Medici Senza Frontiere, ancora uno schiaffo al governo – “Fondi per i campi profughi in Libia? No, grazie. Facciamo da soli già da un anno. Non accettiamo fondi da chi crea il problema”.

Medici Senza Frontiere

 

 

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Medici Senza Frontiere, ancora uno schiaffo al governo – “Fondi per i campi profughi in Libia? No, grazie. Facciamo da soli già da un anno. Non accettiamo fondi da chi crea il problema”.

Msf al governo: “Bandi per gestire i campi profughi in Libia? No, grazie: facciamo da soli già da un anno”

Parla Marco Bertotto, responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere: “Non accettiamo fondi da chi crea il problema: è controsenso”

“Primo: noi non accettiamo fondi dai governi europei da un anno, in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Secondo: capiamo la sensibilità del ministero degli Esteri, che pensa alle ong per gestire i campi in Libia, ma lì operiamo già autonomamente. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso”.

Tradotto: è no, grazie facciamo da soli, come sempre. Marco Bertotto è il responsabile Advocacy di Medici Senza Frontiere e in questa intervista ci spiega perché Msf respinge la proposta del sottosegretario Mario Giro di affidare alle ong la gestione dei campi profughi in Libia.

Nell’articolo de La Stampa sulla proposta di Giro, si parla di bandi per la gestione dei campi, dopo che Msf ha denunciato all’Unione Europea le condizioni terribili di detenzione dei migranti trattenuti in Libia. E’ una buona idea?
Credo non si possa parlare di bandi, perché in Libia nessuno sarebbe in grado di gestire né bandi, né campi. In una riunione alla Farnesina ci è stata prospettata la disponibilità di fondi per le ong interessate a operare nei centri di detenzione in Libia. E su questo devo fare una premessa.

Prego.
Msf non è parte di questo percorso. Perché dal 2016 noi non accettiamo fondi da alcun governo europeo o dall’Unione Europea in polemica con le politiche di contenimento dell’immigrazione adottate dall’Ue. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso.

Suona come un no secco: anche Gentiloni ieri da Praga ha parlato di una possibile cooperazione con le ong per migliorare le condizioni dei centri dove sono trattenuti i profughi che arrivano in Libia dall’Africa.
Allora: da un lato è importante che ci sia questa sensibilità da parte del ministero degli Esteri che vuole spingere le organizzazioni italiane a contribuire al miglioramento della situazione nei campi in Libia. Ma noi stiamo già lavorando lì con la nostra presenza nei centri di trattenimento dei profughi e con fondi nostri.

E continuerete a farlo?
Certamente, senza fondi pubblici, viviamo di donazioni. Aggiungo che il tema sta nell’ordine delle cose.

Cioè?
C’è il rischio che questa idea di dare alle ong la gestione dei centri in Libia appaia come una strumentalizzazione dell’azione umanitaria e del lavoro delle ong da parte di un governo che ha contribuito a creare una condizione di intrappolamento delle persone in Libia. Mi sembra insomma una risposta tardiva rispetto allo sforzo che è stato fatto di chiudere le porte. Da un lato, capiamo il senso di urgenza di Giro, che è sempre stato perplesso rispetto alla gestione della crisi migratoria…

Si riferisce alla gestione del Viminale? Evidente che fate la differenza tra il sottosegretario Giro e il ministro Minniti…
La polemica è stata pubblica anche nel governo sul codice di condotta per le ong e ha coinvolto anche il ministro Delrio, che ha preso le distanze. Noi guardiamo da osservatori, non vogliamo fare polemiche. Ci sembra importante che ci siano più organizzazioni non governative a lavorare in Libia, ma la speranza è che il governo italiano usi la sua influenza sulle autorità libiche non solo per migliorare i centri di detenzione, ma per il loro superamento.

Su questo la vostra denuncia è chiara.
A prescindere dalle nostre attività in loco, in Libia c’è un sistema di detenzione arbitraria che coinvolge migranti e rifugiati ed è scandaloso: non basta chiuderli e spostarli dove c’è più aria. La detenzione arbitraria va superata, la speranza è che l’Italia si faccia sentire sulle autorità libiche. Fermo restando che finora la politica italiana ed europea è stata complice di questa situazione: prima abbiamo chiuso le rotte e poi ci chiediamo come stanno.

Avete soccorso gente in mare, fornendo anche un aiuto alla Guardia costiera, fino a quando è nata la polemica politica di campagna elettorale. Ora vi chiedono di gestire i campi in Libia. Magari fino alla prossima polemica? Vede questo rischio?
Non nascondo un po’ di stupore nel vedere che le autorità che ieri criticavano le ong, anche se non è il caso di Giro nello specifico, e dicevano che le ong erano il problema, ora dicono che sono la soluzione. Le ong sono autonome e indipendenti e operano su principi umanitari. Proprio per questo pensiamo che non potremmo mai lavorare in Libia con fondi italiani o europei. C’è un atteggiamento schizofrenico verso le ong: a seconda del vento politico, vengono considerate il problema o la soluzione. Questo nasconde il fallimento della politica e dei governi: ieri dovevano salvare in mare e dunque il nostro intervento è stato benvenuto. Oggi non riescono ad affrontare la situazione in Libia con la diplomazia e l’azione politica e scaricano su di noi. Noi operiamo a prescindere da loro. Siamo in Libia da un anno e ora ci arriva l’Europa: continueremo senza curarci di quello che pensano le autorità e continuando a puntare il dito sulla responsabilità dei governi.

Gentiloni dice che non si può separare l’attenzione ai diritti umani dalle politiche di contenimento dei flussi. Che ne pensa?
Lui rivendica che il governo ha pensato a entrambi contemporaneamente, ma dal nostro punto di vista l’ordine logico doveva essere diverso. I tempi oggi non sono sicuramente tempi brevi per migliorare le condizioni in Libia. Per quanto abbiano chiesto la mobilitazione dell’Unhcr e dell’Oim, oggi anche se aumentassimo le risorse non avremmo garanzia di poter ottenere condizioni accettabili per i migranti in Libia.

Però certamente prima di un anno fa non era possibile mettere piede in Libia. Il fatto che siete presenti lì è anche frutto delle diplomazie internazionali che hanno dato vita al governo al Serraj e stanno muovendo passi per la stabilizzazione del paese. O no?
Capiamo che i tempi della stabilizzazione sono medio-lunghi ma l’efficienza e la velocità con cui si è cercato di sigillare la rotta nel Mediterraneo centrale confligge con questo argomento. Non contestiamo che la situazione sia complessa, contestiamo il fatto che siano state respinte delle persone senza curarsi di dove andavano a stare e in quali condizioni. Insomma: per togliere le persone dalla pioggia, le abbiamo messe al coperto, ma la casa è incendiata. Forse andava spento l’incendio prima, altrimenti non le salvi. Ecco la Libia è esattamente questo. È una questione di politiche e di priorità.

Avete una stima di quanti centri di detenzione ci siano in Libia?
Difficile farla. I dati parlano di una 40ina di centri sotto il dipartimento libico per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Ma nessuno sa quanti centri siano gestiti dalle milizie, magari al confine sud del paese. Noi siamo a Tripoli e Misuraca da circa un anno. Da gennaio scorso ad oggi abbiamo operato in circa 16 centri di detenzione, attualmente svolgiamo interventi con team medici in condizioni molto, molto difficili.

 

fonte: http://www.huffingtonpost.it/2017/09/08/msf-al-governo-bandi-per-gestire-i-campi-profughi-in-libia-no-grazie-facciamo-da-soli-gia-da-un-anno_a_23201787/?utm_hp_ref=it-homepage

Le donne in pensione a 66 anni e 7 mesi (valore più alto in Ue): lo ha deciso chi può andare in pensione con 4 anni, 6 mesi e 1 giorno di contributi (valore più basso in Ue)…!!!

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Le donne in pensione a 66 anni e 7 mesi (valore più alto in Ue): lo ha deciso chi può andare in pensione con 4 anni, 6 mesi e 1 giorno di contributi (valore più basso in Ue)…!!!

 

Pensione 2018 donne a 66 anni e 7 mesi: lo decide chi può andare in pensione con 4 anni, 6 mesi e 1 giorno di contributi

Chi stabilisce che l’età pensionabile degli italiani deve aumentare è immune dagli aumenti.

Dal primo gennaio 2018 le donne lavoratrici del settore privato potranno accedere alla pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi di età unitamente ad almeno 20 anni di contributi. Il nuovo aumento dell’età pensionabile porta ad un’unificazione dell’accesso alla pensione di donne del settore pubblico, privato e uomini così come previsto dalla riforma Fornero che ha tolto, pian piano, alle donne lavoratrici i vantaggi di cui godevano per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Età pensionabile in aumento ma non per tutti

Si tratta dell’età pensionabile per accedere alla pensione di vecchiaia più alta d’Europa con la previsione di ulteriori aumenti nel 2019 per l’adeguamento alla speranza di vita. Anche se i sindacati insistono chiedendo di rinunciare all’aumento del 2019, l’esecutivo continua a parlare di disponibilità economiche limitate a causa del progetto di ridurre l’accesso alla pensione anticipata con l’Ape Sociale con 28 anni di contributi per le donne, invece di 30.

Quello che è da tenere presente è che le donne sono la categoria più penalizzata per l’accesso alla pensione a causa delle carriere discontinue dovute a maternità e cura familiare.

Intanto che l’età pensionabile delle donne aumenta, mentre si parla dell’aumento ulteriore previsto per il 2019, ci sono categorie di lavoratori che non sono toccati da queste normative e da queste leggi. Si tratta di coloro che le leggi le studiano e le approvano. I parlamentari, coloro che votano le leggi che stabiliscono a che età possono andare in pensione i cittadini,  possono andare in pensione a 65 anni, con soli 5 anni di mandato (e quindi di contributi versati) che si riduce a 4 anni 6 mesi e 1 giorno. L’età pensionabile dei parlamentari, tra l’altro, con due mandati si riduce a 60 anni. Per i parlamentari, inoltre, non è previsto l’adeguamento alla speranza di vita che porta all’aumento dell’età pensionabile.

Pensioni lavoratori ordinari: l’ingiustizia di chi legifera

I comuni cittadini, per accedere alla pensione con 5 anni di contributi devono aspettare di compiere 70 anni e 7 mesi mentre i parlamentari possono permettersi di accedere alla pensione di vecchiaia con 5 anni di anticipo rispetto ai lavoratori ordinari, anni di differenza che diventano 10 in presenza di 2 mandati parlamentari senza soffermarci sulle iniquità degli importi di tali pensioni rispetto a quelle dei lavoratori ordinari. Si parla di molti soldi per soli 5 anni di contributi mentre i lavoratori ordinari devono sudare la propria pensione accumulando anno dopo anni i contributi versati. Il problema non scaturisce dal sistema di calcolo delle pensioni ma dalle indennità percepite dai parlamentari nel corso dei mandati. Per contenere i costi e permettere all’esecutivo di avere le disponibilità economiche mancanti forse sarebbe il caso di rivedere proprio le indennità percepite dai parlamentari: riducendosi le indennità si riduco, di conseguenza, anche i contributi versati e, quindi, i vitalizi percepiti che sarebbero ridotti.

Forse, ma è soltanto il pensiero di chi vede nel sistema una grossa ingiustizia, i parlamentari dovrebbero legiferare sulla pensione degli altri lavoratori mettendosi allo stesso livello: percependo gli stessi stipendi, le stesse pensioni e lavorando gli stessi anni e solo a quel punto potrebbero sapere di cosa si sta parlando e di quale ingiustizia comporti il continuo aumento dell’età pensionabile a fronte di pensioni sempre meno dignitose.

Questo articolo vuole essere il nostro contributo nel dar voce alle numerose polemiche che ci sono giunte al riguardo dai nostri lettori indignati.

tratto da: https://www.investireoggi.it/fisco/pensione-2018-donne-66-anni-7-mesi-lo-decide-puo-andare-pensione-4-anni-6-mesi-1-giorno-contributi/?refresh_ce

Un altro grande successo del Governo Renzi: le sue leggi azzerano il processo “Rapido 904” contro Riina…!!

 

Riina

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Un altro grande successo del Governo Renzi: le sue leggi azzerano il processo “Rapido 904” contro Riina…!!

Giudice in pensione e riforma del codice, da rifare l’ Appello contro Riina (malato)

Tutto da rifare. Il processo d’ appello per la strage del rapido 904 deve ricominciare. Almeno la parte che vede come unico imputato Totò Riina. Il risultato: la verità sul ruolo del capo di Cosa Nostra rischia di non arrivare mai. Dopo 33 anni lo Stato sta per alzare bandiera bianca: rinvio a data da destinarsi.

“Siamo presi in una tenaglia tra la nuova legge Orlando e il pensionamento del presidente della Corte d’ Assise d’ appello di Firenze”, sospira l’ avvocato Danilo Ammannato che rappresenta le famiglie delle vittime. A luglio è arrivata la riforma della giustizia, scrive il Fatto. Come hanno spiegato i familiari dell’ Associazione delle vittime di via dei Georgofili, altra strage di mafia: “Le modifiche apportate all’ articolo 603 del codice di procedura penale impongono al giudice, nel caso di appello del pm contro una sentenza di proscioglimento, la riapertura completa dell’ istruttoria. Quando avremo la verità sulle stragi degli anni 90 se anche i ministri della Giustizia remano contro?”. Sarà necessario risentire tutti i testimoni: “Parliamo di una dozzina di testi per i quali in primo grado erano occorse sedici udienze”, spiega Ammannato. Finora in appello sarebbe bastato produrre gli atti delle testimonianze raccolte in primo grado. I parenti delle vittime puntano il dito contro la riforma.

 

tratto da IL FATTO QUOTIDIANO

Intercettazioni: “Pd come Berlusconi, si accanisce con chi indaga e non colpisce i corrotti”…!

Intercettazioni

 

 

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Intercettazioni: “Pd come Berlusconi, si accanisce con chi indaga e non colpisce i corrotti”…!

 

Intercettazioni, M5s: “Pd come Berlusconi, si accanisce con chi indaga e non colpisce i corrotti”. Il silenzio dei dem

Il Movimento 5 stelle sulle anticipazioni al decreto sulle intercettazioni che vieta ai pm i virgolettati e limita l’uso dei virus spia: “Renzi vuole portare a casa una norma che impedirebbe ai magistrati di perseguire i corrotti. Ci aveva provato, a suo tempo, Silvio Berlusconi”. Di Pietro contrario all’uso dei riassunti: “Controproducente e sbagliato”. Dal Pd nessuna reazione

Il Partito democratico in “affinità e continuità con i precedenti governi Berlusconi” sta preparando “un decreto-bavaglio” sulle intercettazioni. Per il Movimento 5 stelle “anziché andare a colpire corrotti e corruttori, il decreto messo a punto dal Pd e dal ministro Andrea Orlando rappresenta un vero e proprio accanimento nei confronti di coloro che ogni giorno cercano di combattere la corruzione e il malaffare”. Sono le parole di Enrico Cappelletti, capogruppo M5s al Senato, che commenta le anticipazioni sulla bozza del ddl intercettazioni. Sette pagine inviate dal ministro Orlando ai procuratori italiani, in cui viene vietata la pubblicazione integrale di telefonate e ambientali e viene limitato l’uso dei trojan, i captatori informatici che permettono di ‘entrare’ nei cellulari. Sette pagine che il Pd evita di commentare, almeno per il momento, e che non piacciono anche all’ex pm di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, che ha definito quanto emerso “controproducente e sbagliato”.

Renzi vuole portare a casa una norma che impedirebbe di fatto ai magistrati di fare il proprio mestiere nel perseguire i corrotti e di avere un importante strumento per condannare coloro che si macchiano di gravi reati”, si legge in una nota del gruppo M5S alla Camera. “Ci aveva provato, a suo tempo, Silvio Berlusconi, per salvarsi dai processi, ed ora – rimarcano – ci prova l’avatar di Renzi, il governo Gentiloni“. Questa norma salverebbe gente come “Buzzi, Carminati, chi rideva del terremoto a L’Aquila e i cosiddetti ‘furbetti del quartierino’”, sottolineano i pentastellati, ma cancellerebbe anche con “un colpo di spugna” l’inchiesta Consip, “per salvare Tiziano RenziLuca Lotti e il cerchio magico”, conclude il gruppo M5s a Montecitorio.

“Le indiscrezioni riportate da Repubblica confermano i timori manifestati dal M5s sin dalla discussione della delega sul processo penale”, dichiara invece Cappelletti.  “Queste limitazioni – insiste il senatore – appaiono assurde e pericolose, se si considera che in un Paese come il nostro la corruzione rappresenta un fenomeno ormai incontrollabile“. “Il decreto mette definitivamente fine alla pubblicazione delle intercettazioni anche laddove queste ultime coinvolgono personaggi di rilevanza pubblica o politici che potranno apparire agli occhi dei cittadini immacolati – sottolinea ancora Cappelletti – anche quando sono coinvolti in inchieste giudiziarie di mazzette e appalti“. “Un comportamento decisamente vergognoso ed irresponsabile che rende di tutta evidenza affinità e continuità con i precedenti governi Berlusconi”, conclude il senatore M5s.

Contro il divieto di riproduzione integrale nelle richieste dei pm di comunicazioni e conversazioni intercettate, sostituite da un riassunto del contenuto, si schiera invece Di Pietro. Secondo l’ex pm di Mani Pulite, “una cosa è la pubblicazione extragiudiziaria, altra la motivazione contenuta nel provvedimento giudiziario che non può essere sintetica. Quindi, non sono d’accordo sulla sintesi giudiziaria, mentre lo sono sui limiti di pubblicazione di intercettazioni che con l’inchiesta non c’entrano”. “Innanzitutto – sottolinea l’ex magistrato – non va limitata per gli uffici inquirenti la possibilità di utilizzare le intercettazioni per accertare chi commette reati: questo strumento è necessario. Quanto ai contenuti, non v’è dubbio che mettendo sotto intercettazione un’utenza telefonica, da lì si ascolta di tutto: ciò che ha rilevanza penale e ciò che potrebbe fare notizia sotto il profilo del gossip“. Ma “i limiti non devono essere posti all’interno del processo: tutte le parti devono poter avere acceso all’integralità“.

L’altro commento politico arriva da Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia nel governo Renzi, ex Ncd e neo-entrato nel gruppo misto “Fare! – Pri – Liberali”, dopo aver lasciato l’incarico da ministro agli Affari regionali. “C’è il metodo e il merito. Quanto al primo, sarebbe interessante capire quali siano i soggetti ‘legittimati’ a conoscere il testo e a formulare osservazioni ed in base a quale logica siano stati individuati”, afferma. “Quanto al merito – aggiunge Costa – mi pare una interessante base di discussione, sulla quale le Commissioni parlamentari potranno esprimersi. L’auspicio è che non intervengano repentini dietrofront“.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/08/intercettazioni-m5s-pd-come-berlusconi-si-accanisce-con-chi-indaga-e-non-colpisce-i-corrotti-il-silenzio-dei-dem/3845059/

Intercettazioni, pronto il bavaglio di governo: solo riassunti. Stretta sui virus spia, COSÌ SI CANCELLA L’INCHIESTA CONSIP

 

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Intercettazioni, pronto il bavaglio di governo: solo riassunti. Stretta sui virus spia, COSÌ SI CANCELLA L’INCHIESTA CONSIP

Il ministro Andrea Orlando ha pronto uno schema di decreto legislativo che esclude la possibilità per i pubblici ministeri di utilizzare il contenuto integrale delle intercettazioni: potrà esserci solo un “richiamo al contenuto”. Stretta anche sull’uso dei trojan, fondamentali nell’inchiesta su Alfredo Romeo e Tiziano Renzi. Se la bozza dovesse passare così com’è stata pensata negli uffici di via Arenula, non sarebbero più utilizzabili per indagare sulla corruzione. Il ministero: “Nessun testo definitivo”

Sette pagine per dare un giro di vite sulla pubblicazione delle intercettazioni, stoppando la possibilità per i magistrati di inserire virgolettati di telefonate e ambientali. “Soltanto il richiamo al loro contenuto”, è scritto nella bozza di decreto che il ministro Andrea Orlando ha inviato ai procuratori italiani. Se la legge fosse esistita in passato, non sarebbero state trascrivibili integralmente da parte dei pubblici ministeri le “risate” di Francesco Piscicelli sul terremoto de L’Aquila né “la teoria del mondo di mezzo” di Massimo Carminati e men che meno “i furbetti del quartierino” di Stefano Ricucci o “l’attentatuni” di Gioacchino La Barbera. “Non esiste alcun testo né definitivo né ufficiale”, si è affrettato a specificare il ministero della Giustizia. Ma i punti sui quali vuole intervenire via Arenula sono chiari. E tra questi ce n’è uno che, combinato con il favor rei, rischia di affossare l’inchiesta Consip, in particolare il filone sul traffico di influenze che coinvolge Tiziano Renzi.

L’uso dei trojan: così muore l’inchiesta Consip – Perché il decreto del Guardasigilli limita l’uso dei trojan, i captatori informatici che permettono di ‘entrare’ nei cellulari. Lo strumento è stato utilizzato dai pm di Napoli per ascoltare in movimento l’imprenditore Alfredo Romeo e risulta fondamentale – per quanto raccolto finora dalla procura partenopea – nell’ipotesi accusatoria a carico del papà del segretario Pd. Stando allo schema del decreto legislativo, anticipato da La Repubblicail virus spia – già messo in dubbio dalla Cassazione – potrà essere utilizzato solo per i reati più gravi, come mafia e terrorismo. Sarebbe invece esclusa la corruzione. E, stando al principio del favor rei, una nuova legge penale, più favorevole all’imputato, ha efficacia retroattiva. Di fatto, quindi, potrebbe incidere su un eventuale processo. Il pm dovrà inoltre motivare le “ragione di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice” e le prove raccolte dai trojan non si potranno utilizzare “per la prova di reati, anche connessi, diversi da quelli per cui è stato emesso il decreto di autorizzazione, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza”.

Riassunti su riassunti: il Riesame come fa? – C’è poi tutto il capitolo legato ai riassunti “imposti” ai pubblici ministeri e giudicanti fino alla fase dibattimentale. Coinvolti sono quindi anche il gip e il tribunale del Riesame. Un problema di non poco conto. “E’ fatto divieto di riproduzione integrale nella richiesta (del pm, ndr) delle comunicazioni e conversazioni intercettate, ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto”, scrive nella bozza il ministero. Come farà, quindi, il giudice per le indagini preliminari che non può appiattirsi – in virtù della riforma sulle misure cautelari dell’aprile 2015 – sulle posizioni del pubblico ministero? E lo stesso vale, a catena, per il tribunale del Riesame che non può replicare quanto espresso dal gip.

Il momento della discovery – Per questo lo schema di decreto prevede un’udienza stralcio – come anticipa sempre La Repubblica – che sarebbe collocata dopo le eventuali misure cautelari o comunque quando vengono chiuse le indagini. In questo momento i difensori avrebbero modo di “esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni”, dicendo quali colloqui ritiene rilevanti e quindi da inserire nel fascicolo processuale.

Il percorso del decreto e i dubbi sull’eccesso di delega – Il ministero – che nella bozza parla anche di intercettazioni non penalmente rilevanti e colloqui tra indagato e avvocato – ha precisato in mattinata che “sta lavorando alla stesura del testo per dare doverosamente seguito nei termini e nei tempi prescritti alla legge delega” del 23 giugno 2017 sulle modifiche al codice penale, sottolineando che il contenuto “terrà conto anche del confronto prezioso e del contributo significativo di esponenti della giurisdizione, dell’avvocatura, della stampa e del mondo accademico che il ministro incontrerà, come già previsto, nei prossimi giorni”. Resta, però, il dubbio su cosa accadrà quando il decreto arriverà al vaglio consultivo delle commissioni Giustiziadi Camera e Senato, prima di approdare in Consiglio dei ministri. E’ davanti ai componenti delle commissioni che potrebbero essere sollevati dubbi sull’eccesso di delega.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/08/intercettazioni-pronto-il-bavaglio-di-governo-solo-riassunti-stretta-sui-virus-spia-cosi-si-cancella-linchiesta-consip/3844339/

“Occhi aperti” sullo Yemen, il gesto di una bimba – scampata ad un bombardamento, che cerca di aprire l’occhio tumefatto per vedere – diventa il simbolo del conflitto

Yemen

 

 

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“Occhi aperti” sullo Yemen, il gesto di una bimba – scampata ad un bombardamento, che cerca di aprire l’occhio tumefatto per vedere – diventa il simbolo del conflitto

Buthaina, 5 anni, era rimasta ferita in un bombardamento che il 25 agosto ha ucciso la sua famiglia. Il suo “occhiolino”, il gesto di tirarsi su la palpebra gonfia per riuscire a vedere, è diventato virale su Twitter con l’hashtag #occhiaperti, riportando l’attenzione sulla guerra civile che da due anni sconvolge il Paese

Un gesto drammatico ma spontaneo, quello di una bambina col viso tumefatto che con la mano si aiuta per sbirciare oltre l’occhio gonfio. Un gesto immortalato da un fotografo e diventato virale su Twitter, replicato da centinaia di utenti. Dal suo letto di ospedale la piccola Buthaina, cinque anni, diventa il simbolo del conflitto in Yemen.

Ricoverata da quasi due settimane, è circondata dagli zii e da nuovi ‘amici’, le tante persone che hanno conosciuto la sua storia attraverso i media. La bambina è l’unica sopravvissuta della sua famiglia a un bombardamento che il 25 agosto ha ucciso almeno 16 civili a Sana’a, capitale dello Yemen. Tra questi, i genitori e 5 tra fratelli e sorelle. Gravi le ferite riportate: avrebbe diverse frattura al cranio, ma i dottori dicono che ce la farà.

Quando i giornali locali sono andati nella sua stanza di ospedale, Buthaina si è aiutata con una mano per tirar su la palpebra, mettendo indice e pollice a “c” intorno all’occhio destro. L’ ‘occhiolino’ è stato fotografato e messo sui social. Centinaia di utenti si sono scattati dei selfie imitando il gesto della bambina, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione drammatica dello Yemen. Dal 2015 è in atto una guerra civile che secondo l’Unhcr, il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, ha causato oltre 13 mila vittime civili, milioni di sfollati e un’epidemia di colera che ha contagiato 600 mila persone.

Ora Buthaina è affidata a una coppia di zii, che dal giorno del bombardamento non si sono mai separati da lei. La bambina ancora non sa cosa sia successo ai genitori e al resto della famiglia. “Non potrò mai sostituire suo padre, ma ora lei per me è una figlia e lo sarà per sempre”, ha detto lo zio ai reporter della Cnn, “spero almeno che la perdita che ha subito la nostra famiglia possa portare alla fine del conflitto che sta sconvolgendo il nostro Paese”.

tratto da: http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/07/news/yemen_buthaina_gesto_mano_bambina_conflitto_guerra-174881067/

Morti di serie A e morti di serie B – Sono tre giorni che i Tg parlano dell’uragano che ha provocato 20 morti in USA. 2 anni di silenzio, invece, per la guerra in Yemen che ha già ucciso 10.000 persone. Ma i primi sono Americani (serie A) i secondi sono solo poveri negri!

 

Yemen

 

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Morti di serie A e morti di serie B – Sono tre giorni che i Tg parlano dell’uragano che ha provocato 20 morti in USA. 2 anni di silenzio, invece, per la guerra in Yemen che ha già ucciso 10.000 persone. Ma i primi sono Americani (serie A) i secondi sono solo poveri negri!

 

(ANSA) – SANAA, 16 GEN – Solo negli ultimi due anni di guerra, nello Yemen il numero di civili morti ha superato, secondo una stima ottimistica, i 10.000: lo fa sapere l’Onu, che quantifica i feriti in circa 40.000. Secondo quanto riferito ai cronisti da Jamie McGoldrick, dell’Ufficio per il Coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite, la stima sui civili morti è basata sulla conta delle vittime raccolte dalle strutture sanitarie del disastrato Paese, e la cifra reale potrebbe essere anche molto più elevata.

Ma i Tg muti.

3 giorni di Tg per i morti Americani

Con tutto il rispetto per tutti i morti, ma…

by Eles

 

Camilleri compie 92 anni – Vogliamo ricordare una sua presa di posizione: “Sono diventato quasi cieco, desidero l’eutanasia, ma al Referendum ci sarò. E voterò NO”

Camilleri

 

 

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Camilleri compie 92 anni – Vogliamo ricordare una sua presa di posizione: “Sono diventato quasi cieco, desidero l’eutanasia, ma al Referendum ci sarò. E voterò NO”

 

Intervista a Andrea Camilleri di Aldo Cazzullo, da il Corriere della Sera, 19 novembre 2016

Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l’ eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c’ è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l’ Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio?

«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale?

«Mi sfugge, ma c’ è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?

«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l’ Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede?

«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

Il padre fascista e Montalbano

«Galantuomo era mio padre Giuseppe, anche se avevamo idee politiche opposte. Lui aveva fatto tutta la Grande guerra nella brigata Sassari. Adorava il suo comandante: Emilio Lussu. Vide morire Filippo Corridoni. Poi divenne fascista e fece la marcia su Roma. Però quando il mio compagno Filippo Pera mi disse che non sarebbe più venuto a scuola perché era ebreo, mio padre si indignò: “È una sciocchezza che il Duce fa per il suo amico Hitler”.

Lealtà, fedeltà alla parola data, ironia, arte di guardare oltre le cose: sotto molti aspetti Montalbano è il ritratto di papà. Fu mia moglie Rosetta a farmelo notare. I padri si innamorano sempre un po’ delle mogli dei figli; e Rosetta a lui ha voluto molto bene».

«Il matrimonio dei miei genitori era stato combinato. Nozze di zolfo, toccate anche a Pirandello: gli zolfatari facevano sposare i loro eredi per concentrare la proprietà, e ritardare il fallimento cui erano condannati. Però il matrimonio dei miei era riuscito. Quando mio padre morì, Turiddu Hamel, il sarto, si inchinò al passaggio della bara. Hamel era l’ antifascista del paese. Mi raccontò che, quando stava morendo di fame perché entrava e usciva dal carcere, papà gli aveva commissionato una divisa nera: “E sia chiaro che non lo faccio per sfregio…”. “To patri sapiva campari” mi disse il vecchio sarto: Giuseppe Camilleri sapeva vivere».

La guerra di casa

«Anche io sono stato fascista. Avevo sedici anni quando il Duce annunciò la guerra: ascoltai il discorso dagli altoparlanti in piazza. Tornai a casa entusiasta, e trovai nonna Elvira e nonna Carolina in lacrime. Tutte e due avevano perso un figlio nelle trincee: “A guerra sempre tinta è”, la guerra è sempre cattiva. Anche mio padre la conosceva. E conosceva gli inglesi».

«Il primo a dirmi che in realtà ero comunista fu il vescovo di Agrigento, Giovanbattista Peruzzo, piemontese di Alessandria. Leggevo le firme delle riviste del Guf, Mario Alicata, Pietro Ingrao, e mi riconoscevo. Ma la vera svolta fu un libro, che mi fece venire la febbre e mi aprì gli occhi: La condizione umana di Malraux».

«Nell’ estate del ’42 andai a Firenze al raduno della gioventù fascista. C’ era il capo della Hitler Jugend, Baldur von Schirach, venuto ad annunciare l’ Europa di domani: un’ enorme caserma, con un unico vangelo, il Mein Kampf. C’ erano ragazzi e ragazze di tutta l’ Europa occupata: Francia, Spagna, Polonia, Ungheria; le ungheresi erano bellissime, facemmo amicizia parlando latino. Sul fondale c’ era un’ enorme bandiera tedesca. Protestai: “Siamo in Italia!”. Così issarono anche un tricolore. Ma Pavolini mi individuò tra la folla, mi chiamò, e mi rifilò un terribile càvucio nei cabasisi: insomma, un calcio nelle palle. Finii in ospedale. Il prefetto, che era amico di mio padre, mi fece trasferire in una clinica privata, nel caso che Pavolini mi avesse cercato».

«Fui richiamato il primo luglio 1943. Mi presentai alla base navale di Augusta e chiesi la divisa. “Quale divisa?”. Mi mandarono a spalare macerie in pantaloncini, maglietta, sandali e fascia con la scritta Crem: Corpo reale equipaggi marittimi. La mia guerra durò nove giorni. Nella notte dell’ 8 luglio il compagno che dormiva nel letto a castello accanto al mio sussurrò: “Stanno sbarcando”. Uscii sotto le bombe, buttai la fascia, tentai l’ autostop: incredibilmente un camion si fermò. Arrivai così a Serradifalco, nella villa con la grande pistacchiera dove erano sfollate le donne di famiglia. Zia Giovannina fece chiudere i cancelli e mettere i catenacci: “Qui la guerra non deve entrare!”. Arrivarono gli americani e abbatterono tutto con i carri armati».

«In testa c’ era un generale su una jeep guidata da un negro. Passando vide una croce, là dove i tedeschi avevano sepolto un camerata fatto a pezzi da una scheggia. Il generale battè con le nocche sull’ elmetto del negro, e la jeep si fermò. Prese la croce, la spezzò, la gettò via. Poi diede altri due colpi sull’ elmetto, e la jeep ripartì. Sfilarono altri sedici uomini. Io ero annichilito dalla paura. L’ ultimo mi sorrise e mi parlò: “Ce l’ hai tanticchia d’ olio, paisà? Agghio cogliuto l’ insalatedda…”. Erano tutti siciliani. Mi sciolsi in un pianto dirotto, e andai a prendere l’ olio per l’ insalata. Poi chiesi chi fosse l’ uomo sulla jeep. Mi risposero: “Chisto è o mejo generale che avemo; ma como omo è fitusu. S’ acchiama Patton”».

I litigi con Sciascia

«Noi comunisti siciliani le elezioni le avevamo vinte. Alle Regionali dell’ aprile 1947 il Blocco del popolo prese 200 mila voti più della Dc.

Il Primo maggio mi ritrovai con gli amici a festeggiare, e mi ubriacai. Arrivò la notizia di Portella della Ginestra: gli agrari avevano fatto sparare sui compagni. Vomitai tutto. Da allora non ho più toccato un goccio di vino».

«Leonardo Sciascia era di un anticomunismo viscerale. Eravamo molto amici, ma abbiamo litigato come pazzi. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb e Cia, disse, erano d’ accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato: era nella direzione del Pci, cos’ altro poteva fare? Leonardo la prese malissimo: “Tutti uguali voiauti comunisti, il partito viene prima della verità e dell’ amicizia!”».

«Un’ altra cosa non mi convinceva di Sciascia. Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica. A teatro gli spettatori applaudivano, quando nel Giorno della civetta don Mariano distingue tra “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà”. Leonardo mi chiedeva: ma perché applaudono? “Perché hai sbagliato” gli rispondevo. Altre volte rendeva la mafia affascinante. “Lei è un uomo” fa dire a don Mariano. Ma la mafia non ti elogia, la mafia ti uccide; per questo di mafia ho scritto pochissimo, perché non voglio darle nobiltà. Eppure a Leonardo ho voluto un bene dell’ anima. Andavo di continuo a rileggere i suoi libri. Per me erano come un elettrauto: mi ricaricavano».

La cecità

«Da quando sono diventato cieco, i pensieri tinti mi visitano più spesso. Cerco di scartarli; però tornano. A volte mi viene la paura del buio, come da bambino. Una paura fisica, irrazionale. Allora mi alzo e a tentoni corro di là, da mia moglie. Per fortuna ho Valentina, cui detto i libri: è l’ unica che sa scrivere nella lingua di Montalbano, anche se è abruzzese.

Fino a poco fa vedevo ancora le ombre. Sono felice di aver fatto in tempo a indovinare il viso della mia pronipote, Matilde. Ora ha tre anni, è cresciuta, mi dicono che è bellissima, ma io non la vedo più. Di notte però riesco a ricostruire le immagini. L’ altra sera mi sono ricordato la Flagellazione di Piero della Francesca. Ho pensato all’ ultima volta che l’ ho vista, a Urbino – aprirono il Castello apposta per me -, e l’ ho rimessa insieme pezzo a pezzo. È stato meraviglioso».

Da temi.repubblica.it

“A me degli immigrati non me ne fo… un ca…” – Gli africani non hanno cultura del lavoro, tant’è vero che vivono nella merda” – … “Non vado neanche in Sicilia e ti pare che vado in Burkina Faso?” …Le farneticanti esternazioni razziste di Vittorio Feltri che (a noi) fanno vergognare di essere Italiani!

Vittorio Feltri

 

 

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“A me degli immigrati non me ne fo… un ca…” – Gli africani non hanno cultura del lavoro, tant’è vero che vivono nella merda” – … “Non vado neanche in Sicilia e ti pare che vado in Burkina Faso?” …Le farneticanti esternazioni razziste di Vittorio Feltri che (a noi) fanno vergognare di essere Italiani!

 

Da Libero:

Vittorio Feltri a La Zanzara: “A me degli immigrati non me ne fo… un ca…”

Un Vittorio Feltri scatenato, quello che ha risposto ai microfoni de La Zanzara su Radio24. Tema: la malaria. Sottotema: il titolo per cui Libero è stato crocefisso. “Dopo la miseria gli immigrati portano pure le malattie”. Che il direttore difende a spada tratta: “Noi di Libero non siamo impazziti e non facciamo dei titoli inventati e campati per aria. Gli immigrati portano la miseria, è un dato di fatto. E portano anche le malattie, visto che anche i casi di tbc sono raddoppiati negli ultimi sei mesi. Questa immigrazione incontrollata e massiccia porta malattie che erano state sconfitte definitivamente: non solo la malaria, ma anche la tbc”.

Poi attacca David Parenzo: “Parenzo parla di immigrati ma non li ha mai visti. Come non li ho mai visti io. Qualche volta li ho visti per strada ma in macchina, la mia bella berlina, quindi a me degli immigrati non me ne fotte un cazzo. Io non ce l’ho con gli immigrati – dice ancora – ma se dopo il flusso migratorio raddoppia la tbc non posso attribuire la responsabilità agli svizzeri, austriaci o tirolesi”.

E ancora: “L’80% dei malati di malaria sono stranieri, ma chi è quel coglione che va nel Burkina Faso?! Qui arrivano 3000 africani al giorno e portano di tutto. Anche le piattole. La scabbia chi la porta, gli svizzeri? Gli africani sono persone che hanno dimostrato di non avere una gran cultura del lavoro, tant’è vero che vivono nella merda”.

Al che dallo studio gli fanno l’inevitabile domanda: “Ma sei mai stato in Africa?”. E lui: “Me ne guardo bene. Io non vado neanche in Sicilia e ti pare che vado in Burkina Faso?”.

Fonte Libero (http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/13231362/vittorio-feltri-allarme-malaria-zanzara-radio24-immigrati-smaschera-david-parenzo.html)

Tra tutte le puttanate che ha vomitato questo qui, la più bella è quella sulla Sicilia… Uno schifo. Spero che gli amici Siciliani abbiano inteso. E che se ne ricordino quando vanno in edicola per comprare un quotidiano…

Kim Jong-un un pazzo? Ma ne siete proprio sicuri? Avete mai pensato che l’atomica gli serve per non fare la fine di Gheddafi…?

 

Kim Jong-un

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Kim Jong-un un pazzo? Ma ne siete proprio sicuri? Avete mai pensato che l’atomica gli serve per non fare la fine di Gheddafi…?

Il dittatore nord coreano Kim Jong Un non è un pazzo come ci farebbe comodo credere. Allora, perché un Paese così piccolo, così lontano dalle rotte e dai luoghi più strategici del mondo dovrebbe ambire a dotarsi di una bomba atomica? Chi lo minaccia?

A un comune cittadino europeo (o americano) sembra veramente una cosa senza senso che la Corea del Nord abbia fatto esplodere la quinta bomba atomica in 10 anni con l’ultima di esse addirittura tanto potente da assomigliare a quella di Hiroshima.

Il primo esperimento fu realizzato nel 2006, un secondo e un terzo rispettivamente nel 2009 e nel 2013. Quest’anno il primo scoppio si ebbe a gennaio e causò un terremoto di 5.1 gradi nella scala Richter. I coreani dichiararono si trattava di una bomba all’idrogeno ma gli osservatori internazionali, calcolate le conseguenze, ne dubitarono. Non c’è invece dubbio sulla forza di quella attuale che ha sviluppato un terremoto di 5.3 gradi.

Un comunicato ufficiale del governo nord coreano afferma di essere, ora, in grado di produrre “a volontà” quante testate nucleari voglia, anche di “più piccole, più leggere e diversificate” e di possedere la tecnologia per produrre e usare diversi materiali fissili. Lo stesso comunicato aggiunge: “(Questo) test è una dimostrazione della più determinata volontà del Partito dei Lavoratori di Corea e del popolo coreano di tenersi sempre pronti a rispondere contro i nemici se fanno provocazioni, poiché’ fa parte delle contromisure reali al racket di minacce e sanzioni contro la Corea scatenate da forze ostili a guida americana…mentre negano categoricamente la posizione strategica della Repubblica Popolare di Corea come potenza nucleare armata…. La RPDC prenderà ulteriori misure per incrementare la forza nucleare dello Stato in qualità e quantità per salvaguardare la propria dignità, il diritto all’esistenza e una pace genuina contro le minacce americane di una guerra nucleare”.

Con questo comunicato si capisce quale sia stato l’obiettivo che ha spinto PyongYang a condurre i due ultimi test: la volontà di essere accettata tra le potenze nucleari mondiali.

Fino a pochi anni fa, la strada verso la bomba era rimasta solo uno strumento negoziale per ottenere rassicurazioni che il regime non sarebbe stato oggetto di attacchi nemici. Ciò che la famiglia Kim temeva, in realtà, non era la perdita di indipendenza del Paese, quanto la fine del suo dominio sul Paese a causa di nemici esterni.

Essere stati inseriti nella lista degli “Stati canaglia” da parte dell’amministrazione americana non fu certo rassicurante e, per un certo periodo di tempo, i Kim nonno e padre dell’attuale dittatore, cercarono di scambiare la minaccia di sviluppare armi atomiche con un riconoscimento ufficiale da parte delle potenze mondiali. Ciò sarebbe stato convalidato dall’arrivo di aiuti energetici ed economici dagli USA e dalla firma di quel Trattato di Pace che ancora si aspetta dopo la fine della guerra degli anni cinquanta (attualmente esiste solo un semplice armistizio e nessun Trattato formale). Nonostante apparenti passi avanti in quella direzione, con l’aggiunta di promesse americane per materiale energetico in alternativa a quello derivabile dal nucleare, nulla accadde e i negoziati a sei (oltre alla Corea del Nord e agli USA, vi partecipavano anche Corea del Sud, Cina, Giappone e Russia) furono interrotti e ripresi più volte.

Nel 2011 però successe qualcosa che convinse i coreani a cambiare strategia. Anche la Libia era stata definita, fin dalla Presidenza Reagan nel 1980, uno “Stato canaglia” e, in seguito, Bush figlio aggiunse l’Iraq, l’Iran e la Corea del Nord. Dell’Iraq sappiamo come finì e dell’Iran vedremo, ma della Libia va ricordato che nel 2003, proprio per non correre il rischio di finire come Saddam Hussein, Gheddafi dichiarò di rinunciare totalmente a ogni programma nucleare dimostrando di essere disposto a ogni collaborazione con l’Occidente. Evidentemente non bastò perché’, nonostante avesse smesso di rappresentare un pericolo per il mondo da diversi anni, l’Europa e gli Usa non gli furono riconoscenti e nel 2011 fu, comunque, destituito e ucciso. Se avesse sviluppato una difesa nucleare, pensano a Pyongyang, nessuno avrebbe avuto il coraggio di attaccarlo. Kim Jong Un non vuole fare la stessa fine e ha abbandonato la tattica di negoziare l’uscita dai programmi nucleari puntando, al contrario, ad andare fino in fondo. Da lì i test e la loro voluta pubblicizzazione sottolineando la possibilità di ritorsione immediata in caso di attacco: il regime dichiara, infatti, di essere in grado di lanciare testate atomiche tramite missili balistici anche sul territorio degli Stati Uniti. Anche se tale capacità è considerata dubbia dagli esperti, si ritiene, invece, che missili nord coreani possano arrivare facilmente sia in Corea del Sud che in Giappone. Che poi questi possano essere dotati o meno di testate nucleari è un’incognita che nessuno vorrebbe verificare.

Le reazioni del mondo intero sono state di condanna e perfino il maggior alleato dei Coreani, la Cina, ha fortemente criticato l’esperimento. In realtà, Pechino è in grande imbarazzo: l’atteggiamento aggressivo di Pyongyang ha già dato agli americani la giustificazione per nuove manovre militari congiunte con la Corea del Sud e il test nucleare del gennaio scorso li aveva spinti a dare ulteriori garanzie ai propri alleati nella zona inviando nella penisola bombardieri B-52 a lungo raggio, capaci, potenzialmente, di portare testate atomiche. In più, gli ultimi tre missili “test” lanciati verso fine luglio in direzione del Giappone avevano spinto Washington a promettere anche l’installazione, entro il 2017, del sistema di difesa antimissile THAAD. Tale spiegamento di forze ai propri confini non fa certo piacere a Pechino che ha già protestato denunciando che il THAAD serva piuttosto per spiare la Cina stessa.

La recente esplosione nucleare nord coreana porta acqua a chi reclama la necessità di nuovi strumenti di difesa in zona e diventa sempre più difficile giudicarli una pura e inutile provocazione. Non si può nemmeno escludere che il pericolo atomico possa spingere Giappone e Corea a ripensare tutto il proprio sistema di difesa chiedendo, anch’essi, di potersi dotare di uguali armamenti a titolo di deterrenza. La rabbia cinese contro Kim è quindi sincera ma, nonostante le dichiarazioni altisonanti, è difficile immaginare una reazione che arrivi a sanzioni molto più pesanti di quelle già in vigore.

Se la Cina, che rappresenta il punto di arrivo o di passaggio di più dell’80 per cento degli scambi nord coreani, lo volesse veramente, il regime sarebbe messo in ginocchio in poche settimane. Tuttavia, ciò significherebbe il crollo del Paese, un flusso incontenibile di profughi affamati e un fattore di locale instabilità di cui potrebbero approfittare Seul e Washington. L’unica vera alternativa per i cinesi sarebbe il favorire un colpo di stato interno che porti al potere uomini più controllabili da Pechino. Si eviterebbe così un vuoto di potere impedendo contemporaneamente ai coreani del Sud di entrare al Nord in nome dell’unificazione della penisola.

Anche Kim Jong Un sa che questa sarebbe qualcosa a cui i cinesi stanno pensando ed è per scongiurare questa ipotesi che, da mesi, sta attuando purghe di stampo staliniano tra i notabili del Partito più sospetti di un’intesa con Pechino che non passi attraverso di lui. Chi può, tra i notabili, fugge all’estero e un recente esempio sono l’Ambasciatore nord coreano a Londra che vi ha chiesto asilo politico e il tesoriere personale di Kim che è fuggito a Seul.

Per l’Occidente poche sono le scelte: insistere con le sanzioni è una mossa obbligata ma senza la totale partecipazione della Cina servirà a poco. L’alternativa è di prendere ufficialmente atto che la Corea del Nord è oramai uno Stato nucleare, esattamente come si era fatto con l’India e il Pakistan (e Israele?). Anche questi Stati avevano trasgredito agli accordi di non proliferazione ma nulla di concreto fu fatto contro di loro. Probabilmente a quella stessa condizione punta Kim Jong Un che, come volevasi dimostrare, è sì un sanguinario dittatore, ma per nulla pazzo.

Fonte sputniknews