Salvini lo smemorato: si dimentica del 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana. E quando se ne ricorda, con sole 2 righe su twitter e solo alle 16:00, dimentica che è stata una strage fascista!

 

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Salvini lo smemorato: si dimentica del 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana. E quando se ne ricorda, con sole 2 righe su twitter e solo alle 16:00, dimentica che è stata una strage fascista!

Salvini non si è sforzato più di tanto nel 50° anniversario della Strage di Piazza Fontana.

Lui, un re della tastiera, uno stacanovista dei social, un commentatore instancabile, si è completamente dimentico di Piazza Fontana…

Solo alle ore 16,00 del giorno del 50esimo anniversario dell’attentato più importante della storia dell’Italia post-fascismo, quello che ha dato il via ai cosiddetti “anni di piombo”, a Salvini è tornata la memoria.

Ma non del tutto. Scrive un laconico: “Mai più sangue, odio, violenza. Custodire la memoria del passato per costruire un futuro migliore. Onore a tutti i morti innocenti di Piazza Fontana”.

Una frase di prassi, essenziale, solo perchè forse qualcuno gli ha fatto notare che doveva pur scrivere qualcosa.

Ma il nostro “smemorato” dimentica la cosa più importante: che Piazza Fontana è stata UNA STRAGE FASCISTA…!

Ma guai a condannare i fascisti. Non dimentichiamo che il 90% del suo elettorato vieme dalle fogne del fascismo…

Quanta ipocrisia in due sole righe. Non solo si evita accuratamente di condannare i fascisti responsabili di quella strage, ma ci si nasconde dietro la “difesa della memoria”, concetto su cui lui più di tutti dovrebbe tacere, specie dopo il trattamento disgustoso che esponenti della Lega stanno riservando in questi mesi a Liliana Segre.

By Eles

Franco Freda, uno dei mandanti della strage di Piazza Fontana, elogia Salvini: è il salvatore della razza bianca in Europa… E se la razza bianca è come loro, io comincerei a tingermi la faccia di nero. Per dignità…!

 

Franco Freda

 

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Franco Freda, uno dei mandanti della strage di Piazza Fontana, elogia Salvini: è il salvatore della razza bianca in Europa… E se la razza bianca è come loro, io comincerei a tingermi la faccia di nero. Per dignità…!

L’estremista di destra condannato per razzismo e implicato nelle indagini sulle stragi fasciste spiega perché apprezza il capo della Lega.

I meno giovani non se lo ricordano ma lui Franco Freda, è stato un pericoloso estremista di destra accusato e poi assolto per la strage di piazza Fontana (erano gli anni dei depistaggi dei servizi segreti che proteggevano i fascisti, ndr), ma poi indicato dai magistrati come uno dei responsabili dell’eccidio anche se non più processabile.

Franco Freda è comunque per anni rimasto un simbolo del neofascismo e neonazismo italiano ed è stato successivamente condannato per istigazione all’odio razziale e la sua organizzazione, il Fronte Nazionale, è stata sciolta per ricostituzione del partito fascista.

Adesso Franco Freda è tornato a parlare in un’intervista realizzata da Raffaella Fanelli per il sito ‘Estreme conseguenze’ e ha detto cose molto ‘popolari’ tra gli estremisti che inneggiano a Mussolini e Hitler e che ammirano il Governo del Cambiamento.

“Non sono un neonazista né sono un fascista, non sono neanche un uomo di destra. Ho libertà di pensiero. Un pensiero che osa uscire da gabbie e da prestabilite coordinate. E che per questo dà fastidio”.

Quanto all’attuale leader dell’estrema destra italiana ha detto: “E’ un uomo che non si rende conto, secondo me, del significato che potrebbe assumere, sul piano nazionale e internazionale… Salvini è il salvatore della razza bianca in Europa”

E sull’immigrazione:

“Se le proiezioni demografiche si realizzassero, e usiamo il congiuntivo dell’irrealtà, fra vent’anni due miliardi di africani si rovesceranno in una bacinella in cui noi siamo già immersi”.

In quanto a Salvini e la sua lotta ai migranti ha aggiunto: “È un individuo con enormi possibilità e non va considerato per certi toni plebei. Se reggerà avrà un’enorme importanza in Europa, una futura Europa che andrà dalla Siberia alla Calabria”.

 

12 dicembre – Tg e giornali commemorano i 50 anni della Strage di Piazza Fontana. Però nessuno dice che i mandanti, i fascisti Freda e Ventura, non hanno mai scontato alcuna pena! Ventura si è arricchito all’estero. Freda fa il giornalista, voluto anche da Belpietro per scrivere su Libero!

