Giusto per farVi capire. Perchè l’Islanda vola e noi stiamo nella cacca? Semplice, lì quando volevano far pagare alla Gente il debito delle banche è esplosa la rabbia popolare: 14 settimane di assedio al Parlamento, cacciati i politici compiacenti ed in galera i banchieri responsabili! Mica fessi come noi!

Islanda

 

 

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Giusto per farVi capire. Perchè l’Islanda vola e noi stiamo nella cacca? Semplice, lì quando volevano far pagare alla Gente il debito delle banche è esplosa la rabbia popolare: 14 settimane di assedio al Parlamento, cacciati i politici compiacenti ed in galera i banchieri responsabili! Mica fessi come noi!

ARRIVA DALL’ ISLANDA LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI.

STORIA DELLA RIVOLUZIONE SILENZIOSA ISLANDESE

Tutto inizia nel 2001. Il governo islandese inizia a privatizzare il settore bancario. La mossa avrà la sua conclusione due anni dopo, nel 2003. Le tre banche principali –Landbanki, Kapthing e Glitnir – offrono alti interessi attraverso un programma chiamato IceSave. I soldi iniziano ad arrivare, specie da Inghilterra e Olanda. Fino al 2008 la Borsa islandese sale costantemente, fino a raggiungere il 900 per cento. Il prodotto interno lordo cresce del 5.5 per cento l’anno. Ma crescono anche i debiti delle banche: nel 2007 arrivano al 900% del PIL islandese. Nel 2008, esplode la crisi economica: i cittadini si trovano a dover saldare di tasca propria lo spropositato debito che le banche private hanno contratto con gli investitori stranieri. Un debito non loro.

Olandesi e Inglesi rivogliono i loro soldi, Il governo non ha risorse per aiutare la scellerata insolvenza delle banche, gli istituti di credito falliscono. Per gli islandesi si tratta di un danno enorme: il loro conti corrente si vaporizzano, il valore degli investimenti dei risparmiatori crolla vertiginosamente. una buona parte dei risparmi di una vita degli incolpevoli cittadini svanisce nel nulla. Alla fine del 2008, anche il governo islandese si dichiara insolvente e va in fallimento.

Il governo d’Islanda fa quello che tutti i governi fanno in casi simili: bussa alle porte del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea. Sembra l’unico modo per ripagare i debiti nei confronti degli investitori inglesi e olandesi, che ammontano a 3,5 miliardi di euro. È il gennaio 2009. Per trovare i soldi necessari, il governo studia un prelievo straordinario: ogni cittadino islandese avrebbe dovuto pagare 100 euro al mese per 15 anni, a un tasso di interesse del 5,5% annuo. Il tutto per pagare danni creati da altri: un debito contratto da banche private nei confronti di altri soggetti privati. È a quel punto che la rabbia popolare esplode, i cittadini islandesi scendono in piazza. Non per una breve e sporadica manifestazioncina indolore: ma per ben 14 settimane. Il Parlamento vieneassediato. Il governo senza palle di Geir Haarde viene soverchiato. Chi non ha saputo gestire la crisi e che é stato soltanto capace di prostituirsi agli avidi organismi internazionali, buoni solo a chiedere agli islandesi di pagare per le colpe di altri, é stato deposto. Più che giustamente. In modo pacifico e democratico. Il solo presentarsi in massa alle porte del parlamento per 14 giorni consecutivi  é una intimidazione così forte, é una rappresentazione così gagliarda del volere popolare, che nessuno governo avrebbe potuto sopportare.

Il culmine della protesta si raggiunge il 20 gennaio 2009. La polizia inizia a caricare, lo scontro si fa vivace. Il condottiero morale della rivolta é un cantautore indigeno, dichiaratamente gay, che diventa il simbolo della rivolta. É Hordur Torfason che con il suo carisma aiuta la gente a trovare la forza per non andarsene dalle piazze. Tra freddo polare e manganellate sulle nocche ghiacciate non deve essere stato affatto facile.

Le preoccupanti differenze con l’Italia:

Le nostre manifestazioni durano un giorno e servono solo a mettere a ferro e fuoco la città di turno, la loro é una protesta coordinata, non violenta e duratura. Altra fastidiosa differenza, loro hanno il cantautore gay illuminato, dal carisma di chi sa cosa é una minoranza, uno capace di smuovere un intero popolo con i suoi discorsi, noi invece come cantautori gay abbiamo solo Malgioglio e Tiziano Ferro.

Un Paese freddo ma gaio:

‘ 1 febbraio l’Islanda ha un nuovo governo, guidato da Johanna Sigurdardottir, la prima premier omosessuale nella storia dell’umanità. Il suo primo passo è di indire le elezioni: le vince. Il secondo è di confermare la volontà dell’Islanda di pagare i debiti a Olanda e Inghilterra. Il parlamento dà vita a una norma che contiene una supertassa. È il febbraio 2010 quando il presidente Grimssonsi rifiuta di ratificarla, ascolta la voce della piazza e indice un referendum. La pressione sull’Islanda è alle stelle. Olanda e Inghilterra minacciano di isolare l’Islanda, se sceglierà di non ripagare i debiti. Ma che curiosa minaccia quella di voler isolare un’isola. Il Fondo Monetario Internazionale tuona: “Diventerete la Cuba Del Nord, non avrete più nessun aiuto, sarete isolati”. Grimsson replica pubblicamente “Se avessimo accettato il volere del FMI saremmo diventati la Haiti del Nord,altro che Cuba!”.

La Cuba del Nord:

Il referendum si tiene nel marzo 2010: il 93%dei votanti decide di rischiare di diventare la Cuba del Nord. Il Fondo Monetario congela immediatamente gli aiuti. Il governo risponde mettendo sotto inchiesta i banchieri e i top manager responsabili della crisi finanziaria. L’Interpol emette un mandato di arresto internazionale per l’ex presidente della banca Kaupthing, Einarsson, mentre altri banchieri implicati nel crack fuggono dal paese. É iniziata una nuova era in Islanda. Il popolo coraggioso che si é ribellato a chi si crede padrone del Mondo. É una storia non lontana nello spazio e nel tempo. É una storia più vicina a noi di quanto si pensi. É una storia che i poteri forti hanno insabbiato. Temono che il modello islandese prenda piede in Europa. Grecia e Italia in primis, dato che siamo quelli messi peggio, quelli più esposti agli attacchi speculativi, quelli che, proprio come in Islanda, stanno torchiando con sempre più insostenibili imposte.

Fonte Il corsivo quotidiano

La schifosa TRUFFA di Equitalia (sì, quella che Renzi aveva abolito): si accanisce solo sui più poveri (piccole imprese o gente comune), ma davanti ai grandi evasori (quelli dei paradisi fiscali) perde tutta la sua cattiveria e diventa docile e ubbidiente come un cagnolino…!!!.

 

Equitalia

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La schifosa TRUFFA di Equitalia (sì, quella che Renzi aveva abolito): si accanisce solo sui più poveri (piccole imprese o gente comune), ma davanti ai grandi evasori (quelli dei paradisi fiscali) perde tutta la sua cattiveria e diventa docile e ubbidiente come un cagnolino…!!!

 

Scoperta la TRUFFA di Equitalia che si accanisce solo sui più poveri…

Quando si tratta di piccole imprese o di piccoli risparmiatori, Equitalia è molto inflessibile, subito parte coi pignoramenti, le cartelle esattoriali e tutto il resto.

Quando, invece, si tratta di dover colpire i grandi evasori, quelli che scappano nei paradisi fiscali, quelli che davvero arrecano un forte danno al nostro Stato, Equitalia perde tutta la sua cattiveria.

Infatti, Equitalia, degli oltre 850 milioni spariti nei paradisi fiscali è riuscita a recuperare solo 400.000 €! Oltre 170 milioni già sono stati dati per irrecuperabili!

Così, mentre in Italia Equitalia ha il pugno di ferro, con i grandi evasori che scappano all’estero, il pugno di Equitalia diventa di piuma. E così a rimetterci sono sempre e solo i più poveri!

A pagare sono quelli che per sviste o errori su cifre irrisorie, si ritrovano a pagare more di migliaia di euro, che il più delle volte non possono permettersi nemmeno di pagare. Molti decidono piuttosto di dichiarare fallimento.

Equitalia come sempre si dimostra di essere davvero inutile e, addirittura, dannosa.
Se anche tu sei stufo di tutto ciò, ti chiediamo di aiutarci a diffondere questa notizia che le TV non ti daranno: CONDIVIDI ARTICOLO SU FACEBOOK!

Fonte: Edizione odierna de “La Verità”, pagina 9

via AdessoBasta

La grande truffa del Debito Pubblico. L’Italia in realtà non ha nessun debito pubblico, anzi ha un credito di oltre 1000 miliardi di euro… Perchè i nostri politici, invece di massacrarci di tasse, non fanno valere i nostri diritti?

Debito Pubblico

 

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La grande truffa del Debito Pubblico. L’Italia in realtà non ha nessun debito pubblico, anzi ha un credito di oltre 1000 miliardi di euro… Perchè i nostri politici, invece di massacrarci di tasse, non fanno valere i nostri diritti?

L’Italia in realtà non ha nessun debito pubblico – anzi e’ in credito di oltre 1000 miliardi di euro (IL DEBITO ESISTE Perché è UNA TRUFFA)
Facendo due conti molto semplici potremmo accorgerci di un’anomalia piuttosto bizzarra nel computo del famigerato debito pubblico italiano.
La cosa richiede una certa concentrazione e la ferrea volontà di capire a fondo cosa diavolo sia questo ”debito”, che tutti abbiamo nel groppone, che però nessuno di noi ha mai contratto ma che dobbiamo, per misteriosi motivi, ripagare interamente con le nostre tasche e con il nostro lavoro.
Il debito pubblico non è una cosa da poco in quanto è la causa principale del costante aumento della pressione fiscale nel nostro Paese. Persino nel 2014, anno della ”finta ripresina” con i bluff economici del governo Renzi, le tasse sono aumentate comunque dello 0,2%, arrivando alla soglia record imbattuta del 44% (senza contare le tasse indirette come l’IVA, le accise sui carburanti o le imposte sui beni come il bollo auto, l’IMU, il canone RAI ecc… che fanno schizzare il totale dei balzelli da pagare allo Stato a ben oltre il 68% del proprio guadagno!).
Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire cos’è il debito pubblico e perché aumenta sempre.
Come funziona, economicamente parlando, una Nazione o un Gruppo di Nazioni?
Immagina, per semplicità, che una Nazione sia rappresentabile come una piramide divisa in tre fasce: la punta, in alto, è il Governo. La fascia centrale sono gli ”statali”, ovvero tutti quei soggetti che vengono pagati direttamente dal Governo, mentre la terza fascia (la base della piramide) sono i privati cittadini, le aziende private, i negozi, i commercianti ecc…
Il denaro ”filtra” dall’alto verso il basso, per poi tornare in cima attraverso le tasse.
In altre parole, i soldi, all’interno di una Nazione (o di un gruppo di Nazioni) devono circolare, ovvero devono partire dal punto ”A”, girare di tasca in tasca stimolando la produzione di beni e servizi, e ritornare poi nel punto ”A” per ricominciare il giro.
Il punto ”A” è il posto dove il denaro viene creato dal nulla, oppure riciclato dalle tasse, per essere reimmesso in circolazione: esso prende comunemente il nome di ”Banca Centrale”. In uno Stato ”normale” la Banca Centrale dovrebbe essere di proprietà dei cittadini, ovvero statale.
Facciamo un semplice esempio pratico: al Governo Italiano servono 1000 euro per pagare gli statali. Si fa quindi ”prestare” i 1000 euro dalla Banca Centrale e li immette nel sistema pagando insegnanti, impiegati, medici ecc…
Gli statali spenderanno, successivamente, quei 1000 euro acquistando beni e servizi dalla base della piramide, cioè dai privati cittadini, che sono gli unici soggetti in grado di creare ricchezza vera nel Paese; faranno la spesa, andranno dal barbiere, si compreranno da vestire ecc… Così facendo, però, la massa monetaria totale circolante della base (cioè dei privati) aumenterà di 1000 euro generando un rischio di inflazione. Il governo interverrà quindi con le tasse, recuperando dai privati, l’anno successivo, quei 1000 euro immessi nel sistema e restituendoli alla Banca Centrale, annullando così di fatto il debito contratto l’anno prima. E, a questo punto, il ciclo può ricominciare e la Banca Centrale può riprestare i soldi al Governo!
Semplice, no?
Ma, c’è un ma (anzi, due) grandi come una casa che rovinano di fatto questo efficiente meccanismo di creazione/sparizione del denaro: gli interessi sull’emissione di nuova moneta e la proprietà della Banca Centrale.
Nella realtà, infatti, la Banca Centrale NON E’ di proprietà dei cittadini ma è di fatto un ente PRIVATO, di proprietà del sistema bancario, con diverse quote (preferiamo non scendere nei dettagli per non creare confusione. Scrivi B.C.E. su Wikipedia e capirai da te!).
Cosa accade quindi, VERAMENTE, quando un Governo ha bisogno di soldi per pagare gli statali? Attenzione perché l’imbroglio è tutto qui, ed è anche molto semplice da capire, se spiegato bene.
Quando il Governo italiano ha bisogno di denaro per pagare i servizi statali DEVE rivolgersi al sistema bancario PRIVATO e farseli prestare, non potendo esso CREARSI IL DENARO DA SE in quanto ha ceduto (senza il consenso dei cittadini) la facoltà di battere moneta alla B.C.E., e quindi al sistema bancario privato europeo a cui la B.C.E. appartiene.
Il problema sono GLI INTERESSI sul prestito, che NON DOVREBBERO ESISTERE perché MATEMATICAMENTE IMPAGABILI.
Facciamo l’esempio di prima, riveduto e corretto con ciò che accade realmente oggi:
L’Italia ha bisogno di 1000 euro per pagare gli statali. Chiede quindi un prestito ad una banca privata, che glielo concede con un 5% di interessi. Il Governo prende i 1000 euro, paga gli statali i quali spendono il denaro presso i privati facendo aumentare la massa monetaria dei privati di 1000 euro.
L’anno dopo, però, il Governo si trova di fronte ad un problemino matematicamente irrisolvibile: non deve restituire 1000 euro, ma 1050, ovvero i 1000 che si è fatto prestare l’anno prima + i 50 di interessi.
Quei 50 euro in più, però, non esistono perché non sono mai stati creati! Se ricordi bene, la banca che ha prestato allo Stato 1000 euro ne ha creati solo 1000 ed il Governo italiano non può battere moneta, creando quei 50 euro in più, perché ha ceduto la propria sovranità monetaria.
Cosa fare allora? Le soluzioni sono solamente 2!
1) Se lo stato ha un’economia avviata, come aveva l’Italia fino a qualche anno fa, può andare a prendere quei 50 euro dalle tasche dei privati cittadini aumentando le tasse ed impoverendoli un po’. Infatti, nei numeri, lo Stato ha IMMESSO 1000 euro nel sistema e ne ha prelevati 1050. Il debito viene saldato, ma la massa monetaria totale circolante cala.
2) Se le tasse sono già elevate, il Governo può FARSI PRESTARE dal sistema bancario PRIVATO nuovo denaro (carico anch’esso di interessi che non esistono) per pagare gli interessi dell’anno precedente ed aumentando così debito pubblico.
Insomma, per farla breve, se all’atto dell’emissione di nuova moneta essa viene prestata ad uno Stato con degli interessi allegati, quello Stato sarà costretto ad aumentare le tasse o ad aumentare il debito pubblico. Non se ne scappa! E’ matematico.
L’interesse sull’emissione di moneta è IL MALE ASSOLUTO DELLA NOSTRA ECONOMIA! Esso non è INDISPENSABILE, anzi non serve proprio a nulla! Ri-anzi, è dannoso e mette le Nazioni in ginocchio di fronte al sistema bancario perché, ovviamente, sono indebitate e impossibilitate a saldare il tutto! Ecco che le banche possono dettar legge sugli Stati schiavi, di fatto, di un debito artificiale ottenuto anche grazie all’aiuto di un Governo complice che non si sogna nemmeno di mettere in discussione il sistema!
L’Italia ha pagato, dal 1980 ad oggi, oltre 3000 miliardi di euro DI SOLI INTERESSI! Il Debito Pubblico italiano è di 2000 miliardi. Se iniziassimo a considerare ILLEGALI gli interessi sull’emissione di nuova moneta (semplicemente perché IMPAGABILI, frutto di un’evidente TRUFFA volta a rendere uno Stato INSOLVENTE e quindi RICATTABILE), ci accorgeremmo che non solo abbiamo GIA’ PAGATO TUTTO IL NOSTRO DEBITO, ma che siamo addirittura IN CREDITO DI 1000 miliardi dal sistema bancario privato!
Basterebbe un semplice cambio di paradigma, guardando la cosa dal lato giusto!
Se non hai afferrato il concetto, ascoltati questo breve video di Salvo Mandarà che spiega esattamente quello che abbiamo scritto qui sopra, ma con altre parole:
tratto da: http://www.stopeuro.org/litalia-in-realta-non-ha-nessun-debito-pubblico-anzi-e-in-credito-di-oltre-1000-miliardi-di-euro-il-debito-esiste-perche-e-una-truffa/

Incredibile – l’Inps chiede indietro i soldi dell’Alluvione del ’94. Basterebbe un semplice emendamento per porre fine a questo scempio, ma “loro” gli emendamenti li fanno solo per i cazzi propri!

Alluvione

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Incredibile – l’Inps chiede indietro i soldi dell’Alluvione del ’94. Basterebbe un semplice emendamento per porre fine a questo scempio, ma “loro” gli emendamenti li fanno solo per i cazzi propri!

«Basterebbe un emendamento, qualche riga allegata alle legge finanziaria, per chiudere questa incredibile battaglia tra le imprese alluvionate nel ’94 e l’Inps»

…E allora eccoli gli ultimi emendamenti:

In Parlamento si discute sulla regolamentazione dei Vitalizi – Ed ecco l’emendamento (subito approvato) sulla reversibilità proposto da Gasparini (Pd, ovviamente): “Ingiusto che i congiunti dei parlamentari finiscano a fare la sguattera o il giardiniere”

Il Pd di Renzi, l’apoteosi della CASTA, cerca di arraffare quanto più possibile prima che i 5stelle vadano al Governo – Nella “Manovrina” ecco l’emendamento per ripristina doppi incarichi per 143mila politici locali, vietati dal 2012…!

È ufficiale – I grandi economisti del nostro Governo colpiscono ancora: manovra, autovelox come bancomat. Passa l’emendamento che massacrare la Gente di multe per coprire buchi di bilancio dei Comuni!

Basterebbe un emendamento?

Che ingenui, lo vedete che gli emendamenti li fanno solo quando sono cazzi loro!

Alluvione ’94: “E’ incredibile che l’Inps richieda indietro quei soldi”

«Basterebbe un emendamento, qualche riga allegata alle legge finanziaria, per chiudere questa incredibile battaglia tra le imprese alluvionate nel ’94 e l’Inps». Ne è certo Luca Matteja, il portavoce del «Comitato Imprese Alluvionate Piemonte 1994» che oggi lunedì 29 maggio dalle 17,30, si riunirà nella sala consiglio della Provincia di Asti. Matteja, al fianco di centinaia di imprenditori piemontesi, vorrebbe che «si riconoscesse un diritto già scritto nelle leggi dello Stato». Oggi ad Asti, ad ascoltare questa richiesta d’aiuto ci saranno anche gli onorevoli e senatori piemontesi, di tutto l’arco costituzionale, Mauro Marino, Cristina Bargero, Mariano Robino, Mino Taricco e Massimo Fiorio. «Chiederemo loro di fare pressione al governo per chiudere questa partita una volta per tutte».

Nel ’94 il Piemonte viene alluvionato e gli imprenditori, che non sanno della norma sgravio appena varata, pagano tutto il dovuto all’Istituto. «In realtà i piemontesi avrebbero dovuto pagare il 10% di quelle somme ed allora la legge stabilisce che va restituito loro il 90% di quanto pagato per il triennio che ’95/‘97» spiega Matteja.

La battaglia da politica diventa legale con L’Inps che porta gli imprenditori in tribunale chiedendo loro di restituire le somme ottenute. Mentre davanti alla magistratura piemontese si dibattono i singoli ricorsi lo Stato vara un’altra norma, siamo nel 2007, che fissa come termine ultimo per la formalizzazione della richiesta di sgravio il 31 luglio di quell’anno e non il 2013, 10 anni esatti dopo la norma che concede i rimborsi datata 2003. «L’Inps non vuole pagare – aggiunge Luca Matteja – allora cita tutti i richiedenti piemontesi in giudizio e qui inizia il cortocircuito». Si passa per i tre gradi di giudizio, sino a quando un giudice di Cuneo non chiede il parere dell’Ue. Questa spiega che sì, quegli sgravi sono aiuti di Stato, ma si riferiscono ad eventi così indietro nel tempo da non aver senso bloccare. La corte di Cassazione, però, decide di rimandare i vari processi in corte d’Appello a Torino chiedendo ai giudici di verificare se lo sgravio incassato non è superiore al danno.

Luigi Florio, avvocato astigiano che ha rappresentato alcune imprese in questa battaglia legale con l’Inps, ha deciso di scrivere una lettera al ministro della Affari Regionali Enrico Costa. Una missiva dai toni cordiali che fotografa la preoccupazione di più di un imprenditore piemontese che lunedì sarà in Provincia per testimoniare questo iter processuale iniziato 10 anni fa e che pare non avere ancora una possibile fine.

 

fonte: http://www.lastampa.it/2017/05/29/edizioni/asti/alluvione-e-incredibile-che-linps-richieda-indietro-quei-soldi-HS00VFojbdKFM1W5N3XQ1K/pagina.html

Diceva un fesso che in questi giorni stiamo ricordando “segui i soldi e troverai la mafia”… Così semplice, ma nessuno capisce. Per esempio l’Isis: incassa 3 mln al giorno per la vendita di petrolio di contrabbando (anche in Europa). Sarebbe semplice bloccare questo flusso per stroncarla, ma…

soldi

 

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Diceva un fesso che in questi giorni stiamo ricordando “segui i soldi e troverai la mafia”… Così semplice, ma nessuno capisce. Per esempio l’Isis: incassa 3 mln al giorno per la vendita di petrolio di contrabbando (anche in Europa). Sarebbe semplice bloccare questo flusso per stroncarla, ma…

 

“L’Isis vende petrolio anche agli europei”
Secondo l’ambasciatrice Ue in Iraq alcuni paesi dell’Unione avrebbero comprato greggio contrabbandato. Dal traffico il Califfato guadagna oltre 3 milioni di dollari al giorno.

Mentre con straordinaria consapevolezza cinematica la coalizione di trenta paesi comincia a bombardare l’Is (Islamic State, come loro si chiamano, Isis come si chiamavano prima e come li chiama ancora chi non vuole riconoscere il loro pseudo stato, Daish come lo chiamano i nemici con un improvvisato acronimo arabo, il Califfato come s’intitolerebbe se fosse un serial tv…) si dice “pronta a tutto per fermarli”. Viene da chiedersi se è proprio così. All’inizio di settembre un alto funzionario europeo ha ammesso che alcuni (non specificati) paesi europei hanno comprato petrolio dall’Is.

Nel prequel della storia, l’allora Isis era armato e aiutato da molti paesi occidentali, dalla Turchia e dai paesi del Golfo. Paul Pillar ha appena spiegato su nationalinterst.org una verità che è stata a lungo davanti agli occhi di chi voleva vedere: che i soldi e le armi inviati a quella fantomatica ed elusiva entità nota come “I ribelli siriani moderati”, finivano immancabilmente nelle mani degli estremisti. Pillar, veterano della Cia e membro della Brooking Institution, ha scritto con grande realismo riguardo all’atteggiamento dell’amministrazione americana: “Non c’è modo di quadrare il cerchio sconfiggendo l’Isis senza aiutare di fatto quello stesso regime siriano che vorremmo abbattere”.

Così ieri è partita la distruzione dell’Is, ma per davvero? Difficilmente i bombardamenti da soli riusciranno a cancellare il regno islamico del Califfo. Servirebbero le truppe di terra ma quelle nessuno vuole mandarle: troppi soldi da sborsare in tempi di crisi cronica, troppe bare da accogliere in tempi di governi impopolari. E poi il ventre molle del “mostro” Is non è la forza militare, è il suo tesoro. Secondo uno studio dell’Iraq Energy Institute il Califfo vende il petrolio dei pozzi confiscati in Siria e in Iraq per 40 dollari al barile al mercato nero. Con 30 mila barili di petrolio al giorno in Iraq e 50 mila in Siria, guadagna 1,2 milioni di dollari al giorno nel primo caso e 2 nel secondo. Fa 97 milioni al mese a cui si devono aggiungere i proventi delle tasse e del pizzo prelevato dalle attività produttive all’interno del Califfato e il grande fiume di dollari che arriva dai finanziatori privati nei paesi del Golfo e probabilmente dalla Turchia.

Colpire il tesoro dell’Is, (“follow the money”) sarebbe probabilmente meno spettacolare dei bombardamenti ma più efficace nell’indebolire gli estremisti, che appartengono alla stessa scuola teologica islamica dell’Arabia Saudita. Gli americani su queste cose li immaginiamo fulminei ed efficienti come in un romanzo di Tom Clancy, e invece vanno al rallentatore. Il New York Times qualche giorno fa raccontava le difficoltà dei funzionari dell’amministrazione Obama nel convincere la Turchia, partner Nato, a smantellare il network del contrabbando di greggio.

Ma dall’Europa sulla testa dell’Is non arrivano soltanto bombe, piovono anche soldi. La signora Jana Hybášková, ceka, ambasciatrice europea in Iraq, ha detto all’inizio di settembre durante un briefing della Commissione Affari Esteri del parlamento europeo che “alcuni paesi europei hanno comprato petrolio dall’Isis”. L’ambasciatrice non ha voluto precisare a quali paesi si riferisse. Dietro al traffico rispunta il nome della Turchia che ospiterebbe la principale rete di contrabbando ma anche quelli della Giordania e del Kurdistan iracheno, peraltro molto legato ad Ankara.

L’alternativa agli F-35? C’è, ma è tabù: l’Italianissima Alenia produce caccia leggeri molto più utili ed economici. Ma i nostri politici imbarazzati, inetti, servili e lecchini non darebbero mai un dispiacere ai padroni Americani!

 

F-35

 

 

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L’alternativa agli F-35? C’è, ma è tabù: l’Italianissima Alenia produce caccia leggeri molto più utili ed economici. Ma i nostri politici imbarazzati, inetti, servili e lecchini non darebbero mai un dispiacere ai padroni Americani!

 

Premesso che spendere (o meglio buttare) soldi in armi dopo che hanno tagliato scuola, sanità e sociale non è solo superfluo, ma da idioti, incoscienti e incapaci (ma i nostri politici sono questo e altro). Ciò premesso, se proprio dobbiamo spenderli (o meglio buttarli) ‘sti benedetti soldi, perchè non destinarli ad un prodotto ITALIANO (aiutando così la nostra economia) che peraltro è più utile di questi F35 che si sono dimostrati un vero e proprio bidone?

No, eh. Il padrone Americano non ce lo consente!

L’alternativa agli F-35 ci sarebbe, ma è tabù: Alenia produce un caccia leggero più utile ed economico, ma non si può dire

La scorsa settimana a Torino-Caselle, in occasione della consegna all’Aeronautica Militare del 500° Eurofighter Typhoon prodotto, Leonardo ha presentato senza clamore la sua ultima creatura, l’M-346 FA (Fighter Aircraft): un cacciabombardiere leggero dotato di armamento completo e sistemi avionici avanzatissimi.

Fonti interne di Alenia (oggi Leonardo Divisione Velivoli) spiegano al Fatto Quotidiano che quest’ultima evoluzione dell’M-346 frutto delle richieste del mercato internazionale, avrebbe ottime opportunità anche sul mercato italiano come successore ideale dell’Amx Ghibli. Un ipotesi del tutto teorica, spiegano, vista la scelta di sostituire gli Amx con gli F-35. Scelta opinabile non solo dal punto di vista economico (l’F-35 costa almeno quattro volte tanto l’M-346) ma soprattutto tecnico, poichè l’aereo americano è una macchina di tipo completamente diverso all’Amx.

L’F-35 è infatti un bombardiere pesante strategico pensato 20 anni faper guerre con potenze come Russia o Cina (che oggi tra l’altro, sarebbero perfettamente in grado di intercettarlo e abbatterlo) mentre Amx e M-346 sono aerei da attacco leggero ideali in conflitti asimmettrici come Libia e Afghanistan e per operazioni Coin e Cas, ovvero di anti guerriglia e supporto aereo alle truppe, cioè quelle solitamente condotte dalla nostra Aeronautica Militare.
La fonte di Leonardo spiega che l’ipotesi di sostituire gli Amx con gli M-346 in versione di attacco, invece che con gli F-35, è talmente fuori discussione a livello politico da non essere mai stata oggetto di studi, documenti e discussioni ufficiali, un vero e proprio tabù di cui non si può parlare pubblicamente: chi lo ha infranto ne ha pagato le conseguenze.
Il RIFERIMENTO è all’ex Direttore delle operazioni di volo Alenia, Marco Venanzetti che nel 2015 fece un accenno a proposito, in un intervista britannica di settore. Niente e nessuno deve interferire con la suprema decisione di spendere 14 miliardi per 90 F-35: non l’esistenza di alternative più sensate ed economiche, non gli svantaggi per l’industria aeronautica nazionale (denunciati nel 2013 dall’e AD Finmeccanica Alessandro Pansa), non le dure critiche di ex generali dell’Aeronautica (che in un documento riservato del 2014 giudicavano il programma F-35 SPROPORZIONATO per l’Italia), non i report ufficiali che continuano a denunciare i difetti strutturali del velivolo (clamoroso l’ultimo del Pentagono, riportato sul sito dell’Osservatorio MILEX sulle spese militari italiane), non il Parlamento che nel 2014 votò il dimezzamento di questa spesa.

Per non gettare al vento questa spesa di 3,6 miliardi che l’Italia ha già investito nel programma F-35, CON RICADUTE ECONOMICHE E OCCUPAZIONI decisamente inferiori alle aspettative, avrebbe senso completare l’acquisizione già avviata di 15 aerei (8 già comprati e 7 opzionati con versamenti in acconto), buoni per comporre un gruppodi volo dell’aeronautica, e comprare più avanti (a prezzi migliori) i 15 F-35B necessari a sostituire gli Harrier della Marina.
Per rimpiazzare i 68 tornado oggi in servizio, si potrà contare su altrettanti Typhoon T2 e T3 “swuing role”, ancora in consegna, oltre che sui suddetti 15 F-35A; mentre per sostituire i 42 Amx oggi in linea (più 10 di addestramento) sarebbe logico e conveniente puntare sugli M-346 FA invece di spendere altri 6,5 miliardi per altri 60 F-35.

tratto da: http://www.lonesto.it/?p=27263

Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Islanda

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Ci hanno tolto dalle tasche 31 miliardi per salvare Mps & C. ed altri 17 per le banche venete… E siamo nella merda fino al collo. In Islanda, invece, dove hanno politici onesti e capaci, prima hanno sbattuto in galera i banchieri che hanno provocato la crisi, poi hanno rimborsano i cittadini con i soldi ricavati vendendo una banca !!

 

Il conto del salvataggio “31 miliardi alle banche”

Il costo del salvatggio delle banche in crisi arriva a 31 miliardi di euro. E adesso anche quelle venete sono sull’orlo del fallimento

Come ricostruisce su LaStampa Stefano Caselli, docente di economia in Bocconi, sarebbe questo il conto monstre da pagare per eviatre un vero e proprio collasso. I numeri per il momento restano provvisori. Di fatto la valanga è cominciata nel 2015 con un intervento mirato per salvare 4 piccoli istituti del Centro Italia. Il primo caso riguarda però Mps. Il salvataggio è costato 8,8 miliardi, soldi questi pagati dai contribuenti e da alcuni investitori. Poi i 5,3 miliardi per salvare Banca Marche, Etruira, CariFerrara e CariChieti, poi acquistate da Ubi Banca e Bper. A questo caso si aggiunge anche la grande crisi delle banche venete. E anche lì il fondo statale ha aperto i rubinetti con 3,5 miliardi di euro. Fondo che però non è bastato e adesso gli istituti di fatto si trovano sull’orlo del fallimento. Adesso è facile da dire – dice Caselli a LaStampa-. Di certo il tema della vendita dei crediti non performanti è stato sottostimato. Forse la nostra presenza a Bruxelles non è stata così decisiva. Ma che si dovesse intervenire con soldi pubblici io come altri osservatori lo sosteniamo da anni”.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/conto-salvataggio-31-miliardi-banche-1412782.html

A questi si sono poi aggiunti 17 e forse più miliardi per salvare le banche venete….

E in Islanda, invece, come hanno fatto…?

DI CLAIRE BERNISH – theantimedia.org

Per cominciare l’Islanda ha sbattuto in galera i banchieri corrotti per il loro diretto coinvolgimento nella crisi finanziaria del 2008.

Ora tutti gli Islandesi riceveranno una rendita dalla vendita di una delle tre più grandi banche d’Islanda, Islandbanki.

Se il Ministro delle Finanze Bjarni Benediktsson riuscirà nel suo intento – e probabilmente ce la farà – gli Islandesi riceveranno 30.000 corone dopo che il governo prenderà possesso della banca. Islandbanki diventerà la seconda delle tre più grandi banche sotto il controllo dello stato.

“Sto semplicemente dicendo che il governo prenderà una data porzione, il 5%, e semplicemente la distribuirà alla gente di questa nazione”, ha affermato.

Dato che gli Islandesi hanno preso il controllo del loro Governo, effettivamente controllano le banche. Benediktsson crede che ciò porterà capitale straniero nella nazione e infine spingerà l’economia – la quale, tra l’altro, è l’unica ad essersi totalmente ripresa dalla crisi del 2008. L’Islanda è persino riuscita a ripagare in toto il suo enorme debito al FMI – in anticipo rispetto alla data prevista.

Guðlaugur Þór Þórðarson, vicecapo della Commissione sul Budget, ha spiegato che questa manovra faciliterà l’alleggerimento del controllo dei capitali, benché non fosse convinto che il controllo statale fosse la soluzione più ideale. L’ex Ministro delle Finanze Steingrìmur J. Sigfùsson è dalla parte di Þórðarson, sostenendo in uno show radio “non dovremmo lasciare le banche nelle mani di folli” e che l’Islanda beneficerà da un cambio di vedute separando “le banche commerciali da quelle d’investimento”.

I piani non sono ancora stati preparati con precisione per quando avverranno la presa di possesso e il conseguente pagamento a tutti i cittadini, ma l’approccio rivoluzionario dell’Islanda al crollo finanziario mondiale del 2008 di certo merita tutta l’attenzione che si è guadagnato.

L’Islanda ha di recente sbattuto in galera il suo ventiseiesimo banchiere – 74 anni di detenzione sommando tutte le pene comminate – per aver causato il caos finanziario. I banchieri criminali statunitensi sono stati ricompensati per le loro frodi e le manipolazioni del mercato con un enorme salvataggio a spese dei contribuenti.

Claire Bernish

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Fonte: http://theantimedia.org/

 

 

Ricordate sempre che la Brexit doveva essere la catastrofe per il Regno Unito? Allora leggete quest’altra: l’Euro scaricato da 80 banche centrali di tutto il mondo, meglio la Sterlina!

Brexit

 

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LONDRA – E’ passato quasi un anno da quando gli elettori britannici hanno deciso di uscire dalla UE e tale decisione, lungi dal danneggiare l’economica britannica, l’ha rafforzata enormemente visto che ha tassi di crescita che i paesi dell’eurozona possono solo sognare. La crescita del Pil del Regno Unito per il 2017 è prevista vicinissima al 2%, contro la migliore della zona euto, quella tedesca, che non ci arriverà neppure per sbaglio. Al massimo, la Germania segnerà un +1,7%. Per non dire dell’indice di crescita dei consumi, che è balzato a +3% con in testa il mercato automobilistico in crescita di quasi il 4%.

Ma se tutto questo non bastasse per spiegare che la Brexit è la chiave di volta di una crescita senza precedenti dell’economia e della società britannica, adesso un’altra notizia conferma la forza e la resilienza del Regno Unito. Una notizia che non farà piacere a chi “ama” l’euro.

Nei giorni scorsi il Financial Time ha pubblicato un sondaggio fatto dal colosso bancario multinazionale HSBC e dalla rivista delle banche centrali Central Banking il quale rivela che ben 80 banche centrali a livello mondiale stanno riducendo la loro esposizione in euro e aumentando quella in sterline.

I motivi dell’abbandono dell’euro sono da ricercarsi nei tassi d’interesse negativi legale alle politiche di quantitative easing della BCE, nella bassa crescita delle economie dell’eurozona e nell’instabilita’ politica della stessa.

Il fatto che il governo britannico abbia avviato le negoziazioni per uscire dalla UE non ha affatto influito sulle decisione dei banchieri centrali, i quali vedono nella Gran Bretagna una nazione e un mercato con ottime prospettive di lungo periodo e come alternativa migliore all’area euro.

Il 71% degli intervistati ha dichiarato che le sterlina e’ un investimento attraente nel lungo periodo e anzi per loro la Brexit significa avere un’opportunita’ in piu’ per diversificare i loro investimenti.

Questa rivelazione e’ importantissima visto che gli intervistati gestiscono qualcosa come l’equivalente di 6mila miliardi di euro di riserve e quindi la loro opinione molto negativa sull’euro dovrebbe far tacere tutti coloro che si ostinano a difendere la moneta unica nonostante i suoi fallimenti.

Tale sondaggio spiega il recente aumento della sterlina sull’euro che si e’ rivalutata del 2,63% e nei prossimi mesi non sono da escludere altre sorprese specie se la Grecia dichiarerà il default sui prestiti fatti dalla troika.

Questa notizia e’ stata riportata dal Financial Times, da Russia Today e da qualche altro blog finanziario ma e’ stata completamente censurata in Italia perche’ sarebbe parecchio scomoda per la nostra classe politica che vuole far credere agli italiani che l’euro sia stato un enorme successo.

Noi ovviamente non ci stiamo e abbiamo riportato questa notizia perche’ vogliamo che gli italiani sappiano la verita’.

fonti:

http://www.wallstreetitalia.com/euro-scaricato-da-80-banche-centrali-meglio-la-sterlina/

http://www.ilnord.it/c-5254_NOTIZIA_BOMBA_CENSURATA_IN_ITALIA_80_BANCHE_CENTRALI_DI_TUTTO_IL_MONDO_IN_FUGA_DALLEURO_SOSTITUITO_DALLA_STERLINA

Da Londra una lezione di civiltà: la banca fallisce? Il manager va in galera. Proprio come da noi…

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Da Londra una lezione di civiltà: la banca fallisce? Il manager va in galera. Proprio come da noi…

 

È entrata in vigore, in Gran Bretagna, la legge che prevede il carcere per i banchieri che provocano il fallimentodelle loro società con comportamenti scorretti. Fortemente voluta dal Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, la nuova legge vuole dimostrare che «il governo ha appreso la lezione del passato».

PER IL FALLIMENTO DELLA BANCA, MAXIMULTA A CARCERE FINO A 7 ANNI

 La legge, che riguarda i top manager di istituti di credito e banche di investimento, punisce tutte quelle condotte, come la sbagliata gestione del rischio, che anche “solo” per negligenza portano a perdite mettendo a rischio l’impresa e, soprattutto, i suoi clienti. Per i casi più gravi sono previste una pena fino a sette anni di carcere e multe senza limiti che potranno essere attinte anche dai bonus e dagli stipendi.

OSBORNE: «GIUSTO IL CARCERE PER IL TOP MANAGER COLPEVOLE»

Il conservatore Osborne ha parlato della nuova legge come dell’«ultima pietra miliare nel mio piano per garantire che il sistema delle banche britannico operi ai più alti standard possibili». «È assolutamente corretto che un senior manager che con le sue azioni provoca il fallimento della sua banca affronti il carcere», ha rivendicato il Cancelliere dello Scacchiere, che ormai tempo fa paragonò i manager che provocano il fallimento di una banca ai ladri. «È sbagliato che le persone che rubano in un negozio siano messe in galera e che ai cattivi banchieri, invece, non sia chiesto di pagare il conto», disse il Cancelliere, lanciando la campagna che poi avrebbe portato all’approvazione della legge.

Fonte: Secolo d’Italia

L’Italia con la Lira era una delle prime potenze mondiali. La Germania ci stava dietro, ma ci ha sorpassati grazie all’Euro… Ecco tutta la verità…

 

Lira

 

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L’Italia con la Lira era una delle prime potenze mondiali. La Germania ci stava dietro, ma ci ha sorpassati grazie all’Euro… Ecco tutta la verità…

 

Così Paolo Becchi smaschera i tedeschi: “Così con la Lira li rovinavamo”…!

Secondo molti economisti l’ euro fu costruito sulla base di due principi : la stabilità dei prezzi che assieme all’ equilibrio di bilancio avrebbe dovuto favorire la crescita economica e l’ idea che l’ adozione di una moneta unica avrebbe contribuito alla convergenza della crescita nei diversi Paesi che l’ avessero adottata e del reddito pro-capite. Non vi è dubbio che questi siano i principi “liberisti”, per dare loro la caratterizzazione ideologica che li contraddistingue, posti a fondamento del Trattato di Maastricht, ma sono economicamente validi?

Innanzitutto occorre sottolineare che non c’ è una correlazione positiva tra equilibrio di bilancio e crescita. I principi di Maastricht si fondano su un presupposto che non trova riscontro nell’ analisi economica, ovvero che ridotti livelli di deficit sul Pil aiutino la crescita. Basti pensare a come è stato individuato il criterio del limite del 3% sul Pil, deciso «in meno di un’ ora e senza nessuna base teorica», come racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille. Quel parametro del 3% è stato del resto ampiamente contestato. In secondo luogo va osservato che con la lira il reddito procapite dal 1968-1998 era cresciuto del 104%. Dal 1999 (anno in cui viene fissato il cambio irreversibile con l’ euro di 1936,27 lire), al 2016 è invece calato dello 0,75%.

Non è su questo che intendo insistere dal momento che oggi molti ammettono che nessuno di questi due principi si è realizzato. Ma allora è lecito chiedersi: perché quei principi dovevano essere giusti se in pratica sono stati così clamorosamente smentiti dai fatti? L’ idea che spesso si avanza è che i principi fossero buoni e i cattivi siamo stati noi italiani, che non siamo stati abbastanza bravi ad applicarli. Ora, se con il cambio fisso un Paese rinuncia all’ opzione della svalutazione, ci deve essere una contropartita in termini di redistribuzione fiscale. Se questa viene a mancare non c’ è nulla in caso di crisi che possa impedirgli di subire un tracollo che porterà, alla fine, all’ emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame. Sono cose nella letteratura ampiamente ribadite da validi economisti che mettevano in discussione il modo in cui si intendeva procedere all’ introduzione della moneta unica. E invece abbiamo condiviso la moneta ma non il debito, e questo ci è costato circa 35 miliardi di euro all’ anno.

Se noi oggi ci troviamo con la povertà crescente questo è dovuto proprio alla costruzione dell’ euro. Per molti invece la colpa continua ad essere non dell’ euro, ma del fatto che noi italiani non siamo stati in grado di accettare le «nuove sfide poste dalla globalizzazione». Mettiamo banalmente a confronto la produzione industriale dell’ Italia e della Germania, prima e dopo l’ introduzione della moneta unica. Prima l’ Italia aveva una produzione industriale superiore a quella tedesca e in crescita tra gli anni 1992-1995, proprio grazie alla svalutazione della lira. Dopo l’ euro, dal 2002 in poi, inizia il sorpasso della Germania nei confronti dell’ Italia, e il meccanismo è dovuto ai differenziali di inflazione più bassi della Germania con i quali ha acquisito competitività rispetto alle nostre merci. L’ Italia nei primi anni dell’ euro aveva un’ inflazione più alta della Germania, e impossibilitata ad operare una svalutazione del cambio, che le avrebbe consentito di recuperare il terreno perduto nei confronti della produzione industriale tedesca, ha cominciato il suo declino industriale. Prima dell’ euro eravamo superiori alla Germania, dopo l’ euro ha prevalso invece la Germania che ha sfruttato una moneta fortemente sottovalutata. Mi pare dunque evidente che sia proprio la fissità del cambio ad aver prodotto i problemi che abbiamo oggi.

Ritornando alla lira potremmo svalutare la nostra moneta, e dunque tornare ad essere competitivi, ma ecco pronta la replica: svalutando crescerà l’ inflazione. Vale forse la pena soffermarsi su questo punto. La svalutazione è un deprezzamento del tasso di cambio nominale verso un’ altra valuta; l’ inflazione è l’ aumento annuale di un determinato paniere di beni scelto dall’ Istat come riferimento. È una fake non più tanto news sostenere che il deprezzamento dell’ uno (il cambio) porti all’incremento dell’ altra (l’ inflazione). Non c’ è nessuna evidenza empirica che dimostri che una svalutazione del cambio comporti necessariamente un aumento dell’ inflazione. A questo proposito basta citare la svalutazione della lira verso il marco del 1992, quando era legata ancora allo Sme, l’ accordo di cambi fissi dell’ epoca. Prima del 1992 il cambio fisso era di 750 lire per marco; dal 1992 al 1995 la lira svaluta del 50% verso il marco, ma l’ inflazione addirittura scende dal 5,2% del 1992 al 4,1% del 1994, per poi ritornare al 5,2% del 1995. Come si vede la svalutazione di per sé non ha prodotto l’ incremento dei prezzi e lo stesso può dirsi anche per la svalutazione giapponese del 2012 o quelle di Gran Bretagna e Svezia del 2008.

Su quella svalutazione della lira rispetto al marco è davvero illuminante un discorso tenuto al parlamento tedesco nel 1998 da Ingrid Matthäus-Maier, ai tempi responsabile della politica fiscale della SPD: «Dobbiamo spiegare ai cittadini l’ euro in maniera più comprensibile. Mi ricordo di un caso nel mio collegio elettorale nel 1994. Pochi giorni dopo la svalutazione della lira stavo visitando l’ acciaieria Klöckner -Mannstaedt. Il morale era terra. Dobbiamo licenziare lavoratori, mi dicevano. La lira è andata giù. Cinque giorni dopo gli italiani avevano cancellato tutti gli ordini a quest’ acciaieria tedesca. A causa della svalutazione della lira avrebbero dovuto pagare le fatture in marchi, per farlo servivano molte più lire di quante non sarebbero state necessarie prima. In seguito hanno deciso di spostare tutti gli ordini verso altri paesi. Questi esempi concreti ci mostrano che le turbolenze valutarie sono pericolose anche per il nostro Paese. Per questa ragione l’ euro è una buona cosa, soprattutto per noi». Effettivamente qui la spiegazione dei vantaggi dell’ euro per i tedeschi è chiarissima. Il cambio fisso ci ha sempre danneggiato, con l’ euro ci sta distruggendo.