Uomini e quaquaraquà – I genitori non possono pagare? Il sindaco Leghista lascia la bimba a tonno e cracker – Il calciatore dell’inter Candreva si interessa al caso, ma non gli basta: pagherà la retta a tutti i bimbi poveri di Minerbe

 

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Uomini e quaquaraquà – I genitori non possono pagare? Il sindaco Leghista lascia la bimba a tonno e cracker – Il calciatore dell’inter Candreva si interessa al caso, ma non gli basta: pagherà la retta a tutti i bimbi poveri di Minerbe

Candreva non si ferma: pagherà la retta a tutti i bimbi poveri di Minerbe

Il calciatore dell’Inter si era interessato al caso di una bimba messa a tonno e cracker dal sindaco leghista, e alla fine ha deciso di aiutare tutti i bisognosi

Il buon cuore di Candreva non si fermerà alla sola bambina costretta a mangiare solo cracker e tonno a mensa in quanto i suoi genitori non potevano permettersi la retta della mensa scolastica. Il giocatore dell’Inter, infatti, ha fatto sapere al sindaco di Minerbe, Andrea Girardi, che pagherà la retta a tutti quei bambini che non possono permettersi il pasto completo.
“Mi ha telefonato, mi ha detto che vuole pagare i pasti di tutto l’anno alla bambina in questione, ma non solo. Si è proposto di sanare anche le altre situazioni di mora che abbiamo in essere” ha spiegato Girardi, che continua: “sono rimasto sorpreso, dalla sua voce traspariva grande interesse per la questione. Ha voluto sapere quanti altri sono in questa condizione per pagare tutto. Stiamo facendo i conteggi, gli faremo sapere in giornata”.
Dunque, la bimba non era l’unico caso lasciato a tonno e cracker. “Ci sono più di 30 persone al giorno che non pagano su 200. Capirà che è un costo – spiega il sindaco senza nessun pentimento – Un buono pasto costa 5 euro e 40 centesimi. Ogni famiglia, di media, paga 4 euro e 50 cent. In base alla dichiarazione Isee però il Comune rimborsa il 50 o il 40 per cento nei casi più complessi. Il nuovo regolamento introdotto prevede che si possa andare in negativo di due pasti, dopo di che scatta la razione tonno”.
E anche quando gli viene chiesto se non è una crudeltà una scelta del genere, nessun ripensamento: “Mi sembrerebbe più crudele lasciarli senza cibo. Siamo stanchi di essere presi in giro. Io devo agire anche in base a un principio di giustizia nei confronti di chi paga. Tutti fanno sacrifici in questa vita. Mio padre faceva due lavori per mantenere me e la mia famiglia”.

(Da Globalist)

Ora, Sciascia parlava di “uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà”… Noi non diamo suggerimenti, sta a chi legge decidere chi è Uomo e chi quaquaraquà…

Politici corrotti in Cina: pena di morte! Ma se fanno i bravi e restituiscono tutto, se la cavano col carcere a vita! Con una legge così da noi in Parlamento resterebbero solo i grillini ed altri 3 o 4….

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Politici corrotti in Cina: pena di morte! Ma se fanno i bravi e restituiscono tutto, se la cavano col carcere a vita! Con una legge così da noi in Parlamento resterebbero solo i grillini ed altri 3 o 4…

 

La Cina è uno dei paesi dove è ancora in vigore la pena di morte. Per alcuni tipi di reati ci sono sanzioni veramente dure e anche per i politici corrotti, se non confessano il reato e non si adoperano per restituire il denaro rubato possono subire questa condanna.

I reati puniti con la pena capitale sono diversi e sono l’espressione del duro controllo governativo. Si va dalla pirateria informatica fino a passare allo spaccio, dall’omicidio alla corruzione.

Proprio per la presenza di questo regime non è facile stimare quante esecuzioni vi siano ogni anno. Nella maggior parte dei casi viene utilizzato un plotone di esecuzione, molto più raramente l’iniezione letale, forse per l’eccessivo costo delle sostanze.

Dunque quando un politico si appropria indebitamente dei soldi pubblici riceve una condanna davvero terribile. Se viene restituito tutto il denaro la pena viene sospesa e commutata in ergastolo. Di recente l’ex ministro dei trasporti Liu Zhijun ha dovuto subire questa sorte. Grazie alla sua collaborazione per recuperare i fondi sottratti si è potuto salvare ma solamente in cambio del carcere a vita.

Sono molti i detrattori della pena capitale che sostengono sia inumana, secondo questi ultimi nei paesi in cui è ancora in vigore ci sono tassi di criminalità molto alti che non diminuiscono anche se si continua ad utilizzare questa pena. Nel resto del mondo c’è una campagna per eliminarla del tutto perché espressione di un Stato “barbaro” e “medioevale”.

Certamente non va meglio in quei paesi dove i reati vengono sanzionati in maniera blanda, o addirittura del tutto ignorati. L’italia, ad esempio, è uno dei paesi dove c’è il maggior indice di corruzione, con moltissimi politici corrotti, e una cospicua presenza della criminalità organizzata. Anche l’impunità e l’assenza della certezza della pena, che inevitabilmente potrebbero provocare ulteriori vittime innocenti, sono inaccettabili. Forse la cosa è ancora più barbara e medioevale della pena capitale e si ripete ogni giorno. Purtroppo a nostro avviso non esiste una campagna altrettanto vigorosa e capillare come quella per l’abolizione della pena di morte.

 

fonte: http://risatevere.eu/2016/07/10/la-pena-politici-corrotti-cina/

L’appello di Feltri a Mattarella “Liberi Formigoni” …Ora, bisognerebbe chiedere a questo deficiente: se in Italia ci sono 60.000 delinquenti in galera, perchè proprio Formigoni? Per consentirgli di continuare a rubare e godersela alla faccia nostra?

 

Feltri

 

 

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L’appello di Feltri a Mattarella “Liberi Formigoni” …Ora, bisognerebbe chiedere a questo deficiente: se in Italia ci sono 60.000 delinquenti in galera, perchè proprio Formigoni? Per consentirgli di continuare a rubare e godersela alla faccia nostra?

“Caro Mattarella, liberi Formigoni”. E’ l’appello lanciato dal direttore di ‘Libero’, Vittorio Feltri, al presidente della Repubblica perché conceda la grazia all’ex governatore e leader di Cl, che, scrive Feltri, “se ne sta in cella, a 72 anni suonati”, condannato a 7 anni di reclusione “dopo aver gestito alla grande per quattro lustri la Regione Lombardia, merito non da poco”. “Sono quaranta giorni che fatico a prendere sonno”, scrive Feltri, che, rivolgendosi a Mattarella e parlando della “tribolata vicenda” di Formigoni, sottolinea: “Lo hanno incarcerato per reati bagatellari, compreso un tuffo goffo dalla barca di un amico. Una punizione eccessiva e direi immotivata. Mi auguro che lei esamini la opportunità di concedere la grazia a un uomo che al petto ha parecchie medaglie. Solo lei, dall’alto della sua autorità, può compiere un gesto riparatorio di tanta ingiustizia”.

Ora, che il fatto che Formigoni sia andato in galera a 72 anni suonati significa solo che è rimasto troppo tenpo fuori a fare la bella vita con i soldi nostri ed alla faccia nostra. Quanto alle medaglie, glie le avrà “regalate” qualche amico in cambio di favori o le avrà rubate.

Che poi il sig. Feltri non dorma da 40 giorni è un problema suo. Ed è un problema suo soprattutto perchè invece di pensare alla gente che tutti i giorni muore nel Mediterraneo e che lui disprezza acidamente, pensa ad un delinquente…

Nessuna pietà per Formigoni. Grande nausea ogni volta che questo deficiente con tesserino da giornalista parla…

By Eles

 

Papa Francesco si schiera contro l’odio: “Chi ha il cuore razzista si converta”

 

Papa Francesco

 

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Papa Francesco si schiera contro l’odio: “Chi ha il cuore razzista si converta”

Da Bergoglio una replica ai professionisti della paura: “Delinquenti? Anche noi ne abbiamo tanti, la mafia non è stata inventata dai nigeriani, la mafia è nostra”