 

Piazza Fontana

 

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12 dicembre – Tg e giornali commemorano i 50 anni della Strage di Piazza Fontana. Però nessuno dice che i mandanti, i fascisti Freda e Ventura, non hanno mai scontato alcuna pena! Ventura si è arricchito all’estero. Freda fa il giornalista, voluto anche da Belpietro per scrivere su Libero!

12 dicembre 1969 – La strage di piazza Fontana, un grave attentato terroristico nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura che causò 17 morti e 88 feriti. È considerata «la madre di tutte le stragi», il «primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra», «il momento più incandescente della strategia della tensione» e soprattutto l’inizio del periodo passato alla storia come gli “anni di piombo”

Gli attentati terroristici di quel giorno furono cinque, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, e colpirono contemporaneamente Roma e Milano. A Roma ci furono tre attentati che provocarono 16 feriti, uno alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, uno in Piazza Venezia e un altro all’Altare della Patria; a Milano, una seconda bomba venne ritrovata inesplosa in piazza della Scala.

Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che la strage fu opera di «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», non più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo dalla Corte d’assise d’appello di Bari.

Le indagini si sono susseguite nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e neofascisti; tuttavia alla fine tutti gli accusati sono stati sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni sono stati condannati per altre stragi, e altri hanno usufruito della prescrizione, evitando la pena).

Al termine dell’ultimo processo del 2005 la Cassazione ha affermato che la strage fu realizzata dalla cellula eversiva di Ordine Nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili in quanto assolti con sentenza definitiva nel 1987.

E allora, quale condanna hanno esemplare hanno subito gli assassini di 17 persone…?

Una beata binchia!

Franco Giorgio Freda, è libero da anni. Vive ad Avellino con una giovane scrittrice e fa ancora l’editore di ultradestra, con un sito che lo celebra come «un pensatore» da riscoprire: il padre «preveggente» di un «razzismo morfologico» da opporre «alla mostruosità del disegno di una società multietnica». Freda è stato condannato in tutti i gradi di giudizio per 16 attentati con decine di feriti che nel 1969 aprirono la strategia della tensione: bombe contemporanee sui treni delle vacanze, all’università di Padova, in stazione, in fiera e in tribunale a Milano.

La sua casa editrice però parla solo dell’assoluzione in appello per piazza Fontana (17 morti, 88 feriti), per insufficienza di prove (e abbondanza di depistaggi). Liberato nel 1986, Freda si è rimesso a indottrinare neonazisti fondando un movimento chiamato Fronte Nazionale: riarrestato, è stato difeso dall’avvocato Carlo Taormina e nel 2000 la Cassazione gli ha ridotto la condanna a tre anni per istigazione all’odio razziale. Dopo di che è tornato libero.

Non solo. Un ulteriore, squallido schiaffo ai parenti della vittima lo ha data Maurizio Belpietro che volle il boia di Piazza Fontana come opinionista per Libero. La rubrica si chiamava “L’Inattuale” e parliamo di Franco Freda, il fascista, il razzista.

Il braccio destro di Freda, Giovanni Ventura, che aveva confessato gli attentati del 1969 che prepararono piazza Fontana, non ha mai scontato alcuna condanna: è evaso nel 1978 e ha trovato rifugio sotto la dittatura in Argentina, che ha rifiutato di estradarlo.

A Buenos Aires è diventato ricco con un ristorante per vip, fino alla morte per malattia nel 2010.

Ricordiamo che nell’ultimo processo su piazza Fontana, la sentenza conclude che Freda e Ventura erano colpevoli, ma le nuove prove sono state scoperte troppo tardi, dopo l’assoluzione definitiva…

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12 dicembre 1969 – Piazza Fontana, la strage fascista e di Stato che non dobbiamo dimenticare

 

Piazza Fontana

 

 

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12 dicembre 1969 – Piazza Fontana, la strage fascista e di Stato che non dobbiamo dimenticare

Il 12 dicembre 1969 una bomba a Milano alla Banca nazionale dell’Agricoltura. Fu l’inizio della strategia della tensione. Fascisti, servizi segreti italiani e americani uniti per destabilizzare l’Italia 

Il 12 dicembre 1969 la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano, alle 16:37 nel grande salone scoppiò un ordigno contenente 7 chili di tritolo, uccidendo 17 persone (13 sul colpo) e ferendone altre 87.

Una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. La borsa fu recuperata ma l’ordigno, che poteva fornire preziosi elementi per l’indagine, fu fatto brillare dagli artificieri la sera stessa.

