Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani – Una coppa sporca del sangue dei bambini dello Yemen…!

 

Arabia Saudita

 

 

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Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani – Una coppa sporca del sangue dei  bambini dello Yemen…!

 

Dietro la Supercoppa. Gli interessi italiani in Arabia Saudita tra armi, calcio e diritti umani

Con il Paese l’Italia ha rapporti di vecchia data. In Sardegna la fabbrica che produce le bombe usate nei raid aerei sullo Yemen

Di Nicoletta Dentico*

Di Nicoletta Dentico*
Ordigni prodotti in Sardegna dalla Rwm Italia, del gruppo Rheinmetall Defence. Produce, tra le altre, le bombe che l’Arabia Saudita utilizza nei raid aerei sullo Yemen

Questa è una storia di bombe prodotte in Italia, bombe spacciate con l’inganno del diritto al lavoro.

Questa è una storia esplosiva della peggiore politica, quella che pur di fare affari non guarda in faccia nessuno, nemmeno le leggi.

Questa infine è la storia di una banca che mette in campo il proprio posizionamento sul concetto di “gestione della casa”, che poi è il vero significato della parola economia.

La guerra in Yemen e il giornalista saudita ucciso

C’è un conflitto implacabile che da quattro anni sconquassa lo Yemen. Una guerra rimasta perlopiù nell’ombra degli interessi geopolitici che l’hanno prodotta e giustificata, salvo sortire poi dal lungo silenziograzie alla vicenda di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita fatto a pezzi il 2 ottobre 2018 nella sede del consolato del suo Paese, a Istanbul, dove si era recato per formalizzare un procedura di divorzio. Il corpo smembrato del noto editorialista del Washington Post è metafora e specchio dello smembramento sociale ed economico dello Yemen sotto le bombe: vite parallele di uomini e Paesi che non si possono ignorare.

Quei resti umani del saudita, ancora introvabili, rimandano agli squarci dei bombardamenti e alle viscere rivoltate dell’intera società yemenita sotto scacco per via del colera, un’epidemia come non se ne vedevano da secoli.

Sulla soglia di una carestia senza precedenti: le proiezioni dell’ONU parlano di malnutrizione acuta, la versione più estrema della fame, per 400.000 bambini. Per Save the Children circa 85.000 i bambini sotto i cinque anni potrebbero essere morti per fame o malattie gravi dall’inizio dell’escalation del conflitto in Yemen.

Una popolazione allo stremo, insomma, ancora largamente inaccessibile, se non per le poche coraggiose presenze di uomini e donne alle prese con la crisi umanitaria. La più grave, ci rammentano i rapporti delle agenzie internazionali, e le narrazioni giornalistiche di chi ha deciso di non voltare lo sguardo.

Gli intrecci dietro il principe saudita

Poi c’è la corona regnante in Arabia Saudita, regista e mano del duplice scempio. C’è lo strano caso di Mohammed bin Salman bin Abdulaziz al Saud, in breve MbS, rampollo e promessa della modernizzazione della monarchia, che ha saputo gabbare la comunità internazionale con poche abili mosse di sostanziosi affari militari e roboanti operazioni di maquillage sui diritti (le donne saudite al volante).


Io principe saudita Mohammed bin Salman

Con il piglio scanzonato che la gioventù impone, Mohammed bin Salman ha ritenuto ammissibile nel 2015 porsi alla testa di una coalizione militare di paesi sunniti (Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar) contro le forze antigovernative shiite degli Houti in Yemen, per attizzare di fatto un nuovo conflitto internazionale contro l’Iran.

Con altrettanto piglio ha poi ritenuto possibile orchestrare, con un team di 15 collaboratori – tanti ne ha contati la CIA – un’imboscata per azzittire definitivamente la voce non proprio accondiscendente del giornalista Khashoggi. Il principe ha esagerato, mettendo la comunità internazionale in imbarazzato subbuglio. Ma non demorde: il processo appena avviato in Arabia Saudita sulla morte di Khashoggi, a porte chiuse e senza citare i nomi dei sospettati, è un “un travestimento della giustizia”, commenta a ragione il Washington Post. Gli intrecci economici che legano il mondo intero all’Arabia Saudita, in barba alle ben note violazioni dei diritti umani (delle donne e non solo), sono di immensa portata e nessuno vuole veramente rompere con Riyadh. Le acrobazie narrative per scagionare il principe saudita non sono solo quelle di Donald Trump, anche se il presidente Usa è sempre più alle strette: lo scorso dicembre, il Senato americano uscente ha approvato all’unanimità una risoluzione che punta alla responsabilità di MBS e invoca un’indagine urgente dell’amministrazione, per accertarla.

L’amicizia dell’Italia

Di mezzo c’è anche l’Italia. Partner indiscusso dei sauditi. Alleato senza inquietudini. Le nostre relazioni spaziano dalle armi prodotte in Sardegna su procura di aziende tedesche, agli accordi per disputare là finali di calcio made in Italy.

La Supercoppa Juventus-Milan è stata trasmessa in diretta il 16 gennaio da Rai 1: “Una partita che si gioca per un solo dio, il dio denaro, alla faccia dei molti giornalisti scrittori, pacifisti e blogger che marciscono a centinaia nelle carceri saudite”, ha chiosato il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Giuseppe Giulietti.

La strategia italiana illustrata sul sito del Consolato del resto non lascia equivoci:

“L’Italia è uno dei migliori partner commerciali dell’Arabia Saudita in Europa, al primo posto negli ultimi anni. Nel 2014, le esportazioni italiane verso il Regno hanno raggiunto più di 18 miliardi di Reali Sauditi ed includono principalmente macchinari industriali, prodotti raffinati e apparecchiature elettriche. Il nostro obiettivo comune è quello di raggiungere cifre ancora più grandi ed una maggiore diversificazione”.

In Sardegna c’è chi dice “no”

Chi mette alle strette il mondo politico italiano è un piccolo inflessibile nucleo di uomini e donne della Sardegna, il Comitato per la Riconversione della RWM Italia (dal nome dell’azienda che produce a Domusnovas le bombe esportate in Arabia Saudita e lanciate in Yemen) di cui fa parte anche Fondazione Finanza Etica, che da oltre due anni non cede di un passo, incalza battendo il tempo e creando un’onda di mobilitazione che nessuno può fermare, con risultati importanti. Un’esperienza politica che dal Sulcis Iglesiente ha lambito le pagine della stampa internazionale, e comincia finalmente a intaccare l’indifferenza del governo, se dobbiamo prendere per buone le parole pronunciate da Giuseppe Conte alla conferenza stampa di fine anno: “Non siamo favorevoli alla vendita di queste armi e quindi ora si tratta solo di formalizzare questa posizione e agire di conseguenza”.

Infine c’è una legge che regolamenta in Italia il commercio dei sistemi d’arma secondo principi che hanno fatto scuola nel mondo, e che ora qualche parlamentare vorrebbe modificare nel corso della nuova legislatura, paradossalmente, per “migliorarne l’attuazione”. Una strada scellerata e inutile, se si vuole mettere mano alla crisi dello Yemen. Quella norma è un bastione che ha permesso alla società civile di impugnare le scelte dei molti governi incuranti delle clausole che impediscono all’Italia di esportare armi a chi viola i diritti umani ed è coinvolto in conflitti. Lo Yemen non può diventare un pretesto. La legge 185/90 va piuttosto attuata seriamente, casomai intervenendo sui decreti attuativi, in modo da restringere le maglie e ripristinare la trasparenza che abbiamo conosciuto ai tempi della Prima Repubblica. Su questo Banca Etica – la cui storia ed esistenza è molto legata alla legge 185/90 – non ha dubbi.

Se è servita la morte di Jamal Khashoggi perché il mondo squarciasse il velo del cinismo saudita fino a puntare lo sguardo sulla guerra in Yemen, l’Italia deve fare la sua parte e sospendere immediatamente le esportazioni all’Arabia Saudita, ripristinando subito la più rigorosa applicazione della legge in materia, anche laddove prevede la attivazione e il finanziamento di un fondo per la riconversione dell’industria militare.

È giunto il tempo di una discussione pubblica seria sull’impatto del complesso militare-industriale italiano sulla instabilità geopolitica (in particolare in Medio Oriente) e nella definizione della politica estera e di sicurezza dell’Italia. Per non parlare solo di immigrazione

* Consigliera di amministrazione di Banca Etica e vicepresidente della Fondazione Finanza Etica

Fonte: https://valori.it/dietro-la-supercoppa-gli-interessi-italiani-in-arabia-saudita-tra-armi-calcio-e-diritti-umani/

 

“Occhi aperti” sullo Yemen, il gesto di una bimba – scampata ad un bombardamento, che cerca di aprire l’occhio tumefatto per vedere – diventa il simbolo del conflitto

Yemen

 

 

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“Occhi aperti” sullo Yemen, il gesto di una bimba – scampata ad un bombardamento, che cerca di aprire l’occhio tumefatto per vedere – diventa il simbolo del conflitto

Buthaina, 5 anni, era rimasta ferita in un bombardamento che il 25 agosto ha ucciso la sua famiglia. Il suo “occhiolino”, il gesto di tirarsi su la palpebra gonfia per riuscire a vedere, è diventato virale su Twitter con l’hashtag #occhiaperti, riportando l’attenzione sulla guerra civile che da due anni sconvolge il Paese

Un gesto drammatico ma spontaneo, quello di una bambina col viso tumefatto che con la mano si aiuta per sbirciare oltre l’occhio gonfio. Un gesto immortalato da un fotografo e diventato virale su Twitter, replicato da centinaia di utenti. Dal suo letto di ospedale la piccola Buthaina, cinque anni, diventa il simbolo del conflitto in Yemen.

Ricoverata da quasi due settimane, è circondata dagli zii e da nuovi ‘amici’, le tante persone che hanno conosciuto la sua storia attraverso i media. La bambina è l’unica sopravvissuta della sua famiglia a un bombardamento che il 25 agosto ha ucciso almeno 16 civili a Sana’a, capitale dello Yemen. Tra questi, i genitori e 5 tra fratelli e sorelle. Gravi le ferite riportate: avrebbe diverse frattura al cranio, ma i dottori dicono che ce la farà.

Quando i giornali locali sono andati nella sua stanza di ospedale, Buthaina si è aiutata con una mano per tirar su la palpebra, mettendo indice e pollice a “c” intorno all’occhio destro. L’ ‘occhiolino’ è stato fotografato e messo sui social. Centinaia di utenti si sono scattati dei selfie imitando il gesto della bambina, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione drammatica dello Yemen. Dal 2015 è in atto una guerra civile che secondo l’Unhcr, il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, ha causato oltre 13 mila vittime civili, milioni di sfollati e un’epidemia di colera che ha contagiato 600 mila persone.

Ora Buthaina è affidata a una coppia di zii, che dal giorno del bombardamento non si sono mai separati da lei. La bambina ancora non sa cosa sia successo ai genitori e al resto della famiglia. “Non potrò mai sostituire suo padre, ma ora lei per me è una figlia e lo sarà per sempre”, ha detto lo zio ai reporter della Cnn, “spero almeno che la perdita che ha subito la nostra famiglia possa portare alla fine del conflitto che sta sconvolgendo il nostro Paese”.

tratto da: http://www.repubblica.it/esteri/2017/09/07/news/yemen_buthaina_gesto_mano_bambina_conflitto_guerra-174881067/

Dal New York Times le foto dello Yemen che Stati Uniti e Arabia Saudita non vogliono che tu veda… E anche noi ci dovremmo vergognare un bel po’ visto che le armi agli arabi glie le vendiamo proprio noi…!

Yemen

 

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Dal New York Times le foto dello Yemen che Stati Uniti e Arabia Saudita non vogliono che tu veda… E anche noi ci dovremmo vergognare un bel po’ visto che le armi agli arabi glie le vendiamo proprio noi…!

L’Arabia Saudita mantiene un blocco mediatico tale che i giornalisti non possono documentare le atrocità commesse nello Yemen con la complicità statunitense.

Le immagini come quelle che accompagnano l’articolo pubblicato martedì scorso sul quotidiano statunitense ‘The New York Times’, scritto da Nicholas Kristof non appaiono sugli schermi televisivi e raramente nei quotidiani occidentali, in parte perché l’Arabia Saudita blocca con successo l’accesso di giornalisti stranieri nello Yemen.

Il giornalista Nicholas Kristof nel suo articolo pubblicato ha denunciato di aver cercato per quasi un anno di raggiungere aree devastate dagli attacchi sauditi nello Yemen senza successo perché il regime saudita lo ha impedito.

Kristof ha poi riferito che l’unico modo per accedere alle aree dello Yemen soggetto a continue attacchi aerei è attraverso voli charter organizzati dalle Nazioni Unite e gruppi umanitari, in quanto i voli commerciali sono vietati.

Tuttavia, gli aerei militari sauditi controllano questo spazio aereo e vietano qualsiasi volo dove c’è un giornalista a bordo. L’ONU “non sta assumendo rischi” e considera questo divieto di imbarcare i giornalisti molto seriamente, ha raccontato il giornalista.

“Ciò è pazzesco: l&#

39;Arabia Saudita obbliga le Nazioni Unite ad escludere i giornalisti per evitare la copertura delle atrocità saudita”, ha spiegato Kristof.

L’autore dell’articolo ha sottolineato che il governo saudita commette crimini di guerra nello Yemen con le complicità statunitensi e del Regno Unito.

I Sauditi regolarmente bombardano i civili e, peggio ancora, hanno chiuso lo spazio aereo e hanno imposto un blocco per sottomettere la popolazione yemenita. Ciò significa che i civili dello Yemen, compresi i bambini, se non muoiono nei bombardamenti, li fanno morire alla fame. Kristof ha citato il caso di Buthaina, una ragazza di 4 o 5 anni che è stata l’unica della sua famiglia che è riuscita a sopravvivere ad un attacco saudita.

Secondo Kristof gli statunitensi devono fermare tutti i trasferimenti di armi in Arabia Saudita finché non finisce il blocco e il bombardamento del regno contro lo Yemen.

Uno degli effetti devastanti di questa aggressione è la peggiore epidemia globale del colera che è scoppiata in Yemen, dove molte persone sono malnutrite. Ogni giorno 5000 yemeniti contraggono il colera.

Fonte: The New York Times