Pignorare i beni tedeschi in Italia per il risarcimento delle vittime del nazismo, che la Germania si è sempre guardata bene di pagare: il caso – sollevato da un avvocato tedesco che risiede in Italia – è ora arrivato in Cassazione

 

Germania

 

 

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Pignorare i beni tedeschi in Italia per il risarcimento delle vittime del nazismo, che la Germania si è sempre guardata bene di pagare: il caso – sollevato da un avvocato tedesco che risiede in Italia – è ora arrivato in Cassazione

Pignorare i beni tedeschi in Italia per risarcire le vittime del nazismo: il caso in Cassazione

A tentare la strada è Joachim Lau, avvocato tedesco residente in Italia. Il caso nasce all’inizio degli anni ’90 in Grecia e oggi è arrivato fino alla Cassazione italiana.

L’avvocato tedesco ma residente in Toscana Joachim Lau ta muovendo guerra al suo paese per assicurare che Berlino paghi i risarcimenti alle famiglie delle vittime della strage nazista di Distomo: oggi Lau ha portato la causa in Cassazione per portare avanti la procedura esecutiva per i risarcimenti, instaurata presso il tribunale civile di Roma.
Berlino finora è sempre riuscita a evitare i risarcimenti; adesso i parenti delle vittime cercano una sponda dai giudici italiani, tentando l’esecuzione forzata. Tutto comincia con una sentenza del tribunale della città di Livadia (in Grecia), che alla fine degli anni ’90 aveva condannato la Germania a risarcire i familiari di 218 vittime della strage di Distomo, commessa dalla Wehrmacht nel giugno 1944. Quella vittoria in tribunale è però rimasta lettera morta.
“La sentenza – spiega infatti l’avvocato Lau – non era eseguibile in Grecia, in quanto la legge lì prevede che una tale azione debba essere autorizzata dal governo, che però ha fermato l’esecuzione” per questioni attinenti ai rapporti tra i due Paesi e in relazione al forte debito pubblico greco. Un avvocato ha allora portato tutto davanti alla corte di Strasburgo, ma senza successo.
“Nella decisione europea, però” spiega Lau, “c’era scritto che la sentenza di risarcimento poteva essere eseguita in un altro Paese. Abbiamo indagato e abbiamo chiesto e ottenuto il riconoscimento del titolo esecutivo greco in Italia e con questo titolo abbiamo pignorato i crediti della ferrovia tedesca Deutsche Bahn nei confronti delle ferrovie italiane, milioni che le due società ripartiscono dalla vendita dei biglietti”.
Si è scelto l’Italia perché la Corte costituzionale nel 2014 ha dichiarato incostituzionale la legge che (recependo una decisione della Corte internazionale dell’Aia) aveva bloccato ogni esecuzione contro la Germania, aprendo alla causa per risarcimento. In gioco ci sono 50 milioni di euro e Lau ha seguito la strada della procedura esecutiva presso il tribunale di Roma, ora interrotta perché la Deutsche Bahn ha presentato ricorso in Cassazione, ritenendo illegittimo il procedimento.
Nell’udienza, tenuta questa mattina davanti alla Terza sezione civile della Cassazione, fa sapere il legale, la procura generale ha chiesto di respingere il ricorso tedesco. E se la Suprema Corte dovesse decidere allo stesso modo, non sarebbe la vittoria finale ma significherebbe che il procedimento di esecuzione può continuare. Un nuovo piccolo colpo per abbattere il muro. Il verdetto si conoscerà solo nelle prossime settimane, con le motivazioni.
“Questo è un processo pilota – osserva Lau – ci sono altre sentenze in attesa del procedimento esecutivo, ma è difficile individuare il patrimonio tedesco in Italia e una delle possibilità è la Deutsche Bahn, perché secondo la Costituzione tedesca, le ferrovie fanno parte del patrimonio della Germania federale”.
A Roma è venuto anche il neo sindaco di Distomo, Iannis Stathas, ex deputato di Syriza, a testimoniare l’importanza dei risarcimenti per la sua comunità: “Vogliamo che sia resa giustizia alle vittime contro tutti quelli che hanno perpetrato crimini contro l’umanità, a prescindere da quanto tempo sia passato. Siamo cresciuti nel ricordo di queste stragi e diciamo ‘mai più fascismo, mai più nazismo’. Vogliamo che la sentenza sia positiva anche per dare un segnale a nuovi rigurgiti fascisti”.

fonte: https://www.globalist.it/economy/2019/06/25/pignorare-i-beni-tedeschi-in-italia-per-risarcire-le-vittime-del-nazismo-il-caso-in-cassazione-2043403.html

La petizione lanciata da Sandro Ruotolo: radiazione di Vittorio Feltri dall’Ordine dei Giornalisti – Già raggiunte quasi 90.000 firme. Manca la TUA, cosa aspetti?

 

 

Vittorio Feltri

 

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La petizione lanciata da Sandro Ruotolo: radiazione di Vittorio Feltri dall’Ordine dei Giornalisti – Già raggiunte quasi 90.000 firme. Manca la TUA, cosa aspetti?

La raccolta firme online per chiedere la radiazione di Vittorio Feltri dall’Ordine dei giornalisti ha raccolto in quattro giorni quasi 90mila firme. A lanciare l’iniziativa sulla piattaforma Change.org sono stati i giornalisti Sandro Rutolo e Paolo Borrometi, che non hanno gradito le parole di Feltri su Andrea Camilleri e che si sono a loro volta autosospesi dall’albo.

Tra i firmatari dell’appello ci sono Susanna Camusso, ex segretaria della Cgil, Salvatore Borsellino, fratello del pm ucciso da Cosa Nostra nel 1992, e il vignettista Vauro Senesi.

Ecco la lettera di proteste di Ruotolo e Borrometi rivolta al Presidente dell’Ordine dei Giornalisti. In fondo, il link per la TUA firma.

Caro Presidente Verna,
abbiamo deciso di autosospenderci dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti perché ci consideriamo incompatibili con l’iscrizione all’albo professionale di Vittorio Feltri. Proprio noi, che più di altri, ci battiamo per la difesa dell’articolo 21 della Costituzione, riteniamo gli scritti e il pensiero del direttore Feltri veri e propri crimini contro la dignità del giornalista.

Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ne va della credibilità di ognuno di noi e della nostra categoria. Adesso basta. O noi o lui. Quel “terrone che ci ha rotto i coglioni” per noi figli del Sud è inaccettabile.

Non è in gioco la libertà di pensiero. Sono in gioco i valori della nostra Costituzione. Ogni suo scritto trasuda di razzismo, omofobia, xenofobia.

Dopo la miseria portano le malattie” (rivolto ovviamente ai migranti), l’ormai tristemente celebre “Bastardi islamici” o, uscendo dal seminato delle migrazioni, robaccia come “Più patate, meno mimose” in occasione dell’8 marzo (e le diverse varianti dedicate anche a Virginia Raggi, con il “patata bollente”) o “Renzi e Boschi non scopano”. Poi gli insulti a noi del sud con il celebre “Comandano i terroni” e infine il penultimo, di qualche mese fa, “vieni avanti Gretina” (dedicato alla visita a Roma di Greta Thunberg).

L’idea che Vittorio Feltri offre è che si possa, impunemente, permettersi questo avvelenamento chirurgico. E non è un problema solo suo. Almeno, non lo è più. A lui non frega niente: il limite, la deontologia, la misura, il buon senso, diremmo perfino la dignità sembrano saltate da tempo. Noi siamo convinti che resti intatta la bellissima frase che recita “Non condivido le tue idee ma darei la vita per permetterti di esprimerle”. Continuiamo a batterci contro la censura e gli editti, ma non possiamo accettare tra noi chi istiga all’odio. Ne va della nostra credibilità.

Le chiediamo per questo di attivarsi per radiare Vittorio Feltri dall’Ordine dei Giornalisti.

Sandro Ruotolo
Paolo Borrometi

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“9 euro l’ora agli operai? Sono troppi!” – Lo sostiene Cesare Damiano, ex-sindacalista ed ex-ministro del lavoro, seduto alla Camera nelle file del Pd a 14.000 Euro al mese, in attesa di buonuscita e vitalizio…!

 

Cesare Damiano

 

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“9 euro l’ora agli operai? Sono troppi!” – Lo sostiene Cesare Damiano, ex-sindacalista ed ex-ministro del lavoro, seduto alla Camera nelle file del Pd a 14.000 Euro al mese, in attesa di buonuscita e vitalizio…!

«Chi parla è Cesare Damiano, ex-sindacalista ed ex-ministro del lavoro. Damiano è alla quarta legislatura il che significa che solo di assegno di fine mandato, quando smetterà di fare il deputato, si beccherà circa 160.000 euro. Per Damiano 1500 euro LORDI per un metalmeccanico sono troppi. Eccoli gli ipocriti del nuovo millennio. Ricordano Berlinguer, fanno nostalgici pugni chiusi ma sanno solo leccare il sedere a Confindustria. E sono osceni traditori, dei lavoratori, di ideali giovanili e, oltretutto della Costituzione».

Così l’ex deputato del M5S, Alessandro Di Battista, su Facebook condividendo il video di un intervento di Damiano, nel quale l’ex ministro dice di essere contrario al salario minimo orario proposto dal M5S perché “se noi moltiplichiamo 9 euro lordi all’ora per le ore mediamente lavorate da un metalmeccanico in un mese, che sono 173, significa che noi fissiamo uno standard di salario minimo di base a 1550 euro lordi”.

Di Battista ha poi aggiunto: «Coloro che osano criticare il salario minimo dovrebbero rileggersi l’art. 36 della Costituzione della Repubblica. Articolo 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».

Anche la pagina Facebook del M5S ha condiviso il video dell’intervento di Damiano, commentando: «PD e sindacati sono pronti a dare battaglia per impedirci di introdurre il SALARIO MINIMO ORARIO. Quali interessi difendano ormai è chiaro a tutti, e non sono quelli dei lavoratori italiani.
9 euro lordi sono troppi? Sono il minimo per garantire un’esistenza dignitosa, come vuole la nostra Costituzione. E alle imprese ABBASSEREMO LE TASSE.Avanti!»ù

 

NOTA:

Attualmente i deputati hanno diritto a un’indennità lorda di 11.703 euro. Al netto sono 5.346,54 euro mensili più una diaria di 3.503,11 e un rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro. Ad essi si aggiungono 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323,70 fino a 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti.

senatori invece ricevono un’indennità mensile lorda di 11.555 euro. Al netto la cifra è di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro cui si aggiungono un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese come rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti.

Facendo un rapido calcolo e senza considerare le eventuali indennità di funzione i componenti del Senato guadagnano ogni mese 14.634,89 euro contro i 13.971,35 euro percepiti dai deputati.

PERO’ PER UN OPERAIO 9 EURO L’ORA SONO STROPPI…!

A Sgarbi che sta con Feltri nell’insulto a Camilleri ed ai meridionali ricordiamo solo che i libri del Maestro resteranno nella storia della letteratura, mentre gli articoli di Feltri sono buoni, al massimo, per incartare il pesce al mercato, mentre lui presto sarà dimenticato come tutti i pagliacci della Tv spazzatura.

 

Camilleri

 

 

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A Sgarbi che sta con Feltri nell’insulto a Camilleri ed ai meridionali ricordiamo solo che i libri del Maestro resteranno nella storia della letteratura, mentre gli articoli di Feltri sono buoni, al massimo, per incartare il pesce al mercato, mentre lui presto sarà dimenticato come tutti i pagliacci della Tv spazzatura.

 

Come sapete, da lunedì 17 giugno Andrea Camilleri è ricoverato in rianimazione dopo un arresto cardiaco.

Vittorio Feltri intervenendo a Radio 2 aveva così commentato la notizia: “Mi dispiace se muore. Però mi consolerò pensando che Montalbano non mi romperà più i coglioni. Basta, mi ha stancato”. Concetto che ha espresso a conferma di quanto già scritto su Libero dove parlando del famoso commissario aveva aggiunto “un terrone che ci ha rotto i coglioni”. 

Paolo Borrometi e SandroRuotolo, Giornalisti con la G maiuscola, persone perbene, si sono ribellati al marciume che Feltri sparge sulla categoria: “Ogni suo scritto trasuda di razzismo, omofobia, xenofobia. Non possiamo accettare tra noi chi istiga all’odio” ed hanno minacciato di autosospendersi.

Il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna ha replicato alla lettera in modo molto diplomatico, ma comunque prendendo – tra le righe – una posizione ben chiara. Verna ha dichiarato di CONDIVIDERE le ragioni dei due colleghi e, ha scritto, “se l’ordine dei giornalisti fosse un club MI AUTOSOSPENDEREI PURE IO. Ma non lo è, e l’istituto dell’autospensione non esiste, ci si può semmai cancellare, astenendosi dallo svolgere la professione e salvo il diritto d’opinione per poi iscriversi di nuovo quando sono cessate le ragioni di cui alla polemica”.

Verna ha poi ricordato che Feltri, “come chiunque altro potrà semmai essere sottoposto al rituale procedimento disciplinare, al termine del quale ci sarà un pronunciamento che tutti dal sottoscritto a Borrometi e Ruotolo dovranno rispettare”.

Nella diatriba non poteva mancare l’alto pensiero del pagliaccio delle Tv spazzatura Vittorio Sgarbi, che difende a spada tratta il compagno di razzismo e omnofobia Feltri: “E’ stato prudente e misurato. Ha espresso solo insofferenza per Montalbano”…

A questi due minuscoli personaggi, quaquaraquà, come li definirebbe Sciascia, vogliamo solo ricordare che i libri del Maestro resteranno nella storia della letteratura, mentre gli articoli di Feltri sono buoni, al massimo, per incartare il pesce al mercato. Per quanto riguarda Sgarbi, pagliaccio della Tv spazzatura, ci conforta il fatto che presto sarà dimenticato come sono stati dimenticati il cangurotto, l’uomo gatto di Papi, Antonio Zequila detto er mutanda, Gabriele Paolini e Angela Favolosa Cubista di Maria De Filippi

 

By Eles

Trump dichiara di non aver rinunciato a bombardare l’Iran e state tranquilli: lo farà! – Anche per i nostri giornalisti è “la giusta risposta per l’abbattimento del drone americano”… E nessuno che si faccia la domanda più ovvia: che cazzo ci faceva un drone americano nei cieli dell’Iran?

 

Iran

 

 

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Trump dichiara di non aver rinunciato a bombardare  l’Iran e state tranquilli: lo farà! – Anche per i nostri giornalisti è “la giusta risposta per l’abbattimento del drone americano”… E nessuno che si faccia la domanda più ovvia: che cazzo ci faceva un drone americano nei cieli dell’Iran?

I nostri giornalisti, da sempre schiavi dei vari “padroni”, riportano con enfasi le notizie della guerra che Trump a tutti i costi vuole scatenare contro l’Iran. L’ultima scusa sarebbe quella del drone abbattuto… E mentre mi chiedevo “che cazzo ci faceva un drone americano nei cieli dell’Iran?” mi imbatto in un bel articolo a firma Marat su L’Antidiplomatico che di seguito vi riporto:

Legittima difesa a pro del ladro

Mi è capitato stamani di sentire per caso e distrattamente le prime parole della rassegna stampa di un “notiziario” radio (non so quale fosse) di oggi. “Leggiamo le prime pagine dei principali quotidiani nazionali”, a proposito della decisione di Trump di fermare i “bombardieri già in volo, dieci minuti prima dell’attacco all’Iran, sembra la trama di un film” – ha detto proprio così l’annunciatore, tutto eccitato… e poi ha continuato, aggiungendo di suo che quella doveva essere “la giusta risposta” a Teheran “che ha abbattuto un drone americano” e dunque gli Stati Uniti “giustamente stavano per rispondere” … e poi “giustamente” mi sono allontanato da quel rumore che disturbava le mie orecchie…

E (mi sembra) altrettanto “giustamente” mi è venuto di pensare che a quel povero annunciatore non è passato affatto per la mente (sarà stata involontaria…?) di far parola su cosa ci facesse da quelle parti un drone americano. Lui ha detto solo che c’era un drone nel cielo blu, che volava, che se ne andava tranquillamente nell’aere, da qualche parte, e i suoi ascoltatori, “giustamente”, ne dovevano dedurre: «ma guarda che banditi che sono quei pasdaran, che buttano giù un pacifico drone americano che non fa male a nessuno»…

Ma non è che quel drone che volteggiava leggiadro tra i candidi cirri sarà partito da una italica base? Che so, Sigonella? Non è che un ascoltatore avrebbe potuto domandarlo a quell’annunciatore? Non è che quel drone avrà voluto fare un tranquillo giro sopra l’Iran, come altri esemplari degli stessi volatili fanno spesso sopra il Donbass, dopo di che le artiglierie ucraine prendono meglio la mira per bombardare i civili e le milizie delle Repubbliche popolari…?

E che diamine: perché offendere con tali illazioni i “giusti fra i giusti” pacifisti yankee? Il loro drone era lì per far del bene, e così come i preti entrano nelle case a portare l’acquasanta, quello portava la lieta novella nella casa dei pasdaran!

Il bello è che quei “principali quotidiani nazionali”, tanto “giustamente” cari al nostro annunciatore, sono quegli stessi che parlano con stile “asettico” – ma spirito entusiastico – di quella italica legge sulla “legittima” difesa, per cui da ora in poi, se entra un ladro in casa e qualcuno reagisce in base a uno “stato di grave turbamento derivante da una situazione di pericolo”, quel qualcuno è autorizzato a far fuoco sul ladro e se per caso il ladro è così agile da schivare le pallottole, allora per lui si inaspriscono anche le pene per furto e violazione di domicilio.

 “Con questa riforma l’Italia diventa lo Stato dove l’uso delle armi è più libero”, chiosava un paio di mesi fa uno di quei “principali quotidiani nazionali”.

E allora, quasi a trasbordare l’antico Graeca per Ausoniae fines sine lege vagantur, con cui molto pacificamente si concedeva libertà di accento alle parole greche e latine entro i confini italici, anche per quel “pacifico” drone americano i nostri “principali quotidiani nazionali” scelgono, a seconda delle latitudini, di trasbordare la “legittima” difesa dal derubato al ladro. Così che, nell’aere iraniano, il ladro americano, “gravemente turbato” perché il derubando, in casa propria, non gli ha permesso di fare il suo porco comodo, prende il fucile e si prepara a sparare. “Giustamente”, fate proprio schifo.
Marat

La politica di Salvini? Saltare l’85% dei vertici UE per andare dalla D’Urso. Perchè è lì che prende i voti. Per votare Salvini bisogna essere stolti. Di poco intelligenti in Italia ce ne sono tanti e questo lui lo ha capito ed ha creato il più grande partito del Paese: quello degli stupidi…

 

Salvini

 

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La politica di Salvini? Saltare l’85% dei vertici UE per andare dalla D’Urso. Perchè è lì che prende i voti. Per votare Salvini bisogna essere stolti. Di poco intelligenti in Italia ce ne sono tanti e questo lui lo ha capito ed ha creato il più grande partito del Paese: quello degli stupidi…

Il 6 giugno si è tenuto in Lussemburgo il vertice di due giorni riservato ai ministri dell’Interno dei 28 Paesi dell’Unione europea. L’incontro aveva come tema il futuro della politica comunitaria in materia di sicurezza e si è occupato di rimpatri, norme antiterrorismo, gestione dei flussi migratori: tutti temi che il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, ha sempre usato durante la campagna elettorale, promettendo di difendere l’interesse del Paese in Europa. Salvini ha però preferito disertare a causa di altri fondamentali impegni: un’ospitata nel salotto di Pomeriggio 5 da Barbara D’Urso…!

L’assenteismo di Salvini non è una novità in sede europea, ma una consuetudine ben nota ai suoi omologhi. Da quando è ministro ha saltato sei vertici su sette.

Salvini da mesi promette ai suoi sostenitori di cambiare le regole in Europa, proprio mentre i suoi colleghi europei si riuniscono per discuterne, quasi sempre senza di lui.

Anche prima di diventare ministro Salvini era uno dei grandi assenti del Parlamento europeo, come dimostra la votazione del 2016 per lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro a favore dei terremotati italiani. Salvini in quei mesi basava la sua propaganda politica sui terremotati italiani dimenticati dal governo in favore degli immigrati, seguendo la logica del “fuori i migranti, aiutiamo prima i terremotati”. Ma durante le votazioni europee per aiutare concretamente gli italiani colpiti dal terremoto, Salvini NON C’ERA! Era in Tv a raccontare che i guai dei terremotati Italiani erano i migranti!

La strategia di Salvini di dire e non fare funziona perché l’impatto di una diretta Facebook o di un’ospitata nella Tv spazzatura è più potente della notizia delle sue assenze alle riunioni.

La strategia di Salvini funziona perché di webeti su Facebook ce ne sono a bizeffa, per non parlare del livello culturale e intellettivo di chi si sollazza con i programmi della D’Urso…

In buona sostanza il successo di Salvini è semplice e geniale: irretire la massa di Italioti stupidi, ignoranti e dal quoziente intellettivo pari o inferiore a quello di un ippopotamo con tante, tante chiacchiere. Dargli un nemico da odiare e magari un po’ di promesse che menti tanto idiote facilmente dimenticheranno…

Una cosa Salvini l’ha capita: in Italia di stupidi ne abbiamo tanti e lui, un’ospitata alla volta, una cazzata alla volta, una promessa alla volta, ne ha creato il più grande partito del Paese.

In altre parole: per votare uno come Salvini bisogna avere un QI molto basso. In Italia di stupidi ne siamo pieni e tutto questo Salvini l’ha capito.

Ma non disperate amici. Siamo nella cacca fino al collo, ma presto ricomincerà il Grande Fratello e L’Isola dei famosi per tirare un po’ su le sorti del nostro stupido Paese.

By Eles

Quanto ci manca Stefano Rodotà – Il 23 giugno 2017 se ne andava un gigante. Di cui abbiamo il dovere di raccogliere l’eredità…

 

Stefano Rodotà

 

 

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Quanto ci manca Stefano Rodotà – Il 23 giugno 2017 se ne andava un gigante. Di cui abbiamo il dovere di raccogliere l’eredità…

Quanto ci manca 
Stefano Rodotà, maestro e militante

Solidarietà, sinistra e “diritto di avere diritti”. Il 23 giugno 2017 se ne andava un gigante. Di cui abbiamo il dovere di raccogliere l’eredità

Accade raramente che un “militante politico” (definizione che, pensiamo, non sarebbe dispiaciuta a Stefano Rodotà) attraversi la vita pubblica, e spesso da protagonista, sapendo combinare insieme con tanta efficacia conflitti politico-istituzionali ed elaborazione teorica e scientifica. Così la sua biografia intellettuale accompagna un percorso di conquiste sul piano delle libertà civili e, al tempo stesso, di intuizioni su quello delle nuove generazioni dei diritti. È utile, pertanto, partire da una citazione che gli era cara e che ispira il titolo di uno dei suoi libri più importanti. «Il diritto ad avere diritti, o il diritto di ogni individuo ad appartenere all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa»: con queste parole di Hannah Arendt si apriva qualche anno fa “Il diritto di avere diritti” (Laterza, 2012). A chi sia negato il diritto di avere diritti, è negata la stessa appartenenza alla condizione umana, ci dicono Arendt e Rodotà, il primo, fondamentale diritto dell’homo dignus.

L’homo dignus è la nuova manifestazione della personalità umana nel costituzionalismo dei diritti di cui scriveva Rodotà: l’eguale dignità di ciascuno supera l’astrazione del vecchio individualismo liberale e riscopre la centralità della concreta esperienza della persona umana a partire dal suo corpo e dai suoi bisogni. Una nuova morfologia è la chiave interpretativa con cui Stefano Rodotà ci guida per le strade più impervie: la corporeità fisica o elettronica è il centro di attrazione di vecchi e nuovi diritti così come il corpo è il luogo della differenza delle persone e dei loro bisogni, tutte e tutti meritevoli di riconoscimento e di garanzia.

Per chi ha fatto della lotta per i diritti la ragione del proprio impegno, Stefano Rodotà – scomparso il 23 giugno di un anno fa – è stato un maestro e un compagno di strada irrinunciabile, dalle battaglie per le libertà civili degli anni Settanta alle nuove frontiere dell’identità digitale e del post-umano, senza dimenticare l’impegno garantista che lo vide in prima fila nella promozione di “Antigone”, il bimestrale di critica dell’emergenza pubblicato da il manifesto alla metà degli anni Ottanta.

“Il diritto di avere diritti” si apre con una riflessione sul “mondo nuovo dei diritti”. Rodotà, sulla scia di Bobbio, aveva interpretato la fine del Novecento come una finestra di possibilità per una età dei diritti. Già nel suo “Repertorio di fine secolo” (Laterza, 1992) si trovano i temi dei vent’anni successivi: un’agenda per una sinistra profondamente rinnovata, dalle nuove frontiere della democrazia al pluralismo culturale, una inedita concezione della privacy nell’era digitale e le problematiche del bio-diritto. Nel frattempo ulteriori sviluppi maturano in vecchi filoni di ricerca. Come quello sul «terribile, forse non necessario» diritto di proprietà (definizione di Beccaria), cui aveva dedicato una raccolta fondamentale di studi (“Il terribile diritto”, appunto) all’inizio del suo percorso di ricerca. Ricerca che gli consentirà, un quarto di secolo dopo, di elaborare una proposta di riconoscimento giuridico dei “beni comuni”. O, infine, l’approdo al “Diritto d’amore” (Laterza, 2015) di una antica critica dell’uso coattivo del diritto nelle relazioni familiari, critica che in Rodotà si rovescia in opportunità di riconoscimento della libera scelta di convivenza di coppie dello stesso sesso o di sesso opposto.

Ecco, se volessimo definire il lascito di Rodotà per il proseguimento delle battaglie di libertà a cui ci ha introdotto o in cui ci ha accompagnato, innanzitutto si dovrebbe dire questo: se il diritto è un’arma a doppio taglio, ci sarà pure un verso da cui prenderla per ottenere più garanzie e più libertà. Dunque, la critica del diritto esistente, se non vuole essere messianica attesa di una rivoluzione improbabile e (spesso) liberticida, deve essere il fondamento di un diritto possibile, già oggi ricavabile con una lettura rigorosa dei principi e dei valori cui si ispirano la carta costituzionale e il diritto internazionale. Si pensi, per esempio, a quella lettura rigorosa dell’articolo 32 della Costituzione, che ha consentito di dar pace a Eluana Englaro e ai suoi familiari.

È ancora la citazione di Hannah Arendt a ricordarcelo: la prospettiva dell’homo dignus è l’umanità dei diritti e dunque il loro universalismo, senza barriere né confini. Non a caso, dai suoi primi studi sulla proprietà fino a uno dei suoi ultimi libri, parola chiave nella lingua di Rodotà è la solidarietà: quel che ci tiene insieme, ognuno con la propria differenza, ognuno con la propria dignità. E lo spazio della umanità dei diritti non può essere rinchiuso nelle piccole patrie, non solo per i conflitti identitari che esse inevitabilmente generano tra chi vi appartiene e chi no, ma anche per la realistica considerazione che nel mondo globale, diritti e solidarietà si muovono in una dimensione globale. Non a caso, Rodotà resterà fino alla fine legato alla sua idea di un’Europa dei diritti, quella della Carta che contribuì a scrivere: un’Europa come attore istituzionale sovranazionale all’altezza della sfida dei diritti umani nell’epoca della globalizzazione e dei grandi poteri privati su scala mondiale.

Infine c’è l’agenda: i beni comuni, il diritto al cibo e alla conoscenza; il diritto all’esistenza, anche attraverso il riconoscimento universale di un diritto al reddito; l’autodeterminazione nelle scelte procreative e in quelle sulla propria vita; la tutela della riservatezza e della identità digitale e l’uso della rete per il rafforzamento della partecipazione democratica alle scelte di convivenza. Ciascuna di esse, ovviamente, aprirebbe uno spazio infinito di riflessioni e di iniziative, ben oltre le caricature che ne vengono date in alcune versioni politiche correnti. E ciascuna di esse, d’altra parte, consente di trascrivere ogni capitolo dell’elaborazione teorica di un intellettuale così curioso e innovativo, in uno specifico passaggio della storia italiana dell’ultimo mezzo secolo. Si pensi a un testo (del 1974!) dal titolo “Elaborazione elettronica e controllo sociale” (era l’epoca in cui i computer si chiamavano processori o calcolatori) che dice bene quale fosse la capacità di analisi di Rodotà delle trasformazioni in atto, fin quasi alla preveggenza.

Così, ogni tappa della sua elaborazione coincide, quando non anticipa, la sequenza delle mobilitazioni della società italiana intorno a cruciali battaglie di libertà. Rodotà, insieme ai radicali e a una parte della sinistra ancora riottosa, è lì, a battersi per il divorzio, l’interruzione volontaria di gravidanza, le garanzie nel processo e nell’esecuzione penale (ovvero quel garantismo che deve a lui e a Luigi Ferrajoli le poche espressioni di limpidezza politica e intellettuale conosciute in Italia), fino alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e alla Dichiarazione dei diritti in Internet. E si pensi a una questione tanto circoscritta e altrettanto ignorata quanto simbolicamente dirompente come il riconoscimento anagrafico della condizione transgender. Insomma, il pensiero di questo studioso così intellettualmente irrequieto ha contribuito più di tante manifestazioni collettive e di tante parole parlamentari a fare dell’Italia un paese più civile.

Tratto da L’Espresso del 22 giugno 2018

 

 

L’Ex tesoriere della lega Belsito assolto, ora sfida Salvini: “Confronto sui 49 milioni – Invito Matteo Salvini a un confronto pubblico sui 49 milioni di euro: insieme, in diretta tv, vediamo cosa ne esce” – Scommettiamo che Cuor di Leone Salvini non accetterà?

 

Belsito

 

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L’Ex tesoriere della lega Belsito assolto, ora sfida Salvini: “Confronto sui 49 milioni – Invito Matteo Salvini a un confronto pubblico sui 49 milioni di euro: insieme, in diretta tv, vediamo cosa ne esce” – Scommettiamo che Cuor di Leone Salvini non accetterà?

Belsito assolto sfida Salvini: «Confronto sui 49 milioni»
Per i giudici l’ex tesoriere non faceva parte di una associazione a delinquere. Adesso invita il leader a un faccia a faccia in diretta tv sui soldi scomparsi
Occorre una buona memoria per ritornare a quel 2012, ai 7 milioni della Lega (allora ancora) Nord finiti in Tanzania, al partito che implode e crolla al 4%, e al potere di quell’oscuro tesoriere genovese, cresciuto silenziosamente, fino a trasformarlo nel crocevia di ogni cosa: sottosegretario, vicepresidente di Fincantieri, terminale di quella che per i pubblici ministeri era una lobby di potere da cui passavano appalti milionari. Sono passati sette anni da allora, è cambiato tutto.
Francesco Belsito assomiglia a un cittadino comune, mentre la Lega governa ed è uscita dalle elezioni Europee con il 32%. E ora che i giudici di Genova sostengono che non vi fosse alcuna associazione a delinquere, Belsito riserva una frecciata direttamente per il ministro dell’Interno, il leader del partito che dopo quello scandalo lo ha cacciato con ignominia: «Mi hanno dipinto come la pietra dello scandalo.
Ma io ho amministrato denari del partito, li ho distribuiti, e ho affrontato da solo ogni processo. Oggi, di fronte a questa assoluzione, invito Matteo Salvini a un confronto pubblico sui 49 milioni di euro: insieme, in diretta tv, vediamo cosa ne esce».
fonte e video QUI

Quando le cose ce le deve spiegare una pornostar – Valentina Nappi: “Se Matteo Salvini è cristiano io sono vergine”

 

Valentina Nappi

 

 

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Quando le cose ce le deve spiegare una pornostar – Valentina Nappi: “Se Matteo Salvini è cristiano io sono vergine”

Nuovo capitolo dello scontro a distanza tra il leader della Lega Matteo Salvini e l’attrice a luci rosse Valentina Nappi.

La caliente interprete napoletana classe 1990, scoperta dal mitico Rocco Siffredi, torna a pubblicare un cinguettio sul suo profilo Twitter per contro il Ministro dell’Interno.

Stavolta, l’oggetto della sua critica è la presunta, super-ostentata religiosità del capitano leghista.

Ebbene, la Nappi non ci crede affatto e afferma che, se Salvini può dirsi tranquillamente “cristiano”, allora lei sarebbe addirittura “vergine”.

Un concetto già espresso da Preti, Cardinali ed anche, in modo neanche tanto velatamente, dal Papa. Chi semina odio, chi fa morire gente in mare, chi, con la bava alla bocc,a aizza la gente contro i propri simili NON SI PUÒ DEFINIRE CRISTIANO…

Ma forse, detto in questo modo, è più chiaro: “Se Matteo Salvini è cristiano io sono vergine”

E intanto i giornali filo-fascisti come Libero ed Il Giornale parlano di insulti a Salvini… Ci vuole una bella faccia tosta…

Sanno tutto dei lager libici e se ne fregano lo stesso: i sovranisti sono peggio dei nazisti

 

lager libici

 

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Sanno tutto dei lager libici e se ne fregano lo stesso: i sovranisti sono peggio dei nazisti

La Sea Watch pubblica le foto dei migranti a bordo della Sea Watch e ai sovranisti viene l’ulcera: “sono in forma, non sono scappati dai lager”

Da Globalist:

Succede oggi, in una mattina di questi roventi giorni di inizio estate. Mentre l’Italia si sveglia, la Sea Watch pendola davanti Lampedusa, con 53 migranti a bordo. Salvini da terra sbraita che in Italia non entreranno: è una sensazione di deja-vu perenne, che viviamo ormai da un anno e passa. Un’altra estate, altre navi, altri morti. La propaganda leghista ha necessariamente dovuto cambiare strategia: non si dice più che gli sbarchi sono diminuiti, perché era evidente quanto fosse falso. Ora si dice altro: si distorcono le accuse di inumanità fatte alla Lega e si rispediscono al mittente, ora le Ong sono ‘pirati’, trafficanti, assassini. I cattivi di questa storia di mare e sangue sono loro. E non c’è niente, davvero niente di più insopportabile che vedere chi fino a ieri li chiamava ‘scimmie’ ora mettersi dalla parte dei migranti, ostaggio dei malvagi volontari della Sea Watch. Ma la loro coscienza sporca non riesce a non emergere; d’altronde il ‘buonismo’, come loro chiamano la solidarietà, è come un muscolo, va addestrato. Non ci si improvvisa esseri umani.

Mentre quindi ci si prepara a una nuova giornata di deragliamenti politici e umani, l’account twitter della Sea Watch International pubblica delle foto: sono alcune immagini dei migranti a bordo della nave. Sono ragazzi sorridenti, in salute. C’è una donna con un bambino. Sembrano felici. E chi voleva le lacrime come prova della sofferenza non si accontenta dei sorrisi di sollievo di chi è stato salvato dal mare. I negri devono piangere, devono supplicare per la misericordia dell’italico uomo bianco. Altrimenti non c’è gusto.

E quindi sotto il tweet si scatena il peggio dell’infamità sovranista. Al di là degli insulti razzisti, cui abbiamo fatto tristemente il callo, la maggior parte asserisce di non credere a quelle storie che sono raccontate ogni giorno sulle atrocità dei lager libici. Eppure i video ci sono, le foto anche. Ma non crederci è più semplice. È sempre più semplice non lasciare che la coscienza adombri le nostre giornate di sole. È più facile credere ai complotti per la conquista dell’Europa che al fatto che dall’altro lato del mare in migliaia sono detenuti in campi di concentramento. Quali lager, si chiedono, ti permettono di avere una chitarra, come quella tenuta in mano da uno dei migranti in foto. E si ripete la stessa storiaccia dello smalto di Josefa, da cui è passato un anno. L’idea che quella chitarra potesse trovarsi già a bordo della nave, proprio per momenti come questi, in cui si pendola davanti a un porto per giorni, in attesa di un segno umano dalla terraferma, non li sfiora nemmeno i sovranisti. Perché, ripeto, l’umanità non è qualcosa di innato. E per chi non l’ha mai praticata al di là dell’orticello di casa propria, può apparire inconcepibile un gesto di gentilezza. Deve esserci sotto qualcosa.

È lì che ho pensato che ormai il livello cui siamo arrivati è più basso di quello dei nazisti tedeschi: dopo la diffusione delle immagini dei lager libici, in molti hanno detto ‘non potremo dire che non sapevamo’. Il punto è che non lo vogliamo dire. Il punto è che ce ne freghiamo proprio. Non c’è foto di torture, di sporcizia, di inumanità, non c’è racconto di violenza o di stupri che scalfisca il nostro animo di piombo. Siamo immersi nella rabbia, una rabbia nociva che offusca la mente, siamo incapaci di provare la minima compassione. Siamo regrediti, subumani, peggio del peggio di qualunque sputazzante e sbeffeggiante popolino delle piazze medievali. Questo cancro di disumanità infetterà la nostra estate per i mesi a venire e regalerà sempre più potere a chi insiste nel risolvere i problemi dando la colpa a qualcun altro, qualcuno di indefinito, che non può difendersi, parafulmine per la nostra frustrazione, per il nostro odio, per i nostri incubi di occidentali falliti.

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/06/15/sanno-tutto-dei-lager-libici-e-se-ne-fregano-lo-stesso-i-sovranisti-sono-peggio-dei-nazisti-2042934.html