Una terza bomba esplose a Roma alle 16:55 nel passaggio sotterraneo che collegava l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio.

Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia. I feriti a Roma furono in tutto 16.

Gli attentati terroristici di quel giorno furono cinque, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, e colpirono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia: Roma e Milano.

 Ma cosa sanno della più recente storia italiana i ragazzi di oggi e di ieri? Cosa ricordiamo sui mandanti e gli esecutori materiali di piazza Fontana a Milano nel 1969 (parliamo di 17 morti e 88 feriti), di piazza della Loggia a Brescia (8 morti e 102 feriti) e del treno Italicus nel 1974 (12 morti e 48 feriti), del Rapido 904 nel 1984 (16 morti e 267 feriti). Cosa sappiamo o ricordiamo della bomba alla stazione di Bologna nel 1980 (85 morti e 200 feriti).

Quella tragica stagione di terrore va progressivamente eclissandosi dalla memoria e dal senso comune, anche se la verità rimane scritta in alcuni libri e nelle carte processuali di valenti magistrati che, pur in anni di giustizia prona e garante del “doppio Stato” e degli interessi di taluni “intoccabili” ancorati al potere reale (economico, politico, massonico, religioso o militare che fosse), a partire dalle singole stragi e nonostante i depistaggi hanno saputo ipotizzare un unico disegno eversivo, collegando poi il livello operativo degli esecutori a quello organizzativo e strategico dei mandanti nelle istituzioni: i Servizi segreti nel loro insieme – desiderosi di alimentare il disordine per generare la domanda di ordine – e non singole “mele marce”.

Negli anni caldi della “sovranità limitata”, dell’anticomunismo e dello stragismo di Stato, la punta avanzata della magistratura italiana ha davvero dovuto remare controvento: in quel clima da caccia alle streghe, più d’una inchiesta sarà loro sottratta e insabbiata a Roma presso quel Palazzo di giustizia, garante degli impunibili, che a buon motivo verrà ribattezzato “il porto delle nebbie”. All’opposto, poteva bastare una sentenza favorevole a un lavoratore, mettiamo, in un banale contenzioso di lavoro, per subire censure, procedimenti disciplinari e impedimenti alla carriera.

E per i giudici sinceramente democratici latori di pubbliche critiche, il rischio era quello di ritrovarsi tra gli schedati in odore di comunismo (al generale dei Servizi segreti Gian Adelio Maletti, nel 1980 verranno sequestrate le schede, aggiornate al 1974, di 77 magistrati).

Davvero, a fronte di tutto questo, la sovranità appartiene al popolo, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione? Davvero tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, come vorrebbe l’articolo 3? Davvero tutti i partiti hanno sempre potuto concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, come leggiamo all’articolo 49? E l’ordinamento delle Forze armate? Si è sempre informato allo spirito democratico della Repubblica, come vorrebbe l’articolo 52?

Come tenebra oscura
E tutto questo rimane in parte attuale, poiché la cinica stagione dello stragismo, con lutti e complicità e mandanti istituzionali, pesa tuttora come tenebra oscura sulla nostra Nazione e sulla nostra Costituzione. Costituzione che va difesa applicandola, e non solo con letture alla moda sulle pubbliche piazze, in opposizione a chi la vorrebbe riscrivere con intenti autoritari e con accenti reazionari, come già era nelle intenzioni della P2.

La penna che verga il Piano di Rinascita democratica di questa loggia massonica segreta anticomunista e stragista è forse da cercare nelle tasche di Francesco Cosentino, giovane segretario particolare del presidente della Repubblica Enrico De Nicola dal 1946 al 1947, poi nominato segretario generale della Camera dei deputati. Per il banchiere e finanziere piduista Roberto Calvi, questo alto funzionario dello Stato era il numero due della loggia P2: subito dopo Giulio Andreotti, prima di Umberto Ortolani e Licio Gelli.

Cosentino lo si riconosce nelle fotografie scattate a Palazzo Giustiniani il 27 dicembre 1947: è quel giovane tra Alcide De Gasperi, Enrico De Nicola, Giuseppe Grassi e Umberto Terracini alla solenne firma di quella Costituzione che il piduista Piano di Rinascita avrebbe voluto riscrivere. Quasi a dire, ha scritto Sandra Bonsanti, «che la Repubblica italiana nacque già insidiata dall’interno, da subito».

Stragismo di Stato
La bomba che deflagra alla banca nazionale dell’Agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969 – subito attribuita agli anarchici – nella realtà è di ambiente atlantico. All’ex agente dei Servizi italiani Gian Adelio Maletti (condannato per i depistaggi su questa e altre bombe, vive tuttora in Sudafrica) pare improbabile che di queste bombe nulla sapessero i vari Servizi d’intelligence americani e forse anche più in alto; il gioco, dirà Maletti, non avrebbe dovuto superare certi limiti, ma sfuggì di mano un po’ a tutti.

A Maletti farà eco niente meno che il compianto Francesco Cossiga: «non mi meraviglierei» dirà l’ex presidente della Repubblica a Lucio Caracciolo «se un giorno si scoprisse che anche spezzoni di Servizi di Paesi alleati o neutrali, non solo nemici, avessero potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia tra il fronte comunista e quello anticomunista».
E pur in mancanza di prove dirette, che della bomba di piazza Fontana a Milano fosse al corrente l’US Army Intelligence Agency (il servizio segreto militare statunitense, una emanazione del Pentagono) sta scritto nell’istruttoria del giudice Guido Salvini.

Fra l’altro, il magistrato milanese ha raccolto la testimonianza dell’ex ordinovista mestrino Martino Siciliano – che riferisce a Salvini le confidenze avute da Delfo Zorzi sulla matrice fascista della strage – e di Carlo Digilio detto “Otto”, un agente informatore infiltrato negli ambienti ordinovisti veneti dal capitano David Carrett, Marina statunitense, accasato al comando Ftase di Verona (nel 1974 a Carrett subentrerà il capitano Theodore Richards). Attraverso alcuni infiltrati – Lino Franco, Marcello Soffiati, Digilio e il suo diretto superiore Sergio Minetto, tutti ex combattenti repubblichini – l’intelligence americana ha così potuto monitorare in tempo reale le attività eversive del gruppo neonazista di Ordine nuovo, manovrato da «una mente organizzativa al di sopra della nostra», come dice a Digilio il terrorista nero Carlo Maria Maggi (è stato recentemente condannato all’ergastolo quale mandante della strage di piazza della Loggia a Brescia). E si tratta delle bombe tra la strage di piazza Fontana e quella di piazza della Loggia a Brescia.

E tuttavia gli americani lasciano fare. Anzi, alcuni tra questi loro infiltrati avranno parte attiva nel preparare ordigni o nell’indottrinare bombaroli ritenendo, scrive Gianni Cipriani ne Lo Stato invisibile, «che in quel modo si applicassero correttamente le direttive degli Usa in materia di sicurezza e di anticomunismo». Secondo Cipriani, trova così credito l’ipotesi «di una diretta responsabilità americana, o di settori non marginali della sua amministrazione, nella copertura degli stragisti di Milano e di Brescia».
A questa conclusione portano infatti le prove e i riscontri accertati dal giudice Salvini nel corso della sua indagine su piazza Fontana: «da parte di strutture di sicurezza alleate», ha detto il magistrato il 12 febbraio 1997 di fronte alla Commissione stragi, «c’è stato un contributo tecnico alla capacità e alla possibilità della struttura occulta di Ordine nuovo a compiere attentati».

Quindi, per taluni militanti di Ordine nuovo inquisiti per banda armata (art. 306 del Codice penale) ma fedeli a due bandiere, il giudice milanese prefigurava quell’articolo 257 del codice penale, spionaggio politico-militare, fino ad allora mai applicato a carico di cittadini italiani.

Distensione?
Sin dagli anni Sessanta lo scenario internazionale vede profilarsi l’orizzonte della distensione tra i due blocchi, atlantico e sovietico; questa prospettiva è tuttavia invisa alla destra eversiva italiana e a settori del mondo politico e militare più reazionario di Roma e di Washington, che lo leggono come fosse un abbassamento della guardia nella lotta al comunismo, un nemico col quale non si dialoga né si scende a patti.

Il primo governo Moro di centrosinistra era nato nel dicembre 1963 con i buoni auspici dell’amministrazione Kennedy. Un orientamento aspramente avversato dalla destra politica americana. L’Italia figurava infatti «nei programmi della Casa bianca, del dipartimento di Stato e del Pentagono come “regime instabile” da sorvegliare ed eventualmente “puntellare”, dopo le illusioni del centrosinistra compiacentemente autorizzate dalle “teste d’uovo” americane con Kennedy alla presidenza», come dirà Gian Adelio Maletti alla Commissione parlamentare sulla P2.

La bomba di piazza Fontana, secondo Maletti non avrebbe dovuto provocare vittime: solo un gran botto da attribuire agli “anarchici” (per Digilio il depistaggio sugli anarchici fu «una mossa strategica studiata dai Servizi segreti italiani al momento in cui era stata concepita l’intera operazione») per giustificare presso l’opinione pubblica la sospensione di alcune garanzie costituzionali così da favorire il passaggio alla Repubblica presidenziale. Invece arrivarono i morti, e con le bare arrivò anche la stringente necessità di coprire i veri mandanti ed altri correi anelanti golpe: in Italia come in Grecia, nel 1967; e come in Cile, nel 1973.

Il consigliere Leghista esibendo il crocifisso: “Sono razzista e me ne vanto” …Ma cosa sfugge a questa gente del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43

 

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Il consigliere Leghista esibendo il crocifisso: “Sono razzista e me ne vanto” …Ma cosa sfugge a questa gente del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43

 

David Bonifazi, Lega, è consigliere comunale a Perugia.

“Sono razzista. Sì, sono razzista e me ne vanto”: queste le parole che un consigliere comunale della Lega a Perugia, David Bonifazi, ha condiviso su Facebook, scatenando le polemiche. Il lungo post appare su uno sfondo tricolore e in cima viene raffigurato un crocifisso: vengono quindi elencate tutte le ragioni per cui bisognerebbe vantarsi di essere razzisti.

Sono razzista perché amo l’Italia. Amo gli italiani dalle Alpi alla Sicilia. Li amo perché i loro nonni e i loro padri, con il loro sacrificio e con il loro sangue mi hanno consegnato una terra in cui essere libero. Sono razzista perché amo il cibo italiano. Amo i canederli, la polenta, i tortellini, le orecchiette, gli spaghetti, lo speck, il prosciutto, la parmigiana, la mozzarella, la pizza, lo strudel, il panettone, la pastiera napoletana, i cannoli siciliani. Sono razzista perché difendo con le unghie il duomo di Milano, il Colosseo, la reggia di Caserta, e non permetterò che vengano sostituiti da costruzioni di altri popoli. Sono razzista perché mi onora aver avuto per connazionali Dante, Giotto, Leonardo, Totò, Eduardo, Alberto Sordi, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Indro Montanelli, San Francesco d’Assisi. Sono razzista perché le leggi italiane valgono per me e pretendo che valgano in egual misura per tutti gli ospiti che qua si trovano. Sono razzista perché do rispetto solo a chi rispetta me, il mio Paese, le mie tradizioni, la mia cultura, la mia fede, le mie consuetudini. Ebbene dammi pure del razzista: felicemente orgoglioso di esserlo.

…Ma cosa sfugge a questa gente del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio?

Leggete questo, cari cristiani razzisti:

Voi razzisti che vi dichiarate Cristiani, ma cosa vi sfugge del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43

Liliana Segre alla piazza: “Parliamo d’amore, l’odio lasciamolo ad anonimi da tastiera”

 

Liliana Segre

 

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Liliana Segre alla piazza: “Parliamo d’amore, l’odio lasciamolo ad anonimi da tastiera”

Liliana Segre tra gli applausi al termine della marcia dei sindaci:

“È nell’oblio della nostra storia che passa il messaggio dell’indifferenza. Stasera non c’è indifferenza, ma c’è un’atmosfera di festa”

“Cancelliamo tutti insieme le parole odio e indifferenza”, ha dichiarato ancora Segre.

“Odio si combatte tenendo viva la memoria”

“Parliamo d’amore, l’odio lasciamolo ad anonimi da tastiera”

Niente bandiere o simboli di partito solo tante fasce tricolori. In marcia a Milano ‘L’odio non ha futuro’, la manifestazione di solidarietà indetta all’indomani delle minacce contro la senatrice a vita Liliana Segre. Una marcia da piazza Mercanti a piazza del Duomo che ha ottenuto 600 adesioni e 400 presenze certe. La marcia lanciata dal primo cittadino di Milano Giuseppe Sala e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, sposata da Anci con il presidente e sindaco di Bari Antonio Decaro, Upi e Lega autonomie, vede fianco a fianco primi cittadini di diversi colori. Ad attenderli in Galleria la senatrice, l’unica a parlare dal palco allestito in piazza della Scala. La presenza dei sindaci di centrosinistra è la maggioranza, ma l’adesione è trasversale. Tra i presenti il sindaco di Firenze Dario Nardella e quello di Palermo Leoluca Orlando.

Liliana Segre ha poi stretto la mano al sindaco di Milano in rappresentanza dei primi cittadini. Segre li ha attesi circondata dalla scorta e da decine di cittadini. ‘Liliana’ è il grido che si è alzato più volte insieme a lunghi applausi. Il presidente dell’Anci ha quindi consegnato alla senatrice a vita una fascia tricolore. “In questi ultimi anni quando parlo alle scuole parlo a braccio ma stasera non volevo dimenticare niente e nessuno, ringrazio il sindaco di Milano Sala, quello di Pesaro Matteo Ricci, il presidente dell’Anci Antonio Decaro e tutti i più di seicento forse mille sindaci che hanno risposto all’appello. Sono qui con le fasce tricolori a rappresentare non un partito, ma un sentimento civico condiviso da più amministrazioni in un’alleanza trasversale”, ha commentato Segre intervenendo dal palco di piazza Scala. “Siamo qui – ha aggiunto – a parlare di amore non di odio, lasciamolo agli anonimi da tastiera”. E ancora: “L’odio si combatte anche tenendo viva una memoria condivisa delle tragedie che le generazioni passate hanno patito proprio per la predicazione dell’odio” che passa dall’indifferenza. “Stasera non c’è indifferenza, cancelliamo tutti insieme le parole odio e indifferenza e abbracciamoci in una catena umana di empatia. Grazie dal profondo del cuore”.

“Voi sindaci, con la vostra carica, avete una missione molto difficile e apprezzo molto che abbiate voluto lasciare per qualche ora i vostri compiti per questa stupenda occasione: il vostro impegno può essere decisivo per la memoria”, ha continuato Segre rivolta ai sindaci. “Nell’Italia degli 8 mila Comuni c’è un giacimento straordinario di storia che può essere tramandata alla comunità. Una storia che resta relegata a musei, istituti, vie, pietre di inciampo. Sta alla sensibilità delle amministrazioni comunali fare in modo che questo giacimento non venga abbandonato. Fare sì che quelle fredde lastre di pietra dei trasformino in occasioni antiretoriche per rinnovare un patto tra generazioni”, ha chiuso dal palco Segre.

La manifestazione si è conclusa con piazza Scala gremita che ha intonato l’Inno di Mameli e poi ”Bella Ciao”.

 

Il leghista: “Se si canta Bella Ciao allora si canti anche Faccetta Nera” …Ora a voi la scelta: state con chi canta l’inno dei liberatori dal nazi-fascismo o con chi canta la marcetta con cui i fascisti andavano a massacrare gli Abissini?

 

Bella Ciao

 

 

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Il leghista: “Se si canta Bella Ciao allora si canti anche Faccetta Nera” …Ora a voi la scelta: state con chi canta l’inno dei liberatori dal nazi-fascismo o con chi canta la marcetta con cui i fascisti andavano a massacrare gli Abissini?

Il leghista al sindaco: “Se si canta Bella Ciao allora si canti anche Faccetta Nera” – Succede a Riccò del Golfo, in provincia di La Spezia, dove il sindaco di centro-destra (che ha difeso Bella Ciao) si è trovato contro un esponente leghista.

Le provocazioni dei leghisti ormai sono senza vergogna, a dimostrazione che non si preoccupano più di scadere addirittura nel ridicolo.

L’ennesima polemica, che riguarda ancora una volta Bella Ciao, è nata a Riccò del Golfo (La Spezia): il sindaco di centro-destra, Loris Figoli, ha – giustamente – risposto in questo modo ai genitori che non volevano che i figli cantassero ‘Bella Ciao’ alla commemorazione di un eccidio nazifascista, ritenendola una canzone ‘politica’: “È una canzone popolare, della tradizione. La nostra comunità è unita nei valori democratici. Bella Ciao non ha colore politico, l’unico colore in una commemorazione che ricorda l’uccisione di tre partigiani è quello del lutto”

Ma al primo cittadino e alla sua lezione di civiltà ha risposto l’esponente leghista Fabrizio Zanicotti, che ha detto: “anche Faccetta Nera e’ un canto popolare. Sarebbe bene fosse cantato dagli alunni insieme a Bella Ciao”.

Dalla fogna leghista è tutto. Ora a voi la scelta: state con chi canta l’inno dei liberatori dal nazi-fascismo o con chi canta la marcetta con cui i fascisti andavano a massacrare gli Abissini?

Voi razzisti che vi dichiarate Cristiani, ma cosa vi sfugge del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43

 

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Voi razzisti che vi dichiarate Cristiani, ma cosa vi sfugge del messaggio di quell’uomo inchiodato alla croce che i razzisti li schifava proprio: “Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43

Quello dell’accoglienza dei migranti è un tema cruciale della nostra epoca. E se quotidianamente si sente purtroppo parlare di razzismo, il biblista Alberto Maggi riparte dal messaggio di Gesù

“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.

“Prima noi”, poi, eventualmente, se proprio ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero all’estraneo che attenta al nostro benessere economico, ai valori civili e religiosi della nostra società e alle nostre sacrosante tradizioni. “Loro” sono gli stranieri, i barbari. In ogni cultura chi proviene da fuori, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile e che nel mondo greco passò a significare quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile, indigeno.

Ero straniero

Nonostante nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero (“Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, Es 22,21), Gesù si è trovato a vivere in una realtà dove il forestiero andava evitato, e persino dopo la morte veniva seppellito a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).

In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero  (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.

Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).

Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi più lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, “una vedova a Sarepta di Sidone”  (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero:  “Naamàn, il Siro” (Lc 4,27).

Prima noi? Gesù, manifestazione vivente dell’amore universale del Padre, vuole condividere i pani in terra pagana così come ha fatto in Israele (Mt 14,13-21). La resistenza dei discepoli di portare anche agli stranieri la buona notizia, viene dagli evangelisti raffigurata nell’incontro di Gesù con una donna straniera, cananea (fenicia) che invoca la liberazione della figlia da un demonio (Mt 15,22)La donna, succube dell’ideologia nazional religiosa che faceva ritenere i pagani inferiori ai Giudei, si accontenterebbe di poco,  anche delle briciole (“Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori”, Mt 15,27).  Nella tradizione biblica i figli di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c’è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri canianimali ritenuti impuri e portatori del demonioPer questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione.

Sarà una donna, per giunta pagana, a impartire una lezione ai discepoli del Cristo. Costei ha infatti compreso che non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi insieme, e allo stesso tempo, dell’unico pane che alimenta la vita. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose.

La reazione di Gesù è di grande ammirazione: “Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28), e ai pagani Gesù non concederà le briciole, ma anche in terra straniera ci sarà l’abbondante condivisione dei pani, segni della benedizione divina (Mt 15,32-39).

L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo, che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11; Gal 3,28).

La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

Le Sardine hanno portato fosforo a sinistra: per questo la destra le teme e cerca di screditarle

 

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Le Sardine hanno portato fosforo a sinistra: per questo la destra le teme e cerca di screditarle

Il movimento è l’unica vera novità politica degli ultimi dieci anni. Sono anti-fascisti, contro l’odio di Salvini e Meloni, contro il populismo e per la solidarietà: un vero progetto politico

In una settimana, con un post sui social e il passaparola in rete, hanno riempito Piazza Maggiore come non si vedeva da anni e oscurato Salvini, sceso quella stessa sera – il 14 novembre – al Paladozza per annunciare l’imminente liberazione dell’Emilia-Romagna dal governo dei rossi. Hanno inventato il “primo flash mob ittico della storia” con lo slogan “Bologna non si Lega”, le sardine di stoffa, carta e cartone al posto delle bandiere e 15mila persone strette nella piazza, neanche a dirlo, come sardine. Il successo dell’iniziativa è diventato virale. Nel giro di qualche settimana quell’idea, quel movimento nato a Bologna si è diffuso e replicato in decine di città, in tutta Italia, perfino in alcune città d’Europa e d’Oltreoceano. Ovunque con le piazze strapiene. Con una inedita, grande partecipazione di giovani. Sempre in concomitanza con i comizi di Salvini, che ha subito il colpo ed è stato costretto a rifugiarsi nei luoghi chiusi per sfuggire al confronto. Con un effetto gerovital sul Pd post-renziano, che sembra essersi rianimato, ha provato a ridefinire la propria identità svoltando un po’ a sinistra nella convention delle idee “tutta un’altra storia” e ha ritrovato il coraggio della piazza riempiendo a sua volta Piazza Maggiore con il lancio della campagna elettorale di Bonaccini.

Le Sardine hanno dunque messo in fuga il Capitone e dato un po’ di fosforo al Pd e alla sinistra. Questo è ciò che finora ha prodotto quel movimento. Ma che succederà ora? I critici, a cominciare dai media della destra ma non solo, sono già al lavoro per screditarlo. “Siete figli di Prodi”. “Siete fiancheggiatori occulti del Pd”. “Siete solo contro Salvini”. “Non avete un programma politico”. “Diteci cosa fareste sull’Ilva, il Mes, la giustizia, gli immigrati”. “Diteci chi vi paga”. Questo un sintetico riassunto delle accuse, il Sallusti pensiero. Mattia Santori, il leader del movimento, per ora non s’è sbilanciato e non si è fatto incasellare. Ha annunciato che dopo la manifestazione del 14 dicembre a Roma le varie Sardine si ritroveranno per definire assieme un manifesto comune e un coordinamento nazionale.

Ma qualcosa di più si può già dire. Intanto che il movimento delle Sardine è l’unica vera novità politica degli ultimi dieci anni. Più simile a quello per il clima e l’ambiente nato da Greta Thumberg che a quello dei Cinquestelle nato anch’esso a Bologna, 12 anni fa, con il famoso Vaffaday di Beppe Grillo. Poi che è un movimento prevalentemente di giovani e di società civile che, mobilitando le menti invece delle pance, va controcorrente rispetto al sovranismo dilagante e alla narrazione del popolo che sta con le destre di Salvini e della Meloni (narrazione incentivata anche dall’ultimo Rapporto Censis, che fotografa una metà del Paese favorevole all’uomo solo al comando).

Non è una caso che come canzone le Sardine abbiano scelto “Com’è profondo il mare” di Lucio Dalla. Che recita:

“…Frattanto i pesci/dai quali discendiamo tutti/assistettero curiosi/al dramma collettivo/di questo mondo/che a loro indubbiamente/doveva sembrar cattivo/e cominciarono a pensare….

È chiaro/che il pensiero dà fastidio/anche se chi pensa/è muto come un pesce/anzi è un pesce/e come pesce è difficile da bloccare/perché lo protegge il mare/com’è profondo il mare/

Certo/chi comanda/non è disposto a fare distinzioni poetiche/il pensiero come l’oceano/non lo puoi bloccare/non lo puoi recintare/ci stanno bruciando il mare/ci stanno uccidendo il mare…”

La potenza del messaggio è evidente. Se si aggiunge che le Sardine sono dichiaratamente contro Salvini, Meloni, la politica dell’odio, contro il razzismo, la discriminazione, il populismo e le fake news; che non sono contro la politica, ma a favore di una politica con la P maiuscola, che riparta dalle piazze rimettendo al centro la solidarietà tra le persone; che hanno una natura chiaramente antifascista e un orientamento di sinistra, la domanda che viene da fare è: non è forse già un programma politico questo?

 

fonte: https://www.globalist.it/politics/2019/12/08/le-sardine-hanno-portato-fosforo-a-sinistra-per-questo-la-destra-vuole-screditarle-2050126.html

 

 

Quando a Natale scorso il direttore di Avvenire Marco Tarquinio a nome dei Cristiani stroncò Salvini e Meloni: ci risparmino almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna riconoscerlo.

 

Natale

 

 

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Quando a Natale scorso il direttore di Avvenire Marco Tarquinio a nome dei Cristiani stroncò Salvini e Meloni: ci risparmino almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna riconoscerlo.

Cara Meloni, caro Salvini, prima di nominarlo, Gesù Cristo bisogna riconoscerlo!

Un anno fa un duro editoriale del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Ma un anno dopo siamo allo stesso punto, con chi promuove discriminazione mentre finge di difendere la religione.

Un anno fa, Ma sembra ieri, perché non solo nulla è cambiato ma le cose sono addirittura peggiorate.

Si spacciano odio, discriminazione e nello stesso tempo si tenta di usare il cristianesimo per legittimare il razzismo e l’esclusone.

E torna in mente l’editoriale che Marco Tarquinio, direttore di Avvenire aveva scritto nel dicembre del 2018 su Salvini.

Allora il direttore del quotidiano dei vescovi disse che “chi ha votato la ‘legge della strada’ ci risparmi almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna conoscerlo”.

“Viene voglia di chiamarla ‘la legge della strada’. Che come si sa è dura, persino feroce, non sopporta i deboli e, darwinianamente, li elimina”, aveva scritto il giornale della Conferenza Episcopale italiana, partendo dalla storia della famiglia africana, lui ghanese e lei nigeriana, con una bambina di 5 mesi, che non possono esser accolti da un Cara calabrese perché non rifugiati.

“Eccolo, allora, davanti ai nostri occhi il presepe vivente del Natale 2018. Allestito in una fabbrica dell’illegalità – sottolinea il direttore del giornale dei vescovi – costruita a suon di norme e di commi. Campane senza gioia, fatte suonare per persone, e famiglie, alle quali resta per tetto e per letto un misero foglio di carta, che ironicamente e ormai vuotamente le definisce meritevoli di ‘protezione umanitaria’. Ma quelle campane tristi suonano anche per noi”.

Parole che vengono in mente mentre l’estrema destra ha ricominciato con la retorica del presepe, del Natale, dalla Madonna e del Vangelo non con spirito autenticamente cristiano ma come espediente propagandistico per alimentare divisioni, paura del diverso e tentare di legittimare il fascio-sovranismo.

Rileggi l’editoriale Marco Tarquinio: Il presepe vivente. Una norma cattiva e parole al vento