L’unica impronta che lascerete nella Storia sarà il vostro odio – Perché dalla Storia non si scappa…!

 

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L’unica impronta che lascerete nella Storia sarà il vostro odio – Perché dalla Storia non si scappa…!

Non si scappa dalla Storia. Nel suo essere ciclica ci mette sempre di fronte agli errori che pensavamo di esserci lasciati alle spalle. In questo periodo stiamo vivendo l’ennesimo ciclo in cui un popolo assume i tratti più brutali di chi ha scelto per governarli, in attesa di rinnegarli. Tutto questo può durare un anno o un ventennio, poi si fingerà di non aver mai indossato quelle maschere, di aver sempre rifiutato l’assimilazione. Ma la Storia, dimenticata da molti, continua a conservare il dono della memoria e della testimonianza.

Lo spirito del popolo corrente, il volksgeist in salsa gialloverde, non è altro che una rielaborazione delle esperienze passate. Gli italiani hanno assorbito e poi rinnegato un ventennio fascista, mezzo secolo di Democrazia Cristiana, gli anni del berlusconismo, la breve avventura del renzismo, per arrivare a sostenere una creatura ibrida che riassume il peggio di questi cicli nel governo bicefalo che finge di essere a misura del popolo, quando in realtà non fa altro che manipolarlo. Le minacce di stupro rivolte a Carola Rackete non sono un tratto distintivo del cittadino italiano, ma il risultato di anni di abbrutimento che vanno  dalla bambola della Boldrini ai deliri di Pillon, dall’invito all’odio gratuito – specialmente contro le donne – all’imbarbarimento social(e). Se i partiti adesso al governo sono nati da un “Vaffanculo” e da un “Ce l’ho duro”, non ci si può stupire per la deriva raggiunta nel dibattito pubblico.

Il risultato è una difesa costante dell’operato del governo da parte dei suoi sostenitori, non tanto per l’apprezzamento di leggi o decreti, quanto perché proteggere il governo vuole dire tutelare se stessi e la propria credibilità. L’appartenenza politica è diventata una fede calcistica, un credo religioso o, più semplicemente, il supporto per il personaggio preferito di un reality show. Un sostenitore del M5S usa lo stesso lessico di Di Maio o Di Battista, uno della Lega parla come Salvini. Il cortocircuito dell’alleanza basata sul contratto di governo ha creato un circo a tratti surreale, con grillini che esclamano “la pacchia è finita” e leghisti che fanno il segno delle manette. Molti di questi elettori un tempo erano fieri difensori delle nipoti di Mubarak e del bunga bunga, scudocrociati o missini di lunga data. Addirittura qualcuno votava Pci, mentre altri tifavano per l’eruzione dell’Etna e il Vesuvio, prima di scoprire che il “nemico” si trova a sud di Lampedusa.

 

Quello che gli elettori non sanno, o fingono di non sapere, è che domani saranno i pasdaran di qualcun altro. Quando vengono descritti i periodi bui, le dittature sanguinose o i capricci del potente di turno si tende a dimenticare che i mostri di ieri avevano il sostegno del popolo. È questo che le scuole dovrebbero insegnare come monito: la principale mostruosità del fascismo è stata quella di aver reso fascisti gli italiani. Qualsiasi degenerazione della politica ha sempre una nutrita scia di seguaci. I discorsi di Mussolini al balcone di Piazza Venezia non fanno orrore per le sue parole, ma per l’acclamazione della folla che c’era sotto ad applaudirli. Il gerarca nazista Hermann Göring, fondatore della Gestapo, sosteneva che “Il popolo può sempre essere sottomesso al volere dei leader. È facile. Tutto ciò che devi fare è dir loro che sono sotto attacco e denunciare i pacifisti per la loro mancanza di patriottismo che mette a rischio il Paese. Funziona allo stesso modo in qualunque nazione”. In Italia questo meccanismo ha già funzionato una volta, e sta funzionando anche oggi.

Salvini ha creato il nemico, ha convinto il popolo di essere sotto attacco e minaccia i “pacifisti” – anche se oggi va più di moda il termine “buonisti” – ovvero chi salva le vite in mare, chi si batte per i diritti umani, chi protesta contro le barbarie sdoganate da questo governo. Salvini non si limita a criticarli, ma li mette alla gogna nella sua piazza social. Il popolo così si sente minacciato sia dai migranti che dai portatori di messaggi di pace, considerati “buonisti”. E pazienza se Carola Rackete è stata liberata per aver “agito nell’adempimento di un dovere, quello di salvare vite umane in mare”. Si tratta di un cavillo per gli odiatori seriali che l’hanno già condannata in via definitiva definendola una scafista e traghettatrice di esseri umani che lucra sulla loro pelle e che quindi, in quanto donna, merita lo stupro.

Adesso vengono legittimati i pensieri più atroci, quelli che un tempo non venivano pronunciati nemmeno a bassa voce nel peggior bar del paese. Oggi i rappresentanti politici hanno fatto della rabbia dei loro sostenitori uno scudo e un’arma contro i loro oppositori, rendendo impossibile criticare ogni loro decisione: parlando negativamente del trattamento riservato ai migranti si viene immediatamente marcati come anti-italiani che non pensano ai nostri terremotati e ai problemi della povera gente. Salvini aveva bisogno di un grimaldello per arrivare al potere e l’ha trovato nell’altro partito populista italiano: il M5S.

Quando tra qualche anno i libri di storia analizzeranno la situazione attuale, il M5S verrà ricordato come la costola minore della Lega, il partito di ingenui che non si è accorto di essere stato fagocitato da Salvini – anche perché non sono poi così diversi da lui. Dovevano essere un argine, ma si sono rivelati un passepartout per ogni forma di razzismo e xenofobia del loro alleato di governo. Luigi Di Maio ha commentato la liberazione di Carola definendosi sorpreso, scrivendo un post su Facebook che sembra scritto dalla penna verde (con tinte nere) di Salvini. I grillini si sono appoggiati alle politiche del leader leghista, gli hanno regalato il più grande successo elettorale nella storia della Lega  e, non contenti, continuano a scodinzolare per ogni sua presa di posizione. Oltre che per una disastrosa gestione dell’economia italiana, saranno ricordati per aver avallato ogni pericolosa trovata leghista e per aver dato il via a un periodo di odio che ha distrutto il buonsenso italiano. Quello vero, non quello di Salvini.

Un giorno i sostenitori di questo governo dovranno fare i conti con il peso delle loro scelte. Non per una preferenza sulla tessera elettorale, ma per la successiva trasformazione che li ha resi identici ai rappresentanti che idolatrano. La reale vittoria di Salvini è stata quella di aver creato un esercito di Salvini: alcuni erano dei Salvini in sonno, altri dei Salvini inconsapevoli, altri ignorano semplicemente il meccanismo che hanno autorizzato con il loro voto e appoggio alla Lega. In pochi sanno di essere dalla parte sbagliata della Storia, come non lo sapevano i fascisti, i succubi dei tiranni e i sostenitori di ideologie e leggi disumane. Si tratta di una suggestione collettiva, una voce che si ingrossa giorno dopo giorno fino a creare un chiasso per loro confortante, perché sono in tanti e quindi si giustificano a vicenda.

Di conseguenza, credono che le minoranze siano in errore. Per questo Gino Strada è un mascalzone, Don Ciotti un ciarlatano, Andrea Camilleri una cariatide invidiosa del Capitano. Un giorno passeggeranno in Viale Strada, in piazza Ciotti, in via Camilleri e si renderanno conto di aver sbagliato. Per i loro idoli del momento non sarà concessa nemmeno la damnatio memoriae, perché tutti possano ricordare. O almeno provare a farlo, fino a quando troveranno un altro leader così piccolo da sembrare “uno di loro” e dare il via a un nuovo ciclo.

fonte: https://thevision.com/politica/impronta-storia-odio/

Una strage di cui nessuno parla – Venezuela, 40.000 morti sotto le sanzioni Usa in un solo anno. I cittadini in media hanno perso 11 chili di peso a testa, ma i media di tutto il mondo, Italia compresa, chiudono gli occhi…!

 

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Una strage di cui nessuno parla – Venezuela, 40.000 morti sotto le sanzioni Usa in un solo anno. I cittadini in media hanno perso 11 chili di peso a testa, ma i media di tutto il mondo, Italia compresa, chiudono gli occhi…!

 

Il 25 aprile ultimo scorso un rapporto di esperti ha stimato che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti al Venezuela nell’agosto 2017 hanno causato circa 40.000 morti. Questa atrocità è stata quasi interamente ignorata dai media britannici ‘prevalenti’, compresa BBC News. Ulteriori sanzioni imposte nel gennaio del 2019 probabilmente causeranno decine di migliaia di altri morti.

Il rapporto è stato stilato insieme da Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs per il Center for Economic and Policy Research (CEPR) con sede negli Stati Uniti. Il CEPR è stato fondato nel 1999 ‘per promuovere un dibattito democratico sui problemi economici e sociali che affliggono le vite delle persone’. Il suo comitato consultivo include gli economisti premi Nobel Robert Solow e Joseph Stiglitz.

Weisbrot è co-direttore del CEPR e la sua competenza si estende alla crescita economica, al commercio, alle istituzioni finanziarie internazionali e allo sviluppo in America Latina. Sach è un economista di fama mondiale e alto consulente dell’ONU con una considerevole conoscenza delle politiche collegate allo sviluppo sostenibile e alla lotta alla povertà. Le loro credenziali sono impressionanti e il titolo del loro rapporto è accusatorio: ‘Le sanzioni USA contro il Venezuela sono responsabili di decine di migliaia di morti’.

L’amministrazione Trump ha imposto le sanzioni contro il Venezuela nell’agosto del 2017. Esse hanno vietato al governo venezuelano di finanziarsi sui mercati statunitensi, in tal modo impedendo al paese di ristrutturare il proprio debito verso l’estero. Come ha chiarito il rapporto:

‘E’ importante evidenziare che quasi tutta la valuta estera necessaria per importare farmaci, cibo, attrezzature mediche, parti di ricambio e attrezzature necessarie per la generazione dell’elettricità, per i sistemi idrici o i trasporto, è ricevuta dall’economia venezuelana attraverso le entrate governative derivanti dall’esportazione di petrolio. Così ogni sanzione che riduce i guadagni da esportazioni, e in tal modo le entrate governative, riduce in tal modo le importazioni di tali beni essenziali e, in molti casi, salvavita’.

Gli autori hanno aggiunto:

‘Le sanzioni hanno ridotto il consumo calorico del pubblico, aumentato malattie e mortalità (sia tra gli adulti sia tra i neonati) e allontanato milioni di venezuelani che hanno abbandonato il paese in conseguenza della depressione economica e della iperinflazione crescenti. Hanno esacerbato la crisi economica del Venezuela e reso quasi impossibile stabilizzare l’economia, contribuendo ulteriormente a un eccesso di morti. Tutti questi impatti hanno colpito sproporzionatamente i venezuelani più poveri e più vulnerabili’.

Nel gennaio del 2019 ulteriori sanzioni statunitensi hanno tagliato fuori il Venezuela dal suo più vasto mercato petrolifero: gli Stati Uniti. Washington è anche intervenuto per premere su altri paesi, tra cui l’India, perché non comprassero il petrolio venezuelano che in precedenza era importato negli USA. Le conseguenze sono state catastrofiche. Tra i risultati del rapporto ci sono:

  • Più di 40.000 morti dal 2017-18;
  • Le sanzioni hanno ridotto la disponibilità di cibo e farmaci e aumentato malattie e mortalità;
  • Le sanzioni dell’agosto 2017 hanno contribuito a un acuto declino della produzione di petrolio, causando un grave danno alla popolazione civile;
  • Se le sanzioni messe in atto nel gennaio 2019 proseguiranno, determineranno quasi certamente decine di migliaia di morti evitabili in più;
  • Questi risultati sono basati su una stima di 80.000 persone affette da HIV che non hanno avuto cure antivirali dal 2017, 16.000 persone che hanno bisogno di dialisi, 16.000 persone malate di cancro, e quattro milioni di malati di diabete e ipertensione (molti dei quali non possono ottenere insulina o farmaci cardiovascolari);
  • Dopo le sanzioni del gennaio 2019 la produzione di petrolio è diminuita di 431.000 barili di petrolio al giorno, cioè del 36,4 per cento. Questo accelererà di molto la crisi umanitaria. Ma il previsto declino del 67 per cento della produzione petrolifera nell’anno, se le sanzioni proseguiranno, causerà una perdita molto maggiore di vite umane.

Weisbrot ha dichiarato con chiarezza l’enormità delle politica punitiva degli Stati Uniti contro il Venezuela:

‘Le sanzioni stanno privato i venezuelani di farmaci salvavita, attrezzature mediche, cibo e altre importazioni essenziali. Ciò è illegale in base alla legge statunitense e a quella internazionale e a trattati che gli Stati Uniti hanno sottoscritto. Il Congresso dovrebbe intervenire per fermare questo.’

Proprio come i media industriali accusarono Saddam Hussein del devastante impatto delle sanzioni britannico-statunitensi contro l’Iraq che determinarono la morte di più di un milione di iracheni tra il 1990 e il 2003, la ‘nostra stampa libera’ è unita nell’incolpare Nicolas Maduro, il presidente venezuelano, della crisi economica e umanitaria del paese. Il nuovo rapporto del CEPR confuta tale quadro propagandistico. Sachs sottolinea:

La colpa della crisi economica del Venezuela è regolarmente attribuita interamente al Venezuela. Ma è molto più di così. Le sanzioni statunitensi sono mirate deliberatamente a distruggere l’economia del Venezuela e portare in tal mondo a un cambiamento di regime [grassetto nostro]. E’ una politica infruttuosa, crudele, illegale e fallita, che causa un grave danno al popolo venezuelano’.

Il rapporto evidenzia che:

‘il dolore e le sofferenze inflitte alla popolazione civile possono non essere un danno collaterale, bensì una parte effettiva della strategia per rovesciare il governo’.

In effetti Weisbrot e Sachs sostengono la tesi devastante che le sanzioni:

‘corrisponderebbero alla definizione di punizione collettiva della popolazione civile come descritta nelle convenzioni internazionali di Ginevra e dell’Aja, di cui gli Stati Uniti sono firmatari’.

In un mondo politico e mediatico sensato, questo farebbe notizia.

Reazioni dei media? Il silenzio assoluto in tutto il mondo!

Immaginate se una strage del genere fosse stata causata da Putin…

Come ha sintetizzato la giornalista indipendente Caitlin Johnstone:

‘Per essere chiari, questa atrocità imperdonabile persa prevalentemente sulle spalle dell’amministrazione Trump. […] Immaginate se Trump impiegasse una raffica di missili Tomahawk sulle parti più impoverite di una città densamente popolata del Venezuela, e poi si sentisse tutti dire: ‘Beh, in realtà è stato Maduro a far saltare in aria quella gente, perché non ha voluto fare quello che gli avevamo detto”. […] Le sanzioni sono un’arma di guerra più lenta e più estenuante delle bombe e dei missili, ma sono enormemente superiori quando si tratta di tenere il pubblico addormentato mentre si compiono atti depravati di sterminio di massa.’

Come sempre, i media industriali stanno facendo il lavoro loro richiesto per mantenere il pubblico in uno stato d’ignoranza, o acquiescenza, riguardo ai crimini dell’occidente. ‘Quando la verità è sostituita dal silenzio’, disse una volta il dissidente sovietico Yevgeny Yevtushenko, ‘il silenzio è menzogna’.  Come ha osservato John Pilger nel 2004 dopo l’invasione e l’occupazione dell’Iraq:

‘Avrebbe potuto riferirsi al silenzio sui devastanti effetti dell’embargo. E’ un silenzio che attribuisce ai giornalisti il ruolo di accessori, proprio mentre il loro silenzio ha contribuito a un’invasione illegale e non provocata di un paese indifeso’.  

E un’altro studio sottolinea come solo nel 2017 i cittadini del Venezuela hanno perso in media 11 chili di peso a testa.

 

Fonti:

http://www.medialens.org/index.php/alerts/alert-archive/2019/902-40-000-dead-venezuelans-under-us-sanctions-corporate-media-turn-a-blind-eye.html

https://www.reuters.com/article/us-venezuela-food/venezuelans-report-big-weight-losses-in-2017-as-hunger-hits-idUSKCN1G52HA

 

La verità che nessuno vi racconta: Le multinazionali straniere in Italia si stanno prendendo tutto o stanno chiudendo tutto!

 

 

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La verità che nessuno vi racconta: Le multinazionali straniere in Italia si stanno prendendo tutto o stanno chiudendo tutto!

“Occorre trovare un nuovo compratore”; c’è una “azienda straniera interessata a rilevare l’impianto”; “alcuni reparti possono salvarsi”. Sono queste le parole che ormai sentiamo ripetere sistematicamente e falsamente sia davanti ai cancelli delle fabbriche in crisi sia nei tavoli al Ministero dello Sviluppo Economico. E’ una perversione che i dati dimostrano non essere praticabile né indicare una soluzione adeguata alle esigenze di lavoratrici, lavoratori e della stessa economia del nostro paese.

Nel 2005 le imprese italiane partecipate o controllate da società straniere erano 2.551 e occupavano 520mila dipendenti. Nel 2018 sono salite a 3.519 (+38%) e gli occupati sono diventati 568mila (+10%). Il fatturato di queste aziende passate in mano o partecipate da società estere, nello stesso periodo, è salito da 470 e 507 miliardi di euro.

Analizzando i settori manifatturieri in cui è cresciuto il controllo da parte di multinazionali estere, possiamo vedere come nella metallurgia gli occupati sono passati dai 130mila del 2015 ai 160mila del 2018. Più che raddoppiati invece i dipendenti di aziende estere in un settore come tessile, abbigliamento, calzature che sono passati dai 12mila del 2015 ai 27mila del 2018.

Ma chi sono i cosiddetti investitori stranieri ai quali da anni si sta consegnando una parte consistente del sistema industriale nel nostro paese? Secondo il Sole 24 Ore sono fondi diprivate equity, grandi gruppi globali e più di recente anche piccole imprese multinazionali, che oggi controllano in Italia più di 3.500 aziende e più di mezzo milione di lavoratori e lavoratrici.

Tra i sistemi adottati dalle grandi e piccole multinazionali straniere che mettono le mani sulle industrie o le aziende italiane, vi è quello dello “spacchettamento”. Di una società ne fanno due, si tengono quella che coincide con i reparti che vanno meglio e si lascia andare quella in cui sono stati affibbiati i reparti o le produzioni con minori possibilità di stare sul mercato.

Oppure si tengono la parte produttiva ma esternalizzano i servizi e la logistica cercando nuovi azionisti.

In altri casi ancora praticano invece il “cannibalismo industriale”: acquisiscono una azienda italiana, la chiudono e si prendono direttamente con i loro prodotti la sua fetta su un mercato di 60 milioni di consumatori. Se guardiamo alla chimica-farmaceutica, e non solo, possiamo trovare moltissimi di questi esempi di vera e propria pirateria.

Spesso le multinazionali straniere scappano via dopo aver prosciugato tutti gli incentivi che lo Stato ha messo, e continua ad apparecchiare sulla tavola, per “invogliare” gli investimenti esteri: sconti fiscali e previdenziali, sconti sull’energia, sconti sulla ristrutturazione etc.

I più recenti sono i casi della Whirlpool, della Jabil o della Beckaert. Se andiamo più indietro possiamo ricordare l’Alcoa o la Videocon. Nè appare possibile ignorare la pretesa della “immunità” avanzata dalla ArcelorMittal per continuare a tenere aperta l’Ilva. I padroni indofrancesi dell’Ilva forse ignorano che in Italia possono dormire sonni tranquilli, esattamente come quelli che continua a farsi Gerard Priegnitz, il padrone tedesco condannato per il rogo e la strage operaia alla ThyssenKrupp di Torino.

Le conseguenze di questa sistematica svendita del patrimonio industriale alle multinazionali straniere ha prodotto anche una sua narrazione pubblica, troppo spesso strumentale e smobilitante.

Gli operai delle fabbriche che chiudono, intervistati o usati come coreografia nei talk show televisivi, sono sempre quelli disperati o sconfitti. Quasi mai o raramente compaiono operai o operaie che hanno vinto la loro battaglia o rivendicano soluzioni radicali come la nazionalizzazione della fabbrica.

In altri casi c’è una nicchia cinematografica che ha cercato di dare una immagine diversa. C’è un magnifico film di Michele Placido, “Il posto dell’anima”, che racconta benissimo le vicissitudini di una fabbrica di pnemumatici finita in mano ad una multinazionale. Per altri aspetti anche l’altro film “Sette minuti”, spiega meglio di qualsiasi documento politico, il calvario e le umiliazioni delle lavoratrici e lavoratori che si trovano di fronte alla “alternativa del diavolo”: accettare qualsiasi condizione e tenere aperta la fabbrica o rifiutare ricatti spesso inaccettabili.

Molto spesso anche la prima soluzione si rivela fallace. I prenditori delle grandi o piccole multinazionali straniere appena possono – spesso dopo aver incassato tutto quello che lo Stato italiano gli ha messo a disposizione – chiudono e se ne vanno, lasciando i dipendenti in mezzo alla strada e i capannoni abbandonati. Di storie così ne abbiamo viste, raccontate e contrastate a centinaia in questi anni.

Il ragionamento e l’obiettivo delle nazionalizzazioni, punta proprio a spezzare questo meccanismo di rapina e di spoliazione del sistema industriale nel nostro paese da parte delle multinazionali straniere.

Occorre dirselo con franchezza e dirlo anche ai lavoratori delle fabbriche chiuse o a rischio chiusura: le soluzioni di mercato, i “nuovi compratori” sono, nella migliore ipotesi, congiunturali. Se si vuole pensare e progettare sul futuro occorre imporre l’intervento pubblico nella gestione del sistema industriale, prima che diventi solo oggetto di scorrerie, cannibalismo o cimitero di capannoni e impianti.

fonte: http://contropiano.org/news/news-economia/2019/07/05/le-multinazionali-straniere-in-italia-si-stanno-prendendo-o-chiudendo-tutto-0117020?fbclid=IwAR0QR3m0Ppl5gkh6fH91S9fbkayrHXH9z_pN31gPVVOqJiWDP-RBO97JcZo

Tra gli schiaffoni che ultimamente ha preso Salvini il più bello è quello di Papa Francesco: celebrerà una messa per i migranti e i loro soccorritori! …E se dà il via alla cerimonia con un bel “bacioni” lo voglio santo subito…!

 

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Tra gli schiaffoni che ultimamente ha preso Salvini il più bello è quello di Papa Francesco: celebrerà una messa per i migranti e i loro soccorritori! …E se dà il via alla cerimonia con un bel “bacioni” lo voglio santo subito…!

Già nell’Angelus di domenica scorsa, come spesso capita, Papa Francescoaveva detto la sua sulla situazione dei migranti. Oggi, però, è arrivato l’annuncio di una messa dedicata ai profughi e a tutte le persone che soccorrono le persone in difficoltà. L’impegno umanitario sarà il tema della celebrazione in programma lunedì prossimo (8 luglio) nella Basilica di San Pietro. Saranno ospitate circa 250 persone, tra chi ha affrontato i lunghi viaggi per arrivare in Europa (con tutte le annesse difficoltà del caso) e chi si opera quotidianamente per dare aiuto a queste persone.

«In occasione del sesto anniversario della visita a Lampedusa, lunedì 8 luglio – ha annunciato il direttore della Sala stampa vaticana Alessandro Gisotti-, il Santo Padre Francesco celebrerà una Messa per i Migranti, alle ore 11.00, nella Basilica di San Pietro». Nel 2013, infatti, Papa Francesco andò in visita nell’isola teatro dei più importanti sbarchi nel Mediterraneo, portando solidarietà non solo agli esseri umani che avevano affrontato viaggi irti di difficoltà per fuggire da guerre e carestie, ma anche a tutti gli operatori che si erano adoperati affinché fosse garantita loro dignità e sicurezza.

Papa Francesco celebrerà messa per migranti e soccorritori

Alla messa di lunedì 8 luglio parteciperanno circa 250 persone tra migranti, rifugiati e quanti si sono impegnati per salvare la loro vita. «Il Santo Padre – spiega ancora Alessandro Gisotti – desidera che il momento sia il più possibile raccolto, nel ricordo di quanti hanno perso la vita per sfuggire alla guerra e alla miseria e per incoraggiare coloro che, ogni giorno, si prodigano per sostenere, accompagnare e accogliere i migranti e i rifugiati».

Una cerimonia riservata

Una cerimonia che sarà, dunque, riservata ma che sarà trasmessa in diretta da Vatican Media, senza – però, la possibilità di accesso per i giornalisti all’interno della Basilica. Alla messa, presieduta da Papa Francesco all’Altare della Cattedra, prenderanno parte solo le persone invitate dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, a cui Bergoglio ha affidato la cura dell’evento.

 

fonte: https://www.giornalettismo.com/papa-francesco-messa-soccorsi/

I migranti in sciopero della fame: “meglio, risparmiamo soldi” – Una frase veramente vergognosa e spregevole, soprattutto se detta dal Ministro degli Interni della Repubblica Italiana… Ma state tranquilli, tutto a posto, dopo ha baciato il Rosario!

 

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I migranti in sciopero della fame: “meglio, risparmiamo soldi” – Una frase veramente vergognosa e spregevole, soprattutto se detta dal Ministro degli Interni della Repubblica Italiana… Ma state tranquilli, tutto a posto, dopo ha baciato il Rosario!

…Premesso che con 49 milioni, hai voglia a far mangiare migranri…

I migranti del Cpr fanno lo sciopero della fame, Salvini inumano: “meglio, risparmiamo soldi”

Alcuni richiedenti asilo a rischio di espulsione del Cpr di Caltanissetta da ieri mattina stanno facendo lo sciopero della fame. La risposta incredibile di Salvini

Salvini comunica in un tweet che “da ieri mattina, nel Centro di Permanenza per i Rimpatri di Pian Del Lago (Caltanissetta), 72 “ospiti” (18 dei quali, tunisini, verranno rispediti a casa in giornata) stanno facendo lo sciopero della fame come segno di protesta contro il loro trattenimento presso la struttura…”.

Non contento di aver denigrato una protesta di 72 disperati, Salvini alza il tiro e aggiunge: “Peggio per loro se rifiutano di mangiare, vorrà dire che risparmiamo un po’ di soldi prima di espellerli”.

Nei commenti si scatena la solita selva di commenti inumani dei suoi sostenitori, come chi scrive “meglio, così fanno meno peso in aereo”, ma anche chi accusa Salvini (o meglio Luca Morisi, il suo responsabile della comunicazione) di stare esagerando.

…ma veramente non vi fa neanche un po’ schifo essere rappresentato da uno così…?

Forse avete sentito che con la manovra economica di Salvini sono stati tagliati 4 miliardi alla Scuola. Quello che però nessuno dice è che sono stati stanziati ben 7 miliardi per le armi… quando si dice “le priorità”…!

 

 

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Forse avete sentito che con la manovra economica di Salvini sono stati tagliati 4 miliardi alla Scuola. Quello che però nessuno dice è che sono stati stanziati ben 7 miliardi per le armi… quando si dice “le priorità”…!

 

Da Antimafia 2000:

Leghista perfetto

Le cose non devono andare poi così male, se nella nuova manovra sono stati previsti oltre 7 miliardi per l’acquisto di armamenti.
Un bel mazzo di eurozzi fruscianti che però, se andate a spulciare i documenti ufficiali, non troverete là dove logica vorrebbe, ovvero nel bilancio della Difesa, ma in quello del MiSE, il ministero dello sviluppo economico.
Come mai, si chiederanno i più ingenui?
Beh, intanto, non c’è niente di meglio delle armi, per dare una bella botta di sviluppo all’economia, fregandosene dell’Ilva e di tante altre imprese a rischio di chiusura.
Inoltre, le cose prodotte sotto l’egida MiSE godono del magico appellativo di “dual use”. Roba utilizzabile, cioè, anche per catastrofi, slavine, inondazioni, pestilenze, piaghe egizie ed emergenze umanitarie.
Si tratta quindi di armi buone, simpatiche, caritatevoli, che non vengono dipinte di rosa per mera concessione a un militaresco machismo e non vengono messe in quota alla Sanità o al Welfare, solo per colpa dell’ottusa burocrazia partitocratica.
Infatti, i 7 miliardi serviranno per: un nuovo tipo di elicottero d’attacco, una vasta gamma di veicoli blindati e corazzati, l’ammodernamento del caccia eurofighter, l’acquisto di altri F-35, lo sviluppo del missile Teseo mk2, 7 fregate e 4 sottomarini.
Dulcis in fundo, è prevista la progettazione di 2 nuovi cacciatorpediniere da 10.000 tonnellate cadauno. Che forse, in un paese con radici meno cristiane delle nostre, verrebbero chiamati, con una certa brutalità, incrociatori lanciamissili.
Tutta roba che, nell’infausta evenienza di catastrofi o emergenze umanitarie, è una mano santa.
In caso di inondazione, per esempio, chi potrebbe negare l’ovvia necessità di un sommergibile?
Tranquilli insomma, che tutto va a gonfie vele e qualche volta anche a remi.
Ah, dimenticavo! Per colpa dell’Europa brutta e cattiva, si son dovuti tagliare 4 miliardi alla scuola. Cose che capitano, quando si è guidati dal capitano. Qualche sacrificio bisogna pur farlo, d’altronde.
“Libro e moschetto, fascista perfetto” cantavano le camicie nere di Mussolini.
Quelle di oggi fanno a meno del libro.

 

fonte QUI

 

Ecco l’Italia voluta da Salvini: un paese dove se auguri lo stupro di una donna va tutto bene, se esponi un cartello con “ama il prossimo tuo” ti arriva la Digos a casa…!

 

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Ecco l’Italia voluta da Salvini: un paese dove se auguri lo stupro di una donna va tutto bene, se esponi un cartello con “ama il prossimo tuo” ti arriva la Digos a casa…!

Se auguro lo stupro va tutto bene, se espongo un cartello con “ama il prossimo tuo” arriva la Digos?

Riflessione su ciò che sta accadendo al nostro Paese imbarbarito.

Negli ultimi mesi abbiamo visto la Digos e Vigili del fuoco (questi ultimi si erano dissociati) entrare in appartamenti per togliere striscioni appesi ai balconi con frasi di pace. Contemporaneamente belve di destra auguravano stupri a donne a telecamere accese e nessuna forza dell’ordine muoveva un dito.
Il Paese da quando c’è il ministro Salvini è sempre meno sicuro, più nervoso, isterico, spaccato. L’odio tra gli stessi italiani è aumentato a dismisura. Se non sei con il Capitano il popolo di webeti che vive sui social 24 ore su 24, privo di una vita, di passioni e probabilmente un lavoro, ti augura torture medioevali, stupri, morte, carcere.
Ora però quelle stesse grida stanno diventando voci riprese e registrate dalle telecamere o da semplici telefonini. Non ci si vergogna più di chiedere che una donna venga impalata o che dei migranti la stuprino brutalmente. Intorno a questi pericolosi criminali, perché chi dice cose così è capace di tutto, c’è sempre una claque di tifosi che incoraggiano il mostro ad aumentare le proprie invettive.
Nessun politico della loro parte che prenda le distanza ma spesso lo stesso Ministro ha esposto nel proprio profilo twitter immagini di donne che lo contestavano dando così il via a turpi commenti sessisti e violenti.
Il Ministro dell’Interno non permette più secondo un algortmo che si è fatto installare, di scrivere sulle sue pagine 49 milioni. Forse dovrebbe aggiungere altre paroline che piaccioni ai suoi fan inferociti. La prima è stupro e a seguire terroni, troie e tutto il campionario di bestialità che esaltano il consenso dei branchi ululanti.

da Globalist

Per non dimenticare: Francesca Peirotti, la Carole Italiana arrestata in Francia perchè cercava di portare in salvo i migranti. Una storia volutamente dimenticata dai media e dai nostri politici

 

Francesca Peirotti

 

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Per non dimenticare: Francesca Peirotti, la Carole Italiana arrestata in Francia perchè cercava di portare in salvo i migranti. Una storia volutamente dimenticata dai media e dai nostri politici

Francesca Peirotti, 32enne di Cuneo condannata per aver aiutato otto migranti ad attraversare il confine. Per lei la corte d’appello di Aix En Provence ha riserbato sei mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena per “Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Da Repubblica:
La “Carola italiana”: “Non paragonatemi alla capitana della Sea-Watch, sono due vicende diverse”

La cuneese condannata in Francia per aver aiutato un gruppo di migranti: per me si scatenò la macchina del fango.

“Non paragonatemi alla capitana della Sea-Watch.Le nostre vicende sono diverse anche se entrambe, alla fine, siamo diventate le pedine di un gioco politico sulle vite umane”. Eppure Carola Rackete e Francesca Peirotti, 32 anni, cuneese, hanno tanto in comune. Entrambe poco più che 30enni, convinte sostenitrici dei diritti umani, finite nei guai per aver dimostrato la loro solidarietà verso i migranti. Peirotti vive a Marsiglia e l’8 novembre 2016 è stata arrestata dalla polizia francese, a Mentone, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver trasportato su un furgone un gruppo di migranti, tra cui un neonato, provenienti dal Ciad e dall’Eritrea, respinti a Ventimiglia. Il tribunale di Aix-en-Provence l’ha condannata a 8 mesi di carcere e 5 anni di interdizione dalla regione delle Alpi Marittime. Oggi è libera, per la sospensione della pena in attesa che il processo arrivi in Cassazione.

Perché dice che la sua vicenda e quella della capitana della Sea Watch non sono paragonabili?
“Perché quella è la Sea-Watch, una ong conosciuta che lavora nel Mediterraneo, l’attenzione mediatica su questa storia è incredibile. Mi chiedo come si possa mettere in croce un’organizzazione che salva le vite. Accusano le ong di fare accordi con i trafficanti ma chi dice queste cose non sa di che parla”.

Un anno fa definì anche la sua una sentenza politica, forse è questo il punto di contatto.
“Forse, ma è inevitabile. E’ la reazione di fronte a un’organizzazione o un singolo che decidono di non stare a regole disumane. Ma sono tantissimi quelli che si spendono per fare cose del genere e non diventano eroi semplicemente perché riescono a non farsi prendere”.

Dopo la condanna la sua vita è cambiata?
“Se sarà confermata l’interdizione sarò tagliata fuori dalla strada più breve per tornare a Cuneo. Ma adesso non è cambiato niente. Vivo a Marsiglia con la mia famiglia e continuo a lavorare con i migranti. Mi spiace di essere stata arrestata, ma rifarei tutto”.

E se ci fosse stata lei alla guida della Sea watch?
“Non so immaginarlo. Io non sono una ong che salva vite in mare, non mi sono trovata nella situazione di non avere altro porto sicuro dove attraccare. Io ho scelto di caricare a bordo quelle persone per aiutarle. Mi spiace molto che Carola sia stata arrestata e spero che abbia accanto delle persone in grado di sostenerla in questo momento. Allo stesso modo, però, penso che trasformare questa vicenda in una telenovela svii dal vero problema, che sono le vite umane che si rischiano su confini che non esistono. Carola è stata attaccata per aver detto di aver scelto questa vita perché è bianca, ricca e privilegiata. Ma riconoscere di avere dei privilegi non può essere una colpa”.

Il suo arresto suscitò meno clamore. Nessuno dall’Italia interpellò la Francia. Perché?
“Meno male. Non so che farmene delle dichiarazioni dei politici che cercano sempre i riflettori accesi per prendere posizione. Si scatenò però la macchina del fango sui social. Ma d’altronde per qualche ignorante non c’è niente di peggio che essere una donna che aiuta i neri”.

Michela Murgia: “Il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia.” – “Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica.” …Una breve profonda riflessione tutta da leggere

 

Michela Murgia

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Michela Murgia: “Il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia.” – “Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica.” …Una breve profonda riflessione tutta da leggere

Piccolo discorso sul fascismo che siamo.
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A te che hai vent’anni e mi chiedi cos’è il fascismo, vorrei non doverti rispondere. Vorrei che nel 2017 la risposta a questa domanda la sapessimo già tutti, ma se me lo chiedi è perché non è così.
So perché me lo domandi. Credi che io sia intollerante se dico che il fascismo è reato e deve rimanerlo sempre. Credi che “se il fascismo e il comunismo hanno causato entrambi tanto dolore nel corso della storia devono essere considerati reato senza distinguo”.
È quindi colpa mia se me lo chiedi.
Colpa del fatto che non ti ho detto che il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia. Dovevo dirtelo prima che il fascismo non è un’ideologia, ma un metodo che può applicarsi a qualunque ideologia, nessuna esclusa, e cambiarne dall’interno la natura. Mussolini era socialista e forse non te l’ho spiegato mai. Ho dimenticato di dirti che si intestava le istanze dei poveri e dei diseredati. Ho omesso di raccontarti che i suoi editoriali erano zeppi di parole d’ordine della sinistra, parole come “lavoratori” e “proletariato”. Non ti ho insegnato che un socialismo che pretende di realizzarsi con metodo fascista è un fascismo, perché nelle questioni politiche la forma è sempre sostanza e il come determina anche il cosa. Per questo il fascismo agisce anche nei sistemi che si richiamano a valori di sinistra e anzi è lì che fa i danni più grandi, perché non c’è niente di più difficile del riconoscere che l’avversario è seduto a tavola con te e ti chiama compagno.
Dire che il fascismo è un’opinione politica è come dire che la mafia è un’opinione politica; invece, proprio come la mafia, il fascismo non è di destra né di sinistra: il suo obiettivo è la sostituzione stessa dello stato democratico ed è la ragione per cui ogni stato democratico dovrebbe combatterli entrambi – mafia e fascismo – senza alcun cedimento. Tu sei vittima dell’equivoco che identifica il fascismo con una destra ed è un equivoco facile, perché il fascismo è la modalità che meglio si adatta alla visione di mondo di molta della destra che agisce in Italia oggi. Ma guai se questo ti rendesse incapace di riconoscere i semi del pensiero fascista se li incontri quando sei convinto di guardare da qualche altra parte.
Può esserti utile sapere come riconosco io il fascismo quando lo incontro: ogni volta che in nome della meta non si può discutere la direzione, in nome della direzione non si può discutere la forza e in nome della forza non si può discutere la volontà, lì c’è un fascismo in azione. In democrazia il cosa ottieni non vale mai più del come lo hai ottenuto e il perché di una scelta non deve mai farti dimenticare del per chi la stai compiendo. Se i rapporti si invertono qualunque soggetto collettivo diventa un fascismo, persino il partito di sinistra, il gruppo parrocchiale e il circolo della bocciofila.
Nessuno è al sicuro, se non dentro allo sforzo di ricordarsi in ogni momento che cosa rischiamo tutti quando cominciamo a pensare che il fascismo è solo un’opinione tra le altre.

Michela Murgia

4 luglio – Buon compleanno don Peppe Diana. Se non ci fosse stata quella montagna di merda dei casalesi, oggi avresti compiuto 62 anni!

 

don Peppe Diana

 

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4 luglio – Buon compleanno don Peppe Diana. Se non ci fosse stata quella montagna di merda dei casalesi, oggi avresti compiuto 62 anni!

 Il 4 luglio 1958, a Casal di Principe, nasceva Don peppe Diana… Se non ci fosse stata quella montagna di merda dei casalesi, oggi avrebbe compiuto 62 anni…

Ricordiamolo…

La mattina del 19 marzo 1994, don Giuseppe Diana era nella sala riunioni della sua chiesa a Casal di Principe, mentre si apprestava a indossare gli abiti per celebrare la prima messa, come di consueto. Era il giorno del suo onomastico quando in chiesa entrarono due uomini gridando: “Chi è don Peppino?”, “Sono io” rispose il parroco. I sicari non se lo fecero ripetere due volte e spararono contro il prete cinque colpi di pistola calibro 7.65. Don Peppe cadde sul pavimento sporco di terriccio. Chi lo soccorse per primo provò inutilmente a rianimarlo, ma Don Peppe non c’era più. La sua voce libera e incapace al silenzio fu zittita dai colpi di pistola. Solo la morte poteva far tacere le parole di chi come lui osò sfidare con estremo coraggio, a quel tempo, la mafia.

Parole di denuncia

Don Giuseppe Diana nacque a Casal di Principe, città antica di camorra, dove la mafia era l’unico “organo di potere” che gli abitanti riconoscevano, dove l’omertà concedeva la dignità. Nel 1968, don Peppe entrò in seminario, si laureò in Filosofia, diventò un capo scout e nel 1982 venne ordinato sacerdote. Il prete aveva studiato a Roma, dove gli aspettava una brillante carriera, lontana dalle vicende del paese dove era nato. Ma d’improvviso decise di tornare indietro e nel 1989 fu ordinato parroco della parrocchia di San Nicola di Bari nella sua città. Don Peppino aveva una grande forza di volontà, iniziò subito a lavorare, realizzando un centro di accoglienza per i primi immigrati africani. Doveva impedire che quelle persone diventassero soldati della camorra. Don Diana non era un prete come tanti, che presenziavano i funerali dei “morti ammazzati” nelle diverse guerre di successione dei boss della camorra, senza nulla dire; che consolavano le moglie ai funerali dei figli assassinati con un semplice “fatevi coraggio”. Il parroco voleva rompere quello stato di cose, voleva porre fine allo strapotere mafioso. Così scrisse un documento nel dicembre 1991, firmato insieme a tutti i parroci delle parrocchie di Casal di Principe, in cui era racchiuso il suo fondamento pastorale con parole di estrema integrità morale, che resero quel documento un testamento spirituale di valori universali. Il suo titolo? “Per amore del mio popolo non tacerò”. Era uno spaccato che descriveva cos’era la camorra, cosa causava e sopratutto era un appello alle istituzioni e ai cristiani. “Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno – scriveva don Diana – Dio ci chiama ad essere profeti. Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18); Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43); Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23); Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5). Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza”.
Le parole e le azioni del prete divennero poi bersaglio dei Casalesi, che non potevano accettare questo smacco. Così lo condannarono a morte.

Giustizia per don Diana

L’assassinio di don Diana fece tanto clamore, come quello di don Pino Puglisi l’anno precedente, che mobilitò migliaia di persone in un corteo che percorreva le strade della città dai cui balconi pendevano lenzuola bianchi in segno di lutto e di protesta. Ventimila erano le persone che scelsero di scendere in piazza e insieme a questi gli scout. Dopo pochi giorni tra le gente circolavano le voci circa il movente dell’omicidio: don Diana fu ucciso per una questione di donne. Ma i carabinieri stroncarono sul nascere questa ipotesi che alla fine si rivelò di natura denigratoria. 
Il movente dell’omicidio del prete di Casal di Principe venne alla luce nel processo di secondo grado e confermato poi in Cassazione il 4 marzo 2004. I giudici ermellini condannarono all’ergastolo come esecutori dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti e come mandante il boss Nunzio De Falco detto “o lupo”, che all’epoca dei fatti era in Spagna, vista la sanguinosa faida che versava tra la sua fazione e quella degli Schiavone. I giudici ribaltarono la sentenza di primo grado ed esclusero l’ipotesi della custodia da parte del prete delle armi dei clan, fatto che aveva scatenato la macchina del fango (con titoli di articoli sul Corriere di Caserta: “Don Diana era un camorrista” e “Don Diana a letto con due donne”). Dalla sentenza di Cassazione emerse senza ombra di dubbio che don Diana fu ucciso per il suo coraggioso impegno di contrasto alla camorra. Ed è per questo motivo che quest’oggi si ricorda Don Peppe per non aver taciuto la verità davanti al potere camorrista e per aver testimoniato fino alla morte l’amore di Cristo, realizzando la solidarietà in una terra ostile. Anche quest’anno il parroco sarà ricordato nella sua città, sarà ricordata la sua lotta per il riscatto della sua terra, il suo essere semplicemente un uomo che con la parola ha sfidato una delle organizzazioni mafiose più potenti al mondo. Sarà ricordato il suo impegno che ancora oggi “cammina sulle nostre gambe”.