“10 domande a Salvini” – lo spietato editoriale di Marco Travaglio

 

Marco Travaglio

 

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“10 domande a Salvini” – lo spietato editoriale di Marco Travaglio

Abbiamo chiesto un’intervista al Matteo Salvini. Nessuna risposta. Casomai ci ripensasse, queste sono le domande che avremmo voluto porgli, per il dovere di trasparenza che è richiesto a un uomo di governo della sua importanza dinanzi ai cittadini.

1. Ministro Salvini, lei parla e twitta su tutto, dal menu delle sue colazioni al festival di Sanremo, da quel che dovrebbero fare gli altri ministri a come si governa Roma: possibile che non trovi il tempo per dire una parola sulla famiglia Arata? Chi e quando le ha presentato Paolo Franco Arata, genovese, 69 anni, ex parlamentare di Forza Italia che in un’intercettazione si definisce “socio al 50 per cento” almeno dal 2015 del pregiudicato (per corruzione e truffa) Vito Nicastri, il re dell’eolico siciliano ora ai domiciliari, destinatario di un sequestro preventivo di 1,3 miliardi dalla Direzione Antimafia di Palermo perché ritenuto il finanziatore della latitanza di Matteo Messina Denaro?

2. Ha conosciuto prima Arata padre oppure il figlio Federico, 34 anni, che del 2016 risulta seguire i rapporti internazionali della Lega e nel 2017 ha organizzato il fugace incontro Salvini-Trump a New York, grazie ai suoi rapporti con Steve Bannon, aspirante federatore dell’internazionale “sovranista”? Ha mai pensato di prendere informazioni su quella strana famiglia, prima di inocularla come un virus letale nella Lega? Ora che gli inquirenti hanno scoperto quei terribili legami fra Arata sr., Nicastri e Messina Denaro, perché non rassicura i suoi elettori e tutti i cittadini sul fatto che terrà Arata e la sua famiglia alla larga della Lega e del governo?

3. Da anni Paolo Arata possiede varie società nel settore energia e questo, diversamente dai suoi rapporti con Nicastri, lo sapevano tutti: bastava una ricerca su Google o una visura camerale. Perché lei, malgrado il suo plateale conflitto d’interessi, lo incaricò di scrivere il programma della Lega proprio sull’energia, lo invitò a parlare al convegno programmatico di Piacenza nel luglio 2017?

4. Lei ha compiuto sforzi immani per riverginare l’immagine della Lega, screditata dagli scandali di Belsito, della Family Bossi, dei 49 milioni scomparsi ecc. Perché diede proprio ad Arata, legato a tutta la vecchia politica siciliana e non (da Mannino a Miccichè ad Alberto Dell’Utri), un ruolo così centrale nel suo “nuovo” partito, al punto che – come risulta dalle carte dell’inchiesta delle Procure di Palermo e Roma – fu addirittura Arata a sponsorizzare la nomina dell’amico e corregionale Armando Siri a sottosegretario ai Trasporti?

5. In dieci mesi di governo, Arata e famiglia hanno beneficiato di una serie impressionante di favori targati Lega. Lei, ad agosto, tentò di farlo nominare presidente dell’Authority dell’energia, cioè controllore di se stesso, visto il suo palese conflitto d’interessi di imprenditore dell’eolico (nomina stoppata da Di Maio). Siri, fra luglio e dicembre, provò in ogni modo a far approvare una norma chiesta da Arata per favorire la sua azienda eolica (quella a mezzadria col finanziatore di Messina Denaro). Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha appena assunto il figlio Federico Arata a Palazzo Chigi come “esperto” del Dipartimento programmazione economica, dopo che quello l’aveva aiutato nella discussa trasferta di marzo negli Usa. La Lega deve qualcosa a quella famiglia? Salvini può garantire che mai gli Arata hanno finanziato la Lega?

6. Ora Arata sr. è accusato di aver corrotto il sottosegretario Siri con una tangente di 30mila euro in cambio dell’emendamento su misura per la sua società eolica, che avrebbe moltiplicato i guadagni suoi e del socio occulto siciliano. La presunta tangente dovranno accertarla o smentirla i giudici, e non risulta che lei ne sapesse alcunché. Ma l’emendamento ad Aratam è già arcisicuro: “le tariffe incentivanti e i premi di cui al decreto ministeriale 6 luglio 2012 e ai suoi allegati, del ministero dello Sviluppo Economico, si applicano agli impianti aventi accesso diretto agli incentivi ai sensi del… medesimo decreto, alla condizione che siano entrati in esercizio fino al 30.9.2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30.6.2017”, quindi senza rispettare il termine di legge. E guardacaso proprio in quella situazione si trovava la società di Arata (e Nicastri). Cosa pensa Salvini di quella legge ad aziendam e dei suoi che l’hanno spinta?

7. I massimi funzionari dello Sviluppo economico hanno raccontato ai pm che a luglio Siri tentò di far passare l’emendamento ad Aratam nel dossier sulle Rinnovabili, e fu da loro respinto; il capogruppo leghista Romeo ci riprovò in dicembre, nella legge di bilancio, e fu bloccato dal ministro dell’Ambiente Costa; Siri ritentò e ricevette l’alt del ministro dei Rapporti col Parlamento Fraccaro; ma non si arrese e azzardò il colpaccio nel Milleproroghe, scontrandosi con i sottosegretari pentastellati Castelli e Crippa. Intanto Arata rassicurava Nicastri (ai domiciliari) tramite il figlio Manlio: “Ci pensa il mio uomo”. Salvini ha mai saputo niente di quel pressing? Se sì, perchè non l’ha bloccato, visto che non riguardava interessi generali, ma affari personali di Arata? Se no, come giudica il comportamento del sottosegretario Siri, asservito a quegli interessi privati?

8. Giovedì, appena appreso di essere indagato, Siri ha dichiarato: “Non so assolutamente chi sia questo imprenditore coinvolto (Arata, ndr), non mi sono mai occupato di eolico in tutta la mia vita. Sono senza parole, credo che si tratti di un errore di persona”. Venerdì, smentito persino dal suo capogruppo Romeo, ha cambiato versione: “Ho presentato un emendamento che mi ha chiesto una filiