Migranti, Medici Senza Frontiere denuncia: “Il 70% non ha accesso a cure mediche”…E non frega niente a nessuno. Ma alla notizia di qualche mese fa che ben il 30% dei padroni di animali domestici non poteva permettersi cure veterinarie, ci siamo indignati tutti. Mi sa che le bestie siamo noi!

 

Migranti

 

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Migranti, Medici Senza Frontiere denuncia: “Il 70% non ha accesso a cure mediche”…E non frega niente a nessuno. Ma alla notizia di qualche mese fa che ben il 30% dei padroni di animali domestici non poteva permettersi cure veterinarie, ci siamo indignati tutti. Mi sa che le bestie siamo noi!

Solo qualche mese fa tutti indignati per la notizia “il 30% dei padroni di animali domestici non poteva permettersi cure veterinarie” – E va bene l’indignazione, ma se  sentire che “migranti, Il 70% non ha accesso a cure mediche” non fa né caldo ne freddo… Della sorte dei migrandi (esseri umani!) a nessuno frega niente, e questo fa pensare. Fa pensare che le bestie siamo noi. Siamo diventati bestiali e neanche ce ne accorgiamo…!

Da Fanpage:

Migranti, Medici Senza Frontiere denuncia: “Il 70% non ha accesso a cure mediche”

Negli ultimi due anni Medici Senza Frontiere ha seguito un programma di orientamento ai servizi sanitari pubblici per i residenti dell’Ex Moi di Torino. Gli abitanti degli insediamenti informali sono uomini, donne e bambini che vivono in condizioni estreme senza richiedere l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale.

Da più di due anni Medici Senza Frontiere ha avviato un programma di orientamento ai servizi sanitari pubblici per i residenti dell’Ex Moi di Torino, principalmente rifugiati e richiedenti asilo. Il complesso di edifici, di recente al centro della cronaca per la questione sgomberi, è uno degli insediamenti informali più grandi d’Italia: si tratta di alloggi di fortuna per chi è uscito dal circuito dell’accoglienza. Nel 2013 circa un migliaio di persone, proveniente principalmente da Africa Sub-Sahariana e Somalia, occuparono quattro palazzine del villaggio costruito per le Olimpiadi invernali del 2006. Negli insediamenti informali si trovano richiedenti asilo in attesa di un posto in un centro di accoglienza o persone a cui l’accoglienza è stata revocata, migranti in cerca di protezione umanitaria in Italia o in un altro Paese europeo, fermati alla frontiera. Sono almeno 10.000 tra uomini, donne e bambini, persone quasi invisibili che vivono in condizioni estreme, in aree industriali dismesse, baraccopoli, sulle rive dei fiumi, spesso senza acqua potabile ed elettricità. Nonostante il Sistema Sanitario Nazionale consenta loro l’acceso alle cure, più del 70% non è iscritto, né ha il medico di famiglia o il pediatra, nel caso dei minori.

Le barriere che impediscono di accedere ai servizi sanitari, secondo MSF, sono molte, a partire dalla “complessità delle procedure amministrative”, ma anche “la non conoscenza delle norme” da parte degli utenti e del personale dei servizi. Ci sono poi le “barriere di carattere linguistico e l’isolamento di migranti e rifugiati che si ritrovano a vivere in aree sempre più marginali”. Il risultato, conclude il rapporto, è che “la possibilità di accesso di tale popolazione al SSN è sempre più ridotta ai presidi di pronto soccorso ospedalieri”.

Dalla fine 2016 MSF ha orientato “469 persone, di cui 40 donne e 14 minori. Il 74% è risultato non iscritto al SSN e l’82% privo di medico di famiglia o pediatra di libera scelta al momento del primo contatto. Gli accompagnamenti sono stati 355, dei quali il 49% verso servizi sanitari”, scrive l’associazione nel rapporto “Inclusi gli Esclusi”, che riassume questi due anni di lavoro all’Ex Moi.

Inoltre da novembre del 2017 Medici Senza Frontiere ha iniziato a collaborare con ASL “Città di Torino”, stipulando un accordo che prevede che due residenti dell’ex villaggio olimpico siano impiegati come mediatori interculturali, in appoggio al personale amministrativo. Grazie al progetto, conclude il report, “i tempi per finalizzare l’iscrizione al SSN degli abitanti dell’Ex Moi attraverso la residenza virtuale si sono ridotti da due mesi all’inizio del 2017, all’attuale settimana”.

fonte: https://www.fanpage.it/migranti-medici-senza-frontiere-denuncia-il-70-non-ha-accesso-a-cure-mediche/
http://www.fanpage.it/

Varoufakis: “Salvini? Non è altro che un prodotto della crisi, come Mussolini e Hitler”

 

Varoufakis

 

 

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Varoufakis: “Salvini? Non è altro che un prodotto della crisi, come Mussolini e Hitler”

Varoufakis: “Salvini è un prodotto della crisi, come Mussolini e Hitler”

L’ex ministro delle Finanze greco, oggi candidato alle europee con DiEM25, ha commentato la situazione politica italiana.

“Salvini è il prodotto della Depressione, così come Mussolini e Hitler furono il prodotto della Depressione tra le due Guerre mondiali in Europa”. Lo ha dichiarato all’Agi, Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco, ora capolista in Germania per il movimento Domkratie in Europe, costola di DiEM25 – Democracy in Europe Movement 2025 – fondato proprio da Varoufakis e dal filosofo croato, Srecko Horvat.
“Ora abbiamo il fascismo che cresce di nuovo, risultato del fallimento dell’establishment. L’establishment e i Salvini si aiutano a vicenda”, ha continuato Varoufakis prima di salire sul palco alla manifestazione del movimento Pulse of Europe nella piazza di Gendarmenmarkt, a Berlino.
La proposta di Varoufakis per strappare l’Europa al crescente sovranismo nazionale è un “New Deal verde per creare lavoro di buona qualità, lavoro per la transizione energetica verde. L’Europa si sta disintegrando sotto la pressione dell’austerità, da una parte, e sotto quella dei fascisti, dall’altra. È probabilmente l’ultima elezione del Parlamento europeo in cui abbiamo la possibilità di fare la differenza”, evidenzia l’ex ministro.
Prima di lui, sul palco era salita la capolista per le elezioni europee del partito liberale tedesco Fdp, Nicola Beer. “Noi vogliamo attirare persone dietro a un corso di riforma dell’Europa che non e’ in buono stato al momento. Abbiamo attacchi di nazionalisti da destra e da sinistra, ma anche una mentalità da Grande Coalizione a Bruxelles: questo vogliamo cambiarlo, vogliamo romperlo”, spiega Beer ad Agi. Per fermare i populisti, continua Beer, servono risultati, per questo l’Ue “deve essere capace di prendere decisioni e di agire”.

