Il triste suicidio di una grande nazione

 

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Il triste suicidio di una grande nazione

Un sistema economico in cui prevale l’offerta di impieghi sulla domanda di lavoratori va immediatamente corretto, incoraggiando la nascita di nuove imprese che possano soddisfare l’offerta.

Più imprese nascono, più i lavoratori hanno forza contrattuale individuale perché possono proporre i loro talenti al migliore offerente. I lavoratori che non hanno talenti di alto valore sono costretti a studiare e specializzarsi per migliorare le personali capacità professionali e renderle più pregiate, incremento di valore che si traduce in paghe più elevate perché la professionalità più è alta, più è ambita dalle imprese. Ecco cosa rende una nazione più ricca e più giusta. Ora facciamo mente locale sulla cultura che ha ingessato questo paese da metà anni ‘70 in avanti. Abbiamo creato un clima favorevole alla nascita di nuove aziende? Abbiamo stimolato la competizione economica e individuale incoraggiando l’ambizione al miglioramento e all’arricchimento, frutto dell’eccellenza e non della furberia? Abbiamo responsabilizzato le generazioni di giovani che si sono succedute, garantendogli l’accesso all’istruzione ma costringendole a sudarsi il pezzo di carta?

Abbiamo fatto l’esatto contrario, e nel giro di trenta/quarant’anni l’Italia si è spenta da tutti i punti di vista, morale, economico, imprenditoriale e umano. Abbiamo dato la caccia al titolare della “fabbrichetta” accusato di essere evasore fiscale e sfruttatore degli operai e le fabbrichette hanno chiuso. Abbiamo trasformato scuole e università in diplomifici perché si è stabilito che concludere il ciclo di studi è un “diritto civile”.

Abbiamo tacciato di spietato darwinismo sociale concetti come ambizione e desiderio di emergere, e ci ritroviamo a discutere leggi e provvedimenti che ristabiliscano la meritocrazia a norma di legge. Un professionista che guadagna molti soldi perché i suoi clienti gli pagano i suoi servizi non deve dare troppo nell’occhio, mentre un burocrate di stato che guadagna più di Obama è intoccabile.

Un sindacalista che ha lavorato in azienda metà di un lavoratore comune, grazie ai “distacchi sindacali” pagati fior di quattrini, può andare in pensione prima e con una rendita mensile incomparabilmente più alta. E nessuno protesta. Ma questa deriva, non ce l’hanno imposta con le truppe di occupazione, l’abbiamo assorbita, ci abbiamo sguazzato e ora che il fiume è quasi in secca e i pesci boccheggiano, invochiamo ancora più Stato che ci garantisca ossigeno per vivere.

(Mauro Gargaglione)

fonte: http://zapping2017.myblog.it/2018/01/20/incubo-peste-suina-cresce-lallarme-in-europa/

Crescita del Pil – L’Italia costantemente al penultimo posto al mondo negli ultimi 17 anni. 17 anni in cui siamo stati governati da Berlusconi e dal Pd (tranne la parentesi Monti, appoggiato da Berlusconi e Pd) – Però gli incompetenti sono quelli del M5s…!

 

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Crescita del Pil – L’Italia costantemente al penultimo posto al mondo negli ultimi 17 anni. 17 anni in cui siamo stati governati da Berlusconi e dal Pd (tranne la parentesi Monti, appoggiato da Berlusconi e Pd) – Però gli incompetenti sono quelli del M5s…!

A marzo mi raccomanda scegliete chi votare tra Berlusconi e Renzi – Gli artefici della nostra grande crescita – Dal 2000 a oggi Italia costantemente penultima al mondo per crescita del Pil. Peggio solo Haiti prima e Grecia poi…!

 

Da il Fatto Quotidiano:

Crescita, Ocse: “Dal 2010 a oggi Italia penultima tra i Paesi sviluppati per progresso del pil. Peggio solo la Grecia”

Fatto 100 il prodotto interno lordo del 2010, alla fine del secondo trimestre la Penisola resta a quota 99,1. La Germania segna 112, 6 punti, la Francia 107,6, il Regno Unito 114 punti, la Spagna 104,8 e gli Stati Uniti 115,2

Sette anni da fanalino di coda, o quasi. A fare i conti è l’Ocse, nel rapporto mensile relativo ai primi due trimestri del 2017. Il pil della Penisola, fatto 100 quello del 2010, resta a quota 99,1 punti. E l’andamento degli ultimi sette anni risulta il peggiore tra i paesi sviluppati dopo la Grecia e a parimerito con il Portogallo.

Qui l’articolo completo

Questo negli ultimi 7 anni, ma prima?

Allora leggete questo:

A marzo mi raccomando votate Berlusconi -L’artefice della nostra grande crescita – Dal 2000 Italia penultima nel mondo per crescita del Pil. Peggio di noi solo Haiti, ma perché devasta da un terremoto distruttivo!

Ma ricordate, gli incompetenti sono quelli del M5s!

by Eles

A marzo mi raccomando votate Berlusconi -L’artefice della nostra grande crescita – Dal 2000 Italia penultima nel mondo per crescita del Pil. Peggio di noi solo Haiti, ma perché devasta da un terremoto distruttivo!

 

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A marzo mi raccomando votate Berlusconi  -L’artefice della nostra grande crescita – Dal 2000 Italia penultima nel mondo per crescita del Pil. Peggio di noi solo Haiti, ma perché devasta da un terremoto distruttivo!

Vi ricordiamo questo articolo pubblicato qualche tempo fa, come pro-memoria per le prossime elezioni

Crescita, Italia penultima nel mondo dal 2000 peggio di noi solo Haiti

Penultimi davanti solo ad Haiti. Praticamente ultimi perché il paese caraibico è stato devastato dal terremotoe il crollo del suo Pil non fa testo. Negli ultimi dieci anni, dunque, siamo cresciuti meno di tutti. Nel mondo. Ci siamo piazzati al 179° posto su 180 paesi. I dati del Fondo monetario internazionale elaborati dal quotidiano spagnolo El Pais illustrano il nostro “decennio perduto”, il declino che c’ è stato e che continua. Dieci anni che hanno cambiato il mondo e che ci hanno lasciato in fondo alla classifica prigionieri dei nostri ritardi strutturali. Siamo stati i cinesi del mondo negli anni del miracolo economico, siamo diventati un paese-lumaca, praticamente fermo negli anni della globalizzazione. Nella prima decade del nuovo Millennio la ricchezza italiana è aumentata solo del 2,43 per cento. La grande recessione ci ha congelato e impoveriti: il Pil pro capite è indietreggiato ai livelli del 1998. Non per tutti è stato così. In fondo alla classifica ci siamo ritrovati con gli altri grandi malati in stagnazione permanente: il Portogallo (+6,47 per cento) e il Giappone (+ 7,30 per cento). Oppure con la Germania (172° posto con un Pil in crescita dell’ 8,68 per cento) che ha pagato pesantemente la recessione, ma che ora è ritornata, grazie all’ export, a fare da locomotiva. Distaccati tutti, però, dalle altre economie occidentali: dalla Francia, piazzata al 162° posto con un Pil che è cresciuto in dieci anni del 12,53 per cento, dalla Gran Bretagna (157°, + 15,41 per cento), dagli Stati Uniti (152°, + 17,77 per cento), dalla Spagna (144°, + 22,43 per cento) e dalla stessa Grecia (132°, + 28,09 per cento). Non c’ è stata gara con le cosiddette economie emergenti. Questo è stato il loro decennio: il loro Pil è aumentato cinque volte tanto quello delle economie tradizionali. Nella nostra debacle ci sono colpe le imprese, nella loro incapacità di innovare e adeguarsi a quello che Salvatore Rossi, direttore centrale della Banca d’ Italia, ha più volte chiamato il «cambio di paradigma tecnologico». Ma ci sono – tante – colpe della politica. Nel decennio considerato ha governato per sette anni il centrodestra di Silvio Berlusconi con due parentesi (governi Amato e Prodi) del centrosinistra. «È evidente – dice Enrico Letta, vicesegretario del Pd, sottosegretario a Palazzo Chigi con Romano Prodi – che ci sia una responsabilità prevalente di Berlusconi. Ma un decennio chiama in causa tutto il sistema perché non ci sono mai stati tanti anni così negativi. La nostra società avrebbe bisogno di una vera e propria “shakerata” per immettere in circolo un po’ di dinamismo. Sono mancate le riforme, a cominciare da quella del sistema fiscale che continua a mantenere un triplice record: quello del nero, quello della pressione sul lavoro e sulle aziende, quello che, a parte il Lussemburgo, premia di più le rendite. E poi è mancata una discussione sul lavoro e sui lavori. Dopo un decennio perduto, allora, è necessario subito un governo di responsabilità nazionale. C’ è un interesse “repubblicano” che va oltre gli schieramenti». Va da sé che i ritmi di crescita risentano del punto di partenza e che, dunque, più in basso si è e maggiori sono i margini di incremento. Ma certo fa impressione leggere che il Pil della Guinea Equatoriale (al primo posto) ha fatto segnare in dieci anni un + 387,45 per cento oppure quelli dell’ Azerbaigian (+ 276,24 per cento, in seconda posizione) e del Qatar che con un+ 251,11 per cento ha conquistato la terza posizione. La Cina, che era già partita nel decennio precedente è cresciuta del 170,86 per cento (sesta posizione) e l’ India, al ventesimo posto, ha accresciuto il Pil del 103,52 per cento. Il crollo italiano è dovuto innanzitutto alle pessime performance della produttività. Tra il 1997 e il 2003 è addirittura arretrata. Questo, appunto, è il nostro declino.

fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/10/29/crescita-italia-penultima-nel-mondo-dal-2000.html

Un altro grande successo dell’Euro: da quando è entrato in vigore nel 2000, la crescita del Paese è rimasta ferma a ZERO.

 

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Un altro grande successo dell’Euro: da quando è entrato in vigore nel 2000, la crescita del Paese è rimasta ferma a ZERO.

Mettiamo le mani avanti.

Sicuramente qualcuno contesterà l’idea che il nostro sistema-Paese si sia prima inceppato e poi definitivamente imploso a causa dell’introduzione dell’euro; e la contesterà dicendo che un ciclo economico non si apre né si chiude in un anno preciso, ma che i processi si sviluppano in fasi successive e nel giro di molti anni: nel caso italiano, negli anni allegri delle politiche a debito attuate durante la Prima Repubblica. E in parte è vero, ma non bisogna assolutamente mettere in secondo piano il prezzo che venne fatto pagare agli italiani per entrare nel Club Euro, cioè l’Eurotassa.

Fu un’imposizione che rallentò la crescita economica, mentre il colpo di grazia cominciò ad abbattersi con la crisi finanziaria del 2007, e anche col rincaro del costo della vita che non venne arginato quasi per nulla mediante un controllo statale sugli aumenti indiscriminati dei prezzi ai quali si assistette, nel silenzio assordante dell’Istat il cui paniere fu più volte aggiornato senza successo (poco importa oggi se in malafede o no).

Quel che è certo è l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre con una ricostruzione statistica ancora fresca di pubblicazione ha smascherato le bugie rifilate agli italiani nel nuovo millennio: dal 2000, con l’entrata in vigore dell’euro, la crescita del Paese è rimasta pressoché ferma a zero. Pura coincidenza?

Si leggano intanto alcuni dati che l’osservatorio delle piccole e medie imprese artigiane veneziane ci mostra per capire quanto sia grave la situazione. La ricchezza italiana misurata in PIL è cresciuta negli ultimi 17 anni mediamente dello 0,15% annuo. Rispetto ai tempi pre-2007, dobbiamo ancora recuperare 5,4 punti percentuali. Tra le componenti di quest’ultimo indicatore economico, nel 2017 la spesa della Pubblica amministrazione presenta una dimensione inferiore a quella di 10 anni fa dell’1,7%, la spesa delle famiglie del 2,8% e gli investimenti addirittura del 24,3% in meno. La crescita registrata dai nostri principali competitor dell’area euro è stata invece molto superiore: 21,7% di incremento in Francia, 23,7% in Germania e addirittura 31,3% in Spagna.

Infine, l’Europa senza Italia ha riportato una variazione positiva del 25,9%. Tra i 19 Stati che hanno adottato la moneta unica soltanto Portogallo (-1,2%) e Grecia (-25,2%) devono ancora recuperare, in termini di PIL, la situazione ante crisi. Se, tuttavia, in questo arco temporale analizziamo l’andamento dei nostri conti pubblici, il rigore non è mai venuto meno, quindi ci sono stati meno investimenti per infrastrutture essenziali quali trasporti, logistica, edilizia scolastica e sportiva, mentre è continuata la vecchia abitudine di largheggiare nella spesa corrente a pioggia. Questi dati, come sottolineato dal coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, si possono leggere con una sola chiave di lettura:

Come sostengono molti esperti, siamo in una fase di stagnazione secolare e sebbene la ripresa si stia consolidando in tutta Europa, anche a seguito di una congiuntura internazionale favorevole, gli effetti positivi non stanno interessando tutte le aree territoriali e le classi sociali del nostro Paese. Il popolo delle partite Iva, ad esempio, continua ad arrancare; schiacciato da un carico fiscale eccessivo, da una burocrazia oppressiva e da una domanda interna che stenta a decollare.

Anche sul fronte della produzione industriale, dove il Governo racconta di aver fatto grandi passi in avanti grazie a qualche buon risultato ottenuto solo negli ultimi mesi, lo score dell’Italia registrato negli ultimi 17 anni è stato invece deludente. Rispetto al 2000 si registra un differenziale negativo di 19,1 punti percentuali, con punte del —35,3% nel tessile/abbigliamento e calzature, del —39,8% nell’informatica e del —53,5% nelle apparecchiature elettriche, cioè dei settori a maggiore produttività e con salari maggiori. Di segno positivo sono per fortuna almeno alimentari/bevande (+11,2%) e farmaceutica (+28,3%). Tra 2000 e 2017 nessun altro tra i principali Paesi avanzati dell’UE è riuscito a fare peggio di noi, anzi addirittura l’industria tedesca è aumentata quasi del 30%.

Oltre a non crescere quanto gli altri, soprattutto per colpa del carico fiscale eccessivo, l’Italia non riduce neppure il costo del suo debito pubblico, nonostante la riduzione del costo degli interessi di cui ha potuto beneficiare grazie alla stabilità dell’euro. Siamo tra i primi cinque Paesi più indebitati al mondo, col 132,6% del PIL, in compagnia di Capo Verde, Libano, Grecia e Giappone. E allora è evidente che l’ottimismo sfoderato da certi politici è ben lontano dall’avere solide basi su cui fondarsi: è solo fuffa da imbonitori. Il Paese continua pericolosamente a traballare e stiamo ancora aspettando un uomo o un gruppo dirigente capace di riportarci sul binario giusto, perché l’Italia avrebbe tutte le carte in tavole per essere traino in Europa, mentre ora è schiava e subalterna delle politiche di altri.

TRATTO DA: http://www.stopeuro.news/dal-2000-con-lentrata-in-vigore-delleuro-la-crescita-del-paese-e-rimasta-ferma-a-zero/

Italia da Record, 15 anni di tagli delle tasse, ormai non paghiamo quasi niente …ma proprio non Vi sentite presi per il c…?

 

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Italia da Record, 15 anni di tagli delle tasse, ormai non paghiamo quasi niente …ma proprio non Vi sentite presi per il c…?

 

Parte la campagna elettorale… E partono le promesse di Renzi e Berlusconi di tagliare (ancora) le tasse!
Ma non Vi sentite fortunati?
Sono 15 anni di continui tagli. Ormai non paghiamo più un cazzo!
Vero?
No?
…E allora…
Non Vi viene il sospetto di essere presi un tantino per il culo??
Pressione fiscale in Europa: Italia al primo posto
Le imprese italiane, al netto dei contributi previdenziali, pagano 98 miliardi di tasse all’anno. Tra i principali paesi Ue, denuncia l’Ufficio studi della Cgia, solo le aziende tedesche e quelle francesi versano in termini assoluti più delle nostre, rispettivamente 131 e 103,6 miliardi di euro, ma va ricordato che la Germania conta una popolazione di 80 milioni di abitanti, la Francia 66 e l’Italia 60. Il peso della tassazione sulle imprese italiane è tuttavia massimo in Ue e ciò si evince calcolando la percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul gettito fiscale totale: l’Italia si piazza al primo posto (14%), sul secondo gradino del podio si posiziona l’Olanda (13,1%) e sul terzo il Belgio (12,2%). Tra i nostri principali avversari segnaliamo che la Germania registra l’11,8%, la Spagna il 10,8%, la Francia e il Regno Unito il 10,6 per cento. La media Ue, invece, è dell’11,4%.
La stessa Cgia ha chiarito che l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul totale del gettito fiscale è un indicatore che aiuta a comprendere l’elevato livello di tassazione a cui sono sottoposte le aziende. Si tenga presente che le imposte italiane considerate in questa analisi su dati Eurostat sono: l’Irap, l’Ires, la quota dell’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, le ritenute sui dividendi e sugli interessi e le imposte da capital gain. L’istituto di statistica europeo, però, non considera altre forme di prelievo per le quali non è possibile effettuare un confronto omogeneo con gli altri paesi presi in esame in questa comparazione.
“Ci riferiamo ai contributi previdenziali, all’Imu/Tasi, al tributo sulla pubblicità, alle tasse sulle auto pagate dalle imprese, alle accise, ai diritti camerali. Possiamo quindi affermare con buona approssimazione che in questa elaborazione l’ammontare complessivo del carico fiscale sulle imprese italiane è certamente sottostimato. Con troppe tasse e pochi servizi – ha spiegato il segretario dell’associazione metrina, Renato Mason – è difficile fare impresa, creare lavoro e redistribuire ricchezza. Soprattutto per le piccole e piccolissime imprese che per loro natura non possono contare su strutture amministrative interne in grado di gestire le incombenze burocratiche, normative e fiscali che quotidianamente sono costrette a fronteggiare”.
La riprova che in Italia il peso dei tributi sulle imprese è troppo elevato emerge anche dai dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale (Doing Business). Pur riconoscendo che da un punto di vista metodologico questa comparazione presenta una serie di limiti, l’Ufficio studi della Cgia sottolinea che in Italia il totale delle imposte pagate in percentuale sui profitti commerciali di un’impresa media è pari al 64,8 per cento. Nessun altro paese dell’euro zona subisce un’incidenza così elevata. La Francia, che si posiziona al secondo posto, si attesta al 62,7% e il Belgio, che presidia la terza posizione, è al 58,4%. Rispetto alla media dell’area dell’euro (43,6%) le imprese italiane scontano un differenziale di oltre 21 punti percentuali.
“Pur riconoscendo l’impegno profuso dal Governo Renzi – ha aggiunto Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi dell’associazione – le imprese italiane continuano ad avere un total tax rate che non ha eguali nel resto d’Europa. Pertanto, è necessario che l’esecutivo, in attesa delle riduzioni dell’Ires e dell’Irpef, attui da subito una moratoria fiscale che sterilizzi qualsiasi aumento di tassazione a livello nazionale e locale ed eviti, come purtroppo è successo negli ultimi 2 anni per i trasporti, la diminuzione delle deduzioni/detrazioni fiscali che si sono tradotte nell’ennesimo aumento di imposta per moltissimi imprenditori”.
La situazione migliora, anche si di poco, se analizziamo la pressione fiscale generale in percentuale del Pil che grava su ogni paese. Ad eccezione della Francia e dei paesi del nord Europa, il confronto con i principali partner economici ci vede notevolmente penalizzati. Se il peso delle tasse e dei contributi previdenziali che ricadono sui contribuenti italiani si è attestato nel 2015 al 43,5% del Pil, in Germania (39,6%) è inferiore di quasi 4 punti, nei Paesi Bassi (37,8%) di 5,7 punti, nel Regno Unito (34,8%) di 8,7 punti e in Spagna (34,6%) di quasi quasi 9.
tratto da: http://siamolagente2016.blogspot.it/2017/03/italia-da-record-15-anni-di-tagli-delle.html

Italia da Record, 15 anni di tagli delle tasse, ormai non paghiamo quasi niente …ma proprio non Vi sentite presi per il c…?

 

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Italia da Record, 15 anni di tagli delle tasse, ormai non paghiamo quasi niente …ma proprio non Vi sentite presi per il c…?

 

Sta per partire la campagna elettorale. E partono da parte di Renzi e Berlusconi le promesse di tagliare (ancora) le tasse!
Ma non Vi sentite fortunati?
Sono 15 anni di continui tagli. Ormai non paghiamo più un cazzo!
Vero?
No?
…E allora…
Non Vi viene il sospetto di essere presi un tantino per il culo??
Pressione fiscale in Europa: Italia al primo posto!
Le imprese italiane, al netto dei contributi previdenziali, pagano 98 miliardi di tasse all’anno. Tra i principali paesi Ue, denuncia l’Ufficio studi della Cgia, solo le aziende tedesche e quelle francesi versano in termini assoluti più delle nostre, rispettivamente 131 e 103,6 miliardi di euro, ma va ricordato che la Germania conta una popolazione di 80 milioni di abitanti, la Francia 66 e l’Italia 60. Il peso della tassazione sulle imprese italiane è tuttavia massimo in Ue e ciò si evince calcolando la percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul gettito fiscale totale: l’Italia si piazza al primo posto (14%), sul secondo gradino del podio si posiziona l’Olanda (13,1%) e sul terzo il Belgio (12,2%). Tra i nostri principali avversari segnaliamo che la Germania registra l’11,8%, la Spagna il 10,8%, la Francia e il Regno Unito il 10,6 per cento. La media Ue, invece, è dell’11,4%.
La stessa Cgia ha chiarito che l’incidenza percentuale delle tasse pagate dalle imprese sul totale del gettito fiscale è un indicatore che aiuta a comprendere l’elevato livello di tassazione a cui sono sottoposte le aziende. Si tenga presente che le imposte italiane considerate in questa analisi su dati Eurostat sono: l’Irap, l’Ires, la quota dell’Irpef in capo ai lavoratori autonomi, le ritenute sui dividendi e sugli interessi e le imposte da capital gain. L’istituto di statistica europeo, però, non considera altre forme di prelievo per le quali non è possibile effettuare un confronto omogeneo con gli altri paesi presi in esame in questa comparazione.
“Ci riferiamo ai contributi previdenziali, all’Imu/Tasi, al tributo sulla pubblicità, alle tasse sulle auto pagate dalle imprese, alle accise, ai diritti camerali. Possiamo quindi affermare con buona approssimazione che in questa elaborazione l’ammontare complessivo del carico fiscale sulle imprese italiane è certamente sottostimato. Con troppe tasse e pochi servizi – ha spiegato il segretario dell’associazione metrina, Renato Mason – è difficile fare impresa, creare lavoro e redistribuire ricchezza. Soprattutto per le piccole e piccolissime imprese che per loro natura non possono contare su strutture amministrative interne in grado di gestire le incombenze burocratiche, normative e fiscali che quotidianamente sono costrette a fronteggiare”.
La riprova che in Italia il peso dei tributi sulle imprese è troppo elevato emerge anche dai dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale (Doing Business). Pur riconoscendo che da un punto di vista metodologico questa comparazione presenta una serie di limiti, l’Ufficio studi della Cgia sottolinea che in Italia il totale delle imposte pagate in percentuale sui profitti commerciali di un’impresa media è pari al 64,8 per cento. Nessun altro paese dell’euro zona subisce un’incidenza così elevata. La Francia, che si posiziona al secondo posto, si attesta al 62,7% e il Belgio, che presidia la terza posizione, è al 58,4%. Rispetto alla media dell’area dell’euro (43,6%) le imprese italiane scontano un differenziale di oltre 21 punti percentuali.
“Pur riconoscendo l’impegno profuso dal Governo Renzi – ha aggiunto Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi dell’associazione – le imprese italiane continuano ad avere un total tax rate che non ha eguali nel resto d’Europa. Pertanto, è necessario che l’esecutivo, in attesa delle riduzioni dell’Ires e dell’Irpef, attui da subito una moratoria fiscale che sterilizzi qualsiasi aumento di tassazione a livello nazionale e locale ed eviti, come purtroppo è successo negli ultimi 2 anni per i trasporti, la diminuzione delle deduzioni/detrazioni fiscali che si sono tradotte nell’ennesimo aumento di imposta per moltissimi imprenditori”.
La situazione migliora, anche si di poco, se analizziamo la pressione fiscale generale in percentuale del Pil che grava su ogni paese. Ad eccezione della Francia e dei paesi del nord Europa, il confronto con i principali partner economici ci vede notevolmente penalizzati. Se il peso delle tasse e dei contributi previdenziali che ricadono sui contribuenti italiani si è attestato nel 2015 al 43,5% del Pil, in Germania (39,6%) è inferiore di quasi 4 punti, nei Paesi Bassi (37,8%) di 5,7 punti, nel Regno Unito (34,8%) di 8,7 punti e in Spagna (34,6%) di quasi quasi 9.
tratto da: http://siamolagente2016.blogspot.it/2017/03/italia-da-record-15-anni-di-tagli-delle.html

Eurostat: l’Italia è il Paese dell’Unione con più poveri. I dati che smentiscono clamorosamente i vergognosi proclami di Renzi e Gentiloni!

 

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Eurostat: l’Italia è il Paese dell’Unione con più poveri. I dati che smentiscono clamorosamente i vergognosi proclami di Renzi e Gentiloni!

Povertà: Eurostat, l’Italia è il Paese Ue con più poveri

Quasi 7 milioni, il doppio della Germania e tre volte la Francia

L’Italia è il Paese europeo con il numero più elevato di persone che vivono in “gravi privazioni materiali”, ovvero la definizione istituzionale di ‘poveri’. E’ quanto emerge dai dati Eurostat relativi al 2015, che segnalano una discesa sensibile del numero di poveri in Europa, ma solo marginale in Italia. Nel 2015 in Europa il tasso di povertà è sceso a 8,2% sul totale dei cittadini europei, dal 9% del 2014.

In totale, sono 41,092 milioni i poveri in Europa. L’Italia, invece, è passata dall’11,6% all’11,5%, ovvero un totale di 6,982 milioni di persone che vivono in conclamate condizioni di povertà. Per Eurostat, si tratta di persone che non possono affrontare una spesa inaspettata, permettersi un pasto a base di carne ogni due giorni, mantenere una casa. Il numero è molto più basso in Germania (3,974 milioni), dove il tasso è appena del 5%, e anche in Francia (2,824 milioni), con un tasso del 4,5%, entrambi Paesi più popolosi dell’Italia. In generale sono poveri soprattutto i genitori ‘single’ (17,3% del totale Ue) e gli adulti senza compagno (11%).

 

fonte: http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/04/14/poverta-eurostat-litalia-e-il-paese-ue-con-piu-poveri_da758191-a44a-44e5-b9a8-ea47a838e6c6.html

Fate Presto? In Italia? Ecco la storia di Lucia: “Io, terremotata dell’Irpinia e i miei 37 Natali da sfollata passati dentro un container”

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Fate Presto? In Italia? Ecco la storia di Lucia: “Io, terremotata dell’Irpinia e i miei 37 Natali da sfollata passati dentro un container”

“Io, terremotata dell’Irpinia e i miei 37 Natali da sfollata passati dentro un container”
L’87enne di Cava de’ Tirreni: “La casa? Aspettano che muoia”

Sul fuoco ribolle un brodino di verdure, la televisione trasmette il solito gioco a premi e la signora Lucia Senatore, 87 anni, invalida al 50 per cento, aspetta l’ora di cena accanto alla stufa a gas.

Per il trentasettesimo anno consecutivo della sua vita, si prepara a passare il Natale nel container numero 59 del campo sfollati in frazione Pregiato a Cava de’ Tirreni. «Il mio container lo curo al massimo», dice guardando i cavi elettrici che penzolano dal soffitto. «Mi vergogno delle cose che non funzionano. Ho fatto mettere una nuova finestra, ma restano gli spifferi e piove dentro. Il mio sogno era avere una casa vera, non credo si realizzerà».

Lo sconquasso 

È ancora una terremotata dell’Irpinia, l’ultima sfollata. Vive sempre nello stesso posto che le diedero per ripararsi dallo sconquasso che il 23 novembre 1980 provocò 2914 morti e lasciò senza casa 280 mila persone. Le avevano promesso che almeno quest’anno ce l’avrebbero fatta a sistemarla in un alloggio normale, una casa con i muri spessi e qualche vicino con cui parlare. Ma mantenere le promesse non è mai stato il nostro forte.

«Della scossa ricordo tutto. La notte in strada, al gelo, passata a stringere mio figlio. Quando fummo trasferiti in questa campo con altre 137 famiglie, ci misero subito in guardia: “Sono casette temporanee di lamiera, durano poco“. Dovevano servire solo per fronteggiare l’emergenza. Avevano un’abilità massima di 5 anni». Tutti i tetti erano di Eternit. Lo sono ancora. L’amianto non è mai è stato smantellato.

La signora Lucia Senatore ha fatto l’operaia alla Manifattura Tabacchi, poi la bidella per più di metà della sua vita. Da questo container andava a scuola e tornava indietro, da qui va a prendere la pensione da 830 euro al mese quando se la sente di uscire. Sempre qui viene a trovarla suo figlio e arriva il medico della mutua. L’indirizzo è scritto anche sulla carta d’identità: «Via Luigi Ferrara, prefabbricato 59». Ma come è possibile che sia successo?

«Quando vado a chiedere in Comune, mi rispondono che il problema è che sono single, abito da sola». E cosa c’entra? «Per me ci vorrebbe un alloggio di piccola metratura, ma loro non li hanno. Però ho scoperto che hanno assegnato una casa di 45 metri quadrati a una amica di un impiegato dell’ufficio tecnico, l’hanno data a dei finti separati, ad altri che occupavano i container abusivamente. A me sono sempre piaciute le cose oneste e educate, per questo sono qui».

La collina

Le abitazioni nuove dei terremotati sono state costruite sulla collina, cento metri più su, davanti al centro anziani. Ma dei 365 alloggi previsti dal piano della ricostruzione, ne sono stati completati 210. I finanziamenti della Regione Campania sono arrivati lentamente e a singhiozzo. Le imprese hanno denunciato il Comune di Cava de’ Tirreni per inadempienza. Il Comune ha fatto causa alla Regione per i ritardi e alle imprese stesse perché gli infissi dei nuovi appartamenti non tengono la pioggia. Intanto, un’indagine dei carabinieri ha scoperto che più di venti assegnazioni erano state fatte sulla base di «dichiarazioni mendaci»: alloggi dati a persone che non ne avevano diritto. Non erano neppure terremotati.

Fra le case nuove e i vecchi container, c’è un campo da calcio da cui ogni tanto arrivano le urla di un allenatore. I prefabbricati di via Luigi Ferrara sono spettrali. La porta del numero 10 è chiusa con due giri di cordino, piante rampicanti occupano il 42, qualcuno ha usato il numero 16 come bagno, il 40 è completamente distrutto come se fosse stato preso a mazzate. Il penultimo container è abitato da una famiglia povera con tre figli, fra topi e rifiuti. Il container della signora Senatore si riconosce. È verdino. Curato. Con una pianta accanto all’ingresso e un piccolo cane alla catena sul retro.

«Mi hanno detto che la mia prima domanda per le case della ricostruzione era sbagliata, aveva un vizio di forma. La seconda andava bene, ma nel frattempo non ero più in cima alla graduatoria. Poi, tre anni fa, mi hanno offerto un’altra abitazione provvisoria. “Una casa parcheggio“, la chiamano loro. Ma era senza camera da letto. Dopo tutto questo tempo di attesa, mi sono sentita presa in giro e ho capito che stanno solo aspettando che io muoia».

La dolcezza 

La vita al campo container di Pregiato ha riservato qualche dolcezza che la signora Senatore non avrebbe mai immaginato. «Un giorno di tanti anni fa, andando a ballare al centro anziani, ho conosciuto Giovanni, un signore bravissimo. Io gli volevo troppo bene. È morto nel 2014 e mi manca tutti i giorni». Ecco la foto del signor Giovanni. «Era troppo gentile. A giugno mi portava al mare, teneva le mozzarelle in un sacchetto con il ghiaccio e la sdraio pieghevole nel bagaglio della sua auto. Andavamo a mangiare al ristorante “La Selva“ e molto spesso veniva a cena qui. Con lui ho passato i natali più felici nel container. Mi diceva: “Vedrai che presto andrai via e faremo una grande festa“».

Durante la trentasettesima commemorazione del terremoto dell’Irpinia, il vicesindaco di Cava de’ Tirreni Nunzio Senatore, parlando con un giornalista di Anteprima24, era stato categorico: «Entro l’anno tutti avranno una degna sistemazione e si porrà fine a questa brutta pagina della nostra città che dura da oltre trent’anni e che ha visto campi destinati al post terremoto diventare anche un ghetto». Nel ghetto c’è ancora vita. Ancora rabbia e degrado. E c’è lei, Lucia Senatore.

L’assessore  

«Mi dispiace molto per questa situazione», dice Antonino Attanasio assessore al Patrimonio e capo della polizia municipale di Cava de’ Tirreni. «Mi rendo conto che il quadro possa apparire sconfortante, ma noi ce la stiamo mettendo tutta per ripristinare la legalità. Ci sono state delle lungaggini pazzesche. C’è stata gente che ha cercato di approfittare della situazione. Da tre anni stiamo lavorando con la procura per mettere tutto in regola, entro marzo le ultime case saranno assegnate ai legittimi proprietari. Anche il nuovo appartamento della signora Senatore sarà pronto, negli ultimi tempi è stata un po’ irragionevole, non ha voluto accettare una casa parcheggio. Ma nel 2018…».

Lucia Senatore sa cosa pensano di lei. Da 37 anni è parcheggiata in questa baracca. Adesso è l’ora di cena, si alza con l’aiuto di un bastone: «Mi sono passati davanti tutti, questo è il grande rimpianto della mia vita. Dovevo essere più arrabbiata. Ma non voglio morire qui». Fuori è buio. Una nuvola nasconde le stelle. Il cane abbaia agli sconosciuti. Buon Natale dal container 59.

 

tratto da: http://www.lastampa.it/2017/12/23/italia/cronache/io-terremotata-dellirpinia-e-i-miei-natali-da-sfollata-passati-dentro-un-container-K3rpwyn9Je1vEsHbOZn2jI/pagina.html

In Italia più poveri che in Romania – Ecco il grande risultato di 20 anni di alternanza Berlusconi-Pd… Però gli incapaci (dicono loro in coro) sono i grillini…!

 

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In Italia più poveri che in Romania – Ecco il grande risultato di 20 anni di alternanza Berlusconi-Pd… Però gli incapaci (dicono loro in coro) sono i grillini…!

IN ITALIA PIU’ POVERI CHE IN ROMANIA (GRAZIE, SINISTRI AL GOVERNO)

Di  Federico Conti

L’Italia è il Paese che ha più poveri in Europa e rappresentano il 20% degli 80 milioni di quelli residenti nell’Unione Europea.

I dati Eurostat diffusi oggi e relativi al 2016 indicano il tasso di privazioni sociali che vedono l’Italia undicesima in questa graduatoria e segnalano la presenza di 10 milioni di persone che, da definizione , non si possono permettere almeno cinque cose necessarie per una vita dignitosa, come un pasto proteico ogni due giorni, abiti decorosi, due paia di scarpe, una settimana di vacanze all’anno e una connessione a internet.

La Penisola è undicesima tra i 28 Stati membri con un 17,2% di indigenti sul totale. Nemmeno i francesi se la passano bene, contando circa 8,4 milioni. Il poco invidiabile primato non stupisce se si pensa che, stando ai dati Istat, negli ultimi dieci anni i “poveri assoluti” – chi non è in grado di acquistare nemmeno beni e servizi essenziali – sono triplicati. Nel 2006 erano 1,66 milioni, l’anno scorso l’istituto di statistica ne ha contati 4,7 milioni. Tra cui 1,3 milioni di bambini.

Letti in quest’altro modo i numeri mostrano un’altra Europa, con l’Italia, sempre pronta a rivendicare la sua grandezze economica, a fare più fatica di tutti. Gli italiani soffrono anche più dei romeni (9,8 milioni) che pure in termini percentuali si trovano davanti a tutti quanto a privazioni.

di Federico Conti

da Oltre la Linea.

tramite: http://www.stopeuro.news/in-italia-piu-poveri-che-in-romania-grazie-sinistri-al-governo/

Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”? Ogni bambino che nasce in Italia ha già un debito di 40.000 Euro. Ogni bambino che nasce in Norvegia ha un patrimonio di 161.000 Euro. Ecco cosa andrebbe spiegato ai nostri politici…!

 

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Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”? Ogni bambino che nasce in Italia ha già un debito di 40.000 Euro. Ogni bambino che nasce in Norvegia ha un patrimonio di 161.000 Euro. Ecco cosa andrebbe spiegato ai nostri politici…!

 

Perché la Norvegia non ha “debito pubblico”?
La Norvegia non ha il nostro debito pubblico, perchè:
1 – Non ha aderito all’euro. La moneta Norvegese è la Corona (coniata in una banca centrale statale)
2 – Non ha privatizzato le principali banche del paese (DnB NOR) e le aziende energetiche: petrolio (Statoil), energia idroelettrica (Statkraft), alluminio (Norsk Hydro) e le telecomunicazioni (Telenor)
3 – Circa il 30% di tutte le aziende quotate alla borsa di Oslo è statale
4 – I titoli di stato rendono il 6,75% netto ai risparmiatori
5 – Pur essendo il principale produttore di petrolio europeo, NON fa parte dell’OPEC (per la cronaca, l’Italia è il secondo produttore europeo e in Basilicata è stato individuato il più grande giacimento d’Europa su terraferma).
Naturalmente, in Norvegia, non si sognano di parlare di privatizzazione dell’acqua o privatizzazione della raccolta di rifiuti, come fanno i nostri politici e NON hanno un debito pubblico schiacciante come il nostro, anzi! Hanno un avanzo di bilancio statale del 16,5%, mentre noi, che abbiamo privatizzato quasi tutto, abbiamo un debito pubblico pari al 127% del nostro PILIn pratica questa situazione garantisce alla Norvegia un debito che ammonta al 48,4% del PIL, permettendole di incassare ogni anno più di quanto spende.
E l’Italia (e tutti gli altri paesi del mondo) cosa sta aspettando?

 

Fonte: http://siamolagente.altervista.org/la-norvegia-non-ha-debito-pubblic/

Norvegia, il fondo sovrano vale mille miliardi. Ogni cittadino nasce con un patrimonio da 161mila Euro

Ogni norvegese ha un credito di 161mila euro. Altro che debito pubblico, il fondo sovrano norvegese ha sfondato quota mille miliardi di dollari. E’ il fondo sovrano tra i più ricchi al mondo in assoluto e “appartiene al popolo norvegese”, si legge sul sito di Norges bank investment management.

La storia del successo. Tutto è iniziato nel 1998 quando fu costituito il “Norges bank investment management”, poi diventato il fondo sovrano più grande al mondo. Merito del greggio, certo. Ma non solo. Del totale degli investimenti, il 65 per cento sono azioni, dal “gettone” di 7,4 miliardi di dollari puntato su Apple, ai 5,5 miliardi su Alphabet (Google). Un altro 32 per cento è rappresentato da obbligazioni, mentre la quota di investimenti immobiliare è quasi irrilevante (3 per cento).

Oltre 400 miliardi di dollari sono stati investiti a Wall Street, in Europa è rimasto il 36 per cento del forziere, mentre il 18 per cento è finito in Asia. Il rimanente 4 per cento si divide tra Sud America, Africa e Oceania. Dalle piattaforme dell’oro nero nel Mar del Nord, fino alle aziende della Silicon Valley: chi nasce in Norvegia ha già una discreta dote finanziaria.

Il Prodotto interno lordo dalle parti di Oslo viaggia spedito, il debito pubblico è tra i più contenuti del Vecchio continente. Insomma, sui fiordi non c’è il sole che risplende a Roma, ma sicuramente ci sono più soldi. Se facessimo il paragone tra la quota di debito pubblico pro capite in Italia (38mila euro) e quella del credito del fondo sovrano norvegese (161mila euro pro capite), salterebbe all’occhio uno spread di 199mila euro. Un gap che neanche il sole riuscirà a colmare facilmente. 

fonte: https://it.finance.yahoo.com/notizie/norvegia-il-fondo-sovrano-vale-mille-miliardi-ogni-cittadino-nasce-con-un-patrimonio-da-161mila-euro-093813263.html