Nel ’47 un operaio guadagnava 1/3 dello stipendio di un politico. Oggi 1/13… Vi sembra normale?

 

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Nel ’47 un operaio guadagnava 1/3 dello stipendio di un politico. Oggi 1/13… Vi sembra normale?

 

Nel 1947 a Montecitorio si discuteva l’articolo 69 della Costituzione, quello relativo allo stipendio dei parlamentari. Allora i rappresentanti del popolo italiano guadagnavano il corrispettivo di un precario odierno: “25 mila lire al mese, circa 800 euro – racconta un articolo pubblicato sul sito dell’Espresso LINK. Più un gettone di presenza da 1.000 lire al giorno (30 euro), ma solo quando le commissioni si riunivano in giorni differenti rispetto all’Aula”. Il totale è presto fatto: i costituenti non riuscivano a portare a casa più di 1.300 euro al mese.

Certo, il Paese era nettamente più povero, ma sicuramente più equilibrato rispetto allo stato delle cose attuale. Un operaio di terzo livello guadagnava qualcosa come 13 mila lire al mese, un terzo di un deputato. Mentre 70 anni dopo, come dimostra la tabella elaborata dall’Espresso, chi siede in Parlamento guadagna quasi 10 volte di più di un impiegato e 13 più di una tuta blu.

Nel primo dopoguerra, il fatto che i parlamentari ricevessero un compenso per il loro operato era considerato una garanzia di indipendenza e democrazia. In questo modo anche i meno abbienti potevano partecipare alla vita politica. Ma vista la drammatica situazione in cui versava il Paese, nel 1946 la somma fu fissata alla modesta cifra di 25 mila lire al mese. L’aumento repentino dell’inflazione, però, fu tale che in pochi mesi lo stipendio toccò quota 50mila lire.

“La prima legge sul tema, varata nell’estate 1948 dal governo De Gasperi – racconta l’Espresso – è figlia di questa mentalità che allora ispirava la giovane e fragile democrazia italiana: ‘Ai membri del Parlamento è corrisposta una indennità mensile di L. 65.000, nonché un rimborso spese per i giorni delle sedute parlamentari alle quali essi partecipano’. Tradotto ai giorni nostri: 1.230 euro fissi più un gettone da 100 euro scarsi al giorno (5mila lire) legato alla presenza effettiva. Togliendo fine settimana più i lunedì e i venerdì, in cui le convocazioni sono rare, non più 2.500 euro al mese dunque”.

L’aria cambiò nettamente a partire dal 1955, quando il governo Segni emanò la legge sulle “Disposizioni per le concessioni di viaggio sulle ferrovie dello Stato”. “Un privilegio al quale, col passare del tempo si sarebbero aggiunti una innumerevole serie di altri benefit – molti ancora esistenti – dai biglietti aerei alla telefonia fissa (e poi mobile), dalle tessere autostradali agli sconti sui trasporti marittimi. E così nel 1963, in appena 15 anni, grazie ai bassi salari che furono alla base del miracolo economico, col suo mezzo milione al mese un parlamentare era già arrivato già a guadagnare il quintuplo di un impiegato (il cui salario si aggirava sulle 100 mila lire) e otto volte più di un operaio(poco sopra le 60 mila lire)”.

L’esplosione dei redditi dei nostri rappresentanti avvenne nel 1965, con presidente del Consiglio Aldo Moro e vicepresidente il socialista Pietro Nenni. Lo stipendio veniva infatti agganciato a quello dei presidenti di sezione della Cassazione (con imposta pari al solo 40%) e fu istituita per la prima volta la diaria (esentasse) per il rimborso delle spese di soggiorno nella capitale di 120 mila lire (1.250 euro di oggi)che, siccome la legge non lo specificava, fu accordata anche per chi risiedeva a Roma ed è così ancora oggi, sia pure con qualche modifica.

Un deciso “passo avanti” ci fu anche col governo Craxi e il taglio della scala mobile. È l’inizio della fine. Da allora sono passati circa 30 anni e il valore della busta paga dei politici è raddoppiato. Dai corrispettivi 7 mila euro degli anni ‘80, siamo giunti agli attuali 14 mila euro mensili, mentre lo stipendio medio di un impiegato ai giorni nostri è di 1.500 euro al mese e quello di un metalmeccanico non è mai cresciuto, restando intorno ai 1.110/1.200 euro al mese.

E non è tutto: ogni mese lo Stato spende quasi 8 milioni di euro per i vitalizi dei politici, tra cui quelli condannati. Per questo Riparte il futuro ha lanciato la campagna #stopvitalizio.Un condannato per mafia riceve ogni mese circa 4 mila euro. E se quel che guadagna un normale politico è incredibilmente eccessivo, questo è invece inaccettabile. Per questo bisogna essere sempre di più a pretendere che questa assurda pratica termini.

 

fonte: https://www.riparteilfuturo.it/blog/articoli/nel-1947-un-operaio-guadagnava-un-terzo-dello-stipendio-di-un-politico-oggi-ne-guadagna-un-tredicesimo

“Questo Governo è nemico della libertà” …Lo ha dichiarato Silvio Berlusconi, quello condannato in via definitiva per frode fiscale e che per 20 anni ha pagato Cosa Nostra…!

 

Berlusconi

 

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“Questo Governo è nemico della libertà” …Lo ha dichiarato Silvio Berlusconi, quello condannato in via definitiva per frode fiscale e che per 20 anni ha pagato Cosa Nostra…!

Non saremo certo noi a tessere le lodi di questa spece di Governo schiavo di Salvini. Ma che un delinquente come Silvio Berlusconi possa oggi ancora parlare, ci sembra uno dei più meschini paradossi della nostra povera Nazione…

Leggiamo sui giornali di oggi:

Berlusconi: “M5s è peggio della sinistra, è nemico della libertà” | “Da Salvini frasi sgradevoli e inaccettabili”

Il leader di Forza Italia, parlando dalla kermesse di Fiuggi, ha però ribadito come il centrodestra sia unito. E non ha escluso di potersi candidare alle europee

e ancora:

Conte risponde a Berlusconi: “L’Italia è in buone mani ci lasci lavorare”

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte difende l’operato del governo dagli attacchi di Forza Italia: “Berlusconi stia tranquillo, l’Italia è un buone mani. Lui ha avuti tanti lustri per governare, ora ci lasci l’opportunità di lavorare”.

ma Vi ricordiamo anche:

Silvio Berlusconi e la mafia: vent’anni di soldi in nero (ma nessuno ne parla)

Le verità scomode sul leader di Forza Italia: dal patto con i boss per assumere ad Arcore il mafioso Vittorio Mangano, al lavoro sporco di Marcello Dell’Utri, condannato perché portava a Cosa Nostra le buste di denaro di Silvio, ogni sei mesi, dal 1974 al 1992. Fatti comprovati e accertati in tutti i gradi di giudizio, ma ignorati nella  campagna elettorale

…E questo delinquente deve fare la morale al Governo? Si permette ancora di parlare? Vuole ancora scendere in capo perché la gente glie lo chiede? E chi? Mafiosi e evasori fiscali che vogliono altri regali?

Signori, questa è l’Italia e questo è Silvio Berlusconi, prossimamente sui manifesti elettorali…!

Paolo Barnard: questo non è più giornalismo, io mi chiamo fuori

Paolo Barnard

 

 

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Paolo Barnard: questo non è più giornalismo, io mi chiamo fuori

 

Il 14 agosto crolla il ponte Morandi. Il 14 settembre “Bloomberg” pubblica i dati economici sull’Irlanda, eccoli: è l’economia Ue che cresce meglio, al 9%; i consumi sono floridi a un più 4,4%; vola l’export con un più 11%. Due colossali quesiti si presentano al giornalista: cosa davvero è accaduto nella storia ingegneristica, amministrativa e politica di quel ponte? Com’è possibile che una delle nazioni più devastate dalle Austerità della Troika dell’euro, con crolli in povertà da Terzo Mondo nel periodo post crisi 2008, sia oggi un’oasi di crescita addirittura molto al di sopra della Germania o Stati Uniti? Morandi: il cronista riporta ciò che appare evidente, è crollato un ponte, morti, feriti, reazioni politiche e civili. Il reporter d’inchiesta inizia il suo lavoro con ricerca di documenti, di testimoni, di periti, possibilmente soffiate, quindi viaggia incessantemente, bivacca nelle strade del disastro, spia, attende (ripeto: attende), perché nell’immediato è ovvio che nessuno si fa avanti con nozioni cruciali. Poi mette assieme i pezzi, ma deve verificare tutto, incrociare, discuterne con la redazione, e solo dopo tutto questo scrivere o montare il pezzo finale. Passano settimane come minimo, meglio mesi.

Irlanda: il cronista riporta ciò che appare evidente, dati, reazioni politiche e civili. Il reporter d’inchiesta inizia il suo lavoro, si reca sul posto, verifica presso aziende, famiglie, sindacati, Ong, tocca i maggiori settori di produzione ed impiego fin nelle campagne o porti di mare, poi sente la politica, poi i tecnocrati di almeno due parti avverse. Questo significa stare in Irlanda settimane, hotel, voli, una redazione che facilità i contatti con gli accrediti, e molto altro. Poi mette assieme i pezzi, ma deve verificare tutto, incrociare, discuterne con la redazione, e scrivere o montare il pezzo finale. Passano settimane come minimo. Questo è il giornalismo, e per essere tale esso richiede i 3 postulati che seguono, fate assoluta attenzione: A) Coraggio, intelligenza e saper attendere prima di “sparare”: B) Una segreteria di redazione “coi controcoglioni” che sappia lavorare 24/7, nel contesto di una testata almeno minimamente libera di aggredire i poteri; C) Mezzi economici a sostegno sia del reporter che dei costi di un’inchiesta, senza i quali mai e poi mai il lavoro avrà i minimi crismi di serietà.

Oggi nel marasma allucinato e demenziale del “Facebook-journalism”, “Twitter-journalism” in “Google-journalism”, passati 120 minuti dal crollo di mezzogiorno del Morandi una calca impazzita di grotteschi personaggi, ragazzetti e ragazzine auto proclamatisi ‘esperti’ o commentatori, esaltati, semi-giornalisti con tanto di tessera, infarciti di Google search e ‘factoids’ avevano già pubblicato sui media online e sui Social i fatti, le indagini, le denunce, i nomi, i responsabilità e le sentenze. Centoventi minuti dopo il crollo. Idem per l’Irlanda: ecco i perché, i per come, e chi dice il vero su Austerità ed euro. Al loro seguito masse imbecilli di pubblico stolto che proclama “ecco la verità!”, parrocchie, sette, curve ultras, patetici monoteisti di verità inesistenti… Questo fa schifo, pari-pari, non ci sono altri termini, e sta al giornalismo come la pozione del Circo Barnum sta alla neurochirurgia.

Io nacqui come giornalista e reporter negli anni’80, mi consolidai negli anni ’90 a “Report”, e nella mia vita ho messo assieme questo lavoro. Il pubblico mi ha giudicato in 30 anni. Fino al 2004 io beneficiai dei 3 postulati di cui sopra. Nel 2008 ripresi sui temi economici, con alle spalle almeno un team di esperti conclamati internazionali che validavano ciò che divulgavo. Dal 2016, per motivi che non sono qui pertinenti, ho perso anche quelli. In questi due anni sono stato ridotto anche io al “Google-journalism” da forze maggiori – nessuno mi pubblica o chiama più, né venivo pagato quando mi chiamavano, non ho reddito effettivo dal 2004, no redazione né rimborsi spese, zero. No, io così non ci sto più, io non nacqui “Google-Twitter-Social personaggino sbraitante”. Ero un giornalista. Ogni giorno mi sento morire davanti al pc, ma soprattutto ogni giorno sono perseguitato dall’idea che, in questo miserabile modo, anche io, Paolo Barnard con quel curriculum, finisco per ingannare chi mi legge e crede di star leggendo vero giornalismo. Non lo è.

Ancora oggi vengo fermato in strada da fans che letteralmente mi osannano, per non parlare delle mail che ricevo da tutta Italia. Ogni singola volta mi sento sprofondare, vorrei gridargli che io non sono più, non posso più essere giornalista, basta attendervi ciò che non posso più darvi, mi vergogno a pubblicare in ’ste miserabili condizioni. Soprattutto, io non ho lavorato trent’anni e rischiato sia la mia pelle che di essere rovinato assieme a tutta la mia famiglia per ritrovarmi abbinato a ’sti pagliacci web oggi sgomitanti famosetti sbraitanti che si spacciano per giornalisti, che voi osannate e i cui nomi manco serve fare, visto che campeggiano 24/7 dappertutto. Basta. Io con molta lentezza continuerò a pubblicare idee, ma sia scolpito nella pietra che ciò che ogni tanto pubblicherò non è giornalismo. Tenetevi la marmaglia del ‘giornalismo’ web o Tv che sia, e la vostra demente idea di cosa sia essere informati. Io mi chiamo fuori.