Ancora una volta parole sagge in un mondo nel quale l’odio sembra avere il vento alle spalle.
Accoglienza e integrazione. Chi ha il cuore razzista si converta. Papa Francesco, incontrando docenti e studenti dell’istituto San Carlo di Milano, rispondendo alle domande nel consueto botta e risposta, affronta anche il tema dei migranti. E a quanti guardano a loro come a delinquenti, il Papa ricorda: “Anche noi ne abbiamo tanti, la mafia non è stata inventata dai nigeriani, la mafia è nostra; tutti abbiamo la possibilità di essere delinquenti. I migranti ci portano ricchezza perché l’Europa è stata fatta dai migranti”.
Parlando di una società multietnica, Bergoglio osserva: Ringraziamo Dio perché il dialogo tra persone, culture, etnie è la ricchezza. Non avere paura dei migranti. I migranti siamo noi. Gesù è stato migrante. ‘Ma sono delinquenti’ dice qualcuno. Anche noi ne abbiamo tanti, la mafia non è stata inventata dai nigeriani, la mafia è nostra”. Il Pontefice mette in guardia gli studenti: “Oggi c’è la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare muri nel cuore, nella terra, per impedire questo incontro con altre culture. Chi alza un muro, finirà schiavo dentro i muri costruiti, senza orizzonti”.
Il Papa si appella all’accoglienza:”Cuore aperto per accogliere, se io ho il cuore razzista devo esaminare perché e convertirmi. Gli immigranti vanno ricevuti, accompagnati e integrati in un interscambio di valori. Questa è la bellezza di accogliere per diventare più ricchi di cultura, nella crescita, alzare muri non serve. Io vi dico: insegnate ai giovani a crescere nella cultura dell’incontro e a crescere con le differenze, si cresce col confronto”.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/news/2019/04/06/il-papa-si-schiera-contro-l-odio-chi-ha-il-cuore-razzista-si-converta-2039762.html

Di troppa “pacchia” si può anche morire: la storia di Gaye Demba, il migrante disperato che si è tolto la vita

 

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Di troppa “pacchia” si può anche morire: la storia di Gaye Demba, il migrante disperato che si è tolto la vita

Il giovane del Gambia era ospite di una struttura della diocesi dopo aver vissuto a lungo negli scantinati. Il dolore del vescovo Nosiglia: “Una vita di violenze e soprusi”.

Pacchia, telefonini, scarpe firmate. I luoghi comuni razzisti sono tanti, la realtà è molto diversa. Drammatica. Molto drammatica.
“Il suo gesto obbliga tutti quanti a riflettere sulle ferite interiori che hanno segnato profondamente Demba e molti altri immigrati”. Cosi’ il vescovo di Torino, monsignor  Cesare Nosiglia interviene sul suicidio di Gaye Demba, un 28enne originario del Gambia, che aveva vissuto negli scantinati dell’ex Moi e che ora era ospitato in una struttura della diocesi.
“Questo ragazzo – ha sottolineato Nosiglia – è giunto nel nostro Paese dopo aver subìto violenze e soprusi molto pesanti che hanno minato profondamente la sua vita, provocando fragilità che purtroppo si sono manifestate nel suo gesto estremo.Sono le stesse ferite, le medesime fragilità a cui ciascuno di noi è esposto”.

“Ferite e fragilità che non dipendono dal colore della pelle né dal passaporto o dal conto in banca”, ha aggiunto Nosiglia ricordando che nell’ultimo anno e mezzo era stato seguito da una équipe di persone e professionisti che “hanno fatto tutto quanto possibile per offrire a questo giovane ragioni positive ma purtroppo non è stato sufficiente”.
“Chiedo a tutti di contribuire a far crescere nella nostra città un clima che non sia né di odio né di rifiuto né di paura, ma sia invece di reciproca accoglienza, attenzione e rispetto”.

Gaye Demba aveva vissuto fino al primo sgombero, programmato nel 2017, all’ex Moi, l’ex complesso olimpico attualmente oggetto di un piano di totale sgombero che dovrebbe concludersi entro il 2019 grazie anche al sostegno del governo. “Seguivamo da vicino questo ragazzo che aveva più volte dato segni di forte depressione – spiega Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti di Torino -. Aveva già manifestato nel tempo volontà autodistruttive, e purtroppo era stato sottoposto a marzo ad un tso all’Ospedale Mauriziano, ma poi era uscito”.

“I responsabili della struttura hanno fatto tutto quanto è stato umanamente  possibile per offrire a questo giovane ragioni positive e opportunità utili a costruire una vita nuova e diversa, ma purtroppo tutto questo impegno non è stato sufficiente – conclude. Nosigna -.  Il suo gesto obbliga tutti quanti a riflettere sulle ferite interiori che hanno segnato profondamente Demba e molti altri immigrati. Sono le stesse ferite, le medesime fragilità a cui ciascuno di noi è esposto. Ferite e fragilità che non dipendono dal colore della pelle né dal passaporto o dal conto in banca”.