fonte: https://www.globalist.it/world/2019/04/15/varoufakis-salvini-e-un-prodotto-della-crisi-come-mussolini-e-hitler-2040135.html

Negli ultimi 7 anni: Pd 1043 ARRESTI. Centrodestra 978 ARRESTI. M5s 1 ARRESTO… Ma di cosa vogliamo ancora parlare?

 

ARRESTI

 

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Negli ultimi 7 anni: Pd 1043 ARRESTI. Centrodestra 978 ARRESTI. M5s 1 ARRESTO… Ma di cosa vogliamo ancora parlare?

 

La questione morale

Dopo la bufera giudiziaria che si è abbattuta sulla sanità in Umbria e sul Partito Democratico, ieri il segretario del PD Nicola Zingaretti ha detto di voler condurre una battaglia etica e morale per selezionare la classe politica. Bene. Allora inizi già oggi stesso a mandare via dal suo partito gli arrestati e i condannati.

Tutta la storia del Pd è piena di questi episodi. Inchieste per reati gravissimi: corruzione, associazione a delinquere, appalti e concorsi pubblici truccati, favoreggiamento.

Nei 1043 arresti (!!) che hanno travolto il Partito Democratico negli ultimi 7 anni, quante volte sono state cacciate le persone coinvolte? Sappiamo bene che il gioco mediatico prende sempre di mira il MoVimento 5 Stelle. Ma parliamoci chiaro: il MoVimento, dalla sua nascita, ha avuto un solo arresto per corruzione. Uno. E nel giro di un’ora ha mandato via la persona arrestata, libero di difendersi dove e come meglio crede ma lontano dal MoVimento. Lontano.

Perché per noi le istituzioni, cioè la “cosa pubblica“, non possono essere lasciate nelle mani di presunti criminali o delinquenti, di corrotti o di corruttori o di chi tenta di perseguire fini privati e non pubblici. Il bene collettivo deve rimanere integro. A prescindere dalle sentenze. Tutti hanno il diritto e la possibilità di difendersi nei Tribunali, nel frattempo però gli interessi dello Stato e dei cittadini devono essere salvaguardati.

E questo spetta solo ai partiti che hanno una grande responsabilità. L’inchiesta che sta mettendo in luce un “sistema criminale” in Umbria, purtroppo, non è una novità. È consuetudine! Pochi mesi fa il presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella, anche lui del Partito Democratico, è finito ai domiciliari per casi di corruzione nella Sanità. Un’altra volta. Un altro scandalo sulla pelle dei cittadini.

Qual è il motivo per cui i partiti davanti a fatti gravissimi come questi, davanti a prove e intercettazioni, davanti ad evidenti squallide condotte non cacciano le persone coinvolte? Cosa aspetta Zingaretti a ripulire il Pd umbro o quello lucano?

Qual è la missione di una forza politica se non quella di fare l’interesse pubblico?

Noi lo facciamo. Non vi accorgerete della differenza?

 

fonte: https://www.ilblogdellestelle.it/2019/04/la-questione-morale.html

Il Canton Ticino chiude le dogane: “Stop ai ladri che vengono dall’Italia”. La fantastica risposta della Lega: “Non ha senso: non si ottiene sicurezza blindando i confini” …Tu chiamala, se vuoi, Coerenza…!

 

Canton Ticino

 

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Il Canton Ticino chiude le dogane: “Stop ai ladri che vengono dall’Italia”. La fantastica risposta della Lega: “Non ha senso: non si ottiene sicurezza blindando i confini” …Tu chiamala, se vuoi, Coerenza…!

Questo è uno stralcio di un articolo che avevamo pubblicato giusto 2 anni fa, nell’aprile 2017:

Svizzera, il Canton Ticino chiude le dogane. “Stop ai ladri dall’Italia”

Gli effetti concreti saranno alla fine marginali, ma da da fine marzo e per sei mesi la Svizzera chiuderà ogni notte dalle 23 alle 5 tre valichi minori al confine con l’Italia: due in provincia di Como (Pedrinate-Colverde e Novazzano-Ronago) e uno in provincia di Varese (Ponte Cremenaga).

La decisione, autorizzata da Berna per un periodo limitato, era stata chiesta dalla Lega dei Ticinesi per “combattere la criminalità frontaliera” che entrerebbe in Svizzera dall’Italia.

“Non è sicuramente la soluzione a tutti i mali – ha spiegato la consigliera nazionale della Lega dei Ticinesi Roberta Pantani – ma rappresenta un importante tassello per una maggiore sicurezza nel nostro Cantone”.

Perplessi gli amministratori italiani di confine, come il sindaco di Colverde, il leghista Cristian Tolettini: “Ufficialmente la Svizzera non ci ha comunicato nulla e trovo incredibile un comportamento del genere. Ribadisco che si tratta di una decisione anacronistica e che non tiene conto di quanto fatto in questi anni per migliorare la sicurezza a ridosso del confine” – “Non ha senso: non si ottiene sicurezza blindando i confini”

Due anni dopo:

…E due anni dopo la Lega è al governo e blinda i confini… Tu chiamala, se vuoi, Coerenza…!

 

Pedofilia – L’emerito Ratzinger dà la colpa al ’68: “il collasso morale cominciò allora” …Crediamo sia il caso di ricordare all’Emerito lo scandalo del Coro Ratisbona diretto fratello Georg Ratzinger: centinaia di bambini molestati ben prima del ’68…!

 

Pedofilia

 

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Pedofilia – L’emerito Ratzinger dà la colpa al ’68: “il collasso morale cominciò allora” …Crediamo sia il caso di ricordare all’Emerito lo scandalo del Coro Ratisbona diretto fratello Georg Ratzinger: centinaia di bambini molestati ben prima del ’68…!

La denuncia in un testo del Papa emerito: «Fu teorizzata l’idea che fosse giusta». Sono 18 pagine di «appunti», pubblicati sul mensile tedesco Klerusblatt dopo averne parlato con Papa Francesco. Sferzano i ritardi della Chiesa: «Per molto tempo troppo garantismo a favore dei preti accusati», ma soprattutto trova il capo espiatorio di tutti i mali nella rivoluzione culturale del ’68.

Benedetto XVI denuncia un vero e proprio “collasso morale”, avvenuto a partire dal 1968, e dal quale dipende “anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente”. “Mi sono sempre chiesto – scrive Ratzinger – come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato ecclesiastico furono una conseguenza di tutti questi processi”. Nello stesso periodo iniziò anche “un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a questi processi della società”.

Vorremmo però ricordare all’Emerito un caso che ha origini ben prima del famigerato ’68.: il caso del Coro Ratisbona. Centinaia di bambini molestati e Georg Ratzinger che sapeva tutto.

Leggiamo da La repubblica di due anni fa:

Coro Ratisbona: 547 bambini vittime di violenza. Legale, Georg Ratzinger sapeva

Secondo il rapporto fatto dall’avvocato Ulrich Weber su incarico della Chiesa, 67 subirono anche abusi sessuali. Il fratello del papa emerito Benedetto XVI, è stato direttore del coro per trenta anni, tra il 1964 e il 1994.

Sono almeno 547 i bambini che, tra il 1945 e l’inizio degli anni ’90, hanno subito violenze nel coro del Duomo di Ratisbona, Il più antico coro di voci bianche del mondo e che fu anche diretto per trent’anni dal fratello del papa emerito Benedetto XVI, Georg Ratzinger.

A fornire questi numeri è stato l’avvocato Ulrich Weber, incaricato dalla Chiesa di far luce sullo scandalo, nel documento finale in cui indica che, in quel lungo periodo, bambini e ragazzi subirono violenze corporali e 67 violenze sessuali, in alcuni casi entrambe. L’indagine ha permesso di identificare 49 responsabili, anche se difficilmente ci saranno processi perché i reati sono prescritti. Nel precedente rapporto del gennaio 2016 Weber aveva riferito solo di 231 casi di abusi e maltrattamenti, con stupri, percosse e privazione del cibo.

Il rapporto del legale Ulrich attribuisce a Georg Ratzinger, delle “corresponsabilità”. Nella conferenza stampa di oggi a Ratisbona, in cui è stato presentato il rapporto, il legale, secondo la Dpa, ha affermato che all’ex direttore del coro va “rinfacciato di aver fatto finta di non vedere, e di non essere intervenuto nonostante sapesse”.

Per decenni secondo il rapporto si sarebbe creato un “sistema della paura”. L’avvocato Weber parla di una “atmosfera infernale” che si respirava nella istituzione del coro tedesco e chiama in causa il vescovo di ratisbona Ratisbona, Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona nel 2010, per il modo in cui ha gestito la vicenda subito dopo le prime denunce, criticando in particolare il fatto di non aver cercato il dialogo con le vittime e di non aver chiarito cosa stesse accadendo nella scuola del coro. Peter Schmitt, rappresentante del gruppo di presunte vittime, ha elogiato il lavoro di Weber per avere contribuito a portare alla luce i casi di violenze e maltrattamenti ma ha anche avvertito che resta una “area scura” di vittime anonime che non hanno avuto il coraggio di descrivere le esperienze subite.

“Le vittime – si legge nel nuovo rapporto sulla vicenda – hanno descritto i loro anni di scuola come una prigione, come l’inferno e come un campo di concentramento. Molti si ricordano di quegli anni come il periodo peggiore della loro vita, caratterizzato da paura e violenza”. Dopo le denunce degli anni scorsi, la diocesi ha iniziato a cooperare con l’inchiesta sugli abusi lo scorso anno e dovrà pagare un indennizzo di 20mila euro a ciascuna vittima, in maggioranza, alunni della terza e quarta elementare.

Il fratello del papa emerito Benedetto XVI, Georg Ratzinger, è stato direttore del coro per trenta anni, tra il 1964 e il 1994. “Se fossi stato a conoscenza dell’eccesso di violenza utilizzato, avrei fatto qualcosa (…) Mi scuso con le vittime”, disse in un’intervista del 2010 alla stampa tedesca, ammettendo comunque di aver anche lui dato qualche schiaffo durante i primi anni da direttore. Fra le esibizioni più famose dei Regensburger Domspatzen (i “passeri” del Duomo di Ratisbona fondati mille anni fa), quello per la presa di possesso del titolo di arcivescovo di Monaco del fratello, quello per la visita di Elisabetta II nel 1978 e per quella di Giovanni Paolo II nel 1980.

Per gli abusi due religiosi erano già finiti davanti alla giustizia tedesca: si tratta di un ex insegnante di religione e vicedirettore dell’omonimo ginnasio-liceo, cacciato nel 1958, e di un ex direttore del convitto condannato nel 1971. Entrambi sono morti nel 1984.

(Qui l’articolo di La Repubblica)

Idrissa, il richiedente asilo che ha restituito il portafogli a un pensionato: “Da noi si fa così” – …Da te, coglione… Dalle nostre parti, invece, si deve rubare, rubare, rubare, magari fino a 49 milioni, coglione…!

 

Idrissa

 

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Idrissa, il richiedente asilo che ha restituito il portafogli a un pensionato: “Da noi si fa così” – …Da te, coglione… Dalle nostre parti, invece, si deve rubare, rubare, rubare, magari fino a 49 milioni, coglione…!

Restituisce il portafogli a un pensionato: “Da noi si fa così” – Ora chi glie lo spiega a questo coglione che da noi non si fa così? In questo modo non si integrerà mai. Deve rubare, rubare, rubare, magari fino a 49 milioni…!

