Migranti, Richard Gere: “Io non mi preoccupo della politica, mi preoccupo delle persone” ed a Matteo Salvini “Se vuole venire con me aiutiamo insieme quelle persone”

 

Richard Gere

 

 

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Migranti, Richard Gere: “Io non mi preoccupo della politica, mi preoccupo delle persone” ed a Matteo Salvini “Se vuole venire con me aiutiamo insieme quelle persone”

 

Migranti, Richard Gere a Matteo Salvini: “Se vuole venire con me aiutiamo insieme quelle persone”

Richard Gere nella giornata di oggi, 14 ottobre, ha ricevuto le Chiavi della Città di Firenze, in segno di riconoscimento per il suo impegno nei diritti umani. L’attore non ha esitato a parlare della situazione politica relativa ai migranti, rivolgendo un invito all’ex Ministro Matteo Salvini, e parlando anche dell’operato del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dicendosi profondamente deluso per il suo comportamento.

Richard Gere è stato oggi a Firenze per ricevere dal sindaco Dario Nardella, le Chiavi della Città durante una cerimonia tenutasi a Palazzo Vecchio, per poi visitare la Galleria delle Statue e delle pitture. Prima di prendere parte alla cerimonia di consegna, l’attore si è soffermato a parlare con i cronisti su quanto sta accadendo in Siria e sulla condizione dei migranti.

L’impegno umanitario
Il noto volto del cinema americano, in visita a Firenze per ricevere le Chiavi della Città, non si è tirato indietro dinanzi alla possibilità di esprimere il suo parere relativo alle preoccupanti condizioni socio-politiche in cui versa l’Italia, soffermandosi sulla questione dei migranti, in merito alla quale proprio lo scorso agosto si è esposto salendo a bordo della Open Arms. Durante la conferenza stampa, Gere non esita a rispondere ad una domanda sul leader della Lega, Matteo Salvini, e sulla sua politica:

Io davvero non mi preoccupo della politica, mi preoccupo delle persone: l’importante è seguire sempre gli impulsi umani positivi. Finché siamo in contatto con l’impulso umano che è sempre positivo, e non conosco esseri umani interamente cattivi perché la totalità dell’essere umano è positiva possiamo superare ogni problema molto facilmente. Ci sono grandi problemi nella vita ma questa semplice cosa di aiutarci fra noi, sentire la sofferenza degli altri e prendere una decisione è estremamente importante, è da tenere presente. Non è difficile, perché lo sentiamo tutti. L’importante è seguire questo impulso umano positivo e dare attenzione a questo impulso.

La Open Arms e l’invito a Matteo Salvini
Non potevano mancare dei riferimenti al suo gesto, particolarmente significativo, che lo ha visto protagonista nel corso di questa estate, quando è salito a bordo della Open Arms, in segno di aiuto e anche di protesta. Le condizioni dei migranti, stipati su quella nave, avevano scaturito una reazione piuttosto forte, l’attore parla di coloro che sono volontari con trasporto e conclude rivolgendo un invito all’ex Ministro dell’Interno, che lo scorso agosto gli aveva rivolto parole poco lusinghiere:

I volontari su quelle navi sono degli angeli; quello che noi abbiamo in mente e’ di aiutare le persone. E’ l’unica cosa importante, che rende significativa la nostra vita. Se vuole venire con me sarei contento; insieme possiamo nutrire quelle persone

Le dichiarazioni su Donald Trump
Il paragone tra le ultime vicende in fatto di migranti, verificatesi in Italia, e quanto sta accadendo nel corso della presidenza Trump negli Stati Uniti è più che mai frequente. In questa circostanza, quindi, il divo di Hollywood non nasconde la sua delusione nei confronti della politica adottata dal “Leader del mondo libero”:

Ci sara’ un costo della vita molto alto. Come cittadino americano mi vergogno profondamente del comportamento del mio presidente. E’ chiaro che sono state prese decisioni senza pensare alle altre persone, alle alleanze o ai danni che provocheranno queste decisioni. Sono profondamente deluso.

fonte: https://cinema.fanpage.it/migranti-richard-gere-a-matteo-salvini-se-vuole-venire-con-me-aiutiamo-insieme-quelle-persone/
http://cinema.fanpage.it/

 

 

 

16 ottobre 1943, 76 anni fa il rastrellamento del ghetto di Roma – Un’altra delle famose “cose buone” dei fascisti – Delle oltre 1200 persone “rastrellate”, alla fine ne sopravvissero solo 16…!

 

rastrellamento del ghetto di Roma

 

 

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16 ottobre 1943, 76 anni fa il rastrellamento del ghetto di Roma – Un’altra delle famose “cose buone” dei fascisti – Delle oltre 1200 persone “rastrellate”, alla fine ne sopravvissero solo 16…!

Era il 16 ottobre del 1943, quello che sarebbe passato alla storia come il “sabato nero” del ghetto di Roma. Non un giorno qualsiasi, ma quello più sacro per gli ebrei: Shabbat. Alle 5.15 del mattino le SS invasero le strade del Portico d’Ottavia e rastrellarono 1.259 persone (689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine). A comandarle il tenente colonnello Herbert Kappler. Era stato lui a chiedere agli ebrei della Capitale di consegnargli 50 chilogrammi d’oro in due giorni, che avrebbero dovuto metterli in salvo. Un ricatto che non servì a nulla (l’episodio è mirabilmente raccontato nel film L’oro di Roma di Carlo Lizzani del 1961).

Il 18 ottobre, alle 14.05 , diciotto vagoni piombati partirono con 1.203 persone dalla stazione Tiburtina, verso il campo di concentramento di Auschwitz. Soltanto 16 di loro sopravvissero (15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, scomparsa nel 2000, torturata a Bergen-Belsen. Le sue memorie sono raccolte nel volume Gli anni rubati e la sua storia è anche diventata un documentario dal titolo Nata 2 volte: storia di Settimia ebrea romana). Ad oggi, dopo la scomparsa di Enzo Camerino il 2 dicembre 2014, Lello Di Segni è l’unico sopravvissuto. Durante il viaggio dei convogli, a nord di Padova, un giovane, Lazzaro Sonnino (qui la sua storia, ripresa da La Nuova Sardegna), riuscì a fuggire, gettandosi dal convoglio in movimento. Fatti uscire dai vagoni, i deportati vennero divisi in due file: da una parte 820, giudicati fisicamente inabili al lavoro, vennero portati nelle camere a gas; 154 uomini e 47 donne, fisicamente sani, furono in parte destinati ad altri campi di sterminio.

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“Il 16 ottobre 1943 fu un sabato di orrore, da cui originò una scia ancor più straziante di disperazione e morte: la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma costituisce una ferita insanabile non solo per la comunità tragicamente violata, ma per l’intero popolo italiano”. Quell’episodio, ha chiarito il Capo dello Stato, “fu l’inizio anche in Italia, favorita dalle leggi razziali varate dal regime fascista, di una caccia spietata che non risparmiò donne e bambini, anziani e malati, adulti di ogni età e condizione, messi all’indice solo per infame odio… Davanti all’Olocausto – abisso della storia – torniamo a inchinarci. Il ricordo non può non fermarsi sui duecento ragazzi, strappati quella mattina di ottobre dalle loro case, attorno al Portico d’Ottavia: nessuno di loro riuscì a sopravvivere e a fare ritorno nella terra dei loro padri e dei loro giochi. Le lezioni più tragiche della storia vanno richiamate alla conoscenza e alla riflessione delle giovani generazioni, affinché, nel dialogo, cresca la consapevolezza del bene comune. Il sacrificio, la tribolazione, il martirio di tanti innocenti, è un monito permanente alla nostra civiltà, che si è ricostruita promettendo solennemente ‘mai più’ e, tuttavia, ogni giorno è chiamata a operare per svuotare i depositi di intolleranza, per frenare le tentazioni di sopraffazione, per affermare il principio dell’eguaglianza delle persone e del rispetto delle convinzioni di ciascuno”.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 75esimo anniversario del rastrellamento degli ebrei a Roma. 

Alla domanda su Greta, Berlusconi risponde con una squallida barzelletta su svedesi e viagra… Quando dire che ormai è rincoglionito è fargli un complimento…!

 

 

Berlusconi

 

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Alla domanda su Greta, Berlusconi risponde con una squallida barzelletta su svedesi e viagra… Quando dire che ormai è rincoglionito è fargli un complimento…!

Silvio Berlusconi ha partecipato alla kermesse #IdeeItalia di Milano ed è stato intervistato da Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale. Quest’ultimo, gli ha fatto una domanda inedita: «Mi sarà sfuggito, ma non ho mai sentito il suo parere su Greta Thunberg». La prima risposta di Berlusconi è stata un’altra domanda: «Greta chi?». Sallusti, con pazienza, ha provato a spiegare: «La ragazzina che protesta sul clima». A quel punto Berlusconi, non senza una espressione del volto emblematica, è partito con quello che – a quanto pare – è diventato il suo passatempo preferito di recente, le barzellette.

Berlusconi Greta, la barzelletta sulle svedesi e sul viagra

Secondo Berlusconi, infatti, le svedesi di una volta – soprattutto le ragazze – erano più liberali. Per questo un certo Carletto che, in passato, aveva trascorso una notte di passione con tre svedesi, era stato ricordato da queste donne che, in segno di ‘gratitudine’, avevano inviato in Italia anche le loro tre giovani figlie per ripetere quell’esperienza.

Per questo motivo, Berlusconi ha continuato a raccontare: «Carletto, allora, va in farmacia a chiedere dieci pasticche di quella cosa che a volte qualcuno usa prima delle prestazioni sessuali (risate tra il pubblico, ndr). Ma il farmacista, preoccupato dal suo stato di salute, gli offre 15 pillole di un placebo». Il giorno dopo, Carletto si presenta alla stessa farmacia. Da lontano, il farmacista gli fa segno come per chiedergli: «Allora com’è andata?».

Il video della squallida barzelletta QUI

Berlusconi Greta, al di là della barzelletta

Il cavaliere, a quel punto, si lascia andare all’interpretazione di quelli che dovevano essere i gesti di Carletto: la mano che rotea in maniera piuttosto evidente. «Il farmacista aveva capito che era andata bene nonostante i placebo. Invece, quando Carletto si avvicina al bancone gli dice ‘Che gran figura di merda’». Svelando così il malinteso del gesto della mano rotante.

Tutta questa premessa per dire, alla fine, che secondo lui Greta non ha nulla a che fare con le ragazze svedesi della barzelletta, che è una ragazzina strumentalizzata, che espone una teoria sbagliata, perché non si può rinunciare allo sviluppo economico per tutelare l’ambiente.

La tragedia del popolo curdo per il capriccio di un estremista di destra miliardario

 

popolo curdo

 

 

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La tragedia del popolo curdo per il capriccio di un estremista di destra miliardario

In questi giorni, nel pieno della tragedia del popolo curdo, tornano in mente le immagini di Nadia Murad che con altri attivisti venne ricevuta da Trump nello Studio Ovale.

Ricordate Nadia Murad, la ragazza yazida fatta prigioniera e schiava dall’Isis che nel 2018 per il suo grande impegno sui diritti umani ha ricevuto il premio Nobel per la pace?

In questi giorni, nel pieno della tragedia del popolo curdo, tornano in mente le immagini di Nadia Murad che con altri attivisti venne ricevuta da Trump nello Studio Ovale.

Bisognerebbe rivedere quelle immagini, che all’epoca suscitarono numerose polemiche, per vedere come Trump disinformato e annoiato sentisse senza provare alcuna empatia quei racconti dell’orrore e interloquisse senza avere la minima cognizione di quale fosse stato il dramma degli yazidi e dei grandissimi problemi che questa comunità continuava ad avere nell’Iraq “liberato” dallo Stato islamico.

Quel video rappresenta in maniera tristemente perfetta il tristo figuro che è alla Casa Bianca, dai capricci del quale dipende la vita o la morte di tante persone. Ed è solo rivedendo quel video con Nadia Murad che si comprende fino in fondo perché una mattina quell’estremista di destra si sia svegliato e abbia deciso, con motivazioni ridicole, di dare in pasto a Erdogan un intero popolo.

(NOTA: i video con sottotitoli in Italiano sono tutti soariti dal web)

Erdogan che da tempo premeva e che aveva detto in tutti i modi che avrebbe voluto le mani libere per dare vita a una pulizia etnica contro quelli che impropriamente definisce terroristi.

Ma il miliardario xenofobo della Casa Bianca, senza curarsi delle sofferenze che avrebbe provocato, all’improvviso si è messo a farneticare di stupide guerre tribali (per un razzista come lui i curdi e gli arabi sono morti di serie B) e del mancato aiuto della Nazione curda ai tempi dello sbarco in Normandia.

Oggi i frutti del capriccio del padrone che da riccastro è abituato solo a dare ordini senza ascoltare nessuno, li rivediamo nei volti dei bambini uccisi, delle attiviste per i diritti umani barbaramente giustiziate, delle donne passate per le armi dalle bande di mercenari jihadisti al soldo di Ankara, degli anziani sventrati dalle bombe e di 300mila disperati che sono in fuga e hanno perso tutto.

Va detto e ripetuto: questa catastrofe umanitaria per il capriccio di un mezzo fascista xenofobo, lo stesso che si inebria e si vanta delle sofferenze inflitte ai migranti del Sud America e che separa i bambini dai genitori.
Continuerà a vivere nelle sue residenze dorate e nel lusso che mortifica la ragione mentre famiglie intere sono nella polvere, quando non già sottoterra per colpa sua.

Non ci sarà mai alcun tribunale internazionale che lo condannerà per questi crimini contro l’umanità.

Ma di fronte alla storia e di fronte all’umanità le sue responsabilità sono già acclarate. Dietro ogni bambino morto nel Rojava c’è il suo ghigno. Non ce lo dimenticheremo, né ora né mai.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/intelligence/2019/10/14/la-tragedia-del-popolo-curdo-per-il-capriccio-di-un-estremista-di-destra-miliardario-2047617.html

15 ottobre 1987 – 32 anni fa la fine sogno africano. Assassinato Thomas Sankara, il Presidente eroe che lottò per il riscatto del continente contro lo sfruttamento economico dell’occidente

 

Sankara

 

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15 ottobre 1987 – 32 anni fa la fine sogno africano. Assassinato Thomas Sankara, il Presidente eroe che lottò per il riscatto del continente contro lo sfruttamento economico dell’occidente

 

Sankara e il sogno africano
Presidente per quattro anni del Burkina Faso, alla ricerca del riscatto per un intero continente.
Un ricordo di Thomas Sankara.

“L’Africa agli africani!”, urlava a un mondo sordo Thomas Sankara alla metà degli anni Ottanta. La guerra fredda era agli sgoccioli, le speranze sorte dopo l’affrancamento dal dominio coloniale – il 1960 era stato dipinto come l’anno dell’Africa tra proclami e belle parole – erano state ormai strozzate da decenni di sfruttamento economico, disarticolazione sociale e inerzia politica. Le multinazionali invadevano le ricche terre d’Africa, mentre gli Stati del Nord del mondo imponevano condizioni commerciali che impedivano lo sviluppo dei Paesi africani, schiacciati tra debito estero e calamità naturali.
Il 4 agosto 1983, in Alto Volta, iniziava l’esperienza rivoluzionaria di Thomas Sankara, capitano dell’esercito voltaico giunto al potere con un colpo di stato incruento e senza spargimento di sangue. Il Paese, ex colonia francese, abbandonò subito il nome coloniale e divenne Burkina Faso, che in due lingue locali, il moré e il dioula, significa “Paese degli uomini integri”. Ed è dall’integrità morale che Sankara partì per tagliare i ponti con un triste passato e con deprimente presente. Pochi dati illustrano quanto grave fosse la situazione: tasso di mortalità infantile del 187 per mille (ogni cinque bambini nati, uno non arrivava a compiere un anno), tasso di alfabetizzazione al 2%, speranza di vita di soli 44 anni, un medico ogni 50.000 abitanti.
“Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un Paese povero”, era solito ripetere Sankara, che visse un’infanzia di miseria (“Quante volte i miei fratelli e io abbiamo cercato qualcosa da mangiare nelle pattumiere dell’Hotel Indépendance”) e povero, come gli altri burkinabè, è sempre rimasto. Le auto blu destinate agli alti funzionari statali, dotate di ogni comfort, vennero sostituite con utilitarie, ai lavori pubblici erano tenuti a partecipare anche i ministri. Sankara stesso viveva in una casa di Ouagadougou, la capitale del Paese, che per nulla si differenziava dalle altre; nella sua dichiarazione dei redditi del 1987 i beni da lui posseduti risultavano essere una vecchia Renault 5, libri, una moto, quattro biciclette, due chitarre, mobili e un bilocale con il mutuo ancora da pagare.
“È inammissibile”, sosteneva, “che ci siano uomini proprietari di quindici ville, quando a cinque chilometri da Ouagadougou la gente non ha i soldi nemmeno per una confezione di nivachina contro la malaria”. Negli stessi anni i suoi omologhi si trinceravano in lussuose ville o agli ultimi piani dei migliori hotel, lontani anni luce dai bisogni quotidiani della popolazione. Per esempio il presidente della Costa d’Avorio, Felix HouphouëtBoigny, aveva fatto costruire in pieno deserto una pista di pattinaggio su ghiaccio per i propri figli. Quando alcuni capi di Stato si offrirono per donare a Sankara un aereo presidenziale, la risposta fu che era meglio fare arrivare in Burkina Faso macchinari agricoli. E la terra burkinabè non è mai stata particolarmente fertile, inaridita dall’Harmattan, il vento secco proveniente dal deserto del Sahara che lambisce i confini settentrionali del Paese.
Per ridare impulso all’economia si decise di contare sulle proprie forze, di vive re all’africana, senza farsi abbagliare dalle imposizioni culturali provenienti dall’Europa: “Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per anni”. “Consumiamo burkinabè”, si leggeva sui muri di Ouagadougou, mentre per favorire l’industria tessile nazionale i ministri erano tenuti a vestire il faso dan fani, l’abito di cotone tradizionale, proprio come Gandhi aveva fatto in India con il khadi.
Le magre risorse vennero impiegate per mandare a scuola i bambini e le bambine – nel 1983 la frequenza scolastica era attorno al 15% – e per fornire cure mediche ai malati, organizzando campagne di alfabetizzazione e di vaccinazione capillare contro le infermità più diffuse come la febbre gialla, il colera e il morbillo. L’obiettivo era di fornire 10 litri di acqua e due pasti al giorno a ogni burkinabè, impedendo che l’acqua finisse nelle avide mani delle multinazionali francesi o statunitensi e cercando finanziamenti che fossero funzionali allo sviluppo idrogeologico del Paese, non al profitto di pochi uomini d’affari.
Il Burkina Faso divenne un esempio per le altre nazioni, governate da élitecorrotte e supine ai dettami provenienti dagli istituti economici internazionali. Se un piccolo Paese, condannato anche dalla geografia (il deserto avanzava verso sud di sette chilometri all’anno mangiandosi campi coltivati; esiste un solo corso fluviale e non c’è alcuno sbocco sul mare) riusciva a levare il proprio grido di dolore e di insofferenza e a dimostrare che i problemi che affliggevano l’Africa si potevano risolvere, cosa avrebbero potuto fare Paesi con immense risorse naturali? Il 15 ottobre 1987 Sankara, che a dicembre avrebbe compiuto 38 anni, veniva ucciso: troppo scomodo, troppo generoso, troppo attento alle esigenze della povera gente. Quando i giovani africani cominciarono a chiedere ai propri governanti di seguire l’esempio di Sankara, il complotto prese forma e coinvolse chi, in Burkina Faso, in Africa e in Europa, non poteva tollerare la sua indisciplina e la sua semplicità.
In quattro anni Sankara aveva invitato i Paesi africani a non pagare il debito estero per concentrare gli sforzi su una politica economica che colmasse il ritardo imposto da decenni di dominazione coloniale. Dominazione che era anche culturale: “Per l’imperialismo”, affermava, “è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.
Ecco così spiegato l’impulso dato al Festival Panafricaine du Cinéma de Ouagadougou (Fespaco), la più importante rassegna continentale, con il fine di sviluppare la cinematografia locale a scapito di quella europea, uno dei tanti strumenti per legittimare la superiorità dei “bianchi” e l’inferiorità degli Africani. Nel 1986, durante i lavori della 25esima sessione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) tenutasi a Addis Abeba, Sankara espresse in modo molto semplice perché il pagamento del debito doveva essere rifiutato: “Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo. […] Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. […] Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi”.
Sempre a Addis Abeba, Sankara invocò il disarmo, proponendo ai Paesi africani di smettere di acquistare armi e di dissanguarsi in dispute fomentate dall’estero per protrarre l’arretratezza e la dipendenza del continente. L’invito era di adottare misure a favore dell’occupazione, della tutela ambientale, della pace tra i popoli, della salute. A New York, qualche mese prima, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Sankara aveva tuonato contro l’ipocrisia di chi fornisce aiuti ai Paesi in via di sviluppo (mentre per altre vie si inviano armi) e contro l’egoismo di chi, per esempio, si rifiuta di investire nella ricerca contro la malaria – che in Africa provoca ogni anno milioni di morti – solo perché è una malattia che non riguarda i Paesi del nord del mondo. “Ci sentiamo una persona sola con il malato che ansiosamente scruta l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti di armi. […] Quanto l’umanità spreca in spese per gli armamenti a scapito della pace!”.
Sankara espresse la convinzione che per eliminare i lasciti coloniali fosse indispensabile avviare un processo di unione di tutti gli Stati (dal Maghreb al Capo di Buona Speranza) del continente, che doveva diventare un’entità politica coesa e rispettata sul piano internazionale: “Mentre moriamo di fame e nel nostro Paese ci sono migliaia di disoccupati, altrove non si riescono a sfruttare le risorse della terra per mancanza di manodopera. Se ci fosse maggiore cooperazione, potremmo arrivare all’autosufficienza alimentare e non dovremmo più dipendere dagli aiuti internazionali”.
Primo passo era la fine dell’apartheid in Sudafrica, dove la minoranza “bianca” godeva in realtà del sostegno economico dei Paesi occidentali. Sankara ebbe parole di rimprovero per tutti, a partire da François Mitterrand: “Che senso ha organizzare marce contro l’apartheid, mentre si producono e si vendono armi al Sudafrica?”.
Forse non è un caso che Sankara venne ucciso quattro giorni dopo che a Ouagadougou si era tenuta una Conferenza panafricana contro l’apartheid. Il “Président du Faso”, come viene ancora oggi ricordato dai burkinabè, si è sacrificato dimostrando che è possibile rispondere, all’africana, ai problemi dell’Africa, con chiarezza e talvolta ingenuità, come quando chiese che “almeno l’1% delle somme colossali destinate alla ricerca spaziale sia destinato a progetti per salvare la vita umana”.
Dinanzi alle Nazioni Unite Sankara liberò davanti al mondo intero, ponderando con attenzione ogni singola parola, il grido di dolore di miliardi di esseri umani che soffrono sotto un sistema crudele e ingiusto: “Parlo in nome delle madri che nei nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o di diarrea, senza sapere dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire nei laboratori cosmetici o nella chirurgia plastica a beneficio del capriccio di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di assunzione calorica nei loro pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel”.

