Grande lezione del consigliere leghista al Governo che non ha fatto altro che cazzeggiare pensando a chi stava in difficoltà: “Tutti pensano ai poveri, ma ai ricchi chi ci pensa?” – Carlo Pavan mette in luce il dramma di chi rischia di non poter più mettere a tavola caviale e champagne tutti i giorni!

 

Carlo Pavan

 

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Grande lezione del consigliere leghista al Governo che non ha fatto altro che cazzeggiare pensando a chi stava in difficoltà: “Tutti pensano ai poveri, ma ai ricchi chi ci pensa?” – Carlo Pavan mette in luce il dramma di chi rischia di non poter più mettere a tavola caviale e champagne tutti i giorni!

Attenzione, abbiamo il video politico dell’anno. In questo 2020 funestato dal coronavirus, ci è toccato ascoltare anche l’intervento del consigliere lega Udine Carlo Pavan, nella seduta consiliare che si è svolta nella città friulana lo scorso 18 maggio. Il video del suo intervento è stato diffuso solo in questi giorni ed è subito diventato virale.

Il consigliere è intervenuto per sottolineare alcuni punti relativi al modo di affrontare l’emergenza coronavirus dei suoi concittadini. La prima cosa che salta all’occhio è che i suoi guanti sono di due colori diversi, ma il punto non è questo.

Consigliere Lega Udine, Carlo Pavan e i fondi che vengono distribuiti solo ai poveri

Carlo Pavan, infatti, si lascia andare a un intervento surreale, in cui si lamenta della distribuzione dei fondi che dovrebbero dare sollievo nell’emergenza. «Quando si parla di supporto non c’è equità sociale e ve lo dimostro. Parlano tutti di dare fondi ai poveri – dice serissimo Pavan – e ai ricchi che pagano l’Imu chi ci pensa? Ci sono anche i ricchi a Udine, non soltanto i poveri. Ma mi sembra che i democratici nei loro interventi non prendano in considerazione questa mancanza di equità».

Consigliere Lega Udine e i poveri in fila a comprare l’iPhone con la tuta

Ma il consigliere della Lega non ha ancora dato il meglio di sé. Il suo deve essere stato vero e proprio risentimento nei confronti dei poveri, o dei presunti tali: «L’altro giorno mi hanno detto che da Mediaworld c’erano 200 persone in fila per l’iPhone nuovo a 600 euro. Mi chiedo: ma questi sono davvero poveri o finti poveri?». Vi state chiedendo come il consigliere leghista abbia stabilito con certezza che si trattasse di persone povere? Ha un metodo infallibile: «Erano tutti con la tuta. Io non ho niente contro quelli che stanno in tuta, ma non erano certo in giacca e cravatta».

Consigliere Lega Udine e il 2020 che è un anno bisestile

Insomma, questi fondi di supporto ai poveri proprio non gli scendono giù. Tant’è che alla fine si lascia andare a una previsione che, oltre ai cori di dissenso, ha anche scatenato qualche gesto di scongiuri. «Il 2020 è un anno bisestile. C’è stata l’acqua alta a Venezia, doveva arrivare il meteorite e poi c’è stato il coronavirus. Se dovesse arrivare qualche altra catastrofe e finiamo tutti i soldi, poi dove li prendiamo?».

«Se c’è una cosa che questa pandemia ci ha insegnato, è che il virus non fa distinzioni. Ricco, povero, bianco, giallo, nord, sud. Invece questo intervento del consigliere della Lega ci fa capire che neppure una pandemia è servita a renderci più umani, a scrollarci di dosso stereotipi da quattro soldi» – le parole, amare, sono della consigliera di minoranza Cinzia Pavan che ha reso virale il video del consigliere comunale della Lega di Udine sui social network.

Sipario.

Nota: se questa gente sta dove sta è perché qualche idiota, magari povero, la vota…!

 

 

Se per Boschi e PD deridere i poveri sul reddito di cittadinanza significa fare opposizione…

 

Boschi

 

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Se per Boschi e PD deridere i poveri sul reddito di cittadinanza significa fare opposizione…

“Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa ‘Una vita in vacanza’” ha twittato ieri l’ex ministra Maria Elena Boschi per attaccare il nuovo reddito di cittadinanza carato dal governo. E in quella frase, seppure breve, ci sono tutti gli errori del PD degli ultimi anni.

Ci sarebbero milioni di motivi per contestare il reddito di cittadinanza varato dal governo poche ore fa. Si potrebbe, ad esempio, puntare il dito sui numeri di un riforma che avrebbe dovuto segnare una svolta epocale e invece rischia di accontentare poche famiglie (ma qui vale anche il limite imposto dall’Europa) oppure si potrebbe puntare il dito sul fondamentale ruolo dei centri per l’impiego che, chissà perché e chissà come, ora dovrebbero ricominciare di colpo a funzionare meravigliosamente come non non mai riusciti a fare. Se ne potrebbe contestare l’ideologia politica (ovvero quelli che sono convinti che sia l’aiuto alle imprese il passaggio fondamentale per aiutare le persone) come in fondo un po’ disordinatamente sta facendo Forza Italia (sia chiaro che è una legittima posizione di destra, comunque) o si potrebbe discutere del rischio che tutto diventi il solito assistenzialismo all’italiana.

Insomma ce n’è da dire, c’è materiale per metter in campo una convincente (e magari costruttiva) opposizione, anche alla luce della distanza che il vice premier Salvini continua a dimostrare verso il provvedimento. Ieri invece, Maria Elena Boschi, in primis hanno avuto la brillante idea di colpire, al solito, la parte sbagliata puntando il dito contro i poveri colpevoli di essere poveri e quindi (secondo, una sfortunata connessione di pregiudizi, per forza nullafacenti.

«Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa “Una vita in vacanza”», ha tiwttato ieri Maria Elena Boschi e nel suo sfortunato tweet c’è tutto il comportamento che ha affossato il Partito Democratico in questi ultimi anni. «Veramente una frase stupida. Fattelo dire da chi gestisce i servizi sociali.», gli ha risposto immediatamente l’assessore ai servizi sociali di Milano Pierfrancesco Majorino, senza troppi giri di parole, «Non si capisce l’obiettivo di @pdnetwork. Se è creare consenso questo retweet di una roba di @meb, peraltro reduce dalla cena col #cazzaronero, sicuramente non serve», scrive un elettore che si dichiara “molto preoccupato”, «C’è tutto il fallimento del PD in queste tre spocchiose, vergognose, tristissime righe.», scrive un altro utente. E così via, in un profluvio di critiche che non sembrano per ora avere toccato l’ex ministra.

In quella frase comunque c’è tutto il classismo di un Partito Democratico che insiste nel fare opposizione specchiandosi negli stessi modi di quelli che contesta: irridere la povertà (pensando di attaccare invece il provvedimento del governo) non è altro che un aizzare di folle identico alla tattica usata da quegli altri. Il fatto stesso di sperare nel fallimento di una manovra che punta all’inclusione di alcune fasce di povertà (mangiando al solito i pop-corn piuttosto che studiando e proponendo migliori strategie) aizzando le folle contro i poveri (come quelli altri fanno con gli immigrati) dimostra una pessima matrice comune.

Sfugge tra l’altro anche come il PD, continuando così, possa pensare di recuperare voti. I voti, del resto, arrivano da quegli stessi elettori che ogni giorno vengono bullizzati da entrambe le parti come se fossero marchiati a vita e quindi immobili nelle loro scelte. Non sarebbe più intelligente piuttosto dimostrare vicinanza alle famiglie in difficoltà (che inevitabilmente confidano nel reddito di cittadinanza pur di migliorare la propria situazione) spiegando (umilmente) le criticità e i pericoli del provvedimento. E invece niente. Ennesima occasione persa.

E così il luogo comune dei “radical chic” può continuare a aleggiare indisturbato.

 

fonte: https://www.fanpage.it/se-per-boschi-e-pd-deridere-i-poveri-sul-reddito-di-cittadinanza-significa-fare-opposizione/

 

Rutger Bregman: “La povertà non è una mancanza di carattere, è una mancanza di denaro”

 

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La povertà non è una mancanza di carattere, è una mancanza di denaro

di Rutger Bregman – Vorrei iniziare con una domanda semplice: perché i ceti svantaggiati prendono spesso decisioni svantaggiose? Lo so, è difficile rispondere: ma diamo un’occhiata ai dati. I poveri fanno più debiti, risparmiano meno, fumano di più, bevono di più, fanno meno esercizio e mangiano peggio. Perché?

La spiegazione tradizionale la diede una volta il premier inglese Margaret Thatcher. Che definì la povertà “un difetto della personalità.” Una mancanza di carattere, in sostanza.

So che molti di voi non sarebbero così brutali. Ma che ci sia qualcosa di sbagliato nei poveri non lo pensava solo la signora Thatcher. Forse qualcuno di voi crede che i poveri debbano rispondere dei propri errori. E altri potrebbero proporre di aiutarli a prendere decisioni migliori. Ma l’assunto di fondo è lo stesso: c’è qualcosa di sbagliato in loro. Se solo potessimo cambiarli; se solo potessimo insegnare loro come si vive; se solo ci ascoltassero. E a dirla tutta, questa è stata a lungo anche la mia, di opinione. Poi, appena qualche anno fa, ho scoperto che tutto ciò che pensavo di sapere sulla povertà era sbagliato.

Tutto iniziò quando mi imbattei, per caso, nello studio di un gruppo di psicologi americani. Avevano viaggiato per 13.000 chilometri, fino in India, per uno studio affascinante. Il soggetto erano i coltivatori di canna da zucchero. Dovete sapere che questi contadini ricevono il 60 percento circa del loro reddito annuale in un unico trasferimento, appena dopo il raccolto. Sono pertanto relativamente poveri per una parte dell’anno, e ricchi l’altra. I ricercatori li sottoposero a due test del QI, prima e dopo il raccolto. Il confronto dei risultati mi lasciò senza parole. Nel test prima del raccolto, il punteggio era molto inferiore. Pare che gli effetti della povertà corrispondano a una perdita di 14 punti di QI. Per darvi un’idea, l’effetto è paragonabile a una notte insonne, o all’alcoolismo.

Qualche mese dopo, seppi che Eldar Shafir, professore della Princeton University e co-autore di questo studio, stava arrivando in Olanda, dove vivo. Ci incontrammo ad Amsterdam per parlare della sua nuova, rivoluzionaria teoria della povertà. Posso riassumerla in due parole: mentalità della scarsità. Pare che il comportamento delle persone cambi, quando percepiscono una cosa come scarsa. E non importa molto cosa sia quella cosa – può essere tempo, denaro o cibo.

Conosciamo tutti quella sensazione: abbiamo troppo da fare, o abbiamo saltato il pranzo per lavoro e c’è un calo di zuccheri nel sangue. L’orizzonte mentale si restringe alla carenza immediata – al panino che abbiamo bisogno di mangiare ora, alla riunione che inizierà fra 5 minuti o alle bollette da pagare entro domani. E la capacità di pensare a lungo termine va a farsi benedire. Per fare un paragone, pensate a un nuovo computer che esegue 10 programmi pesanti tutti allo stesso tempo. Prima rallenta, e fa errori su errori. E alla fine si inchioda – non perché sia fatto male come computer, ma perché deve eseguire troppe operazioni alla volta. I poveri hanno lo stesso problema. Non prendono decisioni stupide perché sono stupidi, ma perché vivono in un contesto in cui tutti farebbero scelte stupide.

E all’improvviso mi è diventato chiaro perché molti dei nostri programmi di contrasto alla povertà non funzionano. Investire in formazione, ad esempio, si rivela spesso un buco nell’acqua. La povertà non è una mancanza di istruzione. Una recente analisi di 201 studi sui corsi di gestione delle finanze è giunta alla conclusione che non hanno quasi alcun effetto. Non fraintendetemi – non sto dicendo che i poveri abbiano la testa dura: certamente imparano qualcosa di utile. Ma non è abbastanza. Nelle parole del Professor Shafir, “È come insegnare a qualcuno a nuotare, e poi lanciarlo in un mare in tempesta.”

Avremmo potuto arrivarci decenni prima. Questi psicologi non hanno fatto complicate scansioni cerebrali; hanno solo misurato il QI dei coltivatori, e quei test sono stati inventati più di 100 anni fa. Ricordai anche di essermi già imbattuto nella psicologia della povertà. George Orwell, uno dei maggiori scrittori mai vissuti, negli anni ’20 sperimentò la povertà di persona. “L’essenza della povertà,” scrisse all’epoca, è che “cancella il futuro.” E si meravigliava di come, e qui cito, “La gente dia per acquisito il diritto di farti la predica e pregare per te, appena il tuo reddito scende sotto un certo livello.”

Queste parole conservano tutta la loro forza ancora oggi. La questione, ovviamente, è: cosa si può fare? Gli economisti moderni hanno qualche asso nella manica. Potremmo aiutarli a compilare i documenti, o mandare una notifica via sms quando è ora di pagare le bollette. Questo tipo di soluzione è molto popolare tra i politici moderni, soprattutto perché… beh, non costa quasi nulla. Soluzioni come queste, a mio avviso, sono un simbolo di quest’epoca in cui si trattano i sintomi di un male, ignorandone la causa sottostante.

Perciò mi chiesi: perché non cambiamo il contesto in cui vivono i poveri? Oppure, tornando all’analogia del computer: perché continuiamo a ritoccare il software quando potremmo risolvere il problema installando un po’ più di memoria? Lo sguardo del Professor Shafir si fece assente, e dopo qualche secondo disse: “Oh, ho capito. Intendi dare più denaro ai poveri per sradicare la povertà. Certo, sarebbe grandioso. Ma temo che quella marca di sinistra che avete ad Amsterdam non ci sia negli Stati Uniti.”

Ma è davvero una vecchia idea di sinistra? Mi tornò alla mente un’antica proposta, avanzata da alcuni dei più importanti pensatori della Storia. Il filosofo Tommaso Moro fu il primo ad accennarne nel suo libro, “Utopia”, più di 500 anni fa. E ha sostenitori in tutto l’arco politico, da destra a sinistra, dal difensore per i diritti civili, Martin Luther King, all’economista Milton Friedman. Ed è un’idea incredibilmente semplice: il reddito di base garantito.

Che cos’è? È molto semplice. Si tratta di un reddito mensile per coprire i bisogni di base: cibo, riparo, istruzione. È completamente incondizionato, quindi nessuno ti dirà cosa devi fare per averlo, né come devi spenderlo. Il reddito di base non è un favore, ma un diritto. Non comporta alcuno stigma sociale. Così, quando capii la reale natura della povertà, iniziai a chiedermi senza sosta: è questa l’idea che tutti aspettavamo? Potrebbe essere davvero così semplice? E nei tre anni successivi, lessi tutto ciò che potevo sul reddito di base. Navigai tra le dozzine di esperimenti condotti in tutto il mondo, e in breve mi imbattei nella storia di una città che ci era riuscita – aveva sradicato la povertà. Ma poi… quasi tutti se ne dimenticarono.

La città senza povertà

Questa storia inizia a Dauphin, in Canada. Nel 1974, in quella piccola città fu garantito a tutti un reddito di base, affinché nessuno cadesse al di sotto della soglia di povertà. All’inizio dell’esperimento, un esercito di ricercatori scese in città. Per quattro anni, tutto andò bene. Poi però un nuovo Governo salì al potere, e non vide molte ragioni di condurre un esperimento così costoso. E quando fu chiaro che mancavano i fondi per analizzare i risultati, i ricercatori decisero di chiudere i fascicoli in 2.000 scatole. Passarono 25 anni, e un giorno Evelyn Forget, una professoressa canadese, trovò quei risultati. Per tre anni sottopose i dati a ogni tipo di analisi statistica. E comunque li manipolasse, il risultato era sempre lo stesso: l’esperimento era stato un clamoroso successo.

Evelyn Forget scoprì che gli abitanti di Dauphin erano diventati non solo più ricchi, ma anche più sani e intelligenti. Il rendimento scolastico dei ragazzi migliorò sensibilmente. Il tasso di ospedalizzazione diminuì addirittura dell’8,5%. Diminuirono le violenze domestiche e anche le denunce di disagio mentale. E la gente non abbandonò il posto di lavoro. Gli unici che lavorarono un po’ meno furono le neo-mamme e gli studenti, che studiavano più a lungo. E risultati analoghi sono emersi, da allora, in moltissimi altri esperimenti in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’India.

Quindi … ecco cosa ho imparato: quando si parla di povertà, noi, i ricchi, non dovremmo pretendere di saperla più lunga. Dovremmo smetterla di mandare scarpe e giocattoli a poveri che non abbiamo mai visto. E dovremmo sbarazzarci della pletora di burocrati paternalisti, destinando i loro stipendi a quei poveri che dovrebbero aiutare.

Perché il bello del denaro è che possiamo usarlo per acquistare ciò che ci serve, e non ciò che presunti “esperti” ritengono che ci serva. Pensate a quanti brillanti scienziati, imprenditori e scrittori come George Orwell, stanno oggi appassendo nel bisogno. Pensate a quante energie e talenti potremmo liberare se ci sbarazzassimo della povertà una volta per tutte. Penso che un reddito di base agirebbe da capitale di rischio per le persone. E non possiamo permetterci di non farlo, perché la povertà è estremamente costosa. Guardate quanto costa, ad esempio, la povertà infantile negli Stati Uniti. È un costo stimato di 500 miliardi di dollari all’anno, in termini di maggiori costi sanitari, abbandoni scolastici e criminalità. È un incredibile spreco di potenziale umano.

Ma parliamo del problema principale: come finanziamo un reddito di base garantito? In realtà costa molto meno di quanto pensiate. A Dauphin è stato finanziato con un’imposta sul reddito negativa. Perciò ricevete un’integrazione appena scendete sotto la soglia di povertà. E in questo scenario, stando alle migliori stime degli economisti, per un costo netto di 175 miliardi – un quarto del budget militare, o l’1% del PIL, degli Stati Uniti – potreste sollevare gli americani indigenti dalla soglia di povertà. Potreste sradicare la povertà. E dovrebbe essere quello, l’obiettivo.

Il tempo del pensiero debole e delle spinte gentili è finito. Credo davvero che sia giunto il momento di idee nuove e radicali, e il reddito di base è molto di più dell’ennesima politica sociale. È anche un completo ripensamento del concetto di lavoro. E in questo senso, libererà non solo i poveri, ma anche il resto di noi.

Oggi, milioni di persone sentono che il loro lavoro ha poco senso. Una recente inchiesta tra 230.000 impiegati in 142 nazioni ha scoperto che solo il 13 percento degli impiegati ama il proprio lavoro. Un altro sondaggio ha scoperto che il 37 percento dei lavoratori inglesi svolge un lavoro che loro per primi pensano non dovrebbe esistere. Nelle parole di Brad Pitt in “Fight Club”, “Troppo spesso facciamo lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono.”

Ora, non fraintendetemi – non sto parlando di insegnanti, netturbini e addetti alla cura alla persona. Se loro smettessero di lavorare, allora sì che saremmo nei guai. Parlo di tutti quei professionisti strapagati, con curriculum stellari, che si guadagnano lo stipendio con… riunioni tra pari di transazioni strategiche con focus sulla co-creazione dirompente nella società della rete.

O qualcosa del genere. Pensate solo a quanto talento stiamo sprecando, solo perché diciamo ai nostri ragazzi che dovranno “guadagnarsi da vivere”. O a un brillante matematico di facebook, che qualche anno fa lamentava: “Le migliori menti della mia generazione cercano di convincere la gente a cliccare sulla pubblicità.”

Sono uno storico. E se la Storia ci insegna qualcosa, è che le cose possono cambiare. Non c’è niente di inevitabile nell’attuale struttura della società e dell’economia. Le idee possono cambiare il mondo, e lo cambiano. E soprattutto negli ultimi anni, è diventato più che chiaro che lo status quo è insostenibile: servono nuove idee.

So che molti di voi sono assaliti dal pessimismo, davanti a un futuro di diseguaglianze, xenofobia e cambiamenti climatici. Ma non basta sapere a cosa opporsi: serve anche una causa da sostenere. Martin Luther King non disse, “Io ho un incubo”. Aveva un sogno, lui.

Ecco quindi il mio, di sogno: io credo in un futuro in cui il valore del vostro lavoro non si misuri dalla busta paga, ma da quanta felicità diffondete e da quanto “significato” apportate. Credo in un futuro in cui l’educazione non serva a prepararvi all’ennesimo lavoro inutile, ma a vivere bene la vita. Credo in un futuro in cui una vita senza povertà non sia un privilegio, ma un diritto di tutti. È questo il punto. Abbiamo la ricerca, le prove e le risorse.

Oggi, oltre 500 anni dopo che Tommaso Moro iniziò a scrivere sul reddito di base, e 100 anni dopo che George Orwell ha scoperto la vera natura della povertà, è tempo di aggiornare la nostra visione del mondo, perché la povertà non è una mancanza di carattere. La povertà è una mancanza di denaro.

L’AUTORE


Rutger Bregman è uno dei giovani pensatori più importanti d’Europa. Olandese, 28 anni, storico e autore di successo, ha pubblicato quattro libri su storia, filosofia ed economia. Il suo libro “Utopia per realisti”, sul reddito di base universale e altre idee radicali, è stato tradotto in più di 20 lingue. Il suo lavoro è stato descritto su The Washington Post, The Guardian e nella BBC.

 

tratto da: http://www.beppegrillo.it/la-poverta-non-e-una-mancanza-di-carattere-e-una-mancanza-di-denaro/?fbclid=IwAR0oJp6kzVHwGU0uWp2XiFYnO4B9FhGvSGzpkQjqZmTC23Fx1czVctM_WnU

Poveri anziani, quasi la metà non può permettersi di accendere il riscaldamento…!

 

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Poveri anziani, quasi la metà non può permettersi di accendere il riscaldamento…!

Un’indagine di Spi Cgil e Fondazione Di Vittorio rivela che per il 14% degli anziani la pensione non basta per potersi permettere una temperatura adeguata in casa, e il 33% potrebbe essere a breve in questa situazione

Quasi la metà degli anziani non si può permettere di accendere i termosifoni in casa. O rischia di non poterlo fare più nel prossimo futuro. Sono i “poveri energetici”, gli italiani con una pensione che non basta a pagare le bollette del gas, dell’acqua calda e dell’elettricità. Di loro si è occupata un’indagine realizzata dallo Spi, il Sindacato dei pensionati della Cgil, e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, secondo cui a vivere in questa situazione è il 47% degli anziani intervistati da Nord a Sud. Con conseguenze gravi anche sullo stato di salute e i livelli di mortalità.

Dai risultati emersi dalle interviste (979), viene fuori che il 14% dei pensionati non riesce a mantenere una temperatura adeguata in casa. E non solo perché far partire la caldaia costerebbe troppo a fine mese, ma anche perché nel 18% dei casi negli appartamenti manca del tutto l’impianto di riscaldamento. In altri casi sono gli infissi a essere inadeguati. E per sostituirli, la pensione non basta.

Oltre i “poveri energetici” veri e propri, il 33% degli intervistati è a rischio povertà energetica. Con condizioni economiche né agiate né di indigenza, ma comunque non in grado di poter garantire una temperatura confortevole tra le mura di casa nel prossimo futuro.

Il 14% dei pensionati non riesce a mantenere una temperatura adeguata in casa. E non solo perché far partire la caldaia costerebbe troppo a fine mese, ma anche perché nel 18% dei casi negli appartamenti manca del tutto l’impianto di riscaldamento

I poveri energetici sono per lo più anziani soli, vedovi o vedove, che vivono in piccoli appartamenti tra i 40 e i 60 metri quadri, in condomini cittadini, e senza grandi attività sociali. Le donne sono la maggioranza. E più si va avanti con l’età più le condizioni economiche peggiorano. I più poveri sono gli ex artigiani e le ex casalinghe. Se la passano quelli che hanno lavorato come operai. Ma tra coloro che non hanno una pensione da lavoro, affidandosi a invalidità, reversibilità o pensione sociale, le condizioni di fragilità economica sono ancora più gravi.

Tra chi è in affitto, poi, le ristrettezze energetiche aumentano: una sola pensione non basta a pagare la rata mensile e a riscaldare la casa. Il 73,8% tra i più poveri accende i riscaldamenti “solo se strettamente necessario”. Con una spesa media annua per il gas di soli 258 euro, circa 500 euro in meno dei coetanei che se la passano meglio.

Dal punto di vista territoriale, la quota più sostanziosa di poveri energetici si trova in Calabria (45,4%), cui si contrappone il dato registrato in Toscana (6,8% di poveri). L’incidenza della povertà raddoppia per coloro che sono separati (o divorziati) o vedovi e arriva a superare il 30% per nubili e celibi. E «a uno stato di povertà energetica si accompagnano generalmente condizioni di salute precarie, se non compromesse», spiegano nell’indagine.

Un bonus sociale per l’energia elettrica e il gas, in realtà, ci sarebbe dal 2008. Ma quello che viene fuori dai dati è che solo il 30% di chi aveva diritto ne ha usufruito, tra una platea di destinatari ridotta all’osso, buoni di copertura della spesa troppo bassi e un inter amministrativo e burocratico da azzeccagarbugli. Non proprio agevole per un 70-80enne.

 fonte: https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/27/anziani-poveri-energetici/40275/?fbclid=IwAR2NzKZ09Q9oZOfpv1waJaqGZDz3sU_-7P2WTbslRuXwSR5g5FNR7535DpI

Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi – Tutta la verità su come stanno distruggendo la Tua vita e quella dei Tuoi figli…!

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Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi – Tutta la verità su come stanno distruggendo la Tua vita e quella dei Tuoi figli…!

 

Perché siamo diventati POVERI – Analisi e spiegazione Economica in 6 passi

 

Passo 1: Cambio del modello economico.

Partiamo da una lettura rovesciata della storia economica: e se non ci fosse stata nessuna crisi nel 2007?

E infatti, non c’è stata nessuna crisi. C’è stato un cambiamento pianificato e deliberato di sistema economico. A livello europeo, l’adesione al modello unico di pensiero economico neo liberista ha portato all’ingresso nell’Euro.

Taluni sostengono sia stata la nostra salvezza; noi riteniamo sia stata la nostra sciagura.

Senza molti discorsi, è sufficiente guardare la produzione industriale, vero motore della ricchezza di un Paese. Si guardi il grafico, di produzione del Centro Studi WIN the BANK.

Osservate la direzione del rapporto tra produzione italiana e tedesca dal 1970 ai giorni nostri; in verde è il trend quando operiamo in un sistema di cambi flessibili, in rosso quando entriamo prima nel sistema monetario europeo e poi definitivamente nell’Euro, cioè in un sistema a cambi fissi.

 

Passo 2: Crollo di risparmi e investimenti

I posti di lavoro sono creati direttamente – lo si dimentica sempre – solo dagli imprenditori. Tutte le altre misura di politica economica (compresi i posti di lavoro creati dallo Stato) dipendono indirettamente da questo. Quando, come conseguenza di cambiamenti pianificati di modello economico, si genera una “crisi”, questa è una conseguenza e non una causa.

Sul telegiornale ogni giorno, da anni, parlano di indicatori stupidi basati sui sondaggi, come la fiducia dei risparmiatori, la propensione alla spesa e via discorrendo, con tanto di filmati di rito sui negozi del centro.

Scempiaggini: ciò che conta sono il tasso di risparmio e di investimento.

La povertà – con politiche del governo di austerità, cioè pro cicliche – innesca un circolo vizioso di altra povertà.

Andamento e rapporto tra Risparmio ed Investimento

 

 

Passo 3: Differenziale di fatica

Questo mette in moto ciò che definisco un “differenziale di fatica”. Quando Paesi adatti a modelli economici differenti vengono costretti da una visione scorretta a competere nello stesso modello con la scusa della “globalizzazione”, gli effetti sono che alcuni lavorano molto più degli altri, per potersi permettere molto di meno.

Semplicemente, il loro motore non è adatto a quel combustibile e la resa è molto più bassa.

In altri termini, è una concorrenza sleale a livello non di impresa ma di Stato.Sarebbe come far correre alcuni liberi e altri dentro a un sacco. Come se non bastasse, nella retorica neo liberista che occupa tutti i principali organi di informazione si parla da anni di menzogne come la “spesa pubblica improduttiva” o la “mancanza di produttività degli italiani” o ancora la “scarsa propensione al lavoro dei popoli del sud”.

In realtà, vi stanno deridendo, perché le cose non stanno affatto così, come dimostra questo grafico elaborato dal Centro Studi WIN the BANK.

 

Passo 4: Divaricazione tra produzione e salario

Tutto questo fa parte di un disegno mondiale, molto più ampio.
Per comprenderlo, occorre ampliare lo sguardo e guardare cosa sia successo dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri. Nel grafico, si nota l’effetto di quella che noi chiamiamodivaricazione tra produzione e salario dei lavoratori dipendenti.

Ore medie lavorate dai principali Stati Europei in base al reddito.

 

Passo 5: Distribuzione di ricchezza e povertà

Ora, torniamo ad accorciare lo sguardo solo a ciò che succede da quando le due curve del grafico precedente iniziano a divergere, cioè dagli inizi degli anni ’50 del XX Secolo.

Ecco quale è il disegno del pensiero unico internazionale; fare divergere la retta rossa e quella blu, cioè il tasso di crescita di ricchezza dei ricchi e dei poveri.

Riprendiamo la domanda della slide: è un trend equo e sostenibile?

Per rispondere, si tratta di capire dove ci sta portando questo trend.

Il grafico rappresenta la distribuzione di ricchezza e povertà dal 1949 ad oggi

 

Passo 6: Concentrazione della ricchezza

Nei decenni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale fino ai primi anni ’80, gli italiani erano un popolo sostanzialmente benestante, con un sistema di welfare crescente e con tassi di ricchezza crescenti, dimostrati dall’aumento dei tassi del risparmio delle famiglie, documentati in altri nostri articoli.

Lentamente, negli scorsi decenni, le politiche delle privatizzazioni, della globalizzazione, della perdita della sovranità monetaria e dell’introduzione di politiche di austerità sono stati i quattro cavalieri dell’Apocalisse economica del nostro Paese.

Ma il disegno è mondiale e il nostro piccolo Stato non è in grado di contrastarlo, soprattutto perché alcuni nostri governanti hanno venduto la propria anima alla carriera internazionale, facendo compiere negli scorsi decenni scelte anti democratiche (poiché non condivise né votate dalla gente), come spiegato in altri articoli.

Ma qual è il disegno mondiale del pensiero unico in Economia?

E’ concentrare la ricchezza nelle mani di pochi; per la precisione, ricchi e ricchissimi.

Questo disegno è volto a far ridurre la classe media e sostituirla con una classe crescente di poveri.

Perché?

Perché i poveri sono deboli e accetteranno l’elemosina, rappresentata da varie forme di sussidio di Stato, diversamente denominate nei decenni; negli anni ’80 era il voto di scambio, domani sarà il reddito di cittadinanza (entrambe versioni diverse del panem et circenses di latina memoria).

In questo modo, i poveri accetteranno nuove forme elemosina dei ricchi, consentendo loro di attuare tutte le manovre di politica economica, poiché il solo uomo che può essere libero è l’uomo che si sostenta da solo con il proprio lavoro, ben retribuito e stabile.

Solo chi ha un lavoro adeguatamente retribuito è libero.

 

Conclusione

Non siamo diventati poveri perché siamo più stupidi dei nostri genitori, perché lavoriamo meno, siamo più spendaccioni o meno orientati allo studio, al risparmio e alla fatica.

Queste sono le retoriche di sistema, che attraverso il controllo dei principali organi di informazione tende ad attuare un meccanismo di condizionamento collettivo: il senso di colpa. Se ti senti in colpa, ti faranno accettare le politiche di “rigore” che aumenteranno il divario tra la ricchezza di ricchi e poveri. Il vecchio “divide et impera” dei latini viene usato ancora oggi; si creano messaggi di scontro generazionale, conditi con altri messaggi di contrapposizione generazionale.

Si convincono gli anziani che si devono pagar le medicine perché ormai sono un lusso e i giovani ad avere un lavoro precario, per colpa degli sprechi delle pensioni dei genitori. Si racconta ai ragazzi che oggi non hanno un lavoro per gli sperperi dei padri che hanno avuto cose che “non potevano permettersi”.

Si parla continuamente di sprechi, di tagli e di austerità; recentemente l’Unione Europea arriva addirittura a parlare di contenimento degli anni di didattica nelle scuole superiori con l’incredibile motivazione del taglio della spesa e del risparmio. Come se investire sulla cultura delle future generazioni sia un costo e non una ricchezza da coltivare.

Tanti ci chiedono cosa si possa fare

A livello generale, l’unica risposta democratica può essere quella dell’esercizio del diritto di voto e protesta, ed esula dagli scopi di questo blog, che non tratta di politica. Noi vi abbiamo fornito una diversa chiave di lettura della storia economica; a voi credere alla nostra o a quella ufficiale, e trarre vostre libere conclusioni.

A livello personale, noi non possiamo dar risposte concrete a tutti ma solo a una nicchia di persone composte da liberi professionisti e imprenditori. La nostra riposta operativa e concreta, per il ristretto ambito della nostra competenza, sta nella volontà individuale di uscire dal disegno della povertà. Siamo convinti che, una volta compreso che sia del tutto inutile piangersi addosso, pubblicare aforismi su Facebook e attendere l’aiuto dello Stato o l’ ”uscita dalla crisi” (perché non è una crisi ma un cambiamento deliberato e pianificato di sistema economico), un libero professionista e un imprenditore abbiano in mano le sorti della propria vita.

Le soluzioni – tuttavia – si cercano una volta acquisita la consapevolezza.

 

L’unica vera barriera è quella mentale, data dallo scetticismo, la sfiducia, il sospetto, la diffidenza e la paura.

Fonte malvezzieuropei

 

Istat, oltre 5 milioni di italiani vivono in povertà assoluta: è il dato peggiore dal 2005 …Forse, caro Salvini, c’è qualcosa di più importante da fare che censire Rom e cacciare ambulanti dalle spiagge…

 

 

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Istat, oltre 5 milioni di italiani vivono in povertà assoluta: è il dato peggiore dal 2005 …Forse, caro Salvini, c’è qualcosa di più importante da fare che censire Rom e cacciare ambulanti dalle spiagge…

 

Istat, oltre 5 milioni di italiani vivono in povertà assoluta: è il dato peggiore dal 2005

I dati Istat certificano un aumento delle persone e delle famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta: nel 2017 sono quasi 2 milioni le famiglie e oltre 5 milioni gli individui in difficoltà economiche, è il dato più alto dal 2005. A influire sui valori ci sono vari fattori: età, area geografica, istruzione e occupazione.

Più di cinque milioni di italiani vivono in una condizione di povertà assoluta: è il peggior dato riguardante l’Italia da quando sono iniziate le rilevazioni su questi criteri nel 2005. Il rapporto dell’Istat si basa su due stime che misurano la povertà: quella assoluta e quella relativa. Per povertà assoluta si intende l’incidenza che viene calcolata sulla base di una soglia: la soglia corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquisire beni e servizi considerati essenziali per una vita minimamente accettabile. Tutte le famiglie che si trovano al di sotto di questo limite – che varia in base alle caratteristiche delle famiglie ma anche alla posizione geografica – sono considerate in condizioni di povertà assoluta. La povertà relativa, invece, si calcola sulla base dei consumi: è considerata povera una famiglia di due componenti che ha una spesa per consumi inferiore alla spesa media per consumi pro-capite.

Più di 5 milioni di italiani in povertà assoluta
Nel 2017 si trovano in condizioni di povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie che comprendono, in totale, 5 milioni e 58mila persone. Ad allarmare è il fatto che la povertà assoluta cresce rispetto al 2016 sia in termini di famiglie che di individui. L’incidenza arriva al 6,9% per le famiglie, contro il 6,3% del 2016, e all’8,4% per gli individui (l’anno prima era il 7,9%). In parte (per lo 0,2%) questo dato si registra anche a causa dell’inflazione che è stata registrata nel 2017. Si tratta dei valori più alti della seria storica Istat che è iniziata nel 2005.

La distribuzione geografica
L’incidenza della povertà assoluta aumenta soprattutto al Sud, sia per quanto riguarda le famiglie (dove cresce di due punti percentuali e arriva al 10,3%) sia per gli individui (arrivando all’11,4%). I dati più critici si registrano soprattutto nei comuni delle aree metropolitane, con numeri quasi raddoppiati in un anno. Ma anche in molti comuni sotto i 50mila abitanti il dato è in aumento. La povertà assoluta aumenta anche nelle aree metropolitane del Nord.

Età e lavoro
L’incidenza diminuisce con l’aumentare dell’età. Non a caso i valori minimi si registrano per gli over 64, mentre quelli massimi per gli under 35. Si registra un tasso di povertà assoluta più alta tra i non occupati e ovviamente minore tra lavoratori sia dipendenti che indipendenti. I valori sono più alti per famiglie che hanno come persona di riferimento un operaio, con valori più che doppi rispetto ai pensionati. Incide anche il tasso di istruzione: la povertà è più elevata per le famiglie con persona di riferimento che ha la licenza elementare, mentre è molto più bassa per chi ha almeno il diploma.

Cresce anche la povertà relativa
Anche i dati riguardanti la povertà relativa sono in crescita rispetto al 2016: nel 2017 il fenomeno riguarda 3 milioni e 171 famiglie (12,3% contro il 10,6% dell’anno precedente), per un totale di 9 milioni e 368 persone. Si tratta di un dato che colpisce soprattutto le famiglie con quattro, cinque o più componenti e formate da persone più giovani, con un picco per gli under 35. Più alto il tasso per operai e persone in cerca di occupazione, con un peggioramento rispetto al 2016. Molte difficoltà anche per le famiglie di soli stranieri: l’incidenza è del 34,5% e si registra un forte dislivello tra le varie zone del territorio italiano, con al Sud un tasso che si avvicina al 60%.

Salvini: ‘Priorità agli italiani’
A commentare i dati resi noti dall’Istat è stato il ministro dell’Interno Matteo Salvini: “I dati usciti oggi sugli oltre 5 milioni di persone che vivono in povertà assoluta – afferma il titolare del Viminale – mi confermano nella giustezza dell’obiettivo che ci siamo dati con tutto il governo, ovvero mettere al centro gli italiani e dare priorità assoluta alle loro necessità”. Intanto il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ribadisce l’importanza di realizzare al più presto il reddito di cittadinanza, definito come la “priorità più grande”. Dal Pd, invece, il capogruppo alla Camera Graziano Delrio chiede che proprio il tema della povertà sia “il cuore della prossima manovra di bilancio” con l’obiettivo di completare e rafforzare il reddito di inclusione, una proposta lanciata negli scorsi giorni dal Partito Democratico.

fonte: https://www.fanpage.it/istat-oltre-5-milioni-di-italiani-vivono-in-poverta-assoluta-e-il-dato-peggiore-dal-2005/

Un altro grande successo del Governo Renzi – Gentiloni di cui i Tg non hanno parlato: nel 2017 quasi 3 milioni di italiani senza cibo…!

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Un altro grande successo del Governo Renzi – Gentiloni di cui i Tg non hanno parlato: nel 2017 quasi 3 milioni di italiani senza cibo…!

 

2,7 milioni di italiani senza cibo

Nel 2017, 2,7 milioni di persone in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per il cibo da mangiare. E’ quanto emerge dal rapporto Coldiretti ‘La povertà alimentare e lo spreco in Italia’, presentato alla giornata conclusiva del Villaggio della Coldiretti ai Giardini Reali di Torino. Ad avere problemi per mangiare sono dunque – sottolinea la Coldiretti – oltre la metà dei 5 milioni di residenti che, secondo l’Istat, si trovano in una condizione di povertà assoluta.

Nel 2017 circa 2,7 milioni di persone hanno beneficiato degli aiuti alimentari – precisa la Coldiretti – attraverso l’accesso alle mense dei poveri o molto più frequentemente con pacchi alimentari che rispondono maggiormente alle aspettative dei nuovi poveri (pensionati, disoccupati, famiglie con bambini) che per vergogna prediligono questa forma di aiuto piuttosto che il consumo di pasti gratuiti nelle strutture caritatevoli.

Sono appena 114mila quelli che si sono serviti delle mense dei poveri a fronte di 2,55 milioni che invece hanno accettato l’aiuto dei pacchi di cibo sulla base dei dati sugli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea).

Tra le categorie più deboli degli indigenti si contano – continua la Coldiretti – 455mila bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi 200mila anziani sopra i 65 anni e circa 100mila senza fissa dimora. Contro la povertà – continua la Coldiretti – si attiva la solidarietà con molte organizzazioni attive nella distribuzione degli alimenti, dalla Caritas Italiana al Banco Alimentare, dalla Croce Rossa Italiana alla Comunità di Sant’Egidio. E si contano ben 10.607 strutture periferiche (mense e centri di distribuzione) promosse da 197 enti caritativi impegnate nel coordinamento degli enti territoriali ufficialmente riconosciute dall’Agea che si occupa della distribuzione degli aiuti.

Di fronte a questa situazione di difficoltà sono molti gli italiani attivi nella solidarietà a partire da Coldiretti e Campagna Amica che dal Villaggio #stocoicontadini di Torino hanno lanciato per la prima volta l’iniziativa della ‘spesa sospesa‘ a favore della Caritas. Si tratta della possibilità di fare una donazione libera presso i 150 banchi del mercato per fare la spesa a favore dei più bisognosi. In pratica, si mutua l’usanza campana del “caffè sospeso”, quando al bar si lascia pagato un caffè per il cliente che verrà dopo. In questo caso – spiega la Coldiretti – frutta, verdura, formaggi, salumi e ogni tipo di genere alimentare raccolto vengono consegnati alla Caritas che si occupa della distribuzione alle famiglie in difficoltà.

“In un’occasione di incontro tra campagne e città come è il Villaggio Coldiretti non potevamo non pensare a chi in questo momento vive grandi sofferenze a causa della crisi economica che ha colpito duramente soprattutto le fasce più deboli della popolazione” ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, sottolineando che “è però necessario intervenire anche a livello strutturale per rompere questa spirale negativa aumentando il reddito disponibile di chi oggi vive sotto la soglia di povertà”.

fonte: http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2018/06/17/quasi-mln-italiani-chiedono-aiuto-per-mangiare_FFwDQJxs7nPJv35Ww64xRK.html?refresh_ce

Ecco a Voi il centrodestra: condoni per chi evade le tasse. Multe di 200 Euro se frughi nei cassonetti dell’immondizia!

 

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Ecco a Voi il centrodestra: condoni per chi evade le tasse. Multe di 200 Euro se frughi nei cassonetti dell’immondizia!

Certo che non si può non ricordare che il loro “regista” è un condannato per evasione fiscale…

Ecco la loro politica: massima tolleranza per chi evade le tasse. pugno do ferro per chi è costretto a frugare nei cassonetti dell’immondizia… Tanto mica è un problema loro…

Effetto decreto Minniti, a Genova multe di 200 euro per chi fruga nei cassonetti

È polemica nel capoluogo ligure per la misura annunciata dalla giunta di centrodestra, che intende multare i senzatetto e i poveri che rovistano nei bidoni della spazzatura. L’opposizione: “Ingiusto multare chi vive un disagio estremo”.

Multe fino a 200 euro per chi fruga nei cassonetti dell’immondizia in cerca di cibo. È la nuova sanzione in cantiere a Genova, che darà filo da torcere ai clochard e alle persone indigenti.”Ma la applicheremo con criterio e con rispetto nei confronti di queste persone”, ha spiegato l’assessore alla sicurezza Stefano Garassino.

Come ha raccontato il Corriere della sera, il Comune, per volontà della prima giunta di centrodestra guidata dal sindaco Marco Bucci, ha recepito una parte del regolamento Minniti, che mira a riportare nelle città la sicurezza mantenendo il decoro urbano, cercando però, nelle intenzioni, di migliorare le condizioni di vita dei più poveri. I sindaci che stanno applicando il pacchetto Minniti possono chiedere il Daspo per commercianti abusivi e i parcheggiatori non autorizzati. Oltre a sanzionare i venditori di articoli contraffatti. Ma la nuova norma ha incontrato subito resistenze.

“Inutile interrogarsi sull’efficacia della deterrenza di una multa nei confronti di chi è costretto a umiliarsi rovistando nella spazzatura; sono persone che esprimono un disagio estremo” attacca il Pd locale. Su Facebook è nato anche un gruppo, “Genova che osa”, in cui gli utenti hanno pubblicato un post per polemizzare contro la misura comunale, vista come un accanimento sulla pelle delle persone più fragili: “Continuano ad approvare norme assurde, inutili nei fatti e che mortificano gli ultimi. Fermiamo questa guerra ai poveri”. Il gruppo sul social network ha pubblicato un dossier che dà conto delle condizioni economiche in cui versano molti cittadini: la città ha perduto nell’ultimo decennio 7mila posti di lavoro. Così recita il rapporto: “La quota di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è cresciuta dal 21,3 del 2007 al 23,9% del 2016 (il valore del 2016 riferito al Nord-Ovest è del 21%: la Liguria registra la percentuale più alta di tutta la macroregione e di tutto il Settentrione del Paese). E poi ancora: “La percentuale di persone che vivono in abitazioni di bassa qualità (cioè abitazioni sovraffollate e che hanno problemi strutturali, o non hanno bagno o doccia con acqua corrente oppure hanno problemi di luminosità) è cresciuta dal 5,2% del 2007 al 9,2% del 2016 (Fonte Istat)”. Nella Regione poi, il tasso di occupati a tempo parziale è cresciuto dal 16,7 del 2007 al 21,3% del 2016 e dal 31,1 al 37,6% per le donne.

Considerando queste cifre, è giusto multare chi rovista nei bidoni della spazzatura per potersi sfamare? Una risposta la dà l’assessore Garassino: “In buona sostanza ci siamo limitati ad applicare come fanno altre amministrazioni italiane, di ogni colore politico, il pacchetto Minniti, per questioni di sicurezza e decoro urbano. Sono temi di particolare rilevanza in una città che vuole essere turistica come la nostra. La ratio del provvedimento è di natura igienica – spiega Garassino – chi cerca cibo finisce per lasciare rifiuti a terra e questo è un richiamo per i ratti. Ci rendiamo perfettamente conto che chi si riduce a procurarsi da mangiare in quel modo vive una situazione di disagio. E infatti, in accordo con la polizia municipale, la regola verrà applicata “cum grano salis”, e con umanità. Le persone in stato di bisogno non saranno certo multate ma al contrario aiutate”.

 

fonte: https://www.fanpage.it/effetto-decreto-minniti-a-genova-multe-di-200-euro-per-chi-fruga-nei-cassonetti/

I soldati italiani in Niger a proteggere l’uranio dei francesi… Ma “loro” Vi prendono per i fondelli chiamandola “missione di pace”…!

 

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I soldati italiani in Niger a proteggere l’uranio dei francesi… Ma “loro” Vi prendono per i fondelli chiamandola “missione di pace”…!

 

Soldi e uranio, col rischio di finire in mezzo a una guerra. L’Italia in Niger con 500 soldati, su invito della Francia? Motivo ufficiale: fermare, nel Sahel, la tratta dei migranti e il fondamentalismo islamico. Ma attenzione: il Niger ha appena ottenuto, dalla conferenza parigina dei donatori, un super-finanziamento da 23 miliardi di dollari. Un pacchetto di aiuti, come si dice in gergo, “allo sviluppo e alla sicurezza”, i cui appalti sono destinati a imprese europee. «Di sicuro vedremo quindi imprese italiane su quel campo, per non parlare della fornitura di armi necessaria alla “stabilizzazione”», scrive il blog “Senza Soste”, che mette a fuoco anche l’altra possibile motivazione della strana missione italiana, annunciata da Gentiloni dal ponte di una portaerei. «Il punto è che in Niger, oltre ai 23 miliardi di dollari in aiuti che andranno trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una spedizione militare: qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da green economy che è l’uranio». Non è certo una novità: proprio per l’uranio destinato al nucleare fu montato, nel 2002, il caso Nigergate. «In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo parlando del quinto produttore di uranio al mondo ma con una popolazione, di venti milioni di persone, stimata tra le dieci più povere del pianeta».

In Niger c’è anche Arlit, una delle capitali mondiali della produzione di uranio impoverito, continua il newsmagazine. E’ proprio il pericolosissimo materiale «che provocò la morte dei soldati italiani al ritorno dalle missioni coloniali in Kosovo, Afghanistan e Jugoslavia (340 morti, 4000 malati, una strage silenziata al massimo dai media, con D’Alema e Mattarella, all’epoca ministro della difesa, che in materia negarono l’impossibile)». Ma in Niger, continua “Senza Soste”, «se si scrive uranio si legge Areva, una multinazionale francese a proprietà pubblica, con un proprio distinto grattacielo al quartiere parigino della Défense». Il campo si fa quindi più chiaro: resta in mano francese lo sfuttamento e l’export dell’uranio del Niger, i cui proventi non vanno certo ad una popolazione ben al di sotto del livello di povertà. «L’export di uranio del Niger, oltre a non fruttare niente per il popolo di quel paese e inquinarne pesantemente le acque, fornisce energia per il 50 per cento della popolazione francese». E’ evidente quindi che «lo sviluppo drammaticamente ineguale in Niger è un affare interno della Francia». Ma anche esterno, «perchè nella fornitura di energia atomica in Ue, che è circa un terzo di quella complessiva, l’uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia del continente, con una quota del 17,1% sulla produzione totale Ue e davanti a Germania (15,3%) e Regno Unito (in calo, ma al 13,9%)».

Così è tutto più chiaro, scrive “Senza Soste”: «Gli scafisti di un paese senza sbocco al mare c’entrano poco, se non come fake news all’amatriciana». L’Italia? Forse potrebbe ricavarne, in cambio, anche una quota di energia. Ma, al netto degli eventuali appalti per Roma – una possibile fetta dei 23 miliardi concessi in “aiuti” – il blog segnala che le nostre truppe saranno inserite in un disegno, interamente francese, di ristrutturazione “coloniale” dell’area, dopo la crisi apertasi nel 2011 per Areva, costretta a rivedere una serie di reattori dopo il disastro giapponese di Fukushima. Il 2011, ricorda la “Bbc”, è anche l’anno del cosiddetto “uranium-gate”, che coinvolge l’Areva in fenomeni di corruzione in Niger, con fondi neri finiti in Russia e in Libano, fuori dal controllo di Parigi. Altro obiettivo, per la Francia: contrastare la presenza della Cina sul terreno: «E visto che in Africa i cinesi non esistono, sul piano militare, non c’è niente di meglio che ristrutturare Areva dall’interno e far valere la propria presenza sul campo in termini di truppe, con l’aiuto dell’Italia». Il rischio? La guerriglia: dopo la sollevazione dei Tuareg che ha minacciato proprio le miniere di uranio, si è già fatta sentire una guerriglia definita “islamista”, che ha già colpito siti francesi nel 2013.

«Secondo fonti africane in lingua inglese, la guerra dell’uranio in Niger sembra essere appena cominciata: una guerra con gli Usa che forniscono i droni, mentre la Francia e l’Italia sono sul campo – la prima a difendere i propri interessi diretti, la seconda a supporto», cercando di rimediare appalti o magari una posizione privilegiata nella produzione di energia. Gruppi islamisti? In un articolo seguito all’uccisione di quattro soldati americani nell’area, il “Guardian” parla di gruppi in grado di colpire ma difficili da identificare, «in una delle più remote e caotiche zone di guerra del pianeta». Ed è in questo tipo di zona che la Francia vuol rimettere ordine, con l’aiuto italiano, anche per fronteggiare la minacciosa concorrenza del Kazakhstan, super-produttore di uranio. «Se ne può stare certi: le mosse legate al Niger vedranno un piano di decisione politico, su più capitali dell’Occidente, e uno legato alla situazione sui mercati finanziari. Poi si potrà raccontare degli scafisti, dei progressi contro la guerriglia islamista», a beneficio dei grandi media e del loro pubblico ignaro. Non a caso, è già partito il ritornello degli “aiuti” per fronteggiare la devastante emergenza-siccità che sta flagellando l’area. «Per evitare tragedie nel Sahel, legate alla fuga dai territori, basterebbe intervenire sulle crisi idriche, favorendo le naturali economie locali, e non immaginare di creare fortezze da fantascienza».

Se però andiamo a vedere la vastità della crisi idrica che tocca il Niger, aggiunge “Senza Soste”, vediamo che non comprende solo quel paese ma anche tutta la grande fascia sub-sahariana, dalla Mauritania all’Eritrea. E spesso, le zone toccate dalla crisi idrica coincidono con quelle interessate dalla cosiddetta guerriglia islamica: è il caso del Mali, oggetto di intervento francese a inizio 2013. «Parigi interviene, quando la crisi economica e politica precipita, per “stabilizzare” economia e situazione politica del paese e far valere gli interessi francesi. La novità è che, stavolta, interviene anche l’Italia», coinvolta anche nell’intricato dopoguerra in Libia. Riusciranno a pesare sulla crisi, i maxi-appalti in arrivo? «A essere cinici – scrive “Senza Soste” – con 150 milioni annui, e qualche cerimonia militare, l’Italia si dovrebbe garantire un po’ di appalti, per una cifra magari 20 o 30 volte superiore, per le proprie imprese dal settore infrastrutture a quello della fornitura». Secondo Gianandrea Gaiani di “Analisi Difesa”, non è né garantito l’affrancamento dalla subalternità militare a Parigi, già evidenziatosi con la crisi libica del 2011, né il processo di razionalizzazione dei flussi migratori. La politica italiana? Considera “naturale” «l’assenza di qualsiasi visione strategica sull’Africa, continente la cui sinergia tra miseria e boom demografico è ottima candidata ad essere un futuro problema per l’Europa».

 

fonte: http://www.libreidee.org/2018/01/soldati-italiani-in-niger-a-proteggere-luranio-dei-francesi/

 

Eurostat: l’Italia è il Paese dell’Unione con più poveri. I dati che smentiscono clamorosamente i vergognosi proclami di Renzi e Gentiloni!

 

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Eurostat: l’Italia è il Paese dell’Unione con più poveri. I dati che smentiscono clamorosamente i vergognosi proclami di Renzi e Gentiloni!

Povertà: Eurostat, l’Italia è il Paese Ue con più poveri

Quasi 7 milioni, il doppio della Germania e tre volte la Francia

L’Italia è il Paese europeo con il numero più elevato di persone che vivono in “gravi privazioni materiali”, ovvero la definizione istituzionale di ‘poveri’. E’ quanto emerge dai dati Eurostat relativi al 2015, che segnalano una discesa sensibile del numero di poveri in Europa, ma solo marginale in Italia. Nel 2015 in Europa il tasso di povertà è sceso a 8,2% sul totale dei cittadini europei, dal 9% del 2014.

In totale, sono 41,092 milioni i poveri in Europa. L’Italia, invece, è passata dall’11,6% all’11,5%, ovvero un totale di 6,982 milioni di persone che vivono in conclamate condizioni di povertà. Per Eurostat, si tratta di persone che non possono affrontare una spesa inaspettata, permettersi un pasto a base di carne ogni due giorni, mantenere una casa. Il numero è molto più basso in Germania (3,974 milioni), dove il tasso è appena del 5%, e anche in Francia (2,824 milioni), con un tasso del 4,5%, entrambi Paesi più popolosi dell’Italia. In generale sono poveri soprattutto i genitori ‘single’ (17,3% del totale Ue) e gli adulti senza compagno (11%).

 

fonte: http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/04/14/poverta-eurostat-litalia-e-il-paese-ue-con-piu-poveri_da758191-a44a-44e5-b9a8-ea47a838e6c6.html