Trova un portafogli per terra con all’interno oltre 1300 euro in contanti e lo porta ai Carabinieri per restituirlo al legittimo proprietario. È il gesto di Idrissa Diakité, richiedente asilo di 23 anni residente a Cesate, nel milanese, e arrivato dal Mali dopo un lungo viaggio attraverso la Libia, dov’è stato incarcerato, picchiato e poi messo a forza su un gommone per l’Italia. “Da noi in Mali – racconta – se trovi qualcosa che non ti appartiene la prima cosa che fai è riportarla al suo proprietario. Ho pensato questo e così sono andato dai Carabinieri, dove fortunatamente ho incontrato il signore che aveva perso i soldi. Mi ha ringraziato molto”. Idrissa racconta poi del viaggio che lo ha portato in Italia: “In Libia sono stato in prigione, ho dovuto lavorare molti mesi. Mi dicevano che se volevo uscire dovevo pagare. Poi sono riuscito a trovare un passaggio su un’imbarcazione per l’Italia, ma una volta visto che era solo un gommone mi sono rifiutato di salire. I libici allora mi hanno messo in ginocchio, mi hanno picchiato e mi hanno gettato a bordo. È così che sono arrivato da voi”

(tratto da: https://raiawadunia.com/idrissail-richiedente-asilo-che-ha-restituito-il-portafogli-a-un-pensionato-da-noi-si-fa-cosi/)

Che dire? Questa gente non si integrerà MAI… Troppo onesti per noi…

 

 

Le “cose buone” di Mussolini? Sono solo idiozie …Come lo storico smonta le falsità dei nostalgici fascisti…!

 

Mussolini

 

 

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Le “cose buone” di Mussolini? Sono solo idiozie …Come lo storico smonta le falsità dei nostalgici fascisti…!

«Idiozie, le “cose buone” di Mussolini». Uno storico smonta le falsità fasciste

Dalle bonifiche avviate prima del duce alla presunta incorruttibilità alle leggi razziali, Francesco Filippi riepiloga in un saggio le menzogne propagandate dalla destra

«Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere». Lo proclamò Mussolini alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925. Nel 1924 i suoi sgherri avevano ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti, oppositore del fascismo, che aveva scoperto casi di corruzione che investivano i diritti su eventuali giacimenti petroliferi in Sicilia e nella pianura padana. Quel discorso fu l’inizio conclamato della dittatura fascista e a chi continua a blaterare che «fece anche cose buone» risponde un pamphlet documentato e pungente di Francesco FilippiMussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri, pp. 151, € 12,00). Dove lo studioso della mentalità che presiede l’Associazione di Promozione Sociale Deina smonta mistificazioni e menzogne diventate perfino opinioni condivise.

Corruzione e case popolari
I gerarchi e Mussolini non erano corrotti o corruttibili? «Una bugia grande e grossa. Un recente saggio di Mauro Canali e Clemente Volpini, Mussolini e i ladri di regime, è dedicato proprio alle ruberie dei gerarchi», ricorda Corrado Stajano in un articolo sul libro di Filippi sul Corriere della Sera. Il duce bonificò le paludi? Le bonifiche del Regno d’Italia erano iniziate ben prima che lui prendesse con la violenza il potere. Le pensioni? «I lavoratori ebbero diritto alla pensione dal 1919, con garanzie previdenziali fin dai tempi del governo Crispi, nel 1895», scrive ancora Stajano. E le case popolari? «La legge è del 1903: Luigi Luzzatti, deputato della destra storica, ne ebbe il merito: i fascisti furono sempre abili nell’appropriarsi delle idee di chi li aveva preceduti», dice sempre il recensore sul Corsera.

Le vittime degli “italiani brava gente” e le leggi razziali
Il duce prosciugò anche le casse del Regno per invadere paesi come l’Albania e l’Etiopia. E nelle occupazioni militari il mito degli «italiani brava gente» è stato smentito dai fatti e dalle ricostruzioni storiche documentate. In Etiopia i militari italiani lanciarono gas asfissianti «iprite, arsine, fosfene — e la micidiale bomba c-500-T, goccioline corrosive e mortali dall’odor di senape, che fece migliaia e migliaia di vittime innocenti», scrive il giornalista. Per non dire che le leggi razziali del 1938 che discriminarono gli ebrei non furono «il primo passo, ma solo una delle molte tappe del cammino razzista del totalitarismo italico», come scrive Filippi nel libro.

“Dite il falso molte volte, diventerà una verità”
Il saggio è suddiviso per capitoli che, già nei titoli, rivelano un sano atteggiamento quasi irridente: «Il duce previdente e previdenziale, Il duce bonificatore, Il duce costruttore, Il duce della legalità, Il duce economista, Il duce femminista, Il duce condottiero e statista, Il duce umanitario». E Carlo Greppi, storico e scrittore, nella prefazione “La rivincita della realtà, riflette su quanto sta accadendo oggi: «Mai come ora l’idra risolleva la testa, soprattutto su Internet, ma non solo. Frasi ripetute a mo’ di barzelletta per anni, che parevano innocue e risibili fino a non molto tempo fa, si stanno sempre più facendo largo in Italia con tutt’altro obiettivo. E fanno presa».
Infatti le prove di insulsaggine, violenza, dispotismo, meschinità, nel duce e negli esponenti del regime fascista abbondano: «La storiografia ha indagato il fascismo e la figura di Mussolini in tutti i suoi dettagli e continua a farlo. Il quadro che è stato tracciato dalla grande maggioranza degli studiosi è quello di un regime dispotico, violento, miope e perlopiù incapace. L’accordo tra gli studiosi, che conoscono bene la storia, è piuttosto solido e i dati non mancano». Non bastano, le prove storiche? «Ma chi la storia non la conosce bene – e magari ha un’agenda politica precisa in mente – ha buon gioco a riprendere quelle antiche storielle e spacciarle per verità. È il meccanismo delle fake news, di cui tanto si parla in relazione a Internet; ma è anche il metodo propagandistico che fu tanto caro proprio ai fascisti di allora: “Dite il falso, ditelo molte volte e diventerà una verità comune”», opportunamente ricorda Greppi sempre nella prefazione.