di Carlo Batà

fonte: https://www.peacelink.it/mosaico/a/6192.html

Il PD in piazza contro la vendita di armi alla Turchia? – Caro Pd non c’è bisogno di protestare, basta applicare la legge: Legge 185 del 1990 – “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato”

 

Turchia

 

 

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Il PD in piazza contro la vendita di armi alla Turchia? – Caro Pd non c’è bisogno di protestare, basta applicare la legge: Legge 185 del 1990 – “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato”

Da Fanpage:

Caro Pd, non vuoi vendere armi alla Turchia? Applica la legge, senza scendere in piazza

C’è una legge, la 185 del 1990, che dice: “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Ecco un primo passo per fare qualcosa di concreto contro l’attacco della Turchia ai territori curdi.

Forte il PD. Scende in piazza in difesa dei curdi per chiedere al governo (quindi al PD) di intervenire contro la Turchia in difesa dei curdi. In questo banalissimo gioco di annullare qualsiasi distanza tra popolo e istituzioni scendere per strada è visto come sintomo di vitalità politica, come se il partito a cui dovremmo affezionarci debba avere il pregio di essere come noi e non migliore di noi e con più strumenti a disposizione. Sulla vicenda dell’aggressione di Erdogan ai territori curdi (e badate bene che chiamarla “aggressione” dalle parti del sultano turco costa più o meno la galera) escono tutte le cinquanta sfumature di indignazione tipiche italiane: si convoca l’ambasciatore, si prepara qualche meme sui social, ci si dimentica volutamente degli errori passati, si inventa qualche hashtag funzionale, si fruga tr le foto che possano accendere empatia e si chiede sempre a altri di intervenire.

Eppure per dare un segnale a Erdogan e alla sua irresponsabile violenza travestita da missione di pace basterebbe applicare la legge, sì sì la legge italiana, che dice chiaramente (legge 185/1990)«L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere». È già lì, bell’e scritta, pronta solo per essere usata. Usata come ha già fatto la Germania (la Germania che qualcuno continua a descrivere come sempre in bilico per non urtare i poteri forti), come ha fatto l’Olanda e come ha deciso la Norvegia.

Sia chiaro: interrompere l’esportazione di armi non è certo la soluzione definitiva a un problema molto più ampio (che forse nasce con la folle idea dell’Europa di poter normalizzare Erdogan pur di fungere da tappo nell’immigrazione) ma sarebbe un primo concreto passo verso una presa di posizione che sia qualcosa di più di semplice sdegno social e su carta bollata. Sarebbe anche una risposta “di legge” a un atto violento, illegale e irrispettoso dei diritti umani: cosa c’è di meglio di poter agire coperti dalla legge? Appunto.

Come dice chiaramente una nota di Rete Disarmo: “La Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana e che le forze armate turche dispongono di diversi elicotteri T129 di fatto una licenza di coproduzione degli elicotteri italiani di AW129 Mangusta di Augusta Westland. “Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro” sottolinea Vignarca. In particolare nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro. Tra i materiali autorizzati: armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7mm, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software.”

E forse sarebbe anche più facile credere alla sincerità dello sdegno. No?

fonte: https://www.fanpage.it/politica/caro-pd-non-vuoi-vendere-armi-alla-turchia-applica-la-legge-senza-scendere-in-piazza/
http://www.fanpage.it/

Ezio Bosso: “Donald Trump è umanamente imbarazzante”

 

Ezio Bosso

 

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Ezio Bosso: “Donald Trump è umanamente imbarazzante”

Ezio Bosso intervistato da Diego Bianchi a Propaganda Live: “La dichiarazione di Trump sui Curdi? Il problema è il linguaggio perennemente aggressivo. Trovo tutto umanamente imbarazzante. Il problema è che uno degli uomini più potenti del mondo basa la realtà su questo noi dovremmo reagire al contrario” 

Ospite a Propaganda Live, il maestro Ezio Bosso ha avuto una lunga conversazione con Diego Bianchi, commentando la scena attuale mondiale e italiana. L’intervista è partita ovviamente dalla situazione curda, precisamente dalla frase di Trump che ha detto che “I curdi non hanno aiutato gli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale”.

“Che cosa si può dire” ha detto Bosso, “Trump è umanamente imbarazzante. Se l’uomo più potente del mondo dice una cosa del genere, se questa è la sua realtà, noi come dovremmo reagire. Questa è un’evidente sciocchezza, una corbelleria da ragazzini. Stiamo parlando della guerra, dovremmo parlare di come fare per far sì che quelle persone non vengano massacrate. Non dovremmo parlare di Trump, eppure è lui che parla, lui che ha un seguito, lui che dice cose del genere”.

Bosso ha poi condiviso il suo pensiero sui social network: “La capacità di sintesi del tweet è diventata una forma di aggressione. Se si parla per slogan, l’elettorato si trasforma in tifoseria, e io ho una paura tremenda delle tifoserie. Non si ascolta più, è un continuo parlarsi addosso. Lo scontro verbale non mi interessa, perché non è più uno scontro, sono due muri che si incontrano. Lo schermo è diventato un muro, e fa paura, su internet succede di tutto, tutto parte da una frase e non dal suo contenuto”.

Robert De Niro senza freni: “Trump è un idiota, dobbiamo liberarcene”

 

De Niro

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Robert De Niro senza freni: “Trump è un idiota, dobbiamo liberarcene”

L’attore continua: “È una disgrazia e un danno per il nostro Paese”

«Scusate, non è che sono ossessionato dalla politica, ma questo idiota proprio non riesco a digerirlo. È una disgrazia e un danno per il nostro Paese». In teoria, Robert De Niro è venuto all’organizzazione culturale di Manhattan 92Y per presentare Robert De Niro Sr.: Painting, Drawnings and Writings 1949-1993, il libro dedicato alla memoria padre pittore.
Già nel 2016 la star aveva attaccato a testa bassa il neopresidente degli Stati Uniti con un video diventato un ‘cult’: “E’ così stupido. E’ un cane, un maiale. Un artista della stronzata. Non paga le tasse, è un disastro nazionale. Mi fa arrabbiare il fatto che questo paese sia arrivato al punto di consentire a quest’idiota di arrivare sin qui”, diceva De Niro. Ad un mese di distanza, l”idiota’ è diventato presidente dopo il trionfo su Hillary Clinton.
“Prenderlo a pugni? Non posso, è il presidente”, disse De Niro ospite dello show di Jimmy Kimmel. La chiacchierata virò sull’Italia: anche Jimmy Kimmel ha origini italiane, visto che i suoi nonni sono arrivati negli Stati Uniti da Ischia. “Sono più italiano di te!”, dice Kimmel. “La mia famiglia è di Ferrazzano, dalle parti di Campobasso. Ho la cittadinanza italiana? Sì, probabilmente dovrò trasferirmi lì…”

 

tratto da: https://www.globalist.it/dolce-vita/2019/10/11/de-niro-senza-freni-trump-e-un-idiota-dobbiamo-liberarcene-2047509.html

Giusto per ricordarVi cosa è il fascismo: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri” …Perché la feccia nera non ha pietà neanche davanti ad una bara ancora calda…!

 

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Giusto per ricordarVi cosa è il fascismo: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri” …Perché la feccia nera non ha pietà neanche davanti ad una bara ancora calda…!

L’attivista di Fdi si lamenta: “Pagate le bare dei morti di Lampedusa mentre ci sono italiani poveri…”

Lei è Francesca Lorenzi è stata candidata consigliera comunale a Firenze con Fratelli d’Italia

Francesca Lorenzi è stata candidata consigliera comunale a Firenze con Fratelli d’Italia. In uno status su Facebook che risale a ieri ha criticato le bare per i morti al largo di Lampedusa nell’ultimo naufragio che ha causato (finora) 13 morti oltre a 17 dispersi:

Sicuramente mi attaccherete in tanti ma lo sapete come sono fatta, ciò che penso dico… Ho visto al tg le immagini di coloro che sono morti al largo di Lampedusa. poi ho visto tutte le bare in fila e mi sono domandata chi avesse pagato quelle bare e quei funerali…
Venale? Cinica? No, realista dal momento che ci sono famiglie italiane che non possono permettersi 4 o 5mila euro, minimo, per accompagnare il proprio caro al cimitero… E adesso attaccatemi pure ma chi ci è passato può capire di cosa parlo…

A differenza di quello che pensa la Lorenzi, che sostiene che ci siano tanti italiani in difficoltà che non possono permettersi di pagare i funerali, i funerali di povertà sono gratuiti:

A tal fine, il Comune stanzia una cifra fissa all’anno con la quale pagare il funerale ai poveri. A differenza dei cosiddetti funerali di povertà, per i funerali sociali il Comune chiede di praticare uno sconto del 50% perché i soggetti sono seguiti dai servizi sociali e si trovano in condizioni di particolare difficoltà. In seguito, la restante somma (circa mille euro) viene pagata dai parenti del defunto, quando sono in grado di farlo, o – come più spesso avviene – dal Comune.

tratto da: https://www.globalist.it/politics/2019/10/10/l-attivista-di-fdi-si-lamenta-pagate-le-bare-dei-morti-di-lampedusa-mentre-ci-sono-italiani-poveri-2047471.html

Cari giornali Italiani, raccontate PERCHÉ Asia (20 anni, Curda) è morta, non che somiglia tanto a Angelina Jolie…!

 

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Vi riproponiamo questo articolo tratto da Huffington Post pubblicato 3 anni fa…

Cari giornali Italiani, raccontate PERCHÉ Asia (20 anni, Curda) è morta, non che somiglia tanto a Angelina Jolie…!

Si può fare un oggetto di uno spirito forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero possibile soffermarsi sull’aspetto estetico di una combattente della resistenza curda, senza risalirne all’anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita?

Asia Ramazan Antar aveva vent’anni. Apparteneva all’etnia curda e combatteva realmente l’Isis per difendere la propria terra, se stessa, il genere a cui apparteneva, la voglia di progresso e di libertà che le veniva dall’animo.

Asia, come altre della sua generazione, è morta sul campo di battaglia, nell’indifferenza delle democrazie occidentali pur schierate contro il nemico che le ha tolto la vita. Parrebbe logico abbastanza che gli stati minacciati dallo Stato Islamico soccorressero i curdi, bombardati anche dalla Turchia, il cui governo non ne desidera la presenza all’interno del paese e mal li sopporta ai confini. Sulla vicenda del popolo curdo, invece, regna il silenzio, in una sorta di disattenzione forzata a garanzia del disimpegno politico delle nazioni europee e della stessa ONU, che fanno davvero poco per risollevare il destino infausto e la sofferenza di genti senza uno stato proprio.

Asia ha dato la vita per una causa di speranza che riguarda un popolo intero, per migliaia di famiglie costrette a vagare per territori ostili e zone di efferati conflitti, per le donne oltraggiate e violentate da fanatici che le vogliono sottoposte e asservite, per i bambini a cui la guerra ha portato via fin troppo: parenti, casa, genitori, infanzia. Lei è morta per questo.

Eppure, per tanti media italiani il suo sacrificio si ferma a un immagine plasticamente evocativa, che ne rimanda il ricordo alle fattezze di una attrice bella e famosa, pubblicizzata dal consumismo alla moda del civile ed evoluto mondo occidentale. Asia è, per gli osservatori dei miei stivali, la “Angelina Jolie del Kurdistan”. Come se un’esistenza vissuta per sublimare l’ideale arcaico di giustezza potesse essere ricondotto a una fotografia sbiadita di una star di successo, riducendo stupidamente le fattezze fisiche della nobile guerrigliera a copia improbabile e dissimile di un’originale che si discosta enormemente dalle condizioni di sofferenza causate dalla meschinità delle guerre e dagli interessi delle nazioni. Si può fare un oggetto di uno spirito forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero possibile soffermarsi sull’aspetto estetico di una combattente della resistenza curda, senza risalirne all’anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita?

Asia resta bellissima, troppo bella per essere contemplata da chi non sa vederne la passione di combattente e la dignità di donna oltre il corpo. Asia non finisce qui ed è troppo grande per rientrare in definizioni da marketing mediatico. Asia è memoria, presenza, sogno. E non somiglia a nessuno se non alla sua terra, l’altopiano fatale e incantevole a cui è rimasta legata per sempre.

Dedichiamo a lei questa poesia curda:

Io vado, madre.

Se non torno,

sarò fiore di questa montagna,

frammento di terra per un mondo

più grande di questo.

Io vado, madre.

Se non torno,

il corpo esploderà là dove si tortura

e lo spirito flagellerà, come

l’uragano, tutte le porte.

Io vado … Madre …

Se non torno,

la mia anima sarà parola …

per tutti i poeti.