“Sono stufo del razzismo, penso di mollare il calcio”: l’amaro sfogo del campione del Tottenham Danny Rose

 

Danny Rose

 

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“Sono stufo del razzismo, penso di mollare il calcio”: l’amaro sfogo del campione del Tottenham Danny Rose

Durante l’ultima partita contro il Montenegro è stato nuovamente vittima di cori razzisti: “non ne posso più, sto pensando di abbandonare tutto”

Danny Rose, difensore del Tottenham e della nazionale inglese, sta pensando al ritiro dal mondo del calcio perché stufo degli insulti e degli ululati razzisti che puntualmente accompagnano le partite: “ne ho abbastanza, mi rimangono cinque o sei anni nel calcio e, a dire la verità, non vedo l’ora di dire basta”.
L’ultimo episodio riguarda una partita contro il Montenegro, dove lui e il compagno di swuadra Callum Hudson-Odoi sono stati presi di mira dai tifosi che hanno imitato delle scimmie per insultarli: “sono veramente stufo di certe cose che succedono negli stadi, voglio andarmene”.
Per questi insulti razzisti il ct Gareth Southgate si era molto arrabbiato nel dopopartita e la federcalcio inglese aveva presentato una formale protesta alla Uefa.

 

tratto da: https://www.globalist.it/sport/2019/04/05/sono-stufo-del-razzismo-penso-di-mollare-il-calcio-lo-sfogo-del-difensore-del-tottenham-danny-rose-2039734.html

7 aprile 1944 – A Roma l’eccidio del Ponte dell’Industria, quando la barbarie nazi-fascista non risparmiava neanche le donne…!

 

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7 aprile 1944 – A Roma l’eccidio del Ponte dell’Industria, quando la barbarie nazi-fascista non risparmiava neanche le donne…!

7 aprile 1944 – A Roma, l’ECCIDIO NAZIFASCISTA del Ponte dell’Industria.
Per rappresaglia contro l’assalto al forno Tesei, che riforniva le truppe di occupazione nazifasciste, dieci donne, sorprese dai soldati nazisti con pane e farina, vennero fatte allineare lungo le transenne del ponte e fucilate.

ARTICOLO n. 1

“Roma, tra il febbraio e l’aprile del 1944, è schiacciata dalla morsa della fame, è una città sfinita, murata dall’occupante nazista. È il momento peggiore della guerra: bombardamenti, attentati, rastrellamenti, rappresaglie, gli Alleati sono fermi ad Anzio, non vanno né avanti né indietro, gli uomini al fronte o prigionieri o nascosti o non se ne sa più niente; i figli e i vecchi da sfamare.

L’approvvigionamento di una città di quasi due milioni di abitanti come Roma si presenta soprattutto come un problema di trasporti, visto che i rifornimenti di viveri arrivano non solo dal Lazio, ma anche da regioni molto più lontane; se fino al gennaio 1944 gli alimenti, nonostante gli attacchi aerei alle linee ferroviarie, erano ancora trasportati con i treni merci, dopo lo sbarco alleato a Nettuno e l’aggravarsi della situazione per tutte le ferrovie dell’Italia centrale, i trasporti avvengono per mezzo di autocarri. Quotidianamente partono 100 autocarri per il rifornimento della città. Ma i viveri che arrivavano non sono comunque sufficienti, tanto che l’Ufficio alimentare dell’Amministrazione militare vede nella parziale evacuazione della città l’unica possibile “soluzione”, ma, prevedibilmente, il tentativo non viene mai fatto. Interi quartieri restano senza pane. Poveri e ricchi sono ugualmente costretti a ricorrere al mercato nero. I romani mangiano, quando ne trovano, carrube lesse, pane di vegetina, bucce di patate bollite; bruciano mobili d’arredamento per scaldarsi e cucinare. La città sopravvive sospesa in una atmosfera di terrore, fame e freddo.
La situazione economica alimentare va sempre peggiorando e la popolazione trae motivo di ulteriore pessimismo dalle recenti disposizioni circa l’aumento del prezzo del pane e la ritardata distribuzione di parte della già modesta razione di pasta. Si vorrebbe una energica e fattiva azione da parte delle autorità per arrestare la corsa al rialzo dei prezzi che, se favorisce l’ingorda speculazione dei commercianti e dei cosiddetti borsari neri, pregiudica ed esaspera i consumatori ed in special modo wlaresistenzatrasteverequelli appartenenti alle classi meno abbienti o a quelle costrette a vivere del reddito fisso.

A complicare ulteriormente una situazione già inquietante, da una parte gli Alleati, che mitragliavano i convogli di viveri diretti in città, dall’altra gli occupanti che sequestravano per il loro uso, ma soprattutto per una sorta di deontologia dell’occupazione, intere partite di generi alimentari. L’idea che i tedeschi tenessero tutti i depositi sequestrati per il loro uso e consumo, è molto diffusa.

Ulteriori problemi provoca un vertiginoso ma invisibile (perché clandestino, non ufficiale) aumento della popolazione: dai Castelli, da Genzano, da Albano, dalle campagne intorno ad Anzio e Nettuno, arrivano a Roma intere famiglie di disastrati che cercano alloggio nelle scuole, nelle caserme o nell’ala abbandonata di qualche ospedale, un incremento silenzioso che va ad accelerare un andamento già crescente della popolazione romana, prima del ventennio fascista. Si calcola che oltre 200.000 persone vivessero in alloggi di fortuna in condizioni inumane e senza lavoro. E trovare cibo diventa ancora più difficile.

Gli ospedali sono pieni di bambini denutriti, e si contano numerosi casi di piccoli deceduti per fame e malattie da denutrizione: forse più di trecento, una strage, altre vittime innocenti da inserire nell’elenco di atrocità commesse dai nazifascisti a Roma e in Italia.

Dopo l’attentato di via Rasella del 23 marzo, la rappresaglia tedesca non si ferma alla strage delle Fosse Ardeatine, ma vuole colpire il maggior numero di persone possibile. Così, per ordine diretto del generale Maeltzer, la razione di pane dei romani viene ridotta da 150 a 100 grammi al giorno. Oltretutto è pane nero, spesso ammuffito.

Ai primi di aprile del 1944, dopo il catastrofico e lungo inverno, le condizioni alimentari si fanno intollerabili portando allo stremo la popolazione. La situazione nel settore del pane peggiora in modo drammatico con l’approssimarsi del fronte. A metà aprile, a causa delle difficoltà dei trasporti e dei disordini creati dalla lotta partigiana, la distribuzione ufficiale subisce un’ulteriore diminuzione; a quel punto ci si rende conto che non solo circolano 50.000 carte per il pane falsificate, ma anche che ingenti quantitativi di farina sono stati venduti di contrabbando dagli organi addetti alla distribuzione. Protagoniste di un così oscuro periodo sono le donne che da sole, con ogni mezzo, con l’astuzia o la violenza, cercano di sopravvivere alle miserie della guerra. È così che avvengono i primi assalti ai forni, destinati a diventare sempre più frequenti; sono le donne spinte dal bisogno che li pensano e li organizzano spontaneamente anche se qualche volta c’è dietro l’aiuto e l’impulso dei gruppi femminili della Resistenza. Si passano parola, vanno all’assalto provviste di sporte per metterci dentro quel po’ che riusciranno a prendere, usano i figli come scudo; sono le donne che si organizzano per assalire i forni ove si panifica il pane bianco per fascisti e nazisti.

Gli assalti avvengono nei quartieri di Trionfale, Borgo Pio, Via Leone Quarto. A guidarle in questi quartieri sono le sorelle De Angelis, Maddalena Accorinti ed altre.In via Leone IV, davanti alla sede della Delegazione rionale, scoppia una rabbiosa protesta contro la sospensione della distribuzione di patate e farina di latte. Nella stessa strada viene assaltato il forno De Acutis, ma qui c’è il consenso dello steso proprietario, che distribuito il pane e la farina, si dà alla clandestinità.

Sempre fra i Prati e il Trionfale, zona di piccola e media borghesia, avvengono assalti ai panifici in via Vespasiano, via Ottaviano e via Candia.
Il 1° aprile 1944, di fronte a un forno di via Tosti, nel quartiere Appio, una forte manifestazione di donne contro la riduzione della razione di pane, dà inizio ad una nuova e disperata serie di assalti ai forni.

“Sabato primo aprile, al forno Tosti, quartiere Appio, la fila era interminabile: le donne attendevano da più di due ore l’arrivo dell’ordine di distribuzione e non capiva perché tardassero tanto ad aprire. Esasperate le donne protestavano ad alta voce, erano furibonde, e c’era tra loro chi temeva che non ci fossero neppure quei cento grammi per tutti. [] aveva cominciato una in prima fila in faccia ai militi [che vigilavano alla porta]: “Ci ho quattro creature che me se magnano puro a me se je porto sta crioletta de cento grammi! Ve volete da’ na mossa! Buffoni!”. Un milite la prese per il braccio e la portò fuori dalla fila, le donne cedettero che la volessero arrestare e cercarono di strapparla dalle mani della GNR: seguì un parapiglia, tutte strillavano, insultavano; poi d’improvviso, rotta la fila, si ammassarono tutte davanti alla porta del forno. La porta forzata cedette e tutte entrarono [] le donne trovarono, oltre al pane nero, anche sacchi di farina bianca, forse pronti per la panificazione per le alte gerarchie fasciste o per le truppe di occupazione tedesche”.
Nei giorni a seguire e per tutto il mese di aprile, furono attaccati camion carichi di pane, come a Borgo Pio dove la folla assale un camion, scortato da militi fascisti, che trasporta pane per una caserma. Tale è l’improvvisa e inaspettata irruenza delle assalitrici che i militi possono fare ben poco e si trovano il camion completamente saccheggiato. Altri assalti hanno lugo a forni in tutti i quartieri, costringendo i tedeschi a scortare ogni convoglio e a presidiare ogni punto di distribuzione.

L’episodio più tragico avviene all’Ostiense, al Ponte di Ferro. Il 7 aprile 1944 decine di persone si ritrovarono di fronte al mulino Tesei per chiedere pane e farina; si diceva che quel mulino producesse pane destinato ai militari tedeschi. Le donne dei quartieri limitrofi (Ostiense, Portuense e Garbatella) avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e che probabilmente aveva grossi depositi di farina. La folla cominciò a reclamare il pane, i cancelli del forno furono sfondati e le donne riuscirono ad entrare. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle disperate, lasciò che entrassero e che si rifornissero di pane e farina, ma qualcuno avvertì la polizia tedesca che arrivò quando le donne erano ancora sul posto. A quel punto i militi fascisti presenti chiesero l’intervento delle SS tedesche, che bloccarono la strada, molte donne riuscirono a scappare, ma dieci di loro furono prese, afferrate di forza, portate sul ponte e lì fucilate in fila, contro la ringhiera. A monito della popolazione i tedeschi ne lasciano i cadaveri sulla spalletta del ponte fino alla mattina dopo quando alcuni lattonieri e sfasciacarrozze della zona vengono costretti a caricare le povere salme su di un camion. Da allora non si è mai saputo dove siano state portate e sepolte.

Le dieci vittime innocenti della furia nazi-fascista furono: Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo.Durante un nuovo assalto, quello avvenuto il 2 maggio, all’indomani delle manifestazioni del giorno prima, una guardia della PAI (la Polizia Africa Italiana che funge da servizio d’ordine per conto del Governo fascista repubblicano), accorsa per sedare il tumulto uccide con una fucilata una donna del Tiburtino III, Caterina Martinelli, madre di sei figli.

Cade sul selciato con sei sfilatini nella borsa della spesa, una pagnotta stretta al petto, in braccio una bambina ancora lattante: stramazza a terra sopra la figlia che sopravvive ma che avrà poi la spina dorsale lesionata. Una specie di monumento alla madre affamata.Il giorno dopo, sul marciapiede ancora insanguinato, un cartello antifascista ricorda la vittima. Quel cartello, subito fatto togliere dalle autorità, tornerà come lapide a Roma liberata.

Mario Socrate, partigiano gappista e poeta, così testimonia di quell’episodio:

“… ci fu l’assalto al forno e uno della Pai sparò e uccise una donna. Allora noi facemmo una manifestazione, e io quel giorno stesso ho scritto la lapide e la mettemmo al punto dov’era ancora il sangue a terra”.Fu lui a scrivere le parole che si possone leggere ancora oggi nella lapide sulla facciata di una casa in via del Badile 16:Il 2 maggio 1944 in questo luogo durante un assalto al forno per cercare il pane per i suoi figli venne uccisa dalla violenza fascista Caterina Martinelli «io non volevo che un po’ di pane per i miei bambini non potevo sentirli piangere tutti e sei insieme».”

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ARTICOLO n. 2

“L’eccidio del Ponte dell’Industria”

Il tragico episodio va inserito nel contesto creatosi in conseguenza dell’ordinanza emessa il 26 marzo 1944 dal generale Kurt Maeltzer, comandante della città di Roma durante l’occupazione, che aveva ridotto a 100 grammi la razione giornaliera di pane destinata quotidianamente ai civili. In molti quartieri di Roma le donne protestarono davanti ai forni, in particolare presso quelli sospettati di panificare il pane bianco destinato alle truppe di occupazione. Il 1º aprile al forno Tosti (quartiere Appio) la lunga attesa per la distribuzione trasformò lo scontento popolare in trambusto. Il 6 aprile, a Borgo Pio, fu bloccato e depredato un camion che ogni giorno ritirava il pane per portarlo alla caserma dei militi della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana). L’assalto ai forni, che costrinse i nazifascisti a scortare i convogli e a presidiare depositi e punti di distribuzione, si ripeté in vari quartieri della capitale, fino all’evento tragico del Ponte dell’Industria il venerdì di Pasqua.

