di leggi, come il Jobs Act, le normative inapplicate, i contratti vergognosi siglati da CGIL, CISL e UIL, l’allungamento dell’età pensionabile, e i tagli agli enti di prevenzione e controllo che hanno messo le aziende in una condizione di forza e di arbitrio nei confronti dei lavoratori.
La difesa della salute e della sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente ci vedrà sempre più impegnati a organizzare conflitto e conoscenza e difesa degli interessi dei lavoratori e del territorio.

tratto da: http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2019/10/01/fca-piedimonte-san-germano-lultimo-omicidio-da-sfruttamento-0119193?fbclid=IwAR0qIHitvtXBevzk5FLLeBo7eoJ3Ivqk6h29H_Rv7C8cnXyTciDDIguW2uY

Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

 

Antonio Ingroia

 

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Antonio Ingroia: Berlusconi e Dell’Utri indagati come mandanti delle stragi del ’93? Chissà perchè non sono stupito…!

B. e Dell’Utri mandanti? Non mi stupisco

di Antonio Ingroia
La notizia dell’indagine su B. e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ’93 è stata accolta dai politicanti, Renzi in testa, con fastidio o addirittura stupore. Io, al contrario, sono stupito dallo stupore, e quindi provo a fare un’operazione “memoria”, visto che alcuni fatti sono noti da decenni e altri, che hanno imposto la nuova indagine, sono più recenti. La ricostruzione della strategia stragista, emersa da anni di indagini e processi a Palermo, Firenze, Caltanissetta e Reggio Calabria, è quella consacrata in sentenze, anche definitive, che dicono che si trattava di stragi a moventi e mandanti “multipli”, ove la mafia militare ebbe un ruolo non solo esecutivo, ma che un ruolo determinante lo ebbero soprattutto quei “mandanti esterni”, quelle “menti raffinatissime”, come le chiamava Giovanni Falcone, fino a oggi non identificati con sentenze, ma più volte indagati sulla base di elementi probatori che negli anni si sono stratificati.

È accertato che l’accordo di reciproco supporto stipulato dalla mafia con i referenti tradizionali, la Dc andreottiana in testa, si era usurato e andava ristrutturato, di pari passo al processo di ristrutturazione del quadro politico, a cavallo fra Prima e Seconda Repubblica. E siccome la mafia “ristruttura” i propri rapporti a suon di bombe e omicidi, tutto era iniziato con il delitto Lima e l’azzeramento dei rapporti con la Dc, per proseguire con le stragi di Falcone e Borsellino, premesse per intavolare una “trattativa” e ricontrattare analogo accordo con un soggetto politico “nuovo”. È materia già accertata nel processo Dell’Utri, che ho seguito da pm dal 1997 al 2004, sette lunghi anni di un’istruttoria assai approfondita, che Dell’Utri fin dal 1992 si prodigò per il nuovo soggetto politico che poi fu Forza Italia, naturale approdo nel 1994 col primo governo B.

E siccome bisognava “convincere” con tutti i mezzi B. a scendere in campo per accogliere i desiderata del Sistema Criminale, è più che sostenibile, sulla base delle prove finora acquisite, che la mafia, assieme a Dell’Utri, definito nel processo come “l’ambasciatore di Cosa Nostra alla corte di B.”, abbia ritenuto Maurizio Costanzo come un ostacolo, così come tanti altri consiglieri di B. del tempo contrari alla sua discesa in campo, per realizzare il “piano”. Bisognava dare un segnale a B. perché capisse e un attentato a Costanzo era il modo migliore per farlo: contava che B. capisse, anche perché qualcuno a lui vicino glielo avrebbe spiegato, e che nessun altro comprendesse il vero movente del delitto. E chi meglio dunque di Maurizio Costanzo che aveva dato fastidio con i suoi programmi antimafia? Ed è significativo, come ha dichiarato Costanzo a Marco Lillo, che B., subito dopo l’attentato, gli raccomandò di “stare attento”. Quindi B. aveva ben capito l’avvertimento.

E ci sono poi le rivelazioni di Giuseppe Graviano prima a Gaspare Spatuzza, che le racconta in aula, e poi a un detenuto in carcere mentre viene intercettato, che spiega che le stragi furono “una cortesia” chiesta da B. e che nel gennaio 1994 occorreva il “colpo di grazia” per mettere definitivamente sottosopra il Paese e così favorire B. che qualche giorno dopo, il 26 gennaio, annuncia la sua discesa in campo. A quel punto i giochi sono fatti, e si può rinunciare all’attentato all’Olimpico, il più terribile progettato ma fallito il 23 per un guasto del telecomando. Dopo il 26 non serve più, perché, come diceva trionfalmente Graviano, con B. “loro”, gli stragisti, si stavano “mettendo l’Italia nelle mani”.

Ce n’è abbastanza per riaprire l’indagine su B. e D.U. come mandanti di quella stagione da cui è nata la politica dei decenni successivi. Verrebbe da ridere a sentire le dichiarazioni di Renzi e C., ma non c’è da ridere. È stato versato tanto sangue innocente, che attende giustizia, in quel tragico biennio da cui è nato tutto.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano