Col ventennale della morte, è iniziato il processo di beatificazione a Craxi. Tra pellegrinaggi, parole accorate e lacrime, un po’ a tutti è sfuggito il particolare dei 40 miliardi di tangenti che il buon Bettino si mise personalmente in tasca… Per non parlare dei 23 miliardi con cui Silvio da Arcore lo ringraziò per la legge Mammì…!

 

Craxi

 

 

 

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Col ventennale della morte, è iniziato il processo di beatificazione a Craxi. Tra pellegrinaggi, parole accorate e lacrime, un po’ a tutti è sfuggito il particolare dei 40 miliardi di tangenti che il buon Bettino si mise personalmente in tasca… Per non parlare dei 23 miliardi con cui Silvio da Arcore lo ringraziò per la legge Mammì…!

Nelle sentenze definitive
di Marco Travaglio

Nel giorno del pellegrinaggio ad Hammamet con figli d’arte, complici, coimputati, miracolati, noti ladroni o aspiranti tali (chi non è capace a rubare invidia tanto chi ci riesce), scassinatori, pali e addetti al piede di porco, ci uniamo anche noi al ricordo dell’indimenticabile statista pregiudicato morto latitante 20 anni fa. Purtroppo il nostro è il ricordo di chi ricorda, non di chi s’è scordato tutto o non sa nulla, come l’intera stampa italiana, che da giorni riempie paginate su Bettino senza mai citare il bottino. L’inviata del Corriere sul luogo del delitto e del relitto, per dire, si domanda pensosa se Craxi fosse “latitante, come accusano gli esponenti del M5S (sic, ndr) o esule, come vorrebbe la figlia” e si risponde che “l’enigma ancora divide. Ma il tempo della damnatio memoriae può dirsi finito”. Invece è appena cominciato, a giudicare dalla sua, di memoria, e da quella degli altri “giornalisti” all’italiana.

Segnatevi questa data: 29 settembre 1994. Mentre il premier Silvio B. compie 58 anni, il pool Mani Pulite fa arrestare Giorgio Tradati, vecchio amico di Craxi e uno dei prestanome dei suoi conti esteri. Il 4 ottobre il pm Antonio Di Pietro lo fa deporre al processo Enimont. E il suo racconto rade al suolo la difesa di Craxi sui “finanziamenti irregolari alla politica”“Nei primi anni 80, Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense (Constellation Financière). Funzionava così: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto… il prestanome”. Lì cominciano ad arrivare “somme consistenti”: nel 1986 sono già 15 miliardi. E altri 15 su un secondo: quello che Tradati, sempre su input di Bettino, intesta a un’altra panamense (International Gold Coast) presso l’American Express di Ginevra. Ma stavolta c’è una variante: un conto di transito, il Northern Holding, messo a disposizione da un funzionario della banca, Hugo Cimenti, per rendere meno individuabili i versamenti. Come distinguevate – domanda Di Pietro – i bonifici per Cimenti da quelli per Craxi-Tradati? Risposta: “Per i nostri si usava il riferimento ‘Grain’, che vuol dire grano…”. Risate in aula. Poi con Tangentopoli tutto precipita. “Intorno al 10 febbraio 1993 Bettino mi chiese di far sparire il denaro dai conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani Pulite. Ma io rifiutai… avrei inquinato le prove… E fu incaricato un altro. I soldi non finirono al partito… Hanno comprato anche 15 chili di lingotti d’oro (poi ritrovati dai giudici elvetici, per un valore di 300milioni di lire, ndr).

Craxi rimpiazza Tradati e affida i suoi conti a Maurizio Raggio, ex barista di Portofino, strano personaggio con interessi in Italia e all’estero, fidanzato con la contessa Francesca Vacca Agusta, vecchia amica di Craxi. Raggio si precipita in Svizzera, svuota i conti e si ritrova fra le mani 40 miliardi di lire. Di Pietro sguinzaglia i carabinieri a Portofino, dove vive con la contessa a Villa Altachiara. Troppo tardi. La coppia se l’è già svignata in motoscafo, prima a Montecarlo, poi in Messico. Cimenti intanto conferma ai pm: Raggio ha lasciato sui conti solo un milione di dollari e trasferito il resto su depositi alle Bahamas, alle Cayman e a Panama. Intanto Tradati continua a raccontare: “I prelievi dai conti svizzeri di Craxi servivano anzitutto per finanziare una tv privata romana, la Gbr di Anja Pieroni (una delle amanti, ndr)… e acquistare un appartamento a New York e uno a Barcellona”.

Donne e motori. Il resto lo racconta Raggio, arrestato il 4 maggio ’95 in Messico, dal carcere di Cuernavaca.

In poco più di un anno di latitanza, ha speso 15 miliardi su 40. Il resto, l’ha riportato a Craxi, latitante ad Hammamet, che gli ha detto come e dove spenderlo. La sua deposizione verrà autenticata dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano, nelle sentenze del processo All Iberian confermate dalla Cassazione (Craxi e B., condannati in primo grado e prescritti in appello). Ecco quella d’appello: “Craxi dispose prelievi… sia a fini di investimento immobiliare (l’acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tivù (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire… Dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe, ndr) a Roma, intestati alla Pieroni”. Alla quale faceva pure pagare “la servitù, l’autista e la segretaria”.

A Tradati diceva sempre: “Diversificare gli investimenti”. E Tradati eseguiva, con varie “operazioni immobiliari: due a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile”. Senza dimenticare gli affetti familiari: una villa e un prestito di 500 milioni per il fratello Antonio (seguace del guru Sai Baba) bisognoso di soldi per una mostra itinerante e una fondazione dedicate al santone indiano. Intanto il Psi è finito in bolletta per l’esaurimento delle mazzette e prima il tesoriere Vincenzo Balzamo, poi i segretari Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco, non sanno più come pagare i dipendenti. Ma Craxi se ne infischia e tiene tutto per sé. Poi vengono le spese di Raggio: 15 miliardi per “il mantenimento della sua detenzione” in Messico e la latitanza in Centroamerica con la contessa e certe distrazioni piuttosto care: 235.000 dollari “per un’amica messicana”; e una Porsche acquistata a Miami.

Case, aerei e Bobo. Il resto rimase nella disponibilità di Craxi, che da Hammamet commissionò a Raggio alcune spesucce: l’acquisto di “un velivolo ‘Citation’ del costo di 1,5 milioni di dollari”, l’estinzione di un “mutuo personale” acceso da Raggio (circa 800 milioni di lire), le parcelle degli avvocati e una raffica di “bonifici specificatamente ordinati da Craxi, tutti in favore di banche elvetiche, tranne che per i seguenti accrediti”: 100.000 dollari al finanziere arabo Zuhair Al Katheeb; 80 milioni di lire alla Bank of Kuwait Ltd “in pagamento del canone relativo a un’abitazione affittata dal figlio di Craxi in Costa Azzurra”. Il povero Bobo – spiega Raggio – “aveva affittato una villa sulla Costa nell’ottobre-novembre 1993, per sottrarsi al clima poco favorevole creatosi a Milano”.

Dunque, conclude il Tribunale, i conti di Craxi servivano “alla realizzazione di interessi economici innanzitutto propri” e “Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti… non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari, così da mettere in difficoltà lo stesso Balzamo… Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti, se non per soccorrere finanziariamente Gbr, in cui coltivava soprattutto interessi ‘propri’”. E, da vero uomo d’affari, “si informava sempre dettagliatamente (con Tradati, ndr) dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi”.
I tesori nascosti. Le rogatorie dalla Svizzera confermano che Tradati non mente. E dimostrano che sui conti di Craxi, nel 1991, mentre l’amico Bettino imponeva la legge Mammì scritta su misura per la Fininvest, Berlusconi bonificava 23 miliardi di lire in più rate tramite la società occulta All Iberian. Nessuna risposta, invece, avranno le rogatorie del pool sugli altri tesori di Craxi: quelli gestiti da altri tre prestanome – Gianfranco TroielliMauro Giallombardo e Agostino Ruju – su conti e società fantasma fra Hong Kong, Singapore, Bahamas, Cayman, Liechtenstein e Lussemburgo. Tutti miliardi rimasti inaccessibili, almeno ai giudici. Chissà mai chi ci campa a sbafo da 26 anni.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Il caso Gregoretti è l’ultimo indegno spettacolino di una politica fatta di battaglie mediatiche di bassa lega e ricerca di consenso a ogni costo… Fiumi di parole, ma non una sul vero punto: la violazione dei diritti di centinaia di persone di cui essenzialmente non frega nulla a nessuno.

 

Gregoretti

 

 

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Il caso Gregoretti è l’ultimo indegno spettacolino di una politica fatta di battaglie mediatiche di bassa lega e ricerca di consenso a ogni costo… Fiumi di parole, ma non una sul vero punto: la violazione dei diritti di centinaia di persone di cui essenzialmente non frega nulla a nessuno.

Da Fanpage:

La verità è che a nessuno frega niente di fare giustizia per i migranti della Gregoretti

Il caso Gregoretti è l’ultimo spettacolino indegno di una politica dal respiro corto, incapace di assumersi le proprie responsabilità e concentrata solo su battaglie mediatiche di bassa lega. La ricerca del consenso a ogni costo produce mostri e, in questo caso, ha completamente cancellato dalla discussione il vero punto: la violazione dei diritti di centinaia di persone. Di cui essenzialmente non frega nulla a nessuno.

Uno si paragona a Silvio Pellico e organizza lo sciopero della fame contro il suo processo, dopo aver chiesto ai suoi senatori di mandarlo a processo solo per raccattare qualche voto in più alle Regionali. Un altro finge di dimenticare di aver sostenuto e rivendicato tutte le scelte di quello che fino a qualche mese fa era il suo vice e ministro dell’Interno. Un altro ancora vuole processarlo, ma non vuole deciderlo subito per il timore di perdere qualche voto e rinunciare al penultimo bastione della sua resistenza. Un altro non si sa che cosa voglia, ma comunque è sempre in mezzo a marcare la sua diversità. Infine un altro, amico fraterno fino a qualche mese fa è ora pronto a votare nel modo opposto a quanto fatto in un caso praticamente identico. Il tutto mentre chi dovrebbe garantire la correttezza delle regole del gioco fa l’ennesimo favore a quello che ritiene possa vincere alle prossime elezioni.

Ecco, se volete una impietosa fotografia di cosa è la politica italiana al tempo del governo prima giallo-verde poi giallo-rosso-arancione-misto, non dovrete far altro che raccontargli il caso Gregoretti, in cui si sono sfidati politici inadeguati, incapaci di una visione che vada oltre il prossimo appuntamento elettorale, che non hanno remora di speculare sui diritti delle persone nella spasmodica e cieca rincorsa al consenso.

Stavolta a finire completamente in secondo piano sono i diritti di 140 persone, calpestati, secondo i giudici del Tribunale dei ministri, da una decisione dell’allora ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, che aveva immotivatamente negato loro lo sbarco sulle coste italiane. Qualche mese prima era toccato ai 177 migranti a bordo della Diciotti, bloccati per giorni e giorni a bordo di una nave militare per un “atto politico, dunque insindacabile” di cui non solo i 5 Stelle si erano autoaccusati, ma che addirittura avevano rivendicato. Già, perché pur di non aprire una crisi di governo, i 5 Stelle avevano abiurato a principi cardine della storia del Movimento, sancendo prima con le parole di Conte, Di Maio e Toninelli, poi con un vergognoso voto in Parlamento, che l’arrivo di qualche centinaio di disperati sulle nostre coste fosse un attacco alla patria da cui occorreva “difendersi”, con una azione politica che si inseriva perfettamente nel processo di criminalizzazione dei salvataggi in mare e di lotta senza quartiere alla solidarietà. Il caso Gregoretti è la conseguenza di quel processo e quelle 140 persone tenute per giorni a bordo di un’altra nave militare italiana meritano giustizia, non l’ennesima strumentalizzazione. E tutti noi meritiamo politici in grado di assumersi la responsabilità di consentire ai giudici di fare il loro lavoro, senza stare a fare improbabili calcoli e giocare agli apprendisti stregoni delle consultazioni elettorali.

Il teatrino che abbiamo visto in questi giorni è semplicemente indecoroso. Legare la necessità di fare chiarezza su una pagina nerissima della nostra storia recente al voto delle elezioni Regionali in Emilia Romagna e Calabria è una vergogna. Di cui tutti dovrebbero assumersi la responsabilità. Dopo le elezioni, ovviamente.

Fonte: https://www.fanpage.it/politica/la-verita-e-che-a-nessuno-frega-niente-di-fare-giustizia-per-i-migranti-della-gregoretti/
https://www.fanpage.it/

 

Feltri attacca Repubblica per il titolo “Cancellare Salvini”: “è una frase minacciosa che incita al linciaggio”… Dimentica però quando su Libero lui titolava “Per stendere Renzi bisogna sparargli” …Ipocrita o ormai completamente rincoglionito?

 

Feltri

 

 

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Feltri attacca Repubblica per il titolo “Cancellare Salvini”: “è una frase minacciosa che incita al linciaggio”… Dimentica però quando su Libero lui titolava “Per stendere Renzi bisogna sparargli” …Ipocrita o ormai completamente rincoglionito?

Cari colleghi dell’Ordine, stamane il quotidiano Repubblica reca in prima pagina il seguente titolone di apertura: ‘Cancellare Salvini’. Non credo che l’intenzione del titolista fosse quella di cancellare con la gomma il capo della Lega. È una frase minacciosa che incita al linciaggio – scrive Vittorio Feltri nel suo editoriale di oggi -. Cosa sarebbe successo se Libero avesse scritto a caratteri cubitali: ‘Cancellare Segre’? Segnalo a voi, che non leggete i giornali ma processate i giornalisti politicamente scorretti, questa perla democratica e antifascista. Sono curioso di vedere se sanzionerete Carlo Verdelli che pure è un direttore stimabile”.

È quanto afferma il direttore di ‘Libero’, Vittorio Feltri, in un editoriale pubblicato sul quotidiano

“La mia denuncia non intende colpire il direttore Verdelli, che sul suo giornale ha il diritto di adoperare il linguaggio che ritiene più opportuno. A me importa soltanto stabilire la fondatezza di un concetto: la deontologia o la si rispetta tutti, anche se discutibile, oppure che venga archiviata fra le cose inutili, o meglio dannose,” ha sottolineato Feltri.

Ipocrita o ormai completamente rincoglionito?

 Il problema è sempre il pulpito da cui arriva la predica. Perché se è legittimo criticare la scelta fatta da La Repubblica nella sua edizione del 15 gennaio 2020, è opportuno anche ricordare come chi oggi si scaglia contro il quotidiano di  Verdelli non sia esente di colpe.

Il classico “bue che dice cornuto all’asino”…

Insomma, l’indignazione ci poteva anche stare. Ma che ad indignarsi sia Vittorio Feltri… Sì, Feltri, quello che titolò così.

«Per stendere Renzi bisogna sparargli»

Era l’8 novembre del 2017 e su Libero campeggiava il titolone: «Per stendere Renzi bisogna sparargli». Titolo ancor più inequivocabile di quel «Cancellare Salvini» apparso su La Repubblica.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra, certamente. Ma il percorso storico del quotidiano diretto da Vittorio Feltri non consente di salire sul pulpito a dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

La storia è viva nella memoria di tutti, soprattutto quando viene stampato su carta.

Berlusconi ricorda Craxi: “Italiano modello – Ha pagato per le sue idee” – Perchè “tangenti” e “latitanza per scappare dai processi” sono “idee” …E poi ricordiamo che l’ultimo che Silvio ha definito “Italiano modello” sta marcendo in carcere per mafia…!

 

Berlusconi

 

 

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Premesso: riteniamo Bettino Craxi uno dei più grandi politici Italiani. Un uomo capace, risoluto, con un’ottima visione del panorama politico. Un grande statista insomma. Un grande comunicatore, un leader. Non ci possiamo esprimere sull’uomo, ma come figura pubblica, nel contesto della prima Repubblica sicuramente è emergente. E poi dopo le mezze calzette, gli improvvisatori, i pagliacci e le grottesche imitazioni dei fascisti che sono venuti dopo la prima Repubblica, la figura di un Craxi appare ancora più grande, imponente, di una superiorità lampante. Averne oggi di Craxi.

Detto questo, resta comunque il fatto che è morto da latitante dopo aver commesso dei reati ed essere fuggito dai processi.

Faceva parte di un sistema che non ha inventato lui, di cui non era l’unico manovratore. Ma comunque ci si è adattato benissimo, ne ha sfruttato le opportunità, lo ha coltivato, sostenuto e perfezionato. Un sistema in cui si è trovato bene, in cui ha sguazzato.

Lo facevano tutti non è un’attenuante.

 

Detto questo, torniamo all’ennesima puttanata uscita da bocca di Silvio Berlusconi:

Il padre-padrone di Forza Italia rispolvera le falsificazioni: dai giudici in mano alla sinistra alla negazione che il capo del Psi era latitante per le tangenti e non per motivi politici

In occasione dell’anniversario della morte in Tunisia Bettino Craxi (19 gennaio del 2000) Silvio Berlusconi ha scritto una lettera alla figlia del vecchio leader del Psi, Stefania, che ha dichiarato che “la sinistra non ha mai chiesto scusa al padre, né ha ammesso di aver sbagliato”

[Opinione discutibile, visto che Bettino Craxi è morto da latitante, e non da esule come i revisionisti vorrebbero far passare: Craxi è stato trovato responsabile di casi di corruzione e per evitare il carcere è fuggito in Tunisia. Il resto sono chiacchiere]

Ma Berlusconi non la pensa così: Bettino Craxi è stato uno dei pochissimi uomini politici della Prima Repubblica a meritare la definizione di statista. Oltre a lui, forse solo De Gasperi ne ha diritto. Il suo Paese con lui è stato ingrato” scrive l’ex Cavaliere, che continua: “Bettino Craxi ha pagato un caro prezzo per le sue idee, per aver voluto essere un uomo libero e coerente, per aver sfidato il sistema di potere politico, mediatico e giudiziario della sinistra”.

“Come dice la bellissima frase che ha voluto incisa sulla sua tomba, per lui la libertà era la vita e infatti per la libertà non ha esitato a mettere in gioco e a sacrificare la sua vita”, scrive Berlusconi, che non potrà essere a Hammamet per la cerimonia del ventennale dalla morte.

“Mi auguro che questo ventennale sia finalmente l’occasione per restituirgli il posto che gli spetta nella memoria condivisa degli italiani”, aggiunge il leader di Forza Italia. “Craxi aveva un sogno, che se si fosse realizzato avrebbe davvero cambiato il corso della storia italiana: cambiare la sinistra, sottraendola all’egemonia comunista e creare così le condizioni per sbloccare la democrazia italiana e realizzare una salutare alternanza in un contesto di sicurezza democratica. Fu il primo, anzi l’unico, a sfidare il duopolio fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, un duopolio spesso consociativo, sempre nemico del cambiamento e alla lunga fatale per la stessa democrazia. La crisi e il crollo della prima repubblica nacquero prima di tutto da questo problema che Craxi ebbe la lungimiranza di prevedere e denunciare”.

A giudizio di Berlusconi, “la sfida negli anni 80 al conservatorismo del Partito Comunista e del sindacato, in nome del riformismo socialista, della solidarietà atlantica, dell’orgoglio nazionale è una delle pagine migliori della storia politica italiana. Il nome di Bettino Craxi rimarrà nella storia come quello di un anticipatore coraggioso, che seppe prima degli altri cogliere per esempio l’esigenza assoluta di una riforma profonda delle istituzioni, per rafforzare la democrazia, ricuperare efficienza, restituire ai cittadini fiducia nella politica”.

Sul piano internazionale, “fu un anticipatore, seppe cogliere per tempo le contraddizioni dell’Europa, da europeista convinto qual era e i rischi gravissimi ai quali era esposta l’Italia nel Mediterraneo. Le sue scelte sul piano internazionale possono essere più o meno condivisibili, ma furono sempre ispirate da un altissimo senso dell’interesse nazionale, della dignità del nostro Paese che Bettino amava appassionatamente”.

“Non smise di amare l’Italia, nonostante le amarezze, neppure negli anni dell’esilio, in quella Hammamet che aveva eletto a sua dimora e dalla quale non smise neppure per un giono di seguire con passione le vicende italiane”.

“Di tutto questo, oltre che della sua amicizia, sono grato a Bettino, che considero uno degli ispiratori e degli anticipatori delle battaglie di libertà che stiamo combattendo a nostra volta da 25 anni”

Così parlò Berlusconi… E vista la “moralità” del soggetto fossi nei sostenitori di Craxi, non mi rallegrerei troppo… In proposito ricordiamo che l’ultimo che aveva definito “Italiano modello” sta marcendo in carcere per mafia…!

Salvini, il solito bulletto, mette alla gogna mediatica un ragazzo delle Sardine perché dislessico… Che pena…!

 

Salvini

 

 

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Salvini, il solito bulletto, mette alla gogna mediatica un ragazzo delle Sardine perché dislessico… Che pena…!

Salvini mette alla gogna mediatica un ragazzo dislessico sul palco delle Sardine

“Guardate la carica e la grinta che avevano pesciolini e sinistri poco fa a San Pietro in Casale. Se pensano di fermarci così… abbiamo già vinto!”: così Matteo Salvini mette alla gogna mediatica un altro suo contestatore. Si tratta di un ragazzo che ha appena 21 anni, ed è dislessico: ieri è intervenuto con un discorso durante una manifestazione delle Sardine, impappinandosi in alcuni punti. Motivo più che sufficiente per il leader leghista per ridicolizzarlo sui social.

Un altro contestatore di Matteo Salvini finisce alla gogna mediatica sui profili social del leader leghista. Si tratta di Sergio Echamanov, un ragazzo di appena 21 anni che ieri è salito sul palco durante una manifestazione delle Sardine a San Pietro in Casale, in provincia di Bologna, e si è impappinato mentre pronunciava il suo discorso. Qualcosa che può capitare a chiunque, ma che non ha fermato Matteo Salvini da ridicolizzare il giovane sul web. L’ex ministro dell’Interno ha infatti pubblicato un video in cui si vede il ragazzo che parla, scrivendo: “Guardate la carica e la grinta che avevano pesciolini e sinistri poco fa a San Pietro in Casale. Se pensano di fermarci così… abbiamo già vinto!”.

Subito sono esplosi i commenti contro la giovane sardina, che però ribatte: “Mi sento orgoglioso del mio imbarazzo, non avevo preparato nulla, nemmeno il discorso, perché volevo essere me stesso. Sono Dsa (disturbi specifici di apprendimento) e ne sono orgoglioso: talvolta hai difficoltà nelle esposizioni, ma stavolta c’entra poco, in realtà non ero preparato a parlare in quel momento, ha giocato più l’emozione. Credo in una politica che non brutalizzi l’umano, ma che renda libero ogni essere umano di essere ciò che è. Cosa rispondo a Salvini? Grazie Matteo, ma a me l’unica cosa che hai tolto è la serenità sul lavoro”. Sergio, infatti, fa il rappresentante porta a porta, e teme che l’imbarazzo creato e l’esposizione mediatica negativa ricevuta possano ora influire sul suo lavoro.

Sergio è sempre stato impegnato nel sociale: durante gli anni universitari è stato segretario dell’Unione degli studenti, per poi avvicinarsi al movimento delle sardine a Ferrara. “Ho visto l’odio che si è creato contro di loro. So cosa vuol dire essere presi di mira, io sono gay e alle superiori ero oggetto di bullismo. Ora sono un uomo forte, Salvini non mi ferisce. Ma partirà una querela nei suoi confronti”. Rispetto a quanto sta accadendo in queste ore in merito al suo lavoro, Sergio precisa: “L’azienda non mi vuole licenziare per quello che è successo, questo non è in discussione. Il problema per me sarà suonare al campanello nelle case con il timore di essere attaccato per le mie idee politiche. Il livello di razzismo e di odio in Italia è cresciuto in modo preoccupante e la responsabilità è di una certa politica, sono gli effetti del populismo. Quello che dobbiamo fare è riflettere su quale classe politica vogliamo”.

fonte: https://www.fanpage.it/politica/salvini-mette-alla-gogna-mediatica-un-ragazzo-dislessico-sul-palco-delle-sardine/
https://www.fanpage.it/

Il siluro a Salvini che i media ci hanno nascosto: nella sua lotta alla cannabis light tira in ballo le comunità di recupero. Queste rispondono con “Non in mio nome. Non ci rappresenta. Non cerchi di farci passare per suoi complici… E poi l’affondo: con lui aumento uso di eroina, morti per overdose e consumo di nuove sostanze!

 

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Il siluro a Salvini che i media ci hanno nascosto: nella sua lotta alla cannabis light tira in ballo le comunità di recupero. Queste rispondono con “Non in mio nome. Non ci rappresenta. Non cerchi di farci passare per suoi complici…  E poi l’affondo: con lui aumento uso di eroina, morti per overdose e consumo di nuove sostanze!

 

Era il 16 dicembre 2019. In Senato veniva respinto l’emendamento che avrebbe dovuto regolarizzare il mercato della Cannabis Light.

Salvini ringrazia il presidente del Senato a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze (v. video a fine articolo).

Ma le comunità di recupero non ci stanno ed il 17 dicembre ecco il comunicato stampa di fuoco del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA):

Non in mio nome. Salvini sulla cannabis light non ci rappresenta

Il leader della Lega non cerchi di farci passare per suoi complici in una “guerra alla droga” fallimentare e dannosa

Comunicato stampa

Non in mio nome.
Salvini sulla cannabis light non ci rappresenta
Il leader della Lega non cerchi di farci passare per suoi complici in una “guerra alla droga” fallimentare e dannosa
Roma, 17 dicembre 2019

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), la più grande rete di comunità di accoglienza e di recupero dalle dipendenze del terzo settore italiano, non si sente in alcun modo rappresentato dall’ex ministro Salvini e dalle sue posizioni sulla cannabis light.

“Sono ben altri i problemi che il sistema dei servizi deve affrontare,” dichiara Riccardo De Facci, presidente del CNCA, “questioni che si sono aggravate durante il periodo in cui Salvini ha fatto parte del governo: l’aumento del consumo di eroina, delle morti per overdose e le decine di nuove sostanze che hanno inondato il mercato. Noi crediamo in una politica sulle droghe radicalmente diversa da quella espressa dal leader della Lega. Non cerchi di farci passare per suoi complici in una ‘guerra alla droga’ fallimentare e dannosa.”

vedi QUI il comunicato stampa del CNCA

La cosa strana che nessun quotidiano, nessun giornale, nessun Tg ha riportato il comunicato stampa.

Sarebbe stato un siluro che avrebbe demolito parte della propaganda di Salvini… Ma non andava diffuso…

Cerchiamo di diffondelo noi… Giusto per ricordare con chi abbiamo a che fare…

Ipocrita fino alla nausea… Pantani, morto per overdose, un campione intoccabile… Stefano Cucchi, ucciso dalla polizia, la prova che “la droga fa male”… Due pesi e due misure di un ingannatore sempre a caccia di consenso e voti…

 

Ipocrita

 

 

 

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Ipocrita fino alla nausea… Pantani, morto per overdose, un campione intoccabile… Stefano Cucchi, ucciso dalla polizia, la prova che “la droga fa male”… Due pesi e due misure di un ingannatore sempre a caccia di consenso e voti…

Premesso che sottoscriviamo parola per parola quanto riportato dal Tweet di Salvini, compreso l’illazione che il Pirata abbia subito una sorta di accanimento, e non solo della sfortuna… È stato un eroe, ci ha fatto sognare, ha subito “strani” torti e forse bisognerebbe indagare bene sulla sua morte…

Detto questo: Stefano Cucchi, ucciso dalla polizia, era la prova che “la droga fa male”; Marco Pantani, morto per overdose, un campione intoccabile. Due pesi e due misure di un ingannatore sempre a caccia di consenso e voti.

Salvini ha detto quello che alla gente fa piacere sentire. Insomma ha fatto la solita sparata “piaciona” nella sua eterna lotta per il consenso e per qualche voto in più. E chissenefrega della coerenza… Tanto, quelli che lo stanno a sentire…

Fosse stato coerente, avrebbe dovuto prendere le distanze dal Pirata in nome della sua battaglia alla droga che “fa sempre male”, pure se vieni massacrato di botte da qualche Carabiniere allucinato…

Ormai Salvini è una macchietta che sente il bisogno, quasi patologico, di abbracciare qualunque figura più o meno popolare della storia italiana, da Berlinguer a Don Camillo e Peppone, passando per Pantani… il tutto alla faccia della coerenza

Le chiacchiere stanno a zero: Pantani è morto per droga, Cucchi no.

Per Salvini il primo è un campione intoccabile, il secondo un tossico da denigrare. La differenza è politica, perché il furbone sa che a toccare i miti sportivi in questo paese si rischia il linciaggio. Ma in questo caso, data la delicatezza dell’argomento, avrebbe dovuto avere almeno il buon gusto di tacere.

 

By Eles

 

L’Italia ripudia la guerra… E se cominciassimo a ripudiare anche quelli che amano la guerra?

 

guerra

 

 

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L’Italia ripudia la guerra… E se cominciassimo a ripudiare anche quelli che amano la guerra?

Articolo 11 della Costituzione, vale la pena ripassarlo:

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

L’articolo 11 della Costituzione sembra un orpello scritto come souvenir delle buone intenzione ma evidentemente sfugge al pensiero dominante di certa politica: a qualcuno sfugge che l’Italia (e così dovrebbe essere l’Europa) nasce per assicurare la pace ai propri cittadini e per fare la propria parte nel consolidamento della pace nel mondo.

«Pace nel mondo»: fa senso, vero? Scrivere una roba del genere fa passare direttamente questo scritto nel cassetto delle analisi troppo utopistiche per essere discusse, considerate e prese sul serio. La stragrande maggioranza della classe dirigente politica nel mondo ritiene la guerra un male necessario e ci promette al massimo di farla con buona educazione. Stiamo a posto così.

Ogni tanto qualcuno prova a riportare le dimensioni dell’evento ma viene tacciato. Gino Strada fece notare che per costruire 12 ospedali servono 250 milioni di dollari che sono il costo di 8 ore di guerra. «Si prendano un giorno di vacanza», disse. Ma Gino Strada, si sa, è un buonista. Nessuno smentisce le cifre: attaccano la persona che le ha fornite.

Però si affacciano anche quelli che la guerra la amano, addirittura la invocano e la propongono come soluzione politica in assoluta scioltezza. Ci sono persone (anche tra i nostri politici) che anzi invitano Trump a bombardare anche quegli altri, quelli che gli sono antipatici, e ci invitano ad armarci ancora di più e ancora più forte per scendere in battaglia. Sembra incredibile ma gli amanti della guerra vengono presi molto più in considerazione degli amanti della pace.

Allora mi chiedo: ma se l’Italia ripudia la guerra quindi ripudia anche quelli che amano la guerra?

Così, per sapere.

 

 

 

tratto da: https://left.it/2020/01/10/ma-litalia-ripudia-quelli-che-amano-la-guerra/?fbclid=IwAR1jqbGyEo4dGAdog6NeRWQkpn_5H2EpHg_Pf9kF8oO8H9jUWyL7-75de-g

È vero, non tutti i Sì-Tav sono mafiosi. Però è vero anche che tutti i mafiosi sono Sì-Tav.

 

 

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È vero, non tutti i Sì-Tav sono mafiosi. Però è vero anche che tutti i mafiosi sono Sì-Tav.

Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna“, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.

Lo stesso Rosso aveva esortato il centrodestra a non disertare la seconda manifestazione delle Madamine, il 17 maggio, per non lasciare al solo Chiamparino «il verbo SìTav» (per Forza Italia ci sarà Lara Comi, ora arrestata «con l’accusa di corruzione e truffa ai danni dell’Ue», e per il Pd sarà presente Maria Elena Boschi). Ancora lo scorso 10 novembre, continua Revelli, Rosso (nel frattempo promosso assessore regionale “alla legalità” nella giunta di Alberto Cirio), aveva festeggiato il compleanno della prima manifestazione SìTav «con una bicchierata insieme al collega Mino Giachino e al forzista Paolo Zangrillo, ancora una volta invocando il pugno duro della “giustizia” contro i delinquenti dei centri sociali e i “fautori dell’illegalità” della val di Susa». Mai fare d’ogni erba un fascio, ammette Revelli, per di più se – nel caso di Rosso – si parla di un procedimento giudiziario ancora all’inizio, ben lontano da una condanna. «Sono convinto che, in quella piazza sbagliata, erano certo tante le persone in buona fede, quelli che credevano davvero alla “fake” secondo cui senza il super-treno e soprattutto il super-tunnel da 57 chilometri Torino resterebbe del tutto scollegata dall’Europa», scrive Revelli. In tanti s’erano bevuto la bufala di Chiamparino, «secondo cui al fondo di quella galleria si potrebbe contemplare il sol dell’avvenire anziché il ghigno degli affaristi transfrontalieri».

Di fatto, però, «dal momento in cui sono incominciate le maxi-indagini sulla penetrazione della ‘ndrangheta in Piemonte, non ce n’è stata una che non abbia tirato nella rete qualche pesce più o meno grosso di ‘ndrina coinvolto con gli appalti Tav o fortemente interessato ad essi, tanto da interferire più o meno pesantemente con le politiche locali, comunali, regionali, di valle o di comprensorio». Così – continua Revelli – è stato per la maxi-indagine “Minotauro”, in cui era incappato Giovanni Toro, condannato a sette anni (quello del «la mangio io la torta Tav»), la cui ditta aveva asfaltato la strada per i mezzi della polizia nel cantiere della Val Clarea «e il cui uomo di fiducia, Bruno Iaria (condanna a cinque anni), capo della locale ‘ndrina di Cuorgné, era stato capocantiere per la ditta di Fernando Lazzaro (anch’egli finito in carcere) che eseguiva i primi lavori di insediamento a Chiomonte». Così anche per l’indagine “San Michele” della procura di Torino, che portò a rivelare le azioni intimidatorie compiute dalla ‘ndrina di San Mauro Marchesato al fine di favorire ditte vicine «agli interessi della cosca nei lavori di costruzione della Tav Torino-Lione». In quel caso, aggiunge Revelli, è stata la stessa Corte di Cassazione a certificare che «la ‘ndrangheta era interessata a lavori di costruzione del Tav Torino-Lione in valle di Susa».

L’ultima retata, nell’ambito dell’inchiesta “Fenice”, non ha portato solo all’arresto di Rosso: ha scoperchiato anche «un fitto intreccio di interessi, da parte della ‘ndrangheta, a che i lavori per il Tav in valle Susa riprendessero e “il cantiere di val Clarea andasse avanti”». Interessi documentati dall’impegno di due presunti ‘ndranghetisti di rango, Francesco Viterbo (quello che dice «io i giudici li metterei tutti sopra una barca e poi gli sparerei») e Onofrio Garcea, «figura importante della ’ndrangheta a Genova (condannato in attesa di Cassazione), ma da tempo attivo a Torino», dove sarebbe stato «spedito a riorganizzare le file dell’organizzazione mafiosa nell’area di Carmagnola, scompaginate a marzo dall’operazione “Carminius”». C’erano anche loro, nella piazza torinese delle Madamine, a tutelare i propri affari futuri? Forse, semplicemente, «se ne stavano tranquilli a casa a sghignazzare – come gli imprenditori ignobili per il terremoto dell’Aquila – a vedere tanta brava gente lavorare per loro e a contemplare lo scempio paesaggistico e sociale del cantiere in Val Clarea».

tratto da: https://www.libreidee.org/2020/01/tutti-i-mafiosi-sono-si-tav-la-ndrangheta-nella-torino-lione/

Quando Trump, con 3.000 cadaveri americani ancora caldi, commentò l’attentato alle Torri Gemelle: “Ora il mio grattacielo è il più alto” …Ora figuratevi quanto glie ne può fregare di avere sulla coscienza un po’ di gente che muore in guerra…!

 

Trump

 

 

 

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Quando Trump, con 3.000 cadaveri americani ancora caldi, commentò l’attentato alle Torri Gemelle: “Ora il mio grattacielo è il più alto” …Ora figuratevi quanto glie ne può fregare di avere sulla coscienza un po’ di gente che muore in guerra…!

Poche ore dopo l’evento drammatico del crollo delle Torri Gemelle, l’11 settembre del 2001, Donald Trump si vantò del fatto che un suo grattacielo, il Trump Building, fosse tornato ad essere la costruzione più alta della città.

“40 Wall Street (questo l’indirizzo della costruzione, ndr), prima della costruzione del World Trade Center, era il più alto della zona di downtown Manhattan. Poi, quando hanno costruito il World Trade Center, è diventato il secondo. Ora è tornato ad essere il più alto”, ha affermato Trump al giornalista.

Così parlò mentre il mondo stava piangendo quelle che, qualche giorno dopo, le quasi 3mila vittime degli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono

Insomma, il suo intervento non era programmato. La telefonata arrivò perché lui poteva essere un testimone oculare di quanto accaduto alle Torri Gemelle. Ma, oltre al racconto di quei concitati minuti, è arrivata anche una discussione che fece discutere anche all’epoca. Ma si trattava di un business man, di un tycoon. Ma a riascoltare quel suo intervento, ora che è presidente degli Stati Uniti, quella dichiarazione lascia ancor più esterrefatti.

Tra l’altro, l’informazione riportata allora da Trump non era corretta: la struttura più alta dell’area era quella al 70 Pine Street.

E quindi, se con cinica idiozia, con 3.000 cadaveri americani ancora caldi a terra, il suo pensiero era questo, figuratevi quanto glie ne può fregare di un po’ di morti per una guerra…

E noi stiano nelle mani di queste bestie!

By Eles