Il manifesto leghista per l’8 marzo: “Rivendicare l’autodeterminazione della donna è sbagliato” …Ma l’avete letto bene, femmine? Ma avete capito con chi avere a che fare? O forse la vostra aspirazione è quella di stare a casa, possibilmente in silenzio, a stirare le camicie di Capitan Salvini?

 

8 marzo

 

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Il manifesto leghista per l’8 marzo: “Rivendicare l’autodeterminazione della donna è sbagliato” …Ma l’avete letto bene, femmine? Ma avete capito con chi avere a che fare? O forse la vostra aspirazione è quella di stare a casa, possibilmente in silenzio, a stirare le camicie di Capitan Salvini?

 

Leggete bene queste frasi, smettete di fare finta di nulla e guardare dall’altra parte. Vogliono farci tornare indietro di millenni. “Offende la dignità delle donne chi ne rivendica una più marcata e assoluta autodeterminazione”.

Ecco l’8 marzo leghista cosa è: un giorno per ribadire la supremazia maschile su quella femminile. Una data per ricordare alla donna che il suo ruolo sociale è quello di procreare.
Sembra un fake da quanto fa schifo ma è tutto vero
Non solo, sono riusciti a citare gay e migranti persino per l’otto marzo (cosa c’entrino non si sa).
Leggete bene questa frase, capitene il senso e soprattutto smettete di fare finta di nulla e guardare dall’altra parte. Vogliono farci tornare indietro di millenni.
“Offende la dignità delle donne chi ne rivendica una più marcata e assoluta autodeterminazione”.
Ecco. Noi siamo governati da questa gente.

In tutto qursto Salvini, alle domande in merito ha risposto: “Non ne sapevo niente e non ne condivido alcuni contenuti. Lavoro per la piena parità di diritti e doveri per uomini e donne, per mamme e papà” …Ma si èp ben guardato di chiedere scusa alle donne, per il manifesto che porta ben evidente il suo nome in calce…!

 

Un secolo di Andreotti, beatificato pure dall’Ue – Ma beatificare Andreotti non è beatificare la mafia…?

 

Andreotti

 

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Un secolo di Andreotti, beatificato pure dall’Ue – Ma beatificare Andreotti non è beatificare la mafia…?

“Di feste in mio onore – disse una volta Giulio Andreotti al Corriere – ne riparleremo quando compirò cent’anni”. Oggi il Divo non c’è più, eppure avrebbe motivo di orgoglio nel vedere come l’Unione europea celebrerà il centenario della sua nascita. Il grande evento è previsto per oggi 6 maezo: “Celebration of 100 years since the birth of President Giulio Andreotti”, nella sede del Parlamento di Bruxelles. A fare gli onori di casa sarà il Partito popolare europeo, il gruppo a cui appartengono anche Forza Italia e Udc.

Difficile però, visti gli invitati, immaginare cenni alle ombre politiche e giudiziarie di Andreotti, ormai accertate da sentenze definitive. Come quelle relative ai rapporti con la mafia, che hanno portato la Corte d’appello di Palermo ad assolvere il Divo per i fatti successivi al 1980, riconoscendolo però colpevole – seppur prescritto – del reato di associazione a delinquere per il periodo precedente, come poi ribadito in Cassazione.

Tutti argomenti per cui Ignazio Corrao, eurodeputato 5 Stelle, non ci sta: “Un convegno su Andreotti significa quasi beatificare la mafia, chiudere gli occhi su una delle pagine più buie del nostro Paese e per altro mai chiusa”.

A ricordare Andreotti ci sarà Pier Ferdinando Casini, uno dei più longevi eredi della Dc, eletto per la prima volta alla Camera nel 1983. Una storia politica che di certo non rinnega Belzebù: “Non mi sembra una cosa così clamorosa – minimizza Casini – commemorare un signore senatore a vita, diverse volte presidente del Consiglio e ministro per cinquant’anni. È controverso, divisivo persino nel suo partito, ma è stato tra i fondatori del Ppe e celebrarlo, essendo stato lui uno degli europeisti più coerenti, mi sembra tutto meno che inappropriato”.

La versione convince poco Corrao: “Ognuno può organizzare ciò che vuole, ma riconoscano che questo convegno è assolutamente inopportuno. A questo punto, non ci stupiremmo se ne facessero uno anche su Vito Ciancimino o su Salvo Lima”.

A presentare l’evento saranno poi Lorenzo Cesa e Elisabetta Gardini. Il primo, oggi segretario dell’Udc, già esponente della Balena Bianca fino al 1994 e poi delle sue molteplici riproposizioni. La seconda, berlusconiana dopo un meno fortunato debutto alle urne con il Patto Segni, ancora ammaliata dal Divo: “Quando i processi finiscono con un nulla di fatto, che sia per assoluzione o per prescrizione, si dovrebbe smettere di parlarne. Quanti oggi maramaldeggiano su Andreotti si chiedano che cosa è diventata l’Italia dopo la sua uscita di scena e perché rimase solo contro il Trattato di Maastricht”. Presente anche Antonio Tajani, che proprio come Gardini non ha mai nascosto di rimpiangere la credibilità internazionale dell’Italia ai tempi del Divo: “Quando c’era lui – ha dichiarato lo scorso anno – funzionava, Berlusconi aveva ricominciato a tessere una tela di rapporti anche in Europa e dopo siamo scomparsi”. Altro che terza Repubblica.