 

fonte: https://www.globalist.it/storia/2019/04/13/idiozie-le-cose-buone-di-mussolini-uno-storico-smonta-le-falsita-fasciste-2040087.html

Gli altri Stefano Cucchi – da Aldrovandi a Giuseppe Uva – Gli altri casi di abusi in divisa di cui sapete poco o niente perché questi non hanno una sorella che scrive cose che “fanno schifo” al nostro Ministro degli Interni…!

Stefano Cucchi

 

 

 

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Gli altri Stefano Cucchi – da Aldrovandi a Giuseppe Uva – Gli altri casi di abusi in divisa di cui sapete poco o niente perché questi non hanno una sorella che scrive cose che “fanno schifo” al nostro Ministro degli Interni…!

Gli altri Stefano Cucchi – I casi di abusi in divisa ancora aperti in Italia

“La criminalizzazione della vittima è una costante nei casi di malapolizia,” spiega Checchino Antonini, giornalista e attivista di ACAD(Associazione contro gli abusi in divisa). “Di questi casi si tende a parlare in termini emotivi, della pena che si prova per l’una o per l’altra parte. Si parla di onore o disonore dell’Arma, e non si indaga, per esempio, il legame con il proibizionismo o con il razzismo. Non si mette in discussione il tipo di addestramento ricevuto e non si parla del fatto che da tempo è in atto una forte criminalizzazione dei conflitti sociali. L’ossessione per il decoro e un’emergenza sicurezza che è tutto meno che un’emergenza (visto che i reati sono in continuo calo) portano a una vera e propria repressione di alcuni stili di vita.” Il migrante, il tossico, l’attivista dei centri sociali, il senzatetto, lo spacciatore diventano tutte categorie percepite come zavorre sociali (della serie “mi dispiace che sia morto MA”).

Pensiamo a quanta importanza ha avuto, nel caso Cucchi, lo stigma della droga: il tossicodipendente, il piccolo spacciatore vengono dipinti come soggetti pericolosi, non integrati nella società e sui quali, in fondo in fondo, ogni abuso di potere è giustificato. Addirittura Aldrovandi, che non era un tossico, non era un delinquente e non era nemmeno uno straniero, come in un primo momento avevano pensato i poliziotti (“Ma figurati se ti chiami Federico!”), in mancanza di meglio è stato descritto come “uno vestito da centro sociale.”

Per guardare il fenomeno da un punto di vista più generale, abbiamo cercato di raccogliere i casi di cittadini morti durante un’azione delle forze dell’ordine o sotto la loro custodia negli ultimi 15 anni (dal 2003 al 2018).

Sono tutti casi ancora aperti, oppure controversi perché liquidati in maniera troppo sommaria.

DAVIDE BIFOLCO

Cosa è successo: 5 settembre del 2014, rione Triano a Napoli. Sono le 2 di notte e una pattuglia di carabinieri si lancia all’inseguimento di tre ragazzini, tutti in sella allo stesso scooter e tutti senza casco. Secondo i carabinieri, tra di loro c’è il latitante 24enne Arturo Equabile, che smentirà più avanti. I ragazzi non si fermano all’alt, ma i carabinieri riescono a bloccarli, solo che nei momenti concitati del fermo dalla pistola del carabiniere Gianni Macchiarolo parte un colpo che che colpisce al petto Davide Bifolco, 16 anni, uccidendolo. Sembra che Macchiarolo si fosse dimenticato di inserire la sicura.

A che punto siamo nelle indagini: Il 16 ottobre 2018 i giudici della corte d’appello di Napoli hanno dimezzato la pena a Gianni Macchiarolo, che in primo grado era stato condannato a 4 anni e 4 mesi. La condanna è ora ridotta a 2 anni con la pena sospesa. “Se questa è la giustizia italiana allora siamo rovinati: Davide è stato trattato così perché è figlio delle periferie,” ha commentato Gianni Bifolco, padre di Davide. “Ho perso un figlio di 16 anni senza un perché,” dice ancora e poi, rivolgendosi a Macchiarolo: “Vorrei sapere mio figlio cosa ti ha fatto, non sei neanche venuto a chiedere scusa.” Dopo la sentenza, nel suo quartiere è stato organizzato un presidio di protesta. Da settembre è in libreria Lo sparo nella notte di Riccardo Rosa, un libro che ricostruisce la vicenda.

Il suo caso è molto simile a quello di Mario Castellano, 17enne morto nel 2000 sempre a Napoli. L’agente di polizia che ha ucciso Castellano però è stato condannato in via definitiva a 10 anni con l’accusa di omicidio volontario.

GIUSEPPE UVA

Cosa è successo: La notte del 13 giugno 2008 un operaio 43enne di Varese viene fermato mentre, con un amico, sta spostando delle transenne in mezzo alla strada. Vengono portati entrambi in caserma e da lì Uva viene trasportato all’ospedale con un TSO. La mattina dopo muore nel reparto di psichiatria, in seguito a un attacco cardiaco. Il corpo presenta diversi lividi: sul viso, sulla mano, sul fianco. I testicoli sono tumefatti. L’amico Alberto sostiene di aver sentito Giuseppe urlare e chiamare aiuto quando si trovavano entrambi in caserma.

A che punto siamo nelle indagini: I due carabinieri e i sei poliziotti finiti sotto processo sono stati tutti assolti in primo grado e, a maggio 2018, anche in appello. La sorella Lucia, commentando la svolta nel caso Cucchi, ha detto: “Il muro caduto su Stefano mi dà giustizia anche per Giuseppe. Ma so che chi l’ha ucciso non confesserà.” Lei comunque è determinata a ricorrere in cassazione.

MARCO GUERRA

Cosa è successo: È il 15 luglio del 2015 a Carmignano di Sant’Urbano, un paesino sul confine tra Rovigo e Padova. Mauro Guerra, 32 anni, viene convocato alla caserma dei carabinieri che vogliono imporgli un TSO, non si sa bene su richiesta di chi. Mauro non ne vuole sapere. Il tira e molla tra lui e i carabinieri dura ore e li porta fino a casa della famiglia di Mauro, che si ritrova assediata da una decina di carabinieri. Dopo tre ore, Mauro sembra non poterne più e si lancia in una fuga nei campi, inseguito dai carabinieri. Un carabiniere lo raggiunge e lo prende per un polso, Guerra lo colpisce e un altro carabiniere, il maresciallo Marco Pegoraro, gli spara a distanza ravvicinata. Il corpo rimane a terra per quasi tre ore. Nessuno verifica i parametri vitali e nessuno permette ai familiari, presenti durante tutta l’operazione, di avvicinarsi.