(Paolo Barnard, estratto dal post “Questo non è più giornalismo, io mi chiamo fuori”, pubblicato sul blog di Barnard il 15 settembre 2018).

 

“Rivieni avanti, aretina” – Assolutamente da leggere, perchè quando la penna di Marco Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

 

Marco Travaglio

 

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“Rivieni avanti, aretina” – Assolutamente da leggere, perchè quando la penna di Marco Travaglio si imbatte nell’aretina pidiota è una goduria da orgasmo!

Leggi anche:

Fantastico Marco Travaglio: “Vieni avanti, aretina”

Rivieni avanti, aretina di Marco Travaglio

Avevamo giurato, e sperato, di non occuparci mai più di Maria Etruria Boschi, lasciando agli storici la pratica di compilarne un breve profilo nel reparto “Minori del Novecento”.

“Avvocaticchia della provincia aretina, classe 1981, inopinatamente promossa da Renzi nel 2014 ministra delle Riforme e Rapporti col Parlamento, e nel 2016 dall’incolpevole Gentiloni sottosegretaria a Palazzo Chigi, è nota per due crac: quello della Banca Etruria vicepresieduta e amministrata dal padre e quello della riforma costituzionale scritta a quattro piedi con Verdini e respinta con perdite dagli italiani. Rieletta a viva forza nel 2018 a Bolzano, dove ancora non la conoscevano, e munita per precauzione di ben 5 collegi-paracadute sparsi per l’Italia, fece perdere le sue tracce durante la sua seconda e ultima legislatura, poi tornò alla materia primigenia: il nulla”.

Ma dobbiamo fare un’eccezione, perché la signorina ha concesso ben 6 pagine d’intervista al Sette diretto da Severgnini, annunciata in pompa magna col titolo “La nuova vita di MEB”. Vita, naturalmente, si fa per dire.

Chi scorre le risposte, ma soprattutto le domande di Stefania Chiale, è colto da una sensazione strana e straniante: quella che l’intervistata debba placare i bollenti spiriti dell’adorante intervistatrice. Alla quarta riga, per dire, la Chiale già stigmatizza “la violenza degli attacchi personali durante la vicenda Etruria”, guardandosi bene dal rammentare di che sta parlando: cioè di una ministra che non dovrebbe occuparsi di banche, giura in Parlamento di non essersi mai occupata di banche e invece viene colta col sorcio in bocca a raccomandare – tra una mezza dozzina di banche fallite – proprio quella paterna. Il dg Bankitalia, il presidente Consob e l’ex ad Unicredit – auditi in commissione Banche – la dipingono come una specie di stalker che, appena li incontrava, prima ancora dei saluti, li implorava di salvare la banca di papi.

Ora, con gran sollievo degli italiani, soprattutto degli aretini, si occupa d’altro: “L’Onorevole (maiuscolo, ndr) Boschi sta finendo l’intervento in Aula (maiuscolo, ndr) sui vaccini”. Sono soddisfazioni. Ma preferiva fare la ministra: “Politicamente si stava meglio prima, su questo non c’è dubbio!” , afferma in lieve controtendenza con l’elettorato. Però il nuovo status non è male: “Negli anni di governo non ho mai spento il cellulare” (chiamava per Etruria pure di notte). Una vita d’inferno: “Ero abituata a svegliarmi più volte di notte per non perdere telefonate o messaggi quando ho avuto anche la responsabilità della Protezione Civile”.
Oddio, questa l’avevamo proprio rimossa: la Boschi alla Protezione civile. Fortuna che Madre Natura invece lo seppe e fu così gentile da risparmiarci in quel lasso di tempo altri disastri: bastava la Boschi.

Invece, “il 1° giugno, quando si è insediato il nuovo governo, ho spento il telefono per la prima volta”. Anche perché erano settimane che non chiamava nessuno. E dire che, nel 2014, un sito di squilibrati l’aveva infilata addirittura “nella lista dei 28 personaggi che stanno cambiando l’Europa”. Chissà che si erano fumati.

Altra perla: “Siamo stati più noi nelle periferie del M5S”, e infatti da allora le periferie votano M5S: l’hanno riconosciuta. Il 4 marzo “la mia prima scelta era Arezzo, per potermi togliere qualche sassolino dalle scarpe. Poi abbiamo (noi maiestatico, come il Papa, ndr) pensato a una candidatura altrove, per evitare che tutta la campagna venisse focalizzata sul tema banche”. Ma soprattutto che i sassolini dalle scarpe se li levassero gli aretini e la incontrassero per la strada.

“Il collegio di Bolzano non è stato casuale: avevo lavorato sulle Autonomie Speciali, conoscevo come funziona la realtà dell’Alto Adige”. Ma tu pensa. La focosa intervistatrice lacrima per “gli attacchi che ha subìto, sui social e non solo (penso al Cosciometro del Fatto Quotidiano)”: una vignetta di Natangelo, roba che neanche l’Isis. Lei la rincuora: “Non so se sono stata il capro espiatorio”, però ha patito tanti “pregiudizi”.

Domanda (si fa per dire): “L’essere donna crede abbia influito?”. “Un po’ sì, quello che ho fatto io è stato accettato con più fatica che se l’avesse fatto un uomo”. In effetti, se a occuparsi di Etruria fosse stato il ministro dell’Economia che non aveva parenti in banca anziché la ministra delle Riforme figlia del vicepresidente, sarebbe stata un’altra cosa.

Sistemati i sessisti del #MebToo, la patriota auspica una bella “crisi economica” che rovesci il governo. E le minacce non sono finite: “riprendo il mio mestiere di avvocato”. A noi risulta che abbia bussato ai maggiori studi legali, come Alfano, ma diversamente da lui ha trovato chiuso. Quindi al momento riesce a essere una tacca sotto Alfano (categoria che si riteneva impossibile in natura).

L’ultimo scoop è della Chiale: “Fraccaro propone cose non dissimili alle sue, come l’abolizione del Cnel e la riduzione dei parlamentari. Soddisfazione o amarezza?”.
Balle: la Boschi&Verdini fu bocciata perché aboliva le elezioni del Senato per infarcirlo di consiglieri regionali e sindaci. Ma tanto non se lo ricorda nessuno, tantomeno la Boschi, che la sua “riforma” non solo non l’ha scritta, ma neppure letta.

E Renzi? “È il politico più coraggioso che conosco”. Figurarsi gli altri. “Un difetto? Si fida troppo degli altri”. Ecco, è troppo buono.
Ma ora passiamo alle cose serie: “Il libro che sta leggendo?”. “Due in contemporanea” (è una ragazza prodigio). Uno è Non si abbandona mai la battaglia (sottotitolo: nemmeno quando si è giurato di dimettersi in caso di sconfitta).

Se la memoria non ci inganna, già il 13 agosto s’era fatta un selfie su Instagram con quel testo in grembo. Non saranno troppi 40 giorni per un solo libro?
O in ferie guardava le figure?

“Rivieni avanti, aretina”, di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Settembre 2018

Inceneritori e cancro – È emergenza bambini, tumori aumentati anche del 90% in soli 10 anni. E allora non dimenticate quando Renzi in Tv difendeva gli inceneritori e gli interessi dei suoi amici sulla pelle della gente, aggredendo e insultando un’oncologa – NON DIMENTICATE!

 

Inceneritori

 

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Inceneritori e cancro – È emergenza bambini, tumori aumentati anche del 90% in soli 10 anni. E allora non dimenticate quando Renzi in Tv difendeva gli inceneritori e gli interessi dei suoi amici sulla pelle della gente, aggredendo e insultando un’oncologa – NON DIMENTICATE!

Ve ne avevamo già parlato qui:

Di inceneritore si muore. Succede a Vercelli (e non solo). E solo un criminale può dire che non è vero. E quel criminale ce lo siamo tenuti 3 anni come presidente del Consiglio!! Ricordatevelo quando, con la faccia di bronzo che si ritrova, Vi chiederà il Vostro voto!

 

Guardate questo video? Ve lo ricordate? L’arroganza e la falsità di quest’uomo che aggredisce in malo modo l’oncologa colpevole di aver detto in TV che gli inceneritori PROVOCANO IL CANCRO!

Ma come si permette, mettere in discussione i guadagni degli amici di Renzi per qualche bambino che crepa di cancro…?

 

Tumori infantili, in Italia è una emergenza: il governo pronto a varare una legge contro rifiuti ed inceneritori

L’inquinamento è un cancro: così l’Italia scopre l’emergenza “bambini”

Il rischio di sviluppare malattie oncologiche nelle aree più inquinate del nostro Paese è aumentato anche del 90% in soli 10 anni. Uno su 5-600 nuovi nati si ammalerà di cancro prima del compimento del quindicesimo anno d’età. Il governo annuncia nuovi decreti e proposte di legge

 

Tumori infantili, in Italia è una emergenza: il governo pronto a varare una legge contro rifiuti ed inceneritori

Colazioni fugaci, pranzi in piedi, traffico e ritmi frenetici: già all’alba dell’autunno tutto questo appare nuovamente “normale”, ma tutto questo per il nostro benessere non è a costo zero e il prezzolo stiamo pagando già da anni: i “fattori ambientali modificabili” e gli “stili di vita non corretti” stanno avendo sulla nostra salute un impatto considerevole e i dati risultano allarmanti, tanto gridare all”Emergenza cancro“. Una vera e propria ipoteca sul futuro, peraltro costosissima sui bilanci del sistema sanitario nazionale.

Nel 2016 il Ministero della Salute ha diramato una mappa delle zone più inquinate in Italia, associata all’eventuale aumento di tumori in queste aree: i dati mostrano un aumento anche del 90% di malattie tumorali nelle zone inquinate soprattutto cancro alla tiroide, tumore alla mammella e mesotelioma associati alla presenza di sostanze come la diossina, amianto, petrolio, piombo, pcb, mercurio.

L’Italia vanta anche un altro triste primato, quello dei tumori infantili: in nessuno paese in Europa è così alta l’ncidenza di malattie tumorali sui bambini che vivono nelle aree maggiormente inquinate.

Uno studio dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) su 62 Paesi a livello mondiale mostra come la più alta incidenza di cancro compare tra 0-14 anni e tra 15-19 anni in Sud Europa e comprende Italia oltre a Cipro, Malta, Portogallo e Spagna.

I tumori maggiormente in aumento sono le leucemie. Negli adolescenti tra i 15 e i 19 anni sarebbero in aumento linfomi, carcinoma e melanoma. Ci sono poi i rischi legati all’inquinamento dell’aria con aumento di casi di tumori del polmone. In aumento anche le patologie cutanee e i tumori dell’oro-faringe. Si stima infine che una non sana alimentazione, unitamente a stili di vita non sani, incidano per il 65% nell’incidenza di tumori. Mentre gli esperti sono concordi: dagli anni 70 ad oggi la probabilità di sviluppare un tumore in età pediatrica è aumentata in modo preoccupante e maggiormente in aree esposte a inquinanti ambientali.

“I dati raccolti nel periodo 2006-2013 in 28 dei 45 siti italiani maggiormente inquinati hanno poi sottolineato un incremento di tumori maligni del 9% nei soggetti tra 0 e 24 anni, registrando picchi del 50% per i linfomi Non-Hodgkin, del 62% per i sarcomi dei tessuti molli e del 66% per le leucemie mieloidi acute”.

Tumori, in arrivo decreto su rifiuti e inceneritori

Come spiega il deputato pentastellato Zolezzi è stato calcolato che le emissioni inquinanti in Italia pesano per 48 miliardi all’anno sui conti della sanità pubblica.

“L’Italia risulta detenere il triste record delle malattie oncologiche in età pediatrica – afferma il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – come ho sottolineato ieri al G7 Ambiente, vi è un’urgenza di intervenire ineludibile”.

“Nelle prossime settimane agiremo con interventi normativi sulla riduzione dei rifiuti e gli inceneritori”

Le altre “terre dei fuochi” d’Italia, da Brescia al Lazio alla Puglia

Proprio oggi il ministro dell’Ambiente Sergio Costa era in visita alla Sbarro Institute della Temple University di Philadelphia, istituto di ricerca sul cancro e la medicina molecolare diretto dal prof Antonio Giordano, in prima fila per gli studi sulla terra dei fuochi in Campania. “I ricercatori, molti dei quali giovani italiani, stanno ampliando il raggio di azione e stanno analizzando le altre “terre dei fuochi” di Italia, da Brescia al Lazio alla Puglia. Stanno trovando tracce delle sostanze inquinanti nei capelli e nel sangue ed è un lavoro molto importante che ci consentirà di lavorare su questo anche nella legge Terre dei Fuochi che stiamo scrivendo.

“Da ogni parte di Italia ci arrivano le richieste di aiuto dei cittadini che vivono in luoghi inquinati”.

Ci sono scelte ineludibili in campo ambientale, della mobilità, dell’energia, della gestione dei rifiuti, delle acque, della bonifiche e rimozione amianto, tutela del suolo” dichiarano in una nota i capigruppo del MoVimento 5 stelle nelle Commissione Ambiente di Camera e Senato: 

“Il Contratto di Governo parla chiaro, è necessario puntare su un modello che superi le fonti fossili e puntare sulla mobilità sostenibile urbana ed extraurbana ed è indispensabile fermare il consumo di suolo il quale va completamente eliminato, nel campo dei rifiuti è necessario puntare sull’economia circolare con riduzione rifiuti  con provvedimenti su end of waste e sulla plastica monuso che anticipano le direttive Ue, riutilizzo, raccolta differenziata domiciliare ‘porta a porta’ con tariffa puntuale, impianti di recupero materia e superare nel tempo inceneritori e discariche, iniziando a non costruirne più  poi chiudendole gradualmente sul modello pubblico della provincia di Treviso. Inoltre andrà abolito l’articolo 35 dello Sblocca Italia che favorisce l’incenerimento. Sull’energia è necessario puntare su efficienza energetica e rinnovabili”.

Già settimana prossima alla Camera verrà incardinata la legge a prima firma Vignaroli concordata tra M5s e Lega per la regolamentazione e promozione dei Mercatini dell’usato, un settore che interessa oggi 100mila persone e intercetta e permette la riduzione di 500mila tonnellate di rifiuti urbani che altrimenti andrebbero a smaltimento.

In arrivo anche la legge per limitare il consumo del suolo a prima firma Paola Nugnes che prevede la promozione della rigenerazione urbana.  Sempre tra le nuovi leggi in arrivo al Senato è in discussione la proposta di legge a prima firma Castellone per l’istituzione del referto epidemiologico della popolazione e della rete nazionale dei registri dei tumori.

Serve quindi una svolta dei decisori politici e del sistema produttivo per limitare le emissioni inquinanti nell’aria e nell’acqua. “Ci sono poi semplici regole che ognuno di noi può seguire a casa propria per fare prevenzione ambientale – dichiara Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale e docente di Prevenzione Ambientale del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano – dall’utilizzo di bottiglie d’acqua in vetro anziché in plastica ai piccoli accorgimenti per migliorare la qualità e ridurre lo spreco di acqua potabile – e per evitare i danni causati dall’eccessiva esposizione all’inquinamento indoor e ai campi elettromagnetici .

Fonte: http://www.today.it/salute/inquinamento-tumori-infantili.html

 

23 settembre 1916 – 23 settembre 2018 – Buon compleanno Aldo Moro, a te ed a tutti i misteri che 40 anni di indagini non sono riusciti e chiarire.

 

Aldo MoroAldo Moro

 

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23 settembre 1916 – 23 settembre 2018 – Buon compleanno Aldo Moro, a te ed a tutti i misteri che 40 anni di indagini non sono riusciti e chiarire.

 

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Sei commisioni d’inchiesta, cinque processi e un numero infinito di teorie e ricostruzioni aleatorie. Ma non esiste ancora una verità ufficiale sull’omicidio del leader Dc. E tante domande rimangono inevase.

Quarant’anni da via Fani, da via Caetani e ancora non si sa perché sia morto Aldo Moro. Per salvaguardare segreti di Stato usciti per sbaglio? Per accelerare la crisi democratica del consociativismo Dc-Pci? Per aprire la strada a possibili derive autoritarie? Perché così voleva Kissinger, la Cia, il Kgb, gli israeliani, i palestinesi, i libici, la mafia? In quarant’anni se ne sono sentite di ipotesi, di fantapolitiche, di possibilità ragionate, si sono chiariti alcuni dubbi, sono state spazzate via alcune verità di comodo di stampo brigatista, revisionista, ma allo stato dell’arte vale sempre lo sberleffo che chi scrive raccolse dalla terrorista Anna Laura Braghetti, la carceriera di Moro: «Ma sì, indagate, indagate, non avete fatto altro per 25 anni, non farete altro per i prossimi 25». Come a dire che la verità vera la sapevano loro e sapevano come tenerla blindata, ne avevano facoltà perché lo Stato, tutta questa voglia di scoprire gli altarini ultimi, definitivi, non è che l’avesse. Intanto i testimoni spariscono uno dietro l’altro portandosi in tomba i segreti che contano; intanto le Commissioni d’inchiesta si susseguono e, sì, qualcosa fanno, ma un po’ alla maniera di Diogene che col lanternino cercava l’uomo.

Ma sì, indagate, indagate, non avete fatto altro per 25 anni, non farete altro per i prossimi 25 (ANNA LAURA BRAGHETTI, EX BRIGATISTA ROSSA).

Dove sta il memoriale vero, il manoscritto di Moro redatto durante la prigionia che usciva a pezzi, opportunamente emendato, dal covo milanese di via Monte Nevoso? La prima ondata finì nelle mani esperte e smaliziate del generale Dalla Chiesa il primo ottobre del 1978, dopo la retata dei nove brigatisti inchiodati nel covo, la seconda uscì 12 anni dopo, nel 1990, quando casualmente da un tramezzo veniva giù una pioggia d’armi, banconote e documenti. Dove le registrazioni audio dei suoi interrogatori? È vero che vengono conservati nel caveau di una banca svizzera, lingotti di ricatti? Dove stanno le svariate prigioni dell’ostaggio, a parte quella, leggendaria, di via Montalcini? Lungo il litorale di Marina di Palidoro, a Fiumicino? Dalle parti del Ghetto, vicino a dove la R4 col suo cadavere fu ritrovata?

CINQUE PROCESSI E SEI COMMISSIONI D’INCHIESTA. Quanti furono a prender parte al raid di via Fani? Da nove divennero prima 14, poi 20, forse, considerate le sentinelle d’appoggio, anche di più. Alcuni sono stati fatti filare al sicuro, in Nicaragua, anche tramite prelati come il famoso Abbè Pierre. Ancora, il ruolo di Gladio, degli apparati Nato, della falsa scuola di lingue francese Hyperion, centro di raccolta sia di terrorismi che di nuclei di spionaggio internazionali, dei viaggi di Mario Moretti avanti e indietro da Parigi e tante, tante altre stranezze che spingono il presidente della sesta e per ora ultima Commissione parlamentare, Giuseppe Fioroni, a parlare di «storia da riscrivere in molti suoi capitoli». Dopo 40 anni, cinque processi, due dei quali unificati, sei Commissioni parlamentari d’inchiesta, un labirinto infinito di sentenze, di condanne, di ipotesi, di dubbi, di sorprese, di conferme.

Ma i risvolti parziali, le tessere mancanti del mosaico, le incongruenze, i presupposti storici e politici, sono tutta roba in certo senso secondaria; prima di tutto il resto, oltre tutto il resto, perdura la madre di tutte le domande: perché proprio Moro? Per dire perché lo tolsero di mezzo, in quel modo contorto, all’apparenza inaspettato «improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione», per usare le parole del prigioniero, quasi incredulo, nell’ultima lettera alla moglie. Cinquantacinque giorni di stallo, con decine di migliaia di poliziotti, di carabinieri, di militari della finanza, dell’esercito, della marina, dell’aeronautica, con l’intromissione dei servizi segreti, non cavavano il classico ragno dal buco.

QUELLE RIVELAZIONI SU GLADIO. Cinquantacinque giorni nei quali succedeva di tutto, falsi comunicati, falsi annunci della morte dell’ostaggio «mediante suicidio», maneggi della massoneria piduista e della banda della Magliana, covi platealmente scoperchiati, messaggi clamorosi, contraddizioni dei brigatisti che passano con disinvoltura da un comunicato in cui si ribadisce che «nulla verrà tenuto nascosto al popolo» alla affermazione impune secondo cui «il prigioniero non ha rivelato cose di cui il popolo non fosse già al corrente». E invece ha appena parlato di Gladio, del ruolo di Cossiga e di Andreotti, di retroscena democristiani potenzialmente esplosivi, censurati dai carcerieri e poi fatti sparire anche dai reperti.

C’è un ex senatore comunista, Sergio Flamigni, oggi 93enne, che in trent’anni ha scritto una sequela di libri in cui demolisce le false verità concordate fra Stato ed eversione: sul numero dei partecipanti all’operazione di via Fani, su quello dei carcerieri di Moro, sulle circostanze della prigionia, sulle omissioni e le compromissioni di Stato, sui memoriali di comodo come quello di Valerio Morucci che a suo modo è emblematico di una storia che a tutti i costi non si vuole risolvere. Documento dalla gestazione torbida, scritto insieme al giornalista della destra Dc Remigio Cavedon, veicolato da una religiosa carceraria, suor Teresilla Barillà, con funzioni di raccordo tra brigatisti detenuti e settori della Democrazia cristiana, fino al presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

FLAMIGNI E LA «RICOSTRUZIONE ADDOMESTICATA». Secondo Flamigni, il memoriale (architrave della sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore in esito del processo Moro-quater) s’incarica di offrire una ricostruzione addomesticata sull’intero affaire Moro, tale da soddisfare tutti e utile ad accelerare il corso dell’amnistia di fatto per i brigatisti coinvolti, che infatti otterranno i rispettivi vantaggi, non solo in termini di liberazione precoce, ma anche di reinserimento sociale e addirittura di notorietà mediatica remunerata. O, come diceva il giornalista-spione Mino Pecorelli prima d’essere a sua volta eliminato: «Verrà un’amnistia a tutto lavare, tutto obliare». E che sia «una versione che fa acqua da tutte le parti», quella ufficiale o meglio ufficializzata, non lo dice solo Flamigni, lo dice uno di loro, il brigatista Raimondo Etro, forse l’unico ad essersi totalmente staccato, ad aver ripensato integralmente la propria parabola, senza se e senza ma. È lo stesso che, quando parla di Moretti, lo indica così: «Il cosiddetto capo Mario Moretti».

Tanti perché all’interno di un perché più grande, che tutti li lega e tutti li copre. L’ex parlamentare del Pd Gero Grassi, intervistato dalla Rai, si dice convinto che via Montalcini non fu la prigione di Moro, almeno non l’unica, e che la prima, probabilmente, stava in via Massimi, lungo l’astruso tragitto dei terroristi che lo avevano sequestrato in via Fani: e un’azione così, di altissima tecnica militare, non la fa un pugno di pistoleri improvvisati, non la mettono insieme i rivoluzionari della domenica Morucci, Gallinari, Bonisoli e Fiore, con la regia di Moretti e la copertura di Loiacono e Casimirri, entrambi fatti filare via dall’Italia ad opera dei Servizi.

L’AFFOLLAMENTO INSPIEGABILE DI VIA FANI. Poi si saprà che in via Fani c’era una folla, in parte incomprensibile agli stessi brigatisti. C’erano mezzi, una moto con un autista e un passeggero che scarica una raffica di mitra contro uno che non c’entra niente, mancandolo per poco. C’era un benzinaio esperto di armi da fuoco, un fotografo i cui rullini subito spariscono, ci sono tecnici della Sip controllata dalla P2, c’è un colonnello dei Servizi, Camillo Guglielmi, che è lì perché doveva «andare a pranzo da un amico» alle 9 di mattina. Ci sono macchine che ostruiscono le manovre e consentono l’agguato, veicoli che spariscono e si ritrovano poche ore dopo, in via Licino Calvo, lungo la strada di fuga dei terroristi. Ci sono un sacco di circostanze che non ci sono, non tornano, non si spiegano. Dopodiché, l’insurrezione popolare sulla quale contano le Br, e forse non solo loro, non arriva: nelle fabbriche si brinda, nelle scuole e nelle università si viene colti «da una insana e febbrile eccitazione», come ricorda Nando Dalla Chiesa: ma sono, tutto sommato, minoranze, la base è incredula, non capisce e non vuole capire. Ma perché, qualcuno sano di mente poteva davvero aspettarsi un esito del genere, la guerra di popolo con Moro prigioniero?

La gestione del sequestro è complicata, inquinata, gli scenari mutano, obbligano a sacrificare l’ostaggio. E allora perché non dirlo chiaro, perché continuare a mentire anche su questo, perfino sulle circostanze dell’uccisione, i racconti di Maccari e Moretti completamente divergenti, sulla responsabilità dell’esecuzione, perfino sui fazzolettini infilati nel corpo agonizzante della vittima per tamponare il sangue? Moro come il primo Dc che capitava, il più facile da colpire? O capro espiatorio, agnello sacrificale per caso, imposto dagli eventi, dalle manovre di Stato, anti-Stato, forze esterne che confondono gli stessi brigatisti, li chiudono all’angolo? Perché lui quella mattina stava andando a riscuotere la fiducia del primo governo “di solidarietà nazionale” col sostegno del Pci, cosa che a quei leninisti delle Br pareva intollerabile come lo è sempre il riformismo nelle sfuriate rivoluzionarie da Terza Internazionale? Perché Moro era un progressista, uno che diceva «io temo la crisi» e in Italia una crisi c’è sempre ed è buona da soffiarci sopra, buona per eccitare gli animi, chiamarli a insurrezione mentre lui seguiva la strada dei tempi lunghi, delle riforme prudenti ma costanti, di concerto all’altro partito di massa, i comunisti ai quali non voleva lasciare il monopolio rappresentativo delle masse popolari? Perché era uno stratega mite e insidioso, deciso a inglobare la sinistra nella tradizione cattolica, ma anche capace di ribadire di fronte alle pretese clericali il ruolo laico del suo partito?

DOPO L’OMICIDIO LA SINISTRA SI CALCIFICA. Sì, tutto è possibile, tutto si può dire, ma messe così, lasciate così, sono tutte ricostruzioni aleatorie, suggestive. Che non risolvono la doppia questione, perché lui e perché ucciderlo anziché rilasciarlo, diffondere le sue memorie, i segreti anche traumatici che andava rivelando, che minacciava di rendere pubblici una volta rivelato. Dopo via Fani la politica italiana si calcifica, i comunisti perdono il treno governativo per quasi un ventennio, dovrà cadere il Muro, sorgere Tangentopoli, il biennio infuocato 1992-94, con Berlusconi a rimescolare tutto, per riaprire alla sinistra, nel frattempo post comunista, le porte del Palazzo. Oggi via Fani è una commemorazione, cappottini primaverili impettiti, corone di fiori lasciate sul posto dove mani stupide, probabilmente acerbe, hanno tracciato svastiche. Mentre un’altra commissione mette insieme nuovi tasselli, nuove incongruenze, nuove omertà e conclude nel segno del fatalismo: «Quella di Moro è una storia ancora da riscrivere in diversi capitoli». Dopo 40 anni. Alla domanda sul perché sia stato ucciso, su chi aveva interesse a levarlo di mezzo, si vanno opponendo risposte pleonastiche, che chiudono i conti senza spiegarli: «Moro è stato fatto fuori perché lo volevano morto, perché c’era una guerra, perché è toccato a lui». Perché sì.

 

tratto da: https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2018/03/16/aldo-moro-brigate-rosse-rapimento-via-fani-via-caetani-dubbi-misteri/218664/

Boschi: “Ho promesso di ritirarmi dalla politica e poi non l’ho fatto? Non mi sembra così grave” …Ed è questa la cosa più grave: prendono per il c… la gente, ma non se ne vergognano nemmeno più!

 

Boschi

 

 

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Boschi: “Ho promesso di ritirarmi dalla politica e poi non l’ho fatto? Non mi sembra così grave” …Ed è questa la cosa più grave: prendono per il c… la gente, ma non se ne vergognano nemmeno più!

 

Boschi: ‘Ho promesso di ritirarmi dalla politica e poi non l’ho fatto? Non mi sembra così grave’

“Col senno di poi ho sbagliato. Ma l’ho detto perché credevo in quella battaglia. Se c’è ancora qualcuno che a 35 anni fa politica con passione, e magari si lascia scappare una frase per un eccesso di entusiasmo, non mi sembra così grave.”

Così l’ex ministro delle Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi rispondendo ad una domanda del Corriere della Sera sulla critica che le si rivolge dopo la sconfitta del referendum al 2016, ovvero che aveva promesso di ritirarsi ma poi non l’ha fatto.

Quanto al suo impegno politico, Boschi ha detto: “Credo che quello che ho fatto io, nel bene o nel male, sia stato accettato con più fatica che non se l’avesse fatto un uomo.”

“Nonostante gli enormi passi in avanti non riusciamo ancora ad accettare che le donne, a maggior ragione se giovani, possano avere dei ruoli in cui si gestisce il potere. E io li ho avuti” – ha aggiunto – “Non siamo ancora davvero abituati in politica e neanche in altri settori.”

In riferimento agli eventuali errori commessi dal Pd e da Renzi, l’ex ministro ha risposto così: “Se abbiamo sbagliato, abbiamo sbagliato tutti perché abbiamo condiviso con lui le scelte in Consiglio dei ministri e nel Pd”.

E ancora: “Forse abbiamo voluto affrontare in una sola volta, tutte insieme, troppe riforme. Ma non penso che ci fosse un altro modo per cambiare il Paese dopo 20 anni di scelte rinviate”

“Sul piano politico non abbiamo capito che il voto sul referendum sarebbe stato un voto politico” – ha sottolineato – “E poi non siamo stati capaci di comunicare quello che facevamo in modo efficace, forse.”

Rispondendo ad una domanda su chi debba essere il nuovo segretario, l’esponente dem ha affermato: “Il nuovo segretario o la nuova segreteria dovrà riuscire a riaccendere un sogno. Io voterò qualcuno che non rinneghi quello che abbiamo realizzato in questi anni.”

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/20/boschi-ho-promesso-di-ritirarmi-dalla-politica-e-poi-non-lho-fatto-non-mi-sembra-cosi-grave/

Vi avanza un vaffa? “…Nessuno tocchi la legge Fornero”. Ce lo hanno intimato quelli dell’OCSE. Sì quelli dell’OCSE, insomma, quelli che vanno in pensione a 51 anni!

 

OCSE

 

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Vi avanza un vaffa? “…Nessuno tocchi la legge Fornero”.  Ce lo hanno intimato quelli dell’OCSE. Sì quelli dell’OCSE, insomma, quelli che vanno in pensione a 51 anni!

 

I FURBETTI DELL’OCSE: FORNERO PER NOI, PENSIONE A 51 ANNI PER LORO

Ieri la NeoEconomista Capa dell’OCSE Laurence Boone, ex consigliera economica del presidente francese socialista François Hollande, ha fatto un clamorosa invasione di campo chiedendo al governo italiano di “non disfare la legge Fornero”. Dunque la signora vuole pensione a 67 anni per noi, con età indicizzata all’aspettativa di vita, e trattamento calcolato col metodo contributivo.

Come facemmo in passato per BCE, UE e FMI andiamo a vedere le regole pensionistiche dei dipendenti dell’OCSE, pagati *anche* dai contribuenti italiani, ricordiamolo.

Qui la pagina dal loro sito con tutti i (generosi) benefit:

http://www.oecd.org/careers/salariesandbenefits.htm

Qui la parte pensionistica:

In sintesi:

  • Età minima di pensionamento senza penalizzazione: 63 anni 
  • Età massima di pensionamento: 65 anni
  • Trattamento contributivo, coefficiente 2% annuo, calcolato sull’ultimo anno di salario (!!!)
  • Età minima per la pensione anticipata con penalizzazione: 51 anni
  • Versamenti a carico del dipendente uguali a quelli italiani: 9,30% contro 9,20%.

Avete letto bene: i dipendenti OCSE possono andare in pensione a 63 anni con 35 anni di contributi e col massimo pensionistico: hanno quota 98 loro, alla faccia di Salvini e della sua quota 100! E con gli stessi versamenti dei lavoratori italiani, per giunta.

Se poi accettano una penalizzazione possono allegramente pensionarsi a 51 anni e fare altro nei restanti 30 o 40 di vita. Sempre a spese nostre ovviamente. Come si diceva un tempo, predicare bene e razzolare male?

Chère M.me Boone, vous appréciez autant la loi Fornero avec son âge de retraite de 67 ans, mais saviez vous que chez l’OECD les employés (y compris M.me Boone) peuvent prendre leur retraite dejà à 51 ans? Sympa pour eux (et vous), n’est-ce pas?

fonte: http://www.stopeuro.news/i-furbetti-dellocse-fornero-per-noi-pensione-a-51-anni-per-loro/

Roma – Per la prima volta nella storia i conti di Atac tornano in positivo. Di ben 5,2 milioni. Forse è per questo che ultimamente non si è sentito parlare della Raggi…

 

Atac

 

 

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Roma – Per la prima volta nella storia i conti di Atac tornano in positivo. Di ben 5,2 milioni. Forse è per questo che ultimamente non si è sentito parlare della Raggi…

 

“La cura di risanamento dell’azienda pubblica di trasporti di Roma sta iniziando a dare i primi risultati.”

Così Virginia Raggi in un post pubblicato sul Blog delle Stelle nel quale dichiara che “l’Atac ha registrato un risultato netto a giugno pari a 5,2 milioni di euro, con ricavi in progressivo aumento.”

Se due anni fa c’era “una società praticamente fallita con un miliardo e trecento milioni di debiti, un parco autobus con un’età media di oltre 12 anni e un servizio insufficiente”, oggi i cittadini possono vedere dei cambiamenti concreti nella riduzione dei tempi di attesa alle fermate “grazie all’arrivo dei nuovi bus che abbiamo acquistato” sottolinea la Raggi.

“Non ci siamo arresi e ci siamo rimboccati le maniche – scrive – nella convinzione che un’azienda pubblica, se gestita correttamente, può fare bene. Prima facevano debiti e assumevano i ‘parenti’; noi risaniamo i bilanci.”

Ma le buone notizie non sono finite: “le vendite dei biglietti sono in forte crescita e sono partite nuove gare per la manutenzione dei mezzi. Questa è l’immagine di un’azienda sana da contrapporre a quella di un bus in fiamme che rappresenta il passato di Atac” afferma la sindaca.

E conclude dicendo: “Siamo ripartiti nel solco della legalità e della trasparenza per arrivare a risultati tangibili per le persone. Senza conti in ordine non si può avere un servizio efficiente. Siamo sulla strada giusta.”

Nel corso di una conferenza stampa, la prima cittadina della capitale ha anche detto che forse per i cittadini questi risultati sono pochi, ma può assicurare loro che si faranno ulteriori passi in avanti, perché “stanno mettendo in campo tutte quelle azioni che già a partire dai primi mesi del prossimo anno si tradurranno in un miglioramento del servizio visibile anche ai cittadini”.

Rinnova poi l’invito a dare loro quella fiducia che ha portato questi risultati.

 

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/19/roma-raggi-per-la-prima-volta-nella-storia-i-conti-di-atac-tornano-in-positivo/

Dal Codacons il plauso al Governo per la sua lotta alle pensioni d’oro – Quelle superiori ai 3000 euro mensili costano alla collettività circa 30 miliardi di euro all’anno, e rappresentano una grave forma di disuguaglianza economica e sociale

 

pensioni d'oro

 

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Dal Codacons il plauso al Governo per la sua lotta alle pensioni d’oro – Quelle superiori ai 3000 euro mensili costano alla collettività circa 30 miliardi di euro all’anno, e rappresentano una grave forma di disuguaglianza economica e sociale

PENSIONI D’ORO: M5S RILANCIA, TAGLI SOPRA 4.500 EURO

CODACONS: PENSIONI D’ORO COSTANO 30 MILIARDI DI EURO ALL’ANNO

IN ITALIA 1 MILIONE LE PENSIONI CHE SUPERANO I 3000 EURO AL MESE, MENTRE 1,68 MILIONI SONO LE PENSIONI INFERIORI A 500 EURO MENSILI

Le pensioni d’oro superiori ai 3000 euro mensili costano alla collettività circa 30 miliardi di euro all’anno, e rappresentano una grave forma di disuguaglianza economica e sociale. Lo afferma il Codacons, commentando la proposta del M5S di intervenire sulle pensioni più alte.
Confrontando gli ultimi dati Istat e Inps si scopre che nel nostro paese sono poco più di un milione (il 6,8% del totale) le pensioni d’oro superiori ai 3000 euro mensili, per un controvalore che sfiora i 30 miliardi di euro annui – spiega il Codacons – Se da un lato c’è chi può contare su pensioni di lusso, dall’altro ci sono 1,68 milioni di pensionati con un assegno che non raggiunge i 500 euro mensili (10,8% del totale) e che fanno la fame non potendo contare su un reddito dignitoso.
“Per questo riteniamo corretta la decisione di intervenire sulle pensioni più alte ed eliminare le gravi disuguaglianze che pesano sulla collettività – afferma il presidente Carlo Rienzi – Una misura tuttavia estremamente difficile da attuare nel nostro paese, considerato che si tratta di diritti già acquisiti”.

tratto da: https://codacons.it/pensioni-doro-m5s-rilancia-tagli-sopra-4-500-euro/