Così rievoca l’episodio Carla Capponi:

« Le donne dei quartieri Ostiense, Portuense e Garbatella avevano scoperto che il forno panificava pane bianco e aveva grossi depositi di farina. Decisero di assaltare il deposito che apparentemente non sembrava presidiato dalle truppe tedesche. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle disperate o per evitare danni ai macchinari, lasciò che entrassero e si impossessassero di piccoli quantitativi di pane e farina. Qualcuno invece chiamò la polizia tedesca, e molti soldati della Wehrmacht giunsero quando le donne erano ancora sul posto con il loro bottino di pane e farina. Alla vista dei soldati nazisti cercarono di fuggire, ma quelli bloccarono il ponte mentre altri si disposero sulla strada: strette tra i due blocchi, le donne si videro senza scampo e qualcuna fuggì lungo il fiume scendendo sull’argine, mentre altre lasciarono cadere a terra il loro bottino e si arresero urlando e implorando. Ne catturarono dieci, le disposero contro la ringhiera del ponte, il viso rivolto al fiume sotto di loro. Si era fatto silenzio, si udivano solo gli ordini secchi del caporale che preparava l’eccidio. Qualcuna pregava, ma non osavano voltarsi a guardare gli aguzzini, che le tennero in attesa fino a quando non riuscirono ad allontanare le altre e a far chiudere le finestre di una casetta costruita al limite del ponte. Alcuni tedeschi si posero dietro le donne, poi le abbatterono con mossa repentina “come si ammazzano le bestie al macello”: così mi avrebbe detto una compagna della Garbatella tanti anni dopo, quando volli che una lapide le ricordasse sul luogo del loro martirio. Le dieci donne furono lasciate a terra tra le pagnotte abbandonate e la farina intrisa di sangue. Il ponte fu presidiato per tutto il giorno, impedendo che i cadaveri venissero rimossi; durante la notte furono trasportati all’obitorio dove avvenne la triste cerimonia del riconoscimento da parte dei parenti. »

Ultima vittima della protesta fu, il 3 maggio successivo, una madre di sei figli: Caterina Martinelli, mentre ritornava a casa con la sporta piena di pane dopo l’assalto a un forno nella borgata Tiburtino III, fu falciata da una raffica di mitra di militari della PAI (Polizia dell’Africa Italiana).

Sul luogo dell’eccidio è stata fatta deporre nel 1997 dall’amministrazione comunale una lapide commemorativa, per iniziativa della ex-partigiana dei GAP (Gruppi di Azione Partigiana) e poi parlamentare Carla Capponi (1918-2000) e in seguito alle ricerche effettuate dal giornalista e storico della Resistenza Cesare De Simone († 1999), che ha recuperato la memoria dell’eccidio e restituito i nomi alle vittime: Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo. Secondo almeno una testimonianza, una delle dieci donne sarebbe stata condotta sotto il ponte e stuprata dai militi (tedeschi e repubblichini fascisti), prima di essere assassinata, ancora seminuda e sotto choc, con un colpo di pistola alla testa.”

 

fonte: https://www.magazineitalia.net/7-aprile-1944-a-roma-leccidio-nazifascista-del-ponte-dellindustria/

Jim Carrey risponde al “bastard” della Mussolini chiudendo il discorso: “Capovolga la vignetta così vede il nonno che salta di gioia”…!

 

Jim Carrey

 

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Jim Carrey risponde al “bastard” della Mussolini chiudendo il discorso: “Capovolga la vignetta così vede il nonno che salta di gioia”…!

Jim Carrey risponde al “bastard” della Mussolini: “Capovolga la vignetta così vede il nonno che salta di gioia”

L’attore canadese a una tv americana replica alla nipote del Duce dopo la polemica per la vignetta su Piazzale Loreto

“Se vuole vederla in un altro modo può sempre capovolgere la vignetta e vedere suo nonno che salta di gioia o che ha appena fatto l’appello”. Non si placa la polemica tra Jim Carrey e Alessandra Mussolini. Dopo aver pubblicato sul suo profilo twitter una vignetta raffigurante l’esibizione dei corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci in piazzale Loreto, è nato lo scontro tra l’attore americano e la nipote del Duce. “Se vi state chiedendo dove porti il fascismo, rivolgetevi a Benito Mussolini e alla sua amante Claretta”, è stata la didascalia con la quale Carrey ha accompagnato la vignetta.