A che punto siamo nelle indagini: Rinviato a giudizio nel 2017, il maresciallo Marco Pegoraro è tuttora sotto processo con l’accusa di omicidio per eccesso colposo di legittima difesa. Quest’estate Chi l’ha visto? ha mandato in onda per la prima volta dei video dell’accaduto. Dopo gli spari, si sente distintamente un dialogo: “Lo hai beccato, maresciallo?”, chiede il carabiniere “Sì.” risponde Pegoraro. “Hai fatto bene, marescià, hai fatto bene. Quel bastardo, figlio di t***a.”

RICCARDO MAGHERINI

Cosa è successo: La notte del 3 marzo del 2014, in una stradina di Borgo San Frediano, nel centro storico di Firenze, l’ex calciatore Riccardo Magherini viene bloccato dai carabinieri. Sembra abbia assunto della cocaina, in ogni caso è in preda a una forte paranoia. Ha addirittura rubato un cellulare a un cameriere per chiamare aiuto. I due carabinieri lo trattengono, lo ammanettano a terra e iniziano a prenderlo a calci nell’addome, mentre lui continua a gridare aiuto: “Vi prego, ho un figlio!” Qualcuno si affaccia alle finestre e riprende la scena. Intanto arriva un’ambulanza, che non interviene. Poi ne arriva un’altra, ma è tardi: Magherini è già morto per asfissia posturale, come stabilirà l’autopsia (nonostante all’inizio si sia cercato di dare la colpa alla cocaina).

A che punto siamo nelle indagini: Il processo si è concluso con la condanna in primo grado, confermata in appello, a otto mesi per “cooperazione in omicidio colposo” per i due carabinieri. L’avvocato Anselmo ha però chiesto l’annullamento della sentenza e un nuovo processo, questa volta per omicidio preterintenzionale, che tenga conto delle percosse come causa della morte.

ALDO BIANZINO

Cosa è successo: 12 ottobre 2007. La polizia arriva al casale della famiglia Bianzino, nel bel mezzo della campagna umbra. Aldo Bianzino fa il falegname, ha 43 anni e vive con la compagna Roberta, il figlio Rudra e l’anziana madre di lei. È pacifista e appassionato di filosofie orientali. Durante la perquisizione viene trovata una piccola coltivazione casalinga di marijuana. Aldo e Roberta sono arrestati e portati nel carcere perugino di Capanne. 48 ore dopo Aldo è morto. Roberta invece viene scarcerata e quando chiede di vedere il compagno le viene risposto: “Martedì, signora. Dopo l’autopsia.”

A che punto siamo nelle indagini: Il decesso è stato attribuito a un aneurisma. Nel 2009 l’indagine per omicidio è archiviata e nel 2015 l’agente Gianluca Cantoro è condannato a un anno di carcere per omissione di soccorso. Una prima perizia del medico legale di parte, però, aveva rilevato danni cerebrali e danni al fegato. L’ipotesi era di pestaggio con tecniche militari.

Maggio 2018. Rudra Bianzino, ora 25enne, ha deciso di chiedere la riapertura del processo per la morte del padre, alla luce di nuove perizie mediche, effettuate nel 2017, secondo le quali la causa di morte sarebbe un’emorragia subaracnoidea provocata “non da un aneurisma ma da un trauma.”

KAYES BOHLI

Cosa è successo: 5 giugno 2013, Riva Ligure. Sono le 19.05 quando una telefonata anonima al 112 denuncia attività di spaccio nel piazzale del supermercato Lidl. I tre carabinieri che vanno sul posto ci trovano Bohli, pregiudicato tunisino di 36 anni, che tenta di resistere all’arresto, ma viene immobilizzato, caricato in auto e portato alla caserma di Riva Ligure. Durante il breve tragitto perde conoscenza. Un’ora e mezza più tardi è al pronto soccorso, morto per asfissia. Dopo circa un mese, un anonimo fa circolare una foto di Bohli ferito in caserma, poco prima dell’arrivo dell’ambulanza. C’è anche una “didascalia”: “Ecco come ha massacrato il tunisino.”

A che punto siamo nelle indagini: Dopo che i tre militari sono stati prosciolti in sede di udienza preliminare, il PM Cavallone ha deciso di ricorrere in Cassazione. Il risultato è stato il il proscioglimento di un carabiniere, Di Sipio, e il rinvio a giudizio degli altri, Ventura e Palumbo. Il procedimento a loro carico è ancora in corso.

STEFANO CABIDDU

Cosa è successo: 20 luglio 2003. Roncadelle, in provincia di Brescia. Dietro al centro commerciale Brescia 2000, tra la tangenziale e il fiume Mella, c’è un boschetto di robinie inghiottito dal buio, dove due carabinieri stanno svolgendo un’ispezione armati di torcia e di pistola. I due sentono delle voci, percepiscono dei movimenti, poi un grido e dalla pistola di uno dei due parte il colpo che uccide Stefano Cabiddu, operaio 23enne. Cosa ci faceva Cabiddu in quel boschetto? Niente di losco. Aveva passato la giornata a Brescia con i due fratelli e lungo la strada di casa si erano fermati in quell’area appartata per un banale bisogno fisiologico. Il fratello Raffaele, vedendo qualcuno spuntare nel buio, si era spaventato e aveva urlato.

A che punto siamo nelle indagini: Nel 2004 il caso è stato archiviato senza nemmeno un processo. Il procuratore capo di Brescia Giancarlo Tarquini lo ha definito “un doloroso incidente”.

CRISTIAN DE CUPIS

Cosa è successo: È la mattina del 12 novembre 2011. Cristian de Cupis, 36 anni, viene trovato morto nel suo letto nel reparto protetto dell’ospedale Belcolle di Viterbo. Tre giorni prima, il 9 novembre, era stato arrestato dalla Polizia ferroviaria mentre si trovava alla stazione Termini di Roma, per via del suo comportamento violento nei confronti di alcuni passanti e della stessa polizia. Dopo alcune ore era stato trasportato al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito. Sul corpo ha numerose escoriazioni dovute ai tentativi di sottrarsi all’arresto, dicono gli agenti. Ma ai medici del pronto soccorso de Cupis dice di essere stato vittima di un pestaggio. Il decesso viene refertato come arresto cardiocircolatorio. La famiglia viene a sapere del suo arresto soltanto alla comunicazione della morte.

A che punto siamo nelle indagini: Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha fatto notare diverse circostanze poco chiare nella procedura di arresto e ha rivelato l’esistenza di un testimone del pestaggio a cui de Cupis sarebbe stato sottoposto alla stazione. Nonostante ciò non è mai stato aperto un procedimento penale.

ABDERRAHMAN SALHI

Cosa è successo: 23 maggio 2011, Montagnana, provincia di Padova. Dalla sponda del Frassine un contadino nota un corpo a faccia in giù nelle acque del fiume. Si tratta di Abderrahman Salhi, 24 anni, marocchino, senza fissa dimora. Gli amici con cui condivideva una baracca non avevano sue notizie da nove giorni: l’ultima volta l’avevano visto salire su una macchina dei carabinieri. Era la sera della “Festa del prosciutto” e Abderrahman si era ubriacato e aveva dato fastidio a qualche residente. Forse è caduto nel fiume per errore. Ma proseguendo con le indagini, viene fuori che Abderrahman nel fiume non ci è finito per conto suo, ce l’hanno messo i carabinieri, secondo una prassi informale che in quel periodo andava di moda nel padovano: quella di dare “una rinfrescata d’idee” a ubriachi e senzatetto, immergendoli con la forza nelle acque gelide del Frassine. Almeno sette i casi documentati.

 A che punto siamo nelle indagini: L’inchiesta per omicidio colposo è stata archiviata nel 2012, perché l’autopsia ha rilevato segni compatibili con una caduta.

A tutti questi si aggiungono casi più recenti, come la morte sospetta di un detenuto moldavo nel carcere di Terni, a settembre, o come Jefferson Tomalà, ucciso a maggio nella sua abitazione durante un TSO. Per la cronaca, il carabiniere che gli ha sparato ha recentemente aggredito anche un profugo ipovedente, spruzzandogli prima del peperoncino negli occhi. Il tutto, sembra, per via di “un equivoco.”

Naturalmente, rassegne di questo tipo tendono a essere incomplete, anche perché sono molti i casi che non catturano l’attenzione mediatica e restano confinati nella cronaca locale. Inutile dire che in questa categoria rientrano molti stranieri. Nel 2005, per esempio—l’anno della morte di Federico Aldrovandi—muoiono anche due immigrati nel giro di due mesi. Un 26enne tunisino a Milano, vittima del colpo accidentale della pistola di un finanziere, e un senegalese a Torino, ucciso da un agente di polizia durante un semplice controllo.

Nel 2006 invece viene ucciso Giuseppe Laforè, sinti di 51 anni. Non si era fermato al posto di blocco. Come per Pasquale Guadagno (ucciso nel 2007), anche per Laforè è difficile trovare informazioni su come si sia concluso l’iter giudiziario. E lo stesso vale per Aziz Amiri, ucciso nel 2010.

Il conto poi si potrebbe integrare con i suicidi nelle carceri, alcuni sospetti o poco chiari, come quelli di Carmelo Castro (2009), di Niki Aprile Gatti (2008), di Stefano Frapporti (2009) o di Francesco Smeragliuolo (2013). O con i morti in carcere per condizioni di salute trascurate, omissioni di soccorso o per circostanze ancora più nebulose, come Riccardo Boccaletto (2007), Simone La Penna (2009) e Carlo Saturno (2011).

Passando in rassegna tutti questi casi, emergono alcune osservazioni. Una prima evidenza sono le circostanze ricorrenti. Spesso sono coinvolte le procedure farraginose che ancora regolano il Trattamento sanitario obbligatorio (TSO)oppure ci si trova in presenza di una gestione del posto di blocco ancora figlia delle Legge Reale degli anni di piombo. Tommaso della Longa, autore insieme ad Alessia Lai di Quando lo Stato uccide, sottolinea un altro aspetto che lascia spiazzati: la quasi totale impunità di cui godono colleghi e testimoni che hanno mentito sullo svolgimento dei fatti. Per paura, o in nome di quello spirito corporativo tanto diffuso nelle forze dell’ordine.

In quasi tutti questi casi, d’altronde, come spiega l’avvocato Fabio Anselmo, “gli imputati in divisa sono oggetto delle indagini compiute dai loro stessi colleghi.” Tommaso della Longa, a proposito, ricorda il caso paradossale di Riccardo Rasman: il PM aveva affidato le indagini proprio agli stessi tre agenti che erano intervenuti per il TSO del ragazzo.

Ho chiesto sia a Tommaso della Longa che a Checchino Antonini se la svolta nel caso Cucchi può rappresentare un precedente significativo per altri casi del genere. Della Longa non è convinto ma vuole essere ottimista. A dargli speranza è soprattutto il fatto che “la consapevolezza nel grande pubblico sta crescendo e l’opinione pubblica sta cambiando radicalmente. Soprattutto, le persone si sono rese conto di avere a disposizione un’arma potente: la videocamera dei propri smartphone, e sanno meglio come tutelarsi.”

Antonini è più pessimista: “Ogni processo ha un iter diverso, e questo è giusto. Restano invece uguali il clima e la mentalità. In particolare l’idea introiettata dalle forze dell’ordine di dover fare il lavoro sporco al posto tuo.” È questo il primo pensiero che deve essere sradicato.

 

fonte: https://www.vice.com/it/article/43eenp/casi-di-abusi-in-divisa-ancora-aperti-in-italia?utm_campaign=sharebutton&fbclid=IwAR0EE_yGWxh8OGZ4LSpgA3F4GGtCesRNtWpEeB6Y2Qshq5RfR6BtGIS5RSE

 

 

 

Gli smemorati di Berlino (tutti i debiti che la Germania non ha mai pagato)

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Gli smemorati di Berlino (tutti i debiti che la Germania non ha mai pagato)

La Germania, che fa tanto la moralizzatrice con gli altri Paesi europei, è andata in default due volte in un secolo e le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per consentirle di riprendersi. Fra i Paesi che le hanno condonato i debiti, la Grecia, prima di tutto, che pure era molto povera, e l’Italia.