 

Andrea Camilleri contro Matteo Salvini: “Io so bene cosa è il fascismo, Salvini sarebbe stato un meraviglioso gerarca di Mussolini”

 

Andrea Camilleri

 

 

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Andrea Camilleri contro Matteo Salvini: “Io so bene cosa è il fascismo, Salvini sarebbe stato un meraviglioso gerarca di Mussolini”

 

In un’intervista a Radio Radicale Andrea Camilleri giudica senza mezzi termini l’operato del ministro dell’interno e vicepremier, bollandolo come “un meraviglioso federale di Mussolini”. Negli ultimi mesi lo scrittore siciliano è tornato spesso sul paragone tra l’Italia di oggi e quella del fascismo.

intervistato da Radio Radicale, lo scrittore siciliano Andrea Camilleri, è tornato ad attaccare il ministro dell’interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, che il papà di Montalbano definisce “un meraviglioso federale di Mussolini”. Un gerarca fascista, per intenderci. È da qualche mese che Andrea Camilleri ripete di avvertire in Italia un clima simile a quello del fascismo, e lui può dirlo visto che c’era.

A Radio Radicale, durante il programma di Massimiliano Coccia, “Le parole e le cose” al minuto 13 lo scrittore siciliano ha dichiarato:

È tutto un gran tornare indietro. Torna indietro, torna indietro e arriveremo finalmente al ’22, che è quello a cui segretamente tanti politici aspirano. Mi creda, ho 93 anni e ho conosciuto i gerarchi fasciscti. Salvini sarebbe stato un meraviglioso federale di Mussolini.

Parole dure, certamente non nuove, come dicevamo. Il paragone Salvini-Mussolini era già stato tirato in ballo, non tanto sulla reale somiglianza tra i due, ma per quello scommettere sul peggio degli italiani che il leader della Lega incarna per Camilleri. Al centro di questo “peggio” che Salvini tirerebbe fuori dagli italiani, c’è il tema dei migranti.

Lo scorso gennaio, in un video inviato a Fanpage.it, Andrea Camilleri aveva infatti  commentato lo sgombero avvenuto al centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto, alle porte di Roma, di più di 500 migranti: “Non in nome mio. Questa è un’ossessione, rendetevene conto. Io mi rifiuto di essere un cittadino italiano complice di questa nazista volgarità”.

 

 

Il grande editoriale di Marco Travaglio: Si fa presto a dire nuovo

 

Marco Travaglio

 

 

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Il grande editoriale di Marco Travaglio: Si fa presto a dire nuovo

 

Si fa presto a dire nuovo

Forse è solo una cambiale da pagare, in vista delle Regionali, al Partito degli Affari e ai suoi numi tutelari torinesi Chiamparino e Fassino, noti trasformisti ex comunisti, ex dalemiani, ex prodiani, ex veltroniani, ex bersaniani, ex renziani e ora zingarettiani.

Ma Nicola Zingaretti che annuncia come prima mossa la visita ai cantieri-fantasma del Tav all’indomani della bella vittoria alle primarie non è un bel sentire.
Se davvero, come dice, il neosegretario Pd vuole “voltare pagina” rispetto al passato della Ditta e del renzismo, quello era l’ultimo posto dove farsi vedere nel primo giorno della nuova avventura. Anche perché, per parlare al mondo produttivo del Nord, ci sono mille altre occasioni un po’ più moderne e avanzate di un vecchio, costoso, inquinante, inutile buco nelle Alpi che neppure i francesi hanno più alcuna intenzione di finanziare.
Ma siccome domani, anzi oggi, è già un altro giorno, si spera che il nuovo segretario riesca presto a dare qualche segnale di vera novità e discontinuità. Quale Pd abbia in mente pareva chiaro l’estate scorsa, quando disse lucidamente “Meno Macron e più equità”, anticipando i gilet gialli e facendo incazzare le Brigitte di casa nostra e sua. Poi contrasse il morbo veltroniano del ma-anchismo, tentando di tenere insieme tutto e il suo contrario in vista delle primarie.
Ora che ha vinto molto più del previsto, con 2 voti su 3, lasciando le briciole a Martina e Giachetti – gli ultimi due travestimenti del fu Renzi – può finalmente parlare chiaro. E uscire dalle fumisterie del politichese che tanta parte hanno avuto nella dannazione del centrosinistra.
Il popolo delle primarie, anche se sempre più esiguo (4,3 milioni per Prodi nel 2005, 3,5 per Veltroni nel 2007, 3 per Bersani nel 2009, 2,8 per Renzi nel 2013, 1,8 per il Renzi-bis nel 2017 e 1,6 per Zingaretti l’altroieri), ha risposto ancora una volta ai gazebo. Come sempre avviene, appena la politica offre una sia pur minima occasione di cambiamento.
Ma, nella società liquida, il nuovo invecchia in fretta, se non fa nulla per mostrarsi tale. Infatti Renzi, visto cinque anni fa come l’ultima spiaggia contro l’arrembante “antipolitica”, è già il vecchio e chi aveva sperato in lui si affida al suo opposto politico-antropologico: Zingaretti.
Il quale dovrà guardarsi da una tentazione che già si sente aleggiare in certi commenti trionfalistici: quella di pensare che la voglia di novità uscita dalle urne il 4 marzo 2018 sia tramontata e che tutte le caselle dell’Ancien Régime possano tranquillamente tornare al loro posto. Zingaretti non è certo nuovissimo, ma alla sua gente sembra tale.
E ha vinto così bene proprio perché appare il più lontano da Renzi e il più vicino a un’idea di sinistra ancora tutta da costruire. Compatibilmente con un partito che ha i gruppi parlamentari nominati e pilotati da Renzi&C., decisi a vender cara la pelle col ricatto della scissione.
Zingaretti, brava persona e politico navigato, sa distinguere gli amici dai nemici interni. Ora dovrà scegliersi anche quelli esterni. E decidere se l’avversario da battere è la destra a tradizione salviniana con i suoi satelliti berlusconiani e meloniani, oppure se – come ripete il pensiero unico mainstream, sposato in pieno dai Calenda e dai renziani – è quel generico “populismo” o “sovranismo” che somma le mele e le pere, cioè i leghisti e i 5Stelle, accomunati dalla propaganda di Repubblica nella ridicola casella delle “due destre”.
Nel primo caso, volente o nolente, il Pd dovrà tentare di staccare i 5Stelle dalla Lega offrendo loro un secondo forno per frenare Salvini, che gioca sempre su due tavoli.
Nel secondo, il Pd resterà ibernato nel freezer a cui Renzi l’ha condannato, nell’attesa vana che i voti perduti tornino spontaneamente all’ovile e gli restituiscano il 40% per governare da solo o con quel che resta di B.
Se invece quello che solo un anno fa era il secondo partito italiano torna in partita, con o senza la famiglia Renzi, non gli mancano le occasioni per mostrare il suo tasso di cambiamento sulle scelte concrete.
Se la linea è ancora “meno Macron e più equità”, cosa intende fare per i 5 milioni di poveri, i 3 milioni di precari e i 7 milioni di lavoratori sotto i mille euro al mese?
I 5Stelle, al netto dei loro pasticci congeniti, han fatto o tentato in un anno per queste categorie più di quanto il Pd in dieci: il pur timido e incompleto dl Dignità (che ha aumentato i contratti stabili e, malgrado le profezie di sventura, non ha provocato licenziamenti di massa); il reddito di cittadinanza che, con tutti i limiti e problemi applicativi che vedremo nelle prossime settimane, è il maggior investimento mai visto per redistribuire ricchezza verso i ceti più deboli; e l’imminente proposta di un salario minimo per tutti annunciata ieri da Di Maio.
Su questi temi l’ex LeU è aperta al dialogo (l’ha detto ieri Scotto al Fatto) e la Cgil di Landini pur dovrà dire qualcosa: che farà Zingaretti?
Tifare per il fallimento del reddito di cittadinanza, riproporre le ricette del precariato e ignorare i salari da fame, cioè restare il partito di Confindustria, non pare una grande idea. Il governo, almeno fino all’estate, non cadrà e, se poi cadesse, il Pd senza i renziani non avrebbe i numeri in Parlamento per governare col M5S.
Il discorso di nuove alleanze si porrà nella prossima legislatura. Ma chi fa politica deve individuare il nemico principale e agire di conseguenza. Finora il Pd si è associato a FI e Lega, con i rispettivi house organ, nella caccia grossa ai 5Stelle.
Che si sono indeboliti parecchio (anche col loro contributo). Ma a guadagnarci è stato solo Salvini.
Vedremo se Zingaretti capirà chi è il nemico del Pd e del Paese. E cosa farà per combatterlo. Cioè per essere non solo il nuovo segretario, ma anche un segretario nuovo.
“SI FA PRESTO A DIRE NUOVO” di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2019

Repubblica e la nuova Fake News su M5s: spese folli di Paola Raverna & C. …Ma i dati non sono dell’ultimo anno ma di 5 anni! Scoperta la menzogna, Repubblica costretta a rettificare, ma in gran silenzio… E questa è la stampa Italiana…!

 

Fake News

 

 

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Repubblica e la nuova Fake News su M5s: spese folli di Paola Raverna & C. …Ma i dati non sono dell’ultimo anno ma di 5 anni! Scoperta la menzogna, Repubblica costretta a rettificare, ma in gran silenzio… E questa è la stampa Italiana…!

 

M5s, Repubblica sbaglia i dati: “Spese folli, per la Taverna 17mila euro l’anno di telefono”. Ma le cifre sono su 57 mesi

Il sito del quotidiano riporta i rendiconti della scorsa legislatura pubblicati su maquantospendi.it. Ma sostiene che si tratta di costi sostenuti in in un solo anno. Alla ministra Lezzi sono attribuite oltre 27mila euro di spese di carburante “in un anno, pari a quasi 2.300 euro di benzina al mese”: in realtà la media mensile è 579 euro. Idem per i “quasi 10.000 euro al mese solo di alloggio”, che in realtà sono 2.200. Nel pomeriggio il pezzo è stato modificato correggendo il periodo di riferimento e cancellando alcune frasi. Blog delle Stelle: “Ci aspettiamo scuse”

“Deve essere davvero difficile spendere 17.751 euro per telefono e internet in un anno senza neanche comprare un cellulare di ultimissima generazione. Eppure Paola Taverna, vicepresidente del Senato del M5S c’è riuscita. Fanno quasi 1.500 euro al mese, una cifra che nessun piano telefonico di nessun gestore riuscirebbe a mettere insieme”. È (o meglio era) l’attacco di un articolo pubblicato sul sito di Repubblica con il titolo “Le spese folli dei parlamentari M5s”, che cita tra gli altri anche Barbara Lezziattribuendole oltre 27mila euro di spese di carburante “rendicontate in un anno, pari a quasi 2.300 euro di benzina al mese“.

Ma i dati riportati nel pezzo, presi dal sito www.maquantospendi.it, non si riferiscono a un solo anno bensì, come risulta evidente dai grafici che sul portale accompagnano tutte le voci, al periodo che va da aprile 2013 al dicembre 2017quasi tutta la XVII legislatura: quattro anni e 9 mesi per un totale di 57 mesi. Nel pomeriggio l’articolo è stato modificatosenza spiegare l’errore, ma solo correggendo il periodo di riferimento e cancellando alcune frasi in cui le medie erano calcolate come se le cifre fossero riferite a un solo anno (sotto il nostro articolo pubblichiamo il confronto tra le due versioni). Un’ora dopo è stata aggiunta, in coda, una nota che spiega: “Nella prima versione di questo articolo, le somme dichiarate erano state indicate come riferite ad un anno, quello della legislatura in corso. L’errore nasce dal fatto che sul sito maquantospendi.it si parla di “analisi grafica dei rendiconti del parlamentari del Movimento 5 stelle dall’inizio della legislatura”. Il riferimento alla passata legislatura emerge dai grafici di riferimento”.

Va sottolineato che le medie mensili corrette sono indicate chiaramente sul sito, sotto il totale: per esempio, sotto i 17.751 euro che l’articolo indicava come spese telefoniche di Paola Taverna in un solo anno c’è scritto: “ogni mese (media): 306,05 euro“. Comunque tanto, ma non è chiaro se la cifra comprenda anche le spese sostenute dai collaboratori, i cui compensi sono rendicontati in una voce ad hoc. Quanto ai 27.258 euro di benzina spesi dalla Lezzi, spalmandoli sui mesi rendicontati ne esce una media di 579,9 euro.

L’articolo prende spunto da un tweet in cui Marco Furfaro di Sel ironizzava sulle spese della Taverna scrivendo “Non so se telefona ai marziani o se si fa predire il futuro da cartomanti a 20 euro al minuto, ma io ne spendo 120 all’anno, minuti e giga illimitati. Se vuole posso darle una mano a cambiare piano”. E, prima delle modifiche, proseguiva dando conto delle spese sostenute nel corso dei 57 mesi come se si trattasse di uscite sostenute in un solo anno.

Così, secondo la prima versione del pezzo di Repubblica, la Taverna avrebbe speso in carburante “dall’inizio della legislatura”, cioè dal marzo 2018, “ben 20.501 euro, quanti ne servono ad acquistare quasi 12.000 litri di benzina”, con cui, veniva calcolato, potrebbe aver percorso “una media di 480 chilometri al giorno“. E ancora: “Spostamenti convulsi ai quali si aggiungono anche quelli in taxi: 14.381 euro portati a rendiconto in un anno, quasi 1200 euro al mese”. Ma, appunto, tutte le cifre sono riferite al totale speso tra primavera 2013 e dicembre 2017. Dunque per i taxi la Taverna ha speso in media 261 euro al mese, non 1.200.

Alla ministra per il Sud Lezzi viene attribuita – in una frase cancellata nella seconda versione del pezzo – anche una spesa di “quasi 10.000 euro al mese solo di alloggio“, con il commento che “a lei, che è di Lecce, vivere a Roma costa caro”: in realtà la spesa complessiva sostenuta è di 119.520 euro dal giugno 2013 a fine 2017, per una media mensile di 2.200. Idem per le spese alimentari: non sono 27.569 euro in un anno, ma da gennaio 2014 a fine 2017.

Tra i responsabili delle presunte spese pazze viene citata anche la deputata Marta Grande, sostenendo che “ha speso ben 131.000 di alloggio dall’inizio della legislatura svettando in cima alla classifica”. Ma il costo va spalmato su 57 mesi e la media fa 2.300 euro. “Anche lei telefona molto, non ai livelli della Taverna ma 14.692 euro di spese telefoniche in un anno fanno oltre 1200 euro al mese“, era il commento. La media mensile è poi stata cancellata visto che era sbagliata: anche in questo caso la spesa è quella complessiva sostenuta dal 2013 e la media è di 257 euro al mese.

Infine quelli che vengono definiti “gli aficionados dei taxi”: il senatore Lello Ciampolillo, “quasi 28.000 euro, 2.300 euro al mese”, e la sottosegretaria al Mef Laura Castelli che “non scherza con i suoi 26.825 da inizio legislatura ad oggi”. In realtà Ciampolillo per i taxi ha speso la (comunque ingente) cifra di 517,9 euro medi al mese, la Castelli 487,7 euro mensili perché la spesa non è calcolata dall’inizio di questa legislatura ma quasi sull’intera durata di quella finita a marzo 2018.

“La fretta, si sa, non è una buona consigliera, ma quando alla fretta si aggiunge la menzogna il risultato è l’articolo che Repubblica ha pubblicato oggi dando letteralmente i numeri”, è il commento del M5s affidato a un post del Blog delle Stelle, in cui si denunciano “numeri vergognosi, riportati in modo totalmente sbagliato solo per nuocere al Movimento 5 Stelle: e oltre al danno, anche la beffa di far finta di niente“. “Questo è un giornalismo imbarazzante, un giornalismo che non riconosce i propri errori e che, anzi, li cavalca ben felice di poter fare sensazionalismo becero”, continua il post. “Tutto pur di aumentare le condivisioni. Peccato che si tratti di una bufala, peccato che si tratti di una fake news, peccato che questo modo di fare giornalismo sia veramente imbarazzante. Ecco il rispetto che hanno per i cittadini, ecco il rispetto che hanno per la verità. Ci aspettiamo delle scuse“.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/03/m5s-repubblica-sbaglia-i-dati-spese-folli-per-la-taverna-17mila-euro-lanno-di-telefono-ma-le-cifre-sono-su-57-mesi/5010634/

I giornali titolano: Sorprese ladro e gli sparò, Salvini lo va a trovare in carcere: “Chiederò la grazia” – Ma la storia è diversa: il ladro era in fuga. Fu preso, fatto inginocchiare, picchiato e poi colpito con una fucilata al petto… Ma il nostro Ministro degli Interni sta dalla parte di questi delinquenti…!

 

Salvini

 

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I giornali titolano: Sorprese ladro e gli sparò, Salvini lo va a trovare in carcere: “Chiederò la grazia” – Ma la storia è diversa: il ladro era in fuga. Fu preso, fatto inginocchiare, picchiato e poi colpito con una fucilata al petto… Ma il nostro Ministro degli Interni sta dalla parte di questi delinquenti…!

Da Fanpage:

Sorprese ladro e gli sparò, Salvini lo va a trovare in carcere: “Chiederò la grazia”

L’imprenditore Angelo Peveri è stato condannato nei giorni scorsi in via definiva a quattro anni e mezzo di carcere per tentato omicidio dopo aver sparato ai ladri in fuga e averne ferito uno. Il Ministro dell’Interno è andato a trovarlo in carcere spiegando: “Non è giusto che sia in galera un imprenditore che si è difeso dopo 100 furti e rapine e invece sia a spasso un rapinatore in attesa di un risarcimento dei danni”

“Cercheremo di fare di tutto perché stia in galera il meno possibile, dal mio punto di vista non doveva nemmeno entrarci”, così il Ministro dell’intero Matteo Salvini si è espresso oggi uscendo dal carcere di Piacenza dove ha incontrato l’imprenditore Angelo Peveri, l’uomo condannato in via definiva a quattro anni e mezzo di carcere per aver sparato a un ladro entrato in un suo cantiere senza che sussistesse la legittima difesa, come stabilito anche dalla Cassazione. Fin da primo momento Salvini si era schierato a fianco dell’imprenditore telefonandogli personalmente ma con l’arresto definito dell’uomo ora ha voluto manifestargli la sua solidarietà andandolo a trovare in carcere dicendosi pronto anche a chiedere la grazia.

Ma le cose non sono andate proprio così…

“La legittima difesa in questa storia non c’entra nulla”. A dirlo sono stati il pubblico ministero Ornella Chicca, che otto anni fa coordinò le indagini del Nucleo operativo dei carabinieri di Piacenza, e il procuratore capo Salvatore Cappelleri. In un’intervista a firma di Paolo Marino apparsa sul quotidiano Libertà mercoledì 20 febbraio, il procuratore Cappelleri spiega che “la legittima difesa non è mai entrata nel processo”. Ossia gli avvocati di Peveri e Botezatu non hanno mai sostenuto questa tesi. Ovviamente, il caso, oggi spettacolarizzato, va ricondotto a estrema prudenza e riguardo. “Ora che è stata scritta la parola fine sulla vicenda, tutti dovrebbero accettare la ricostruzione dei fatti per quella che è – ha detto il procuratore – e penso che questo atteggiamento dovrebbe valere a maggior ragione per chi ricopre cariche istituzionali, da cui mi aspetterei parole di grande prudenza”.

Come andarono le cose quella notte di ottobre del 2011?

Un antifurto segnala un tentativo di manomissione a un escavatore della ditta Peveri lasciato sul greto del Tidone. Nel cantiere sul torrente, tre persone fuggono e Peveri esplode colpi di fucile a pompa verso i tre (lui sosterrà di aver sparato in aria, ndc) e una delle tre persone viene ferita al braccio. Dopo qualche tempo, Jucan Dorel, che si era allontanato senza un graffio, torna sul luogo del delitto per recuperare la sua auto. Lì viene riconosciuto da Botezatu che lo immobilizza e, dice il procuratore: “lo costringe a inginocchiarsi e lo immobilizza e a mettere le mani dietro la nuca”, quindi lo colpisce con un corpo contundente mai individuato. Peveri arriva subito dopo, e quando arriva il ladro è a terra, immobile. A quel punto viene afferrato per il collo e gli viene sbattuta la testa più volte sui sassi. La perizia balistica dirà che Peveri in quei frangenti ha esploso un colpo di fucile da una distanza di un metro e mezzo, due al massimo, che colpisce il ladro in pieno petto. LA perizia dirà che il colpo fu sparato “da una persona in piedi verso una persona supina”. Dorel da allora è invalido al 55% e ha avuto lesioni al polmone.

Questi, incensurato, patteggia una pena di 10 mesi per il tentato furto di gasolio. Nei giorni scorsi Dorel ha dichiarato che ai tempi era disoccupato. “Non sono come chi aggredisce le persone o ruba in casa”, ha detto l’uomo, 35enne all’epoca dei fatti, che oggi vive e lavora in provincia di Piacenza con la sua famiglia e si è trovato al centro della polemica per quel che successe sul greto del Tidone quella notte. Il “caso Peveri” è un caso di tentato omicidio che nulla c’azzecca con la legittima difesa. Ma sembra altro, a leggere i comunicati stampa dei partiti, i commenti sui social e ascoltando le prese di posizione dei sindaci che si sonos chierati con l’imprenditore e il suo dipendente.

Fonti:

https://www.fanpage.it/sorprese-ladro-e-gli-sparo-salvini-lo-va-a-trovare-in-carcere-chiedero-la-grazia/

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/02/25/news/angelo_peveri_ladri_gasolio-220145446/?ref=fbpr&fbclid=IwAR2hfU4uXQXHGY89NDKv8xSZszXkehzatPrEt67hU561SjoEDN-pNixXxoU

https://www.articolo21.org/2019/02/caso-peveri-la-legittima-difesa-in-questa-storia-non-centra-nulla/

Femminicidio di Olga Matei – La Corte d’appello dimezza la pena all’assassino con una motivazione sconcertante: “Era in preda a tempesta emotiva e passionale”…E non è la prima volta. Per i Giudici c’è SEMPRE un motivo valido per ammazzare una donna!

 

Femminicidio

 

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Femminicidio di Olga Matei – La Corte d’appello dimezza la pena all’assassino con una motivazione sconcertante: “Era in preda a tempesta emotiva e passionale”…E non è la prima volta. Per i Giudici c’è SEMPRE un motivo valido per ammazzare una donna!

Michele Castaldo uccise a mani nude Olga Matei, la donna con cui aveva una relazione da un mese. La strangolò a mani nude, con una brutalità e spietatezza inaudite. “Ho perso la testa perché lei non voleva più stare con me. Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro”, raccontò. Era stato condannato all’ergastolo, Ma la pena gli è stata ridotta prima a 30 anni per il rito abbreviato ed ora a soli 16 anni.

Ma mentre in primo grado era stata riconosciuta la gravità del crimine commesso per “futili motivi” ora la Corte d’Appello di Bologna ha reso nota la sentenza e le motivazioni della riduzione che sono a dire poco sconcertanti: “Era in preda a tempesta emotiva e passionale” accogliendo la difesa del femminicida  “Ho perso la testa perché lei non voleva più stare con me. Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro”

…Insomma, questo è bastato ai giudici per dare un bel taglio alla pena… Ma quali motivi futili, il poverino aveva perso la testa, quella femmina non voleva essere SUA. Ma vi rendete conto? Quella femmina si era messa in testa di non essere una cosa, un oggetto, ma un essere umano. Inimmaginabile…

Ma mi sa che la testa l’hanno persa i giudici…

By Eles

Da Il Fatto Quotidiano:

Bologna, la sentenza di oggi ci ricorda che c’è sempre un buon motivo per ammazzare una donna

di Monica Lanfranco e Nadia Somma

Si chiamava Olga Matei, morì strangolata nel 2016, dopo un mese di relazione, per mano di un uomo che diceva di amarla. Il femminicida è Michele Castaldo, condannato all’ergastolo, ha visto ridurre la pena a 30 anni per il rito abbreviato, poi passata a 16 anni (24 anni, ridotti di un terzo sempre per il rito). Ma mentre in primo grado era stata riconosciuta la gravità del crimine commesso per “futili motivi” ora la Corte d’Appello di Bologna ha reso nota la sentenza e le motivazioni della riduzione sono a dire poco sconcertanti.

La decisione della riduzione, si spiega, deriva in primo luogo dalla valutazione positiva della confessione. Inoltre, sebbene la gelosiaprovata dall’imputato fosse un sentimento “certamente immotivato e inidoneo a inficiare la sua capacità di autodeterminazione”, tuttavia essa determinò in lui – “a causa delle sue poco felici esperienze di vita” – quella che il perito psichiatrico che lo analizzò definì una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”, che in effetti “si manifestò subito dopo anche col teatrale tentativo di suicidio”. Una condizione, questa, “idonea a influire sulla misura della responsabilità penale”.

Al processo Castaldo raccontò così il contesto nel quale maturò la sua violenza: “Ho perso la testa perché lei non voleva più stare con me. Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro. L’ho stretta al collo e l’ho strangolata”. Emerse, inoltre, dalle parole dell’uomo (che ovviamente non possono essere contestate dalla vittima), che lei manifestò indifferenza per il dolore di essere rifiutato e lasciato.

Quindi ricapitoliamo: c’è sempre una buona ragione per ammazzare una donna e una di queste è la fragilità emotiva dell’uomo violento, che non riuscendo ad accettare la fine di una relazione viene assalito da una tempesta emotiva, che diventa una attenuante nel caso sia arrestato e giudicato. Seguendo questo ragionamento, inoltre, ci si può spingere a dire che tra un uomo e una donna è quest’ultima che “deve” amare: attenzione quindi a non amarlo più, perché il rifiuto di una relazione può costare la vita a un donna, ma può essere considerato una attenuate all’uccidere se a uccidere è un uomo.

Tante, troppe sentenze emesse nei tribunali italiani a conclusione di processi che vedono imputati uomini per violenze e femminicidi riportano a galla l’eco della cultura patriarcale che aveva prodotto la legge sul delitto d’onore, nella quale si sanzionava con indulgenza l’assassinio di una donna. La legge sul delitti d’onore è stata abolita in Italia nel 1981, ma quella cultura, a quanto pare, è ancora purtroppo presente e viva nella mente di alcuni giudici.

“La sentenza segna un arretramento rispetto al lavoro che fanno le reti di donne per il superamento dei pregiudizi” commenta ElenaBiaggioni, avvocata penalista e coordinatrice del Gruppo tecnico avvocate di D.i.Re, Donne in rete contro la violenza “È ancora necessario fare formazione a contrasto degli stereotipi, perché senza una formazione adeguata per superarli rischiamo ripercussioni anche sul sistema giudiziario”.

fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/02/bologna-la-sentenza-di-oggi-ci-ricorda-che-ce-sempre-un-buon-motivo-per-ammazzare-una-donna/5009479/?fbclid=IwAR3BHEXXRvjd0fnZPyKIGGjT-FpL1AzY8Z2unhZAyu9jQXRKUOJzfU2fJWM

Un’altro brillante, irresistibile, spietato editoriale di Marco Travaglio: “I grillini involontari”

 

Marco Travaglio

 

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Un’altro brillante, irresistibile, spietato editoriale di Marco Travaglio: “I grillini involontari”

 

I grillini involontari

Ogni volta che i 5Stelle perdono un’elezione – cioè praticamente sempre, fuorché alle Politiche e nei Comuni mandati in bancarotta da quelli bravi e competenti – tutti si affrettano a decretarne il decesso. E ad annunciare il lieto ritorno del vecchio caro bipolarismo, cioè di quella roulette truccata dove, comunque vada, vince sempre il banco. Intanto torna in scena la Compagnia della Buona Morte di quelli che si credono i peggiori nemici dei 5Stelle, mentre sono i loro migliori alleati. E, appena l’ammucchiata si riappalesa in tutto il suo orrore e fetore, funge da promemoria per gli elettori smemorati o pentiti. Cioè rammenta loro il motivo per cui avevano votato M5S: per non rivedere mai più certe facce.

Prendete Carlo Calenda: all’apparenza, è difficile immaginare un politico (si fa per dire) più incompatibile con i grillini. Invece è uno dei loro migliori supporter. Le trippe e i bargigli esibiti sui social in riva al lago dei cigni ingoiati a colazione, con lo sguardo languido rivolto all’unico esemplare superstite candidato alla merenda, è un messaggio subliminale (anche per lui) agli elettori: cari italiani, non vorrete mica rivedere uno come me al governo, spero, dunque sapete per chi votare.

Prendete Renzi: giura “Non dirò mai una parola contro i giudici” e intanto li attacca gridando al complotto giudiziario a orologeria contro i genitori; dice “Il rancore lo lascio agli altri” e poi ci campa a colazione, pranzo e cena, schizzando bile contro chiunque osi non essere Renzi, con particolare riferimento ai 5Stelle. Messaggio subliminale (anche per lui): ragazzi, io ormai sono un caso umano ambulante, ma ho una sola possibilità di tornare, cioè la sconfitta dei 5Stelle, quindi sappiatevi regolare.

Prendete Maria Elena Boschi: l’altra sera s’è presentata su La7 travestita da professorina occhialuta, riuscendo a sfoderare un look ancor più antipatizzante del solito (e non era facile) e argomenti ancor più suicidi del consueto (e pareva impossibile): con tutto quel che han combinato lei e il padre su Banca Etruria, s’è messa a disquisire dei genitori di Di Maio e Di Battista, rammentando il suo monumentale conflitto d’interessi familiar-finanziario a chi se lo fosse scordato. Messaggio subliminale (anche per lei): nonostante tutto Di Maio e Di Battista sono meglio di me, perché han preso le distanze dai piccoli pastrocchi dei padri, mentre io continuo a difendere mio padre e i suoi pranzetti con Flavio Carboni, ma anche me stessa e i miei giri delle sette chiese per salvare la banca che lui amministrava così bene.

Prendete i tre candidati del Pd. Ieri, nel primo e unico confronto su Sky, avevano l’ultima occasione per far capire agli elettori cosa vogliono, cosa li divide, con chi intendono allearsi contro l’avanzata delle destre (ammesso che per loro sia un problema), quali cose di sinistra hanno in mente (reddito universale? salario minimo? patrimoniale? manette agli evasori? energie alternative?), insomma quale partita si gioca domenica e perché è importante andare ai gazebo. Ma l’hanno astutamente mancata: nessuno ha capito perché siano in tre, visto che dicono più o meno le stesse cose, a parte l’aspetto storico-archeologico del giudizio sulle “riforme” renziane (già peraltro anticipato dagli elettori). Messaggio subliminale (anche per loro): cari elettori di sinistra che avevate votato 5Stelle e ve ne stavate pentendo nel timore dell’ondata di destra, restate pure dove siete e non guardate a noi, perché qui non cambierà mai nulla, la sinistra ci fa schifo (patrimoniale pussa via) e l’ondata di destra non è un problema, semmai un’opportunità, dunque meglio lasciare al governo il M5S a sorvegliare un po’ la Lega e a far qualcosa per i deboli, perché noi sull’economia, lo sviluppo e il lavoro la pensiamo come Salvini&B.

Prendete Sergio Chiamparino, presidente uscente e si spera mai più rientrante del Piemonte: annuncia un referendum sul Tav per tutti “i piemontesi”, “il 26 maggio insieme alle elezioni europee e regionali”, sul “governo che blocca i lavori della Torino-Lione”, in base “all’articolo 86 dello Statuto regionale”. Ora, come spiega il giurista Pepino a pag. 2, quel che ha in mente il buontempone non è né un referendum né un voto per i piemontesi: l’art. 86 dello Statuto prevede una “consultazione” (peraltro consultiva, non vincolante, inutile) “di particolari categorie o settori della popolazione su provvedimenti di loro interesse”. E qui non si sa quali siano i provvedimenti da contestare, visto che il governo non ne ha adottato neanche uno, salvo disporre un’analisi costi-benefici non soggetta a referendum. Ma soprattutto si ignora quali siano le categorie o i settori interessati al Tav. A parte gli abitanti della Val di Susa infestati dal cantiere. Gli altri piemontesi, dai torinesi ai cuneesi, dagli astigiani agli alessandrini, dai novaresi ai verbanesi, hanno lo stesso interesse per il Tav dei lombardi, dei veneti, dei lucani e dei sardi, visto che tutti gli italiani lo pagherebbero caro e salato con le loro tasse. Ma, a tagliare la testa al toro, c’è il fatto che la Regione Piemonte, anche per promuovere questa ridicola “consultazione” tra non si sa bene chi e su che cosa, dovrebbe varare una legge ad hoc. E non l’ha mai varata, né avrebbe il tempo per vararla ora e organizzare il voto, visto che la campagna elettorale sta per partire. Quindi non è un referendum né una consultazione, ma solo la supercazzola di un candidato disperato a caccia di pubblicità. Messaggio subliminale (anche per lui): cari grillini, se noi siamo quelli competenti, meglio che vi teniate i vostri incompetenti, che magari saranno dei pasticcioni, ma almeno non sono dei truffatori.

“I grillini involontari” di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 1 Marzo 2019

Oggi vogliamo svelarvi un segreto: se in ospedale non trovate il defibrillatore e vostro padre muore, non è colpa di un extracomunitario, ma di italiani che per decenni hanno rubato le risorse, evaso le tasse e devastando i servizi…

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Oggi vogliamo svelarvi un segreto: se in ospedale non trovate il defibrillatore e vostro padre muore, non è colpa di un extracomunitario, ma di italiani che per decenni hanno rubato le risorse, evaso le tasse e devastando i servizi…

 

In Italia, se in ospedale non trovate il defibrillatore, e vostro padre muore, non è colpa di un extracomunitario, ma di italiani che per decenni hanno rubato ogni risorsa, di altri italiani che hanno evaso le tasse, devastando i servizi.

In Italia, se siete incastrati in una burocrazia indecente, da diventarci pazzi, la colpa non è di un extracomunitario, ma delle migliaia di italianissimi che timbrano il cartellino e poi vanno a farsi i cazzi loro senza fare mezzo minuto di lavoro a settimana, delle migliaia di italianissimi parassiti, imboscati, falsi invalidi che affliggono questo paese.

Se in estate fate il bagno in acque piene di colibatteri, se vi mettete a nuotare in un mare che fa sempre più schifo, in un lago che prima era meraviglioso e da cui ora uscite con dermatiti immediate e violente, la colpa non è degli extracomunitari, è degli italianissimi responsabili delle navi dei veleni, degli sversamenti illegali, di livelli di inquinamento sempre più drammatici, combattuti solo a colpi di decreti che alzano di volta in volta i livelli massimi consentiti di inquinanti (dunque il mare è sempre più inquinato ma torna miracolosamente balneabile perché cambiano i parametri di ciò che è tollerabile).

Se in Italia non trovate lavoro, se a 40 anni siete ancora precari, a stipendi da fame, se in gran parte dell’Europa per lavorare ti basta mandare un curriculum e qui devi conoscere l’amico dell’amico dell’amico, se in Italia a 45 anni sei un “giovane giornalista”, un “giovane sceneggiatore”, un “giovane ricercatore”, e quindi ti si può offrire “una grande occasione di visibilità non retribuita”, mentre in Inghilterra a 25 puoi dirigere un giornale o una delle più prestigiose riviste culturali, non è colpa degli extracomunitari, ma di un sistema baronale e clientelare che costringe i nostri giovani più capaci a scappare all’estero e non tornare mai più.
E se non siete tra i più capaci, e appena messo piede fuori di qui scoprite che non siete adatti al mercato del lavoro di nessun paese, la colpa non è di un extracomunitario, ma di chi ha distrutto il nostro sistema scolastico, rendendovi mediamente tre volte meno istruiti di un vostro pari età inglese o francese o tedesco.

In Italia, quando mangiate una mozzarella piena di diossina, la colpa non è di un extracomunitario, ma di un camorrista italiano che ha sversato rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi e in altre decine di luoghi, in combutta con altri rispettabilissimi imprenditori italiani che preferiscono smaltire così i loro veleni, perché costa meno. Intanto voi morite di malattie terribili, ma a quanto pare non è importante, nel frattempo avrete sempre modo di prendervela con qualche nigeriano o senegalese o bengalese, aizzati da Feltri o Salvini o qualche sito di fake news.

Se in Italia un politico può farvi le stesse promesse per 23 anni consecutivi, senza mai mantenerle, e voi siete pronti a votarlo di nuovo, la colpa non è di un extracomunitario.
La colpa è solo vostra e delle smisurate teste di cazzo che tenete sopra il collo.