Il disegno ha mandato su tutte le furie la Mussolini che ha commentato su twitter: “You’re a bastard” (“Sei un bastardo”). Sullo scontro era poi calato il silenzio, con l’attore americano che non sembrava aver dato peso alla replica della politica italiana. E invece, intervistato da una rivista americana, è tornato sulla questione, naturalmente con l’ironia che lo contraddistingue: “Trovo abbastanza sconcertante lei sia ancora al governo. Non perché faccia parte del governo, ma perché sta ancora dalla parte del male”, ha detto l’attore, concludendo l’intervista con un’altra battuta: “Se vuole vederla in un altro modo può sempre capovolgere la vignetta e vedere suo nonno che salta di gioia o che ha appena fatto l’appello”.

tratto da: https://www.globalist.it/world/2019/04/05/jim-carrey-risponde-al-bastard-della-mussolini-capovolga-la-vignetta-cosi-vede-il-nonno-che-salta-di-gioia-2039704.html

 

Nave Alan Kurdi, il Viminale autorizza lo sbarco di due bambini con le madri, ma non dell’intero nucleo familiare… Fate uno sforzo di memoria, quelli che in passato separavano le famiglie erano i nazisti…!

 

Alan Kurdi

 

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Nave Alan Kurdi, il Viminale autorizza lo sbarco di due bambini con le madri, ma non dell’intero nucleo familiare… E fatelo uno sforzo di memoria, quelli che in passato separavano le famiglie erano i nazisti…!

 

Alan Kurdi: il Viminale tenta di dividere i figli dai padri. No di Sea Eye

L’Italia aveva autorizzato lo sbarco a Lampedusa di due bambini e le madri, ma non dell’intero nucleo familiare. Così si smembrano le famiglie.

E per non dividere le famiglie, per non essere separati dai propri cari, i migranti rifiutano lo sbarco. Salvini, da grande statista qual’è allora risponde: “Buon viaggio a Berlino”

Perchè, credo lo sappiate tutti, una delle prerogative dei GRANDI STATISTI è prendere per il culo dei bambini che fuggono da fame, guerra e tirannia…

Ma il problema non è Salvini. Io di poveri cristi che vagano per le strade urlando, con la bava alla bocca, incomprensibili minacce a chi gli sta vicino, ne ho visti tanti. Mi fanno anche un po’ pena e quando posso gli getto pure qualche spicciolo…

No, il problema non è di questa gente, ma di chi gli dà il voto…

 A qualcuno sfugge che queste sono persone e non pacchi. Sfugge che separare i bambini dai loro padri o le donne dai loro compagni è una bestialità indegna di un Paese civile.

E poi, fatelo uno sforzo di memoria: quelli che in passato separavano le famiglie erano i nazisti…!

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Lori Lightfoot sindaca di Chicago: donna, nera e gay… In Italia sarebbero solo tre insulti…!

 

Lori Lightfoot

 

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Lori Lightfoot sindaca di Chicago: donna, nera e gay… In Italia sarebbero solo tre insulti…!

Chicago fa la storia ed elegge il suo primo sindaco donna, afroamericana e lesbica.

Lori Lightfoot  sarà alla guida della terza città più popolosa d’America. La 56enne si è presentata alle elezioni come il volto nuovo, colei in grado di sfidare la corruzione della città e dare una scossa alla politica locale, che ha ignorato per anni la classe lavoratrice.

Donna, nera e gay… A Chicago la eleggono sindaca, in Italia donna, nera e gay sarebbero solo e solamente tre insulti…

Con la sua vittoria, Lightfoot diventa uno dei pochi sindaci apertamente gay d’America, insieme a Pete Buttigieg, primo cittadino di South Bend ora candidato alla Casa Bianca. Ma Lightfoot ha relativizzato questo aspetto, così come l’essere donna afroamericana.

Nelle battute finali della campagna elettorale ha più volte ribadito che una sua eventuale vittoria avrebbe messo in evidenza la volontà della popolazione di dare una scossa e rivoluzionare la scena politica di Chicago.
“Ritengo che sia più per la volontà degli elettori di spezzare la corruzione politica”, ha detto. “Se dovessi vincere questo rifletterebbe il desiderio di spezzare con il passato”. E la vittoria Lori Lightfoot l’ha conquistata.

…Ma in Italia, oggi più che mai, donna, nera e gay non sono altro che tre insulti…!

Voi pensate ad un leghista, ad un fascista o ad uno di quelli che tengono tanto alla famiglia tradizionale di fronte a Lori…

 

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