Dopo la Grande Guerra, John Maynard Keynes sostenne che il conto salato chiesto dai Paesi vincitori agli sconfitti avrebbe reso impossibile alla Germania di avviare la rinascita. L’ammontare del debito di guerra equivaleva, in effetti, al 100% del Pil tedesco. Fatalmemte, nel 1923 si arrivò al grande default tedesco, con l’iperinflazione che distrusse la repubblica di Weimar. Adolf Hitler si rifiutò di onorare i debiti, i marchi risparmiati furono investiti per la rinascita economica e il riarmo, concluso, come si sa, con una seconda guerra, ben peggiore, in seguito alla quale a Berlino si richiese un secondo, enorme quantitativo di denaro da parte di numerosi Paesi. L’ammontare complessivo aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora!)

La Germania sconfitta non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre, peraltro da essa stessa provocate.

Mentre i sovietici pretesero e ottennero il pagamento della somma loro spettante, fino all’ultimo centesimo, ottenuta anche facendo lavorare a costo zero migliaia di civili e prigionieri, il 24 agosto 1953 ben 21 Paesi, Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia, con un trattato firmato a Londra le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto. L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie, ma nel 1990 l’allora cancelliere Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo, che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto.

Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro.

Senza l’accordo di Londra che l’ha favorita come pochi, la Germania dovrebbe rimborsare debiti per altri 50 anni. E non ci sarebbe stata la forte crescita del secondo dopoguerra dell’economia tedesca, né Berlino avrebbe potuto entrare nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Quindi: che cos’ha da lamentare la Merkel, dal momento che il suo Paese ha subito e procurato difficoltà ben maggiori e che proprio dall’Italia e dalla Grecia ha ottenuto il dimezzamento delle somme dovute per i disastri provocati con la prima e la seconda guerra mondiale? La Grecia nel 1953 era molto povera, aveva un grande bisogno di quei soldi, e ne aveva sicuramente diritto, perché aggredita dalla Germania. Eppure… Perché nessun politico italiano ricorda ai tedeschi il debito non esigito?

Roberto Schena su Informare per resistere

Fontana non riconosce i figli delle coppie gay… Per forza, deficiente, sono uguali agli altri…!

 

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Fontana non riconosce i figli delle coppie gay… Per forza, deficiente, sono uguali agli altri…!

 

È scontro nel governo sul riconoscimento dei figli delle coppie gay. Se il ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana ricorda che è vietato dalla legge, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Vincenzo Spadafora invita Fontana ad aprire «un dialogo culturalmente serio» per evitare che il paese «torni dieci anni indietro». E Di Maio ci mette una pietra sopra: «Non ci occuperemo di queste materie in questa legislatura perché siamo in disaccordo» con la Lega.

Fontana, illustrando le linee del suo dicastero alla prima audizione della Commissione Affari sociali, sottolinea che la maternità surrogata, alla quale ricorrono coppie gay all’estero per avere figli, è vietata in Italia «anche penalmente» come è vietato, «e tale dovrebbe rimanere», riconoscere «i bambini concepiti all’estero da parte di coppie dello stesso sesso». Parole che scatenano inevitabili polemiche.

Il sottosegretario Spadafora chiede di «fermare la propaganda» perchè «non esistono bambini di serie A o di serie B e tutti devono essere tutelati». Di Maio: «Se Fontana dice che l’utero in affitto in Italia è illegale dice una verità poi ci sono i bambini e questi bisogna tutelarli» però poiché con la Lega su questi temi non c’è stato accordo, durante questa legislatura non ci saranno leggi su questi temi.

A schierarsi contro le parole di Fontana anche la sindaca M5S di Torino Chiara Appendino. «Siamo orgogliosi che Torino sia stata la prima città italiana a consentire alle coppie omogenitoriali di veder riconosciuto il diritto ai loro figli di avere entrambi i genitori -dice- e continueremo a farlo». Fontana riceve invece l’endorsement del ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Fino a quando io sarò ministro gameti in vendita ed utero in affitto non esisteranno come pratica, sono reati. Difenderemo in ogni sede immaginabile il diritto del bambino di avere una mamma ed un papà».

Reagiscono le Famiglie Arcobaleno per voce della presidente Marilena Grassadonia: «La fecondazione eterologa, oggi non prevista nella legge 40 per le coppie omosessuali, prevede però che lo status dei figli debba essere riconosciuto e tutelato, qualunque sia il sesso dei genitori. Se la società va più avanti della politica – aggiunge – allora vuol dire che la politica è un problema. Rimandiamo le parole del ministro, piene di pregiudizi, ideologie e convinzioni personali, al mittente perché non si muovono nell’interesse del minore».

Duro anche il commento del presidente di Arcigay Gabriele Piazzoni: «La misura è colma: Salvini e Fontana la smettano di fare propaganda sulla pelle dei bambini. Sono i Tribunali a ordinare il riconoscimento di quei bambini, perché l’interesse del minore viene prima di tutto, specie delle squallide campagne di consenso dei ministri leghisti». Anche un papà illustre come Nichi Vendola, che con il marito ha avuto un figlio tramite la maternità surrogata, non tace di fronte alle parole del ministro: «Le parole di Fontana sono frutto di ignoranza e di intolleranza. Purtroppo per lui, nessuno potrà cancellare le nostre famiglie e i nostri figli». E così il presidente dell’Anci Antonio Decaro: «No a bambini di serie B. Diritti e tutele sono obbligo dello Stato. I sindaci, ancora una volta, hanno avuto il coraggio di imporre all’attenzione generale un tema sul quale il legislatore è in ritardo». Le parole di Fontana sono piaciute al senatore di Fi Maurizio Gasparri che parla di «turpe tratta delle donne per appagare le coppie gay». Ma il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci non concorda: «Il ministro Fontana faccia le sue battaglie ideologiche ma per favore lasci stare i bambini. Impedire il riconoscimento dei figli delle coppie gay sarebbe un ritorno al Medioevo».