Incredibile ma vero: la mostra “Razzismo in cattedra” sulle leggi razziali fasciste organizzata da studenti di un Liceo di Trieste censurata dal sindaco fascista!!

 

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Incredibile ma vero: la mostra “Razzismo in cattedra” sulle leggi razziali fasciste organizzata da studenti di un Liceo di Trieste censurata dal sindaco fascista!!

 

Leggi razziali, a Trieste la mostra degli studenti del Petrarca censurata dal sindaco

La mostra “Razzismo in cattedra” sulle leggi razziali promulgate dal fascismo a cura degli studenti del Liceo Petrarca di Trieste è sembrata a tutti lodevole, finché non è apparsa la locandina che rappresenta la prima pagina del giornale quotidiano Piccolo del 3 Settembre 1938, censurata dal sindaco di centrodestra della città friulana.

Una mostra sulle leggi razziali a 80 anni esatti dal loro promulgazione in epoca fascista. L’idea della mostra “Razzismo in cattedra”, volta a commemorare uno dei periodi più bui della nostra storia, è degli studenti del Liceo Petrarca di Trieste in collaborazione con lo stesso Comune del capoluogo giuliano, il Museo della Comunità Ebraica e l’Archivio di Stato. L’iniziativa è sembrata a tutti lodevole, fino a quando non è comparsa la locandina della discordia, una locandina che è un pugno allo stomaco e che rappresenta la prima pagina del giornale quotidiano Piccolo del 3 Settembre 1938.

La pagina del giornale selezionata dagli studenti titola “Completa eliminazione dalla scuola fascista degli insegnanti e degli alunni ebrei” indica quando la legge diventa effettiva, il momento in cui tutti gli studenti e gli insegnanti ebrei sono stati cacciati dalla scuola. Il manifesto ci riporta a ricordare i nefasti avvenimenti avvenuti qualche mese prima.  Il 14 luglio 1938 è il  giorno in cui è stato firmato da illustri scienziati dell’epoca il vergognoso Manifesto della Razza. Al titolo granitico sul manifesto è stato accostato in un collage il viso pulito di tre giovani ragazze, che sorridono candidamente.

Il primo a manifestare un disaccordo è stato l’Assessore triestino Giorgio Rossi il quale ha chiesto delle modifiche alla locandina. L’assessore è stato sostenuto dal vicesindaco e dal sindaco Roberto Di Piazza di coalizione del centrodestra che ha giudicato la locandina troppo “forte”. Nel dibattito sono intervenuti anche i consiglieri comunali pentastellati i quali hanno commentato come “sconcertante” il tentativo di censura da parte dell’assessore. La polemica si sta svolgendo a ridosso delle celebrazioni di oggi, 18 settembre, che proprio nella città triestine ricordano l’annuncio di Mussolini relativamente al contenuto delle leggi razziali che saranno poi promulgate a novembre del 1938.

Intanto la direttrice dell’istituto Cesira Militello ha sospeso i lavori e la mostra non è stata inaugurata. Ora il liceo è di nuovo alla ricerca di una sede dove il proprio evento non verrà censurato, ma il dibattito è appena aperto.

fonte: https://www.fanpage.it/leggi-razziali-a-trieste-la-mostra-degli-studenti-del-petrarca-censurata-dal-sindaco/
http://www.fanpage.it/

…E lo scrittore Gianfranco Carpeoro non ci sta: “…il Lussemburgo, fogna d’Europa, accusa l’Italia e Salvini…?”

 

Carpeoro

 

 

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…E lo scrittore Gianfranco Carpeoro non ci sta: “…il Lussemburgo, fogna d’Europa, accusa l’Italia e Salvini…?”

 

Si vergogni, il ministro del Lussembugo che osa insultare Matteo Salvini e, con lui, tutti gli italiani: il Granducato è il peggior paese d’Europa. Il ministro degli esteri Jean Asselborn? «E’ veramente uno dei personaggi più volgari e più idioti che io abbia mai visto: spero che mi quereli, perché dovrebbe farlo davanti a un giudice italiano, e lo voglio vedere un giudice italiano che mi condanna di fronte a questo personaggio». Parola di Gianfranco Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, all’indomani delle esternazioni dell’esponente del governo lussemburghese al summit europeo di Vienna. «In Lussemburgo – ha detto Asselborn – avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, erano migranti che guadagnavano i soldi affinché ne poteste avere per i vostri figli». Poi l’elegante chiosa finale («merda!»), pronunciata sbattendo il microfono, in perfetta consonanza con l’aggettivo “vomitevole” con cui il portavoce di Macron ha definito la politica italiana sui migranti. Carpeoro protesta: «Peggio ancora se l’insulto di Asselborn non era riferito a Salvini: vuol dire che era indirizzato a tutti gli italiani». Che hanno sì lavorato come immigrati nel Granducato, arricchendolo, ma mai quanto i maxi-evasori fiscali, anche italiani, di cui il Lussembugo è stato un sontuoso rifugio.

«Il Lussembugo è lo Stato più volgare dell’Unione Europea», dice Carpeoro, senza giri di parole. «E’ il paradiso fiscale dove finiscono tutte le porcherie». Ne sa qualcosa lo stesso presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che è stato «l’artefice delle porcherie fiscali più gravi e più importanti». Quindi, aggiunge Carpeoro, «non mi meraviglia se un ministro del Lussembugo dice che ci hanno dato loro i soldi per fare figli, in passato, perché erano i nostri soldi: hanno preso i soldi dai nostri evasori e poi, in qualche modo, li hanno un po’ riciclati». Tutti addosso a Salvini, oggi? Purché non ci si metta anche il Lussembugo, paese che farebbe meglio a tacere. Certo, aggiunge Carpeoro, sui migranti Salvini sta recitando una parte, come del resto lo stesso Trump. «A me le modalità di Salvini non piacciono», premette Carpeoro, che però aggiunge: «Il fatto che in questo momento si sia reso “nemico” di una serie di poteri e di espressioni del potere, per certi aspetti mi fa piacere». In altre parole: «Salvini fa quello che può, in un base a una situazione politica scardinata da una “sovragestione” che ha gestito crisi e risorse in maniera da metterla in ginocchio, l’Italia». Un establishment di cui anche l’élite dell’increscioso Lussembugo fa parte, anche se il suo ministro degli esteri ha la faccia tosta – attaccando Salvini – di insultare gli italiani come popolo.

Il Lussembugo, ricorda “Money.it”, è un piccolo paese di appena 550.000 abitanti, al confine con il Belgio, la Francia e la Germania. È a tutti gli effetti un paradiso fiscale, «perché applica una legislazione favorevole alle imprese, che permette alle società di risparmiare miliardi in tasse». Amazon, per esempio, ha la sua sede europea in Lussemburgo e trasferiva tutti i guadagni delle vendite realizzate in Europa attraverso il suo ufficio nel Lussemburgo. Banche e multinazionali: sono almeno 350 le società platenarie domiciliate fiscalmente nel Granducato: tra queste Abn Amro, Axa, Barclays, Bnp Paribas, Black & Decker, Carlyle e Citigroup. E poi Commerzbank, Credit Suisse e Deutsche Bank, FedEx, Gazprom, General Electric, Glaxo, Ikea. Ancora: Hsbc, Heinz, Jp Morgan e Pepsi, Procter & Gamble, Vodafone, Volkswagen, Walmart e Disney. Ben figurano anche marchi italiani come Banca Sella e Dolce e Gabbana, Finmeccanica, Intesa SanPaolo, Prada, Unicredit. Senza contare l’azienda più grande, Fiat-Chrysler, ora Fca. «Il trattamento fiscale ricevuto da Fiat in Lussemburgo grazie agli accordi sottoscritti nel 2012 con il Granducato – scriveva il “Fatto Quotidiano” nel 2016 – ha comportato un “vantaggio illegale”, riducendo di 20 volte l’utile imponibile». Per questo il gruppo automobilistico è stato chiamato a restituire «tra i 20 e i 30 milioni di euro», come stabilito dall’antitrust Ue.

Quanto a Juncker, che Carpeoro definisce “l’architetto” di questo colossale sistema di evasione fiscale, l’attuale capo dell’Ue – già al vertice della Banca Mondiale, del Fmi e dell’Eurogruppo – guidò proprio il Lussembugo per 18 anni, dopo aver fatto del Granducato un paese-cavia: Juncker, ricorda “Rete Voltaire”, è stato l’uomo che, per anni, ha messo illegalmente sotto sorveglianza i tre quinti dei suoi concittadini, spiati segretamente dallo Srel, l’intelligence lussemburghese. Per questo, accusato nel 2013 da una commissione d’inchiesta, fu costretto alle dimissioni. Storica pedina dei poteri forti, Juncker fu accusato, in patria, di aver fatto schedare migliaia di persone a loro insaputa, dopo aver coperto la strategia della tensione di marca Gladio, basata su attentati “false flag” realizzati in collaborazione con i servizi segreti tedeschi. Strategia accuratamente collaudata proprio in Lussembugo, prima ancora che in Italia, con attentati a industrie, aeroporti, giornali, tribunali e commissariati di polizia. Sciolta ufficialmente la Gladio nel 1990, aggiunge “Rete Voltaire”, i servizi segreti di Juncker avrebbero poi «continuato a spiare illegalmente singoli individui per motivi privati senza che ilpremier intervenisse». Il loro direttore operativo, inoltre, creò «una società d’intelligence economica, la Sandstone, utilizzando risorse statali».

Questo è il paese-modello dal quale il ministro Jean Asselborn dà lezioni a Matteo Salvini, ricordandogli che gli italiani “straccioni” dovrebbero dire grazie, in eterno, al generoso e nobile Lussembugo, il paradiso terrestre dei maggiori evasori fiscali. Un posto dove, secondo il giornale lussemburghese “Wort”, l’establishment politico tentò di fermare la magistratura che stava cercando di far luce sui sanguinosi attentati terroristici che avevano scosso il paese. Per zittire il giudice Robert Biever, che era giunto ad accusare direttamente il ministro della giustizia Luc Frieden di sabotare le indagini, fu scatenata una campagna di disinformazione e discredito, arrivando a incolpare il magistrato di turismo pedofilo in Thailandia. Gli oscuri attentati degli anni ‘80 contro l’innocuo Lussemburgo servivano a creare una tensione allarmante nella popolazione, al fine di far accettare leggi restrittive e un controllo totale su ogni singola persona, come afferma lo storico svizzero Daniel Ganser, che denuncia i contatti “coperti” tra l’intelligence lussemburghese e il Bnd, il servizio segreto della Germania. Legami storici: non a caso è stata Angela Merkel a piazzare Juncker a capo della Commissione Ue.

 

tratto da: http://www.libreidee.org/2018/09/carpeoro-il-lussemburgo-fogna-deuropa-accusa-salvini/

Martina attacca Di Maio e Salvini: “taglia del 10 per cento il fondo per i disabili” …Ma il taglio risale al governo Gentiloni. Tecnicamente si chiama “figura di merda storica”…!

 

Martina

 

 

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Martina attacca Di Maio e Salvini: “taglia del 10 per cento il fondo per i disabili” …Ma il taglio risale al governo Gentiloni. Tecnicamente si chiama “figura di merda storica”…!

“Il segretario Pd Martina attacca Matteo Salvini dicendo che il nostro governo ha tagliato un fondo per i disabili. In realtà a tagliare quei fondi è stato il governo Gentiloni, di cui Martina era ministro”.

Lo ha scritto su Facebook il ministro per la famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana, il quale ha sottolineato che il governo Conte questi fondi vuole incrementarli. “Ormai non sanno più cosa inventarsi,” ha commentato, riferendosi al Partito Democratico.

Martina ha eliminato il post (pubblicato sul social network giovedì scorso), ma Fontana aveva già ottenuto lo screenshot, nel quale si legge:

“Salvini si è riempito la bocca con la creazione del ministero della Disabilità. Ora che fa col suo complice Di Maio? Taglia del 10% il fondo per i disabili stanziato con il ‘Dopo di noi’. Ignobile. Il governo provveda subito al ripristino dei 10 milioni tagliati senza dare spiegazioni”.

Sulla questione non è intervenuto soltanto Martina, ma anche altri esponenti dem.

L’ex deputata Pd Ileana Argentin, prima firmataria della legge sul ‘Dopo di noi’, con cui è stato stanziato il fondo per i disabili, ha dichiarato:

“È una vergogna. Dopo anni di lotte e battaglie per garantire il ‘lusso’ di morire ai genitori dei disabili gravi, oggi senza spiegazioni e con una passata di spugna si abbandonano i più deboli. Questo comportamento è ignobile e i giallo-verdi sono senza coscienza, altro che ministero della Disabilità”.

E Pietro Barbieri, responsabile Welfare e Terzo settore del Pd, ha affermato che quella del governo gialloverde è “una decisione che dopo anni di lotte, riporta indietro il Paese, lasciando di nuovo le famiglie di fronte all’istituzionalizzazione del proprio figlio”.

“Quelle persone – ha aggiunto Barbieri – che a parole, ma solo a parole, il governo dice di voler aiutare. Questo è il primo atto sulla disabilità del Governo che ha istituito un ministero ad hoc”.

Diego Fusaro: “Orfini vuole sciogliere e rifondare il Pd? Prima idea ottima, seconda pessima”

 

Fusaro

 

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Diego Fusaro: “Orfini vuole sciogliere e rifondare il Pd? Prima idea ottima, seconda pessima”

“Orfini: ‘Sciogliamo il Pd e rifondiamolo’ . Ottima idea la prima, pessima la seconda”.

Diego Fusaro commenta così le dichiarazioni del presidente del Partito Democratico Matteo Orfini, il quale intervenendo alla sesta edizione della festa di Left Wing ha affermato:

“Stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo. Non serve cambiare nome”. “Mettiamo insieme un pezzo di paese che non condivide le politiche di questo governo: – ha aggiunto Orfini – dobbiamo costruire una risposta dopo la sconfitta che sia all’altezza della sfida. Il partito com’è oggi non funziona. Mi rivolgo a tutti, basta questa distinzione con la società civile, decidiamo insieme la linea politica e la leadership”.

Secondo Fusaro il Pd non può essere rifondato in quanto “è, nella sua essenza, l’esito terminale del processo metamorfico kafkiano della sinistra, che dal grande comunista Gramsci è passata al privatizzatore liberal D’Alema e al tosco rottamatore nichilista Renzi.” “Un processo – ha osservato – che ovviamente non ha bisogno di commenti. Si tratta, a ben vedere, di un orrido serpentone metamorfico, Pci-Pds-Ds-Pd.”.

“A ogni cambiamento di nome è seguito un sempre maggiore allineamento con l’ordine dominante capitalistico, di cui ormai la sinistra post-marxista è la più servile sostenitrice,” ha concluso Fusaro nel suo breve post per la rubrica “Lampi del Pensiero” su Affari Italiani.

 

tratto da: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/16/fusaro-orfini-vuole-sciogliere-e-rifondare-il-pd-prima-idea-ottima-seconda-pessima/

 

L’addio a Guido Ceronetti: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna” – L’addio ad un grande poeta, filosofo, scrittore, giornalista e umanista. Uno che, insomma, ha rotto le scatole a troppa gente per essere ricordato…!

 

Guido Ceronetti

 

 

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L’addio a Guido Ceronetti: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna” – L’addio ad un grande poeta, filosofo, scrittore, giornalista e umanista. Uno che, insomma, ha rotto le scatole a troppa gente per essere ricordato…!

 

L’addio a Guido Ceronetti, scomparso a 91 anni il 13 settembre 2018:

“Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”

“Berlusconie il Pd non faranno nessuna riforma: una somma di zeri mentali farà sempre zero. Con Grillo scendiamo ancora. Napolitano? È più vecchio di me. Io sono del luglio 1927, come Fidel Castro. Però lui è del segno del Leone” diceva nel 2014 intervistato dal Fatto.

Schivo nella vita e prolifico nelle opere, oggetto di polemiche più che di riconoscimenti, Guido Ceronetti è stato poeta, filosofo, scrittore, traduttore, giornalista e drammaturgo italiano, ma soprattutto è stato un umanista, un umanista disturbante nei sui contrappunti a ideologie e dogmi dominanti.È morto oggi all’età di 91 anni a Cetona, piccolo borgo toscano dove si era trasferito da tempo e dove conduceva un’esistenza ritirata, quasi ascetica, lontana da tutti e tutto, compresa quella politica che per lui era solo “balle”.“Le nostre, italofone, sono bugie povere, senza grandezza, spurghi del pensiero unico che si maschera di anglismi, di sondaggi e di paraocchi economicoidi. Nessuna verità, neppure un quartino, mai”: così diceva Ceronetti nel 2014 al Fatto Quotidiano, in un’intervista di Silvia Truzzi che riproponiamo di seguito inversione integrale. 

Nell’ultimo capitolo dei Promessi sposi s’incontra il più coraggioso prelato della storia della letteratura: sta tergiversando su un matrimonio che ancora non è sicuro s’abbia da fare, in attesa di esser certo che Don Rodrigo abbia tirato le poco nobili cuoia. Temporeggiando, Don Abbondio si aggrappa a Cicerone: “La patria è dove si sta bene”. E quindi, attraversando la Toscana su un Regionale veloce solo di nome, si cercano tracce del benessere che ha portato un torinese come Guido Ceronetti a scegliere un paesino tra le colline in provincia di Siena. La risposta è lapidaria: “Era destino che ci abitassi”. È una piccola casa, ci sono quasi solo libri e sono dappertutto: dunque meglio dire una biblioteca con camera e cucina. Bisogna fare molta attenzione a come si saluta il poeta, avendo presente una sua celebre affermazione: “La domanda più indiscreta, più insolente, più insoffribile, e la più comune anche, la più poliglotta, la più persecutoria, al telefono e faccia a faccia, la domanda che mette alla tortura chi ama la verità perché la si formula per avere in risposta una miserabilissima bugia è: Come stai?”. Sulla porta, senza domande di circostanza e dopo i saluti, è subito il tempo di un’invettiva sull’età canuta: “Contro la vecchiaia sei impotente, devi solo subire. Vai dal medico, ti dà qualcosa ma non fa quasi nulla. Il Salmo novanta dice: l’uomo vive settant’anni, in qualche caso può arrivare agli ottanta. Ma dopo è catastrofico. Sa, gli uomini soli patiscono la vecchiaia molto di più delle donne: a loro basta la famiglia”. Chiarito questo, si può cominciare.

In quasi tutte le epoche si è gridato alla decadenza. Un vezzo nostalgico o nel caso della nostra Italia è proprio vero?
L’Italia mi fa soffrire, per motivi di passione civile. Mi vedo come un patriota vissuto in una ininterrotta perdizione di patria, in una non-patria. L’assenza di patria, scriveva Heidegger nel 1946, sta diventando un destino mondiale. Dappertutto, le patrie stanno scomparendo o s’immaginano di esserci ancora. Migrazioni di popoli e globalizzazione tecnologica abbattono quelle frontiere per le quali abbiamo combattuto e penato tanto. Posso dire come Lucrezio: “In questo tempo di sciagure per la patria”. Ma se ci rifletto, a una patria che c’è ormai così poco non toccano sciagure.

L’idea di patria ha avuto decisamente più fortuna a destra che a sinistra, forse come retaggio marxiano, “Gli operai non hanno patria”.
Non si capisce bene perché la destra si sia impadronita di questo concetto, anche se il vecchio dogma operaista certamente dà una spiegazione. Il patriottismo moderno nasce con la Rivoluzione francese, c’è quello del Risorgimento e poi si arriva a quello dei totalitarismi. L’ultra-patriottismo del Fascismo ha dato l’ultimo colpo di piccone al sentimento di patria. Dopo il ’ 45 la parola “patria” era del tutto squalificata: il termine è sparito, ed è stato sostituito da “Paese”, che prima non si era mai sentito in riferimento allo Stato. Tanto è vero che c’era un giornale di sinistra che si chiamava Il Paese. E non avrebbe mai potuto chiamarsi La Patria! Figuriamoci, sarebbe diventato subito uno strumento dei fascismi. In quei primi anni subito dopo la fine della guerra però, anche a destra si andava cauti con la parola “patria”.

Nel suo “Viaggio in Italia”, dei primi anni Ottanta, lei ha scritto: “L’Italia è ben poco interessante, il popolo, dopo tanta storia, è più che mai rincretinito”. Lo pensa ancora?
Certo! Tante cose contenute nel Viaggio in Italia sono un travalicamento del senso di patria e nello stesso tempo trasudano una struggente nostalgia. Il termine “Madrepatria” esprime bene una trasposizione vera: la patria è una madre più grande per tutti. E quando manca la madre, il disorientamento è massimo. L’assenza di patria non è sostituita da nient’altro, forse solo, per quelli che ce l’hanno, dalla fede. Tra l’altro, sul tema dello stato confessionale, io voglio dire che è sbagliato pensare che l’Italia sia un Paese cattolico. Abbiamo almeno ottocento gruppi religiosi, la stessa Sicilia va diventando pentecostale: diciamo meglio che l’Italia è un Paese dove c’è anche il Vaticano. Una religione è anche un pensiero, e dov’è un vero pensiero cattolico in Italia, oggi? L’originalità di scrittori cristiani come Sergio Quinzio e Ferdinando Tartaglia resta insuperata. E poi silenzio.

Questo Papa francescano le piace?
Così così. Non mi piaceva nemmeno il suo predecessore, il teologo. Direi che tutto il discorso dei papi ha pochissima consistenza. Ascolto sempre l’interessante rassegna della stampa vaticana di Giuseppe Di Leo su Radio Radicale, la domenica. È fatta molto bene, ma quando si evocano le parole del Pontefice in un’occasione o nell’altra, qualcosa che somigli a un pensiero non c’è. Avevano fatto a Pio X, che aveva condannato il Modernismo per eresia, una domanda circa le idee nuove. Lui aveva un calamaio sul suo tavolo. E aveva risposto: “Lo vede questo calamaio? Non è mio, l’ho ricevuto. Quando me ne andrò lo passerò al mio successore: questa è la mia dottrina”. Cioè non avrebbe mai potuto cambiarla, non avrebbe mai speso una goccia di quell’inchiostro per trasformare la dottrina. È mutato lo stile. Papa Francesco potrà essere, nello stile appunto, un grande modernizzatore. Ma niente di più.

Nei supplementi al “Viaggio in Italia” dedica alcune pagine al Museo delle carrozze dei papi.
È un luogo affascinante: ci sono delle carrozze che altro che quelle dei Dogi! E poi cominciano le automobili: venivano fabbricate apposta, in modello unico, per donarle al Papa. Quella di Pio XII aveva un microfono con cui lui comunicava con l’autista, perché non poteva parlargli direttamente. Ma lui si muoveva pochissimo. Poi scoprendo una jeeppona per i viaggi africani di Papa Giovanni Paolo II vedi che c’è stato un cambiamento, inaudito e rapidissimo. Con l’inevitabile Papa-mobile si è ristabilita una certa distanza.

L’obiezione sul pensiero inconsistente dei papi vale anche per la politica?
Politici che pensano attualmente non ne vedo neppure uno.

Lo stesso nella Prima Repubblica?
Questo vorrebbe dire che ce n’è una seconda… Anzi, non so nemmeno se la nostra si possa dire una Repubblica. È nata di provetta e di cesareo: priva di padre e di madre. L’Italia unita è stata fatta da una dinastia celtica poco raccomandabile e finita male. Ricordo il passaggio decisamente traumatico e violento del 25 aprile. Dopo la Liberazione mi appassionava moltissimo tutto quel che era politica. Per slancio, del resto ero talmente giovane… Avevo nelle orecchie i discorsi del duce, quando – lo ricordo come se fosse ieri – andai, con molta speranza e un certo fervore, allo stadio che aveva appena cambiato nome da Stadio Mussolini a Stadio Comunale. Non c’era ancora la Repubblica. Mi trovai ad ascoltare – davanti a una folla oceanica perdutamente bisognosa di essere ingannata, un discorso unitario di Nenni e Togliatti, i due capi dei grandi partiti di massa. Ma era la prosecuzione di quegli altri discorsi, era lo stesso identico vuoto di verità. E quelli sono stati i padri fondatori. Con tutti i suoi difetti di romagnolo – non dimentichiamo che era stato amico e sodale di Mussolini prima del ‘ 15 – Nenni era comunque preferibile a Togliatti, che era un emissario di Stalin e un complice delle sue famose purghe. Ero della generazione delle “conversioni de La corazzata Potëmkin”. Alla domenica il Pci organizzava visioni gratuite del film di Ejzenštejn e il giorno dopo c’era una fila di ragazzi che andava a iscriversi al partito. Io no: avevo una grande diffidenza verso il Pci, e a partire dal ponte aereo di Berlino fui definitivamente anti-comunista. Tanti giovani avevano ancora residui di fascismo nelle vene, e a me era andato via del tutto con l’ 8 settembre. Poi c’erano gli increduli sulle deportazioni: sapesse le discussioni. “Ma come, non è possibile: paralumi fatti con la pelle umana, figuriamoci!”. A Nizza, sulla collina in faccia al mare, c’è un monumento con la scritta: “Qui è sepolto un pezzo di sapone prodotto con grasso umano”. Sventurato chi non piange.

Primo Levi è stato sempre tormentato dal non essere creduto.
Sì, è stato così tutti i sopravvissuti. Anche per mia suocera, che era stata a Birkenau. Io sono stato attirato dall’ebraismo per via delle persecuzioni. Un giorno, nel 1946, vidi in una libreria di Torino un libretto di Giuliana Tedeschi, Questo povero corpo. Raccontava le deportazioni al femminile: quel volumetto è stato molto importante per me. Tanti anni dopo, abitavo a Roma, mi chiama una ragazza e mi dice: “Mi chiamo Erica Tedeschi, buongiorno”. Ed era sua figlia. Faceva l’assistente sociale, si occupava dei profughi ebrei della Libia. Dopo la Guerra dei Sei giorni, molti ebrei libici avevano fatto una brutta fine: tanti ebrei nordafricani scampati arrivarono in Italia. La nostra convivenza felice è durata quattordici anni. Separati dall’ 82 e mai divorziati. Con Erica il mio rapporto non si è mai interrotto.

Le sue posizioni su Erich Priebke – colpevole, lei ha scritto, di eccesso di obbedienza militare e della “miseria di non essere un santo”, di non aver cioè voluto rifiutarsi di partecipare all’eccidio delle Fosse Ardeatine – hanno fatto molto scalpore.
Ho intervistato Erich Priebke. Per me è sempre stato un essere umano e non un mostro. E penso ancora che sia stato creato “Mostro delle Ardeatine” e “vittima di una giustizia dell’odio”, come ho più volte scritto. Penso poi che la scena della folla che prende a calci la sua bara – una qualunque bara – faccia schifo. Io volevo sottolineare il processo di trasformazione mediatica di una persona in un mostro, al di là delle sue responsabilità. Voglio dire che lui non è mai stato visto come un imputato, ma subito come un mostro. Era la sua caricatura. Detto questo, io ho sempre pensato che le Fosse Ardeatine siano state un crimine commesso da entrambe le parti. Prima della rappresaglia, c’era stato un atto terroristico dei gappisti, voluto dal Pci che voleva indurre i romani a insorgere.

Su “Repubblica” ha scritto che bisogna assolutamente eliminare l’orripilante parola “femminicidio”, che abbassa le donne “a tutto ciò che, in natura, è di genere femminile, dunque zoologico, col destino comune di figliare e allattare. Ma, per noi, se non siamo bruti, donna significa molto di più. L’etimologia latina ne restringe il ruolo allo spazio domestico (domina); il Medioevo occidentale l’ha inventata (o rivelata) ideale, e su quel trono è rimasta, anche quando trattata a frustate”.
Ho proposto di sostituire “femminicidio” con “ginecidio”. Non è che sia un neologismo bellissimo, ma appartiene alla schiera dei derivati dal greco classico (giné-gynekòs): gineceo, ginecologia, misoginia. Non pensavo mi toccasse di proporre un termine più accettabile per una cosa tanto ripugnante. Però “femminicidio” è rimasto nel linguaggio. Avevo scritto “Se riuscirò me ne farò un merito”, però le abitudini linguistiche sono dure a morire.

È stato, è, femminista?
Non è che mi sia mai interessato molto l’argomento. Cioè m’interessano le donne, ma questa è un’altra faccenda. Sono sempre stato naturalmente dalla parte delle donne, non ho mai visto ragioni di un contrasto “di genere”. Ero attratto dalla differenza, ma mi pare abbastanza ovvio. Ho un bellissimo ricordo parigino, che risale agli anni Settanta. C’era una manifestazione femminista in Saint Germain des Prés, con duecento ragazzine. Una – biondina, con gli occhiali, dall’aria timidissima – mostrava il seguente cartello: “E le clitoris, alors?”. Incantevole!

Torniamo alle questioni culturali. Legge gli scrittori contemporanei?
Molto poco.

Ci fermiamo a?
Guido Piovene. L’ho anche conosciuto e gli ho voluto bene. Cesare Pavese poi l’ho amato e mi ha interessato. Anche il Pavese poeta ha toccato corde che sono anche mie, come il rapporto città-campagna.

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”.
La luna e i falò. Quando poi dice “Un paese vuol dire non essere soli”: lo penso anch’io perché abito in un paese. Detto questo, “Il mestiere di vivere” è un capolavoro della letteratura italiana.

Perché non la attira la narrativa contemporanea?
Per lo più è roba dettata dal computer…

Lei è molte cose: poeta, drammaturgo, scrittore, giornalista, latinista e biblista. Cosa si sente di più d’essere?
Quel che più mi piacerebbe – e ci sono riuscito in buona parte – è di essere un filologo. Il resto è in consonanza. Come biblista era certo un miglior conoscitore dell’ebraico di me il Cardinal Martini. Ma non avrebbe potuto tradurre un salmo in una lingua moderna accettabile. Eravamo insieme in prima elementare a Torino. Ho anche una foto di tutta la classe con la maestra, nel 1934, ma non saprei più dire chi fosse il futuro arcivescovo di Milano in mezzo a quei grembiulini. È certamente singolare che in una stessa classe all’età di sei anni ci fossero due futuri biblisti… A me interessava ricavare dai testi del Vecchio Testamento un po ’ di autentica lingua italiana. Tutto quel che abbiamo di Bibbia tradotta in italiano è veramente roba da buttare.

Brutte traduzioni?
Per millenni i Papi hanno impedito che venisse letta, poi all’improvviso hanno cominciato a promuoverne la lettura. Mondadori ha stampato la Bibbia del Diodati addirittura nei Meridiani. Per tantissimo tempo è stata purtroppo la sola versione italiana disponibile. È una cosa che non si può dire. Ha presente l’italiano del Seicento imitato da Manzoni? Ecco, la lingua di Diodati è quella. Con effetti comici. In un verso il salmista si rivolge a Dio e dice: “Tu conosci quando io siedo, quando io cammino”. Diodati traduce: “Tu conosci il mio sedere”. Voglio vedere se uno non si mette a ridere. Per questo gli italiani fuggiranno sempre la lettura della Bibbia. Quando uscì nel Settanta il mio primo Qohelet, mi venne riferito che molti ragazzi dell’estrema sinistra lo tenevano come libro di capezzale. Adesso ho fatto l’edizione definitiva per Adelphi, ma potrei ritradurlo un’altra volta: è inesauribile. Lì non ci sono balle, non c’è politica.

Ci spiega l’associazione balle-politica?
Politica è menzogna incarnata, perché surrogato incruento della guerra civile. Là è il viadotto dei messaggeri infernali e ogni tanto di angeli buoni destinati a esserne vittime. Quando Lenin arrivò in Russia nell’aprile 1917 subito si mise a predicare la trasformazione della guerra europea in aperta guerra civile: così la menzogna della guerra attinse apici inauditi nell’hitlerismo, nel leninismo e nel mussolismo. Oggi nel mondo si salvano le perplessità di Obama o quella eccezionale donna birmana… Le menzogne nostre, italofone, sono bugie povere, senza grandezza, spurghi del pensiero unico che si maschera di anglismi, di sondaggi e di paraocchi economicoidi. Nessuna verità, neppure un quartino, mai.

Che pensa dei quotidiani del 2014?
Sono in giornalismo da circa settant’anni. I giornali vorrei che si salvassero, però con questi giovani giornalisti che usano una lingua sempre più standard, spersonalizzata, l’uniformità trionfa. Non è che sono scritti male, sono scritti uguale.

Lei ha tradotto Marziale, Catullo, Giovenale: che pensa della sempre minor fortuna dei licei classici?
È un disastro identitario e quindi politico. Ecco, se c’è una differenza tra la classe dirigente del secolo scorso e questa, è che l’altra aveva una base di latino. Questa non ha niente e perciò ha le chiappe scoperte. Se non hai come base il latino, quel che dici in italiano difficilmente contiene verità. Alla domanda “a cosa serve il latino?”, posso rispondere che serve a distinguere un uomo che ha studiato il latino da uno che non ne sa niente. Latino è il vero padre della patria. Purtroppo essendo destinato – anche per colpa gravissima della Chiesa che lo ha cancellato dai riti- a sparire del tutto, siamo in piena tragedia identitaria.

Ai nostri politici invece piace molto usare termini inglesi: si sentono “moderni”.
Matteo Renzi, sindaco di Firenze, la lingua italiana non l’ha difesa, perciò io lo rifiuto. Le vie di Firenze sono piene di parole inglesi: doveva mettere un argine. Quando l’ho sentito dire invece che “piano per il lavoro”, “job act” ho pensato che fosse come tutti gli altri. Buttare via la lingua è svendita identitaria.

La grande obiezione che si fa a proposito di Matteo Renzi è “non è di sinistra”. Lei che dice?
Che l’obiezione è miserimma: sinistra e destra sono vecchi fantasmi arcidefunti. Da segretario ha manovrato così bene da rimettere in sella Berlusconi che pareva finito. Bravo. L’uomo della provvidenza che getta il salvagente al provvidente più furbo: così la trappola si chiude.

Il Pd è stato al governo con Berlusconi, ha votato insieme al suo partito il Presidente della Repubblica, ora farà con lui le riforme…
No, non faranno nessuna riforma. Una somma di zeri mentali farà sempre zero. Con Grillo scendiamo ancora.

Lei è coetaneo del Presidente Napolitano.
Marameo: lui è più vecchio. È del ‘ 25 e io sono del ‘ 27. Il Papa emerito sì, è mio coetaneo. Fidel Castro, ridotto male anche lui, è dello stesso mese mio, agosto 1927, però Leone.

 

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/13/guido-ceronetti-morto-ripubblichiamo-la-sua-ultima-intervista-al-fatto-sono-un-patriota-orfano-di-patria-italia-regno-della-menzogna/4623553/

Bavaglio al web – L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ce l’hanno fatta, presto la direttiva sui diritti d’autore sarà legge. E sarà la fine del web libero…!

 

Bavaglio

 

 

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Bavaglio al web – L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ce l’hanno fatta, presto la direttiva sui diritti d’autore sarà legge. E sarà la fine del web libero…!

 

Bavaglio al web: alla fine ce l’hanno fatta. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d’autore nel mercato unico digitale. La proposta sul copyright avanzata da Axel Voss è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, modificando leggermente i contestatissimi articoli 11 e 13, che furono bersaglio – a luglio – di una rumorosa campagna a favore della libertà di Internet. L’articolo 11, ricorda il “Corriere della Sera”, è quello che coinvolge anche la stampa e introduce l’obbligo del pagamento, da parte delle piattaforme come Google e Facebook, per l’utilizzo delle notizie, anche sotto forma di “snippet”, l’anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente. «Quindi: non si tratta più di riconoscere solo i diritti dell’intero testo, ma anche della sua presentazione online, che spesso è l’unica a essere consultata dai lettori». L’articolo 13 introduce invece l’obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. YouTube, ad esempio, sarà direttamente responsabile delle copie e degli spezzoni pirata che vengono caricati dagli utenti. Il via libera della plenaria (arrivato il 12 settembre) apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio.

«Con la scusa della riforma del copyright, il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva. Una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini», protesta Isabella Adinolfi, europarlamentare 5 Stelle. «Il testo approvato oggi dall’aula di Strasburgo contiene l’odiosa “link tax” e filtri ai contenuti pubblicati dagli utenti. È vergognoso, ha vinto il partito del bavaglio». Purtroppo, aggiunge la Adinolfi, sono stati respinti tutti gli emendamenti che il Movimento 5 Stelle aveva presentato, «in particolare l’articolo 11, che prevede l’introduzione della cosiddetta “link tax”, e il 13, che mira a introdurre una responsabilità assoluta per le piattaforme, nonché un meccanismo di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti», conclude. Che tirasse brutta aria, a Strasburgo, lo si capiva dalle premesse, anticipate di prima mattina dal “Blog delle Stelle”: «L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ha scelto la sua preda: il web libero. Anziché scardinare i paradisi fiscali e salvare in modo serio il diritto d’autore, il Parlamento Europeo rischia di usare il copyright come una mannaia dei diritti dei cittadini».

Non sono in pochi a ritenere che la riforma – avanzata nel 2016 dall’allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo». Per gli europarlamentari rappresentati da Julia Reda, relatrice per il Parlamento Europeo del dossier sulla riforma del copyright e membro del Partito Pirata tedesco, «il progetto limita la libertà di espressione online e mette in difficoltà i piccoli editori e le startup innovative». Di fatto, il divieto di citare liberamente le fonti (con l’introduzione della “link tax”) equivale alla censura preventiva sul web: fine della libera circolazione di contenuti, come finora è stato nella Rete. Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, punta il dito contro lo stesso Oettinger, il tedesco secondo cui sarebbero stati “i mercati” a “insegnare agli italiani come votare”. Proprio quell’Oettinger, dice Magaldi, milita nei circuiti supermassonici reazionari che hanno trasformato l’Ue in un mostro giuridico, gestito da tecnocrati al soldo di interessi privatistici che mirano a svuotare le democrazie e privatizzare Stati non più sovrani, a cui viene impedito di investire (sotto forma di deficit) per creare occupazione.

Comunque lo si legga, l’attacco al web finisce per colpire uno strumento di comunicazione potentissimo, cercando di riportarlo sotto il completo controllo dei media mainstream, spesso protagonisti di un uso pressoché criminale di autentiche “fake news”. Il voto del Parlamento Europeo è stato salutato con soddisfazione da Antonio Tajani, coinvolto – secondo il saggista Gianfranco Carpeoro – nell’operazione che ha portato (premendo su Berlusconi) a bloccare la nomina, alla presidenza della Rai, di Marcello Foa, autorevole giornalista, autore del volume “Gli stregoni della notizia”, che smaschera le tante imposture del mainstream. Secondo Carpeoro, la manovra anti-Foa è nata dalle parti dell’Eliseo: Jacques Attali (mentore di Macron ed esponente della superloggia reazionaria “Three Eyes”) si sarebbe rivolto al massone Tajani e poi allo stesso Berlusconi, dopo essersi consultato con Giorgio Napolitano, che nel libro “Massoni” lo stesso Magaldi presenta come esponente della “Three Eyes”, la medesima superloggia nella quale milita Attali, contigua al mondo supermassonico di cui fa fa parte, da molti anni, il tedesco Oettinger, vero e proprio “architetto” del bavaglio europeo imposto al web.

E’ noto a tutti che le oligarchie al potere, in Europa e non solo, hanno sviluppato un’enorme diffidenza nei confronti della Rete: un network che si ritiene abbia avuto un ruolo assai rilevante in tutti i “dispiaceri” che gli elettori hanno rifilato, negli ultimi anni, all’establishment – la Brexit e il referendum di Renzi, quindi l’elezione di Trump e infine il boom dei “gialloverdi” in Italia. «Se Grillo vuole fare politica fondi un partito, se ne è capace», disse Piero Fassino, non immaginando che l’ex comico non solo ce l’avrebbe fatta, ma sarebbe finito praticamente al governo, scalzando il Pd. Il Movimento 5 Stelle è stato creato proprio via web, a partire dalle candidature. Colpire il web in Europa, proprio oggi, significa predisporre contromisure in vista delle elezioni europee 2019, in cui i grandi poteri economici e oligarchici che si nascondono dietro la tecnocrazia Ue temono l’exploit dei partiti “sovranisti” e “populisti”, o meglio democratici. Mentre le televisioni sono letteralmente “militarizzate” dall’establishment, le vendite dei giornali sono in caduta libera. Ecco dunque la necessità, per gli oligarchi, di silenziare in ogni modo il web.

 

 

fonte: http://www.libreidee.org/2018/09/bavaglio-al-web-in-europa-ce-lhanno-fatta-ora-sara-legge/

L’accusa di Di Battista: “I giornali hanno mangiato con Autostrade ed ora provano a delegittimare il Governo”

 

Di Battista

 

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L’accusa di Di Battista: “I giornali hanno mangiato con Autostrade ed ora provano a delegittimare il Governo”

 

Di Battista a Otto e Mezzo: ‘I giornali hanno mangiato con Autostrade e provano a delegittimare il governo’

Collegato con lo studio di “Otto e Mezzo” dal Guatemale, Alessandro Di Battista ha affrontato la questione del concorso universitario per il quale aveva fatto domanda Giuseppe Conte nel febbraio scorso, prima delle elezioni, quando ancora non sapeva che sarebbe diventato premier.

“Mi sembra risibile – ha commentato l’ex deputato 5Stelle – che tutti i giornaloni diano tutto questo spazio a questa vicenda”.

“Per me – ha aggiunto – non deve fare il concorso adesso, deve fare il presidente del Consiglio, ma così sarà. C’è un tentativo incredibile, per me… legato alla nazionalizzazione di Autostrade, perché con Autostrade, con le pubblicità ci hanno mangiato anche un sacco di giornali, per cui è evidente che provano a legittimare questo governo, per me su str**zate”.

Alla domanda se il governo durerà cinque anni, Di Battista ha risposto:

“Non so, mi auguro che faccia cose buone. E, onestamente, nei primi cento giorni si è fatto tanto. E per me, ahimè, con il Partito Democratico non si sarebbe cancellato il vitalizio alla Camera, non sarebbe stato approvato il Decreto Dignità, in particolare proibire le pubblicità sul gioco d’azzardo (e mi sembra qualcosa di particolarmente importante perché il gioco d’azzardo uccide la vita sociale, economica e fisica di tanti italiani), non si sarebbe intervenuti sull’aereo di Stato di Renzi e non si sarebbe parlato della nazionalizzazione di Autostrade”.

La Gruber ha fatto notare a Di Battista che dopo cento giorni non è stata ancora fatta la legge sul reddito di cittadinanza e che sul taglio dei vitalizi pendono ricorsi. L’esponente pentastellato ha ribattuto:

“Per me il fatto che ci siano 700 ex deputati che facciano ricorso per riottenere il vitalizio è già un segnale di cambiamento, non erano mai stati colpiti gli ex deputati, sempre i cittadini nei governi precedenti”.

Quanto al reddito di cittadinanza, Di Battista ha detto: “Per me è fondamentale, io sono stato in Silicon Valley a fare delle inchieste: la piena occupazione con l’automatismo non ci sarà mai, per cui o garantiamo un reddito o ci saranno delle guerre sociali da qui ai prossimi cinquant’anni. Vedremo nelle prossime settimane”.

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/11/di-battista-a-otto-e-mezzo-i-giornali-hanno-mangiato-con-autostrade-e-provano-a-delegittimare-il-governo/

Andrea Camilleri: Salvini ricordi Mussolini, acclamato e poi finito a testa in giù…!

 

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Andrea Camilleri: Salvini ricordi Mussolini, acclamato e poi finito a testa in giù…!

Lo scrittore a Radio Capital avvisa: “Rischiamo di tornare al fascismo”. E sui 5 Stelle: “Subalterni alla Lega”

Il padre del commissario Montalbano, Andrea Camilleri, a 90 anni ha la memoria perfetta. E a Radio Capital, alla ripresa del programma “Circo Massimo” di Massimo Giannini, ricorda nitidamente di aver vissuto a sufficienza da aver sentito “le acclamazioni a Benito Mussolini dalle stesse persone che l’appesero. Attenzione ai grandi consensi: è facile passare dalla grandissima passione amorosa all’odio. Al posto di Salvini avrei paura di tutto questo consenso”. Il rimando alla dittatura del Duce non è casuale. Lo preoccupa molto che il fascismo possa rinascere: “Rischiamo di tornarci. Molto spesso – ha detto alla radio – vengono a trovarmi ragazzi del liceo e mi chiedono di spiegargli il fascismo. Mi atterrisce che la scuola o chi ne fa le veci non spenda una parola, o la spenda male, sul fascismo. E ho paura che l’araba fenice possa rinascere, non dalle sue ceneri ma dall’ignoranza”.
“Quelli del M5S non hanno spinta ideale”
Camilleri non risparmia neanche i pentastellati. Non prova per loro “nessuna simpatia. Sono bastati pochi mesi di governo per dimostrare la loro subalternità alla Lega. All’interno non hanno spinta ideale. Di certo non hanno preso provvedimenti di sinistra… Salvini impera e fa dei diktat, mentre il M5S va a rimorchio: se poteva avere una funzione, non l’ha voluta esplicare. O, peggio ancora, non l’ha potuta esplicare”.
A un governo di destra purtroppo non si contrappone una sinistra con sufficiente vigore e vitalità. “È problematico dire che esiste ancora, ma ha ancora ragion d’essere, e per questo sono certo che resisterà”, risponde lo scrittore. Che intende restituire alcune delle tantissime onorificenze ricevute. “Anni fa il governo ungherese mi mandò un attestato, che conservo appeso al muro del mio studio, in cui mi ringraziavano per l’aiuto ai profughi ungheresi. Visto quello che sta facendo Orban, vorrei restituire anche questo. Alzare muri non significa solo chiudersi in casa con il proprio nemico ma mettersi dentro una cassa da morto. L’avvenire è per forza di cose un rinnovamento di pensiero. Se rifiutiamo questo, ci chiudiamo in una bara”.

 

fonte: https://www.globalist.it/storia/2018/09/10/camilleri-salvini-ricordi-mussolini-acclamato-e-poi-finito-a-testa-in-giu-2030552.html

Sono senza Vergogna: Cuffaro condannato per favoreggiamento alla mafia, accolto in Sicilia da Micciché (Forza Italia) all’Ars nella sala dedicata a Piersanti Mattarella …un calcio nelle palle ai cittadini onesti…!

 

Cuffaro

 

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Sono senza Vergogna: Cuffaro condannato per favoreggiamento alla mafia, accolto in Sicilia da Micciché (Forza Italia) all’Ars nella sala dedicata a Piersanti Mattarella …un calcio nelle palle ai cittadini onesti…!

“La notizia che Micciché, in veste di Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, abbia autorizzato la presenza di Totò Cuffaro ad un convegno all’Ars è vergognosa. È un ceffone in faccia a tutti i siciliani onesti”.

Così il M5S Sicilia in un post pubblicato sul Blog delle Stelle.

Si tratta – spiegano i pentastellati di “una porcata assoluta che sa pure di beffa: non solo viene srotolato il tappeto rosso davanti ad un condannato per fatti di mafia, ma lo si fa pure nella sala dedicata a Piersanti Mattarella, l’ex Presidente della Regione, ucciso brutalmente dalla mafia il 6 gennaio del 1980”.

“Portare un ex detenuto, condannato per aver tradito lo stato rivelando indagini a mafiosi, – continuano – nella sala di chi la mafia l’ha combattuta rimettendoci la vita, significa nel linguaggio mafioso che la mafia è più forte dello Stato e che può sbeffeggiare le più importanti Istituzioni”.

“Ma evidentemente – aggiugne il M5S Sicilia – questo Micciché non lo ha capito, come forse non lo ha capito nemmeno il Presidente della Commissione Antimafia Claudio Fava che invece di indignarsi accondiscende e liquida la questione con la solita filosofia politica che non infastidisce nessuno”.

“No caro Fava non funziona così. Troppo comodo. La politica, – affermano i 5Stelle rivolgendosi al presidente dell’Anfimafia – quella vera, deve avere la forza e il coraggio di condannare apertamente e con forza chi tradisce la fiducia dei siciliani. Cuffaro ha tradito la fiducia dei siciliani, favorendo il più grande nemico della Sicilia, e per questo non deve più mettere piedi all’Ars”.

Il post si conclude con un P.S.:

“Micciché, rimbrottato dal nostro Giancarlo Cancelleri, risponde che Cuffaro ha tutto il diritto di parlare e che ‘costui rappresenta un pezzo importante di recente storia siciliana’. Tra tutti gli aggettivi che potrebbero adeguatamente definire l’esperienza presidenziale di Cuffaro, Miccichè utilizza quello forse più inappropriato, e lo fa caricandolo quasi di positività: lo definisce “importante”. Come se dovessimo quasi ringraziarlo (il Cuffaro) per avere umiliato, con la sua condanna definitiva, la Sicilia e i Siciliani tutti. Perché ricordiamolo, Totò Cuffaro è stato condannato per fatti di mafia; mica per aver rubato banane”.

 

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/09/09/sicilia-m5s-ceffone-in-faccia-ai-cittadini-onesti-micciche-autorizza-il-ritorno-di-cuffaro-allars/

Perché quella di Luigi Di Maio su Matera non è un gaffe, ma solo un caso montato ad arte: la domanda era pertinente e motivata e lo stesso interlocutore Emiliano lo conferma…

 

Luigi Di Maio

 

 

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Perché quella di Luigi Di Maio su Matera non è un gaffe, ma solo un caso montato ad arte: la domanda era pertinente e motivata e lo stesso interlocutore Emiliano lo conferma…

 

Perché quella di Luigi Di Maio su Matera non è un gaffe sulla geografia

Luigi Di Maio è al centro della polemica per la conversazione in cui chiede a Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, cosa stia facendo per Matera. Quella di Di Maio, in realtà, non sembra essere una gaffe geografica, ma una domanda sugli investimenti che la regione – confinante con la Basilicata – sta mettendo in campo in vista del 2019, quando Matera sarà capitale europea della cultura.

È diventato un caso politico la conversazione tra il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, su Matera, capitale europea della cultura nel 2019. Le telecamere hanno ripreso un frammento del dialogo tra i due in cui Di Maio chiede a Emiliano: “Con Matera cosa state facendo?”. Il presidente della Regione Puglia, allora, si avvicina la mano alla bocca e risponde: “Matera è in Basilicata”. “Eh, lo so”, replica prontamente il ministro del Lavoro. A quel punto Emiliano si concentra sugli aspetti che riguardano da vicino la Puglia, che è confinante con la Basilicata e che è – a livello di trasporti – la zona con più hub per collegare la città capitale della cultura al resto d’Italia per via ferroviaria e aerea. “Se si riuscisse a fare qualcosa – aggiunge Emiliano -. Noi stiamo finendo il raddoppio della ferrovia ed è un investimento tutto pugliese, se no quelli non hanno la stazione”.

A difendere Luigi Di Maio è intervenuto proprio il suo interlocutore, Michele Emiliano, che su Twitter ha scritto: “Il ministro sa benissimo che Matera è in Basilicata e sa altrettanto bene che il sostegno della Puglia a Matera capitale europea della cultura è fondamentale, per questo mi ha fatto le domande, tutte pertinenti, cui ho risposto”. Come spiega anche Emiliano, quindi, la domanda del ministro del Lavoro è stata posta per parlare degli investimenti che la Puglia, regione confinante alla Basilicata, sta mettendo in campo in vista del 2019 per Matera.

La replica del ministro del Lavoro è arrivata poco dopo con un lungo post su Facebook, in cui attacca giornalisti ed editori dei giornali: “Giornalisti ignoranti o in mala fede, o entrambi, mi accusano di aver sbagliato a chiedere a Emiliano cosa stesse facendo per Matera, lasciando intendere che non sappia in che regione sia. Sono loro che non sanno che la Regione Puglia sta facendo e ricevendo investimenti milionari in vista dell’appuntamento con Matera capitale della Cultura”.

Di Maio elenca le misure che riguardano la Puglia, a partire dai “100 milioni di euro per il raddoppio della ferrovia Bari Matera e le opere connesse”. Il ministro del Lavoro continua ricordando il “bando pubblico per finanziare attività culturali”, i “2 milioni di euro per valorizzare storia, cultura e paesaggio lungo l’itinerario che dalla Puglia va a Matera”. “Non sanno – aggiunge – che il consiglio regionale pugliese ha addirittura approvato una legge per la promozione del turismo culturale in occasione di Matera Capitale Europea della Cultura 2019”.

Di Maio parla dei treni che non arrivano direttamente a Matera, ma solo a Bari e “da lì o ci sarà il nuovo collegamento ferroviario o ci sarà un servizio di pullman per portare i turisti a Matera. Non sanno neppure che dopo quel colloquio con Emiliano abbiamo inaugurato il 5g Bari Matera. Insomma, non sanno che ci sono importanti rapporti commerciali tra due regioni confinanti e che Matera capitale della Cultura significa un grande ritorno economico non solo per i lucani, ma anche per i pugliesi”. A questo punto Di Maio attacca “i politicanti del Pd che riprendono questa fake news”.

Di Maio conclude:

L’operazione di discredito verso questo governo continua senza sosta. Gli editori dei giornali hanno le mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato: autostrade, telecomunicazioni, energia, acqua. E l’ordine che è arrivato dai prenditori editori è di attaccare con ogni tipo di falsità e illazioni il MoVimento 5 Stelle. Questo non è più giornalismo libero. Siamo di fronte alla propaganda dell’establishment che si fonda anche su contributi pubblici mascherati come la pubblicità da parte dei concessionari di Stato (quanti soldi prende Repubblica dai Benetton per la pubblicità?). Bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori.

tratto da: https://www.fanpage.it/perche-quella-di-luigi-di-maio-su-matera-non-e-un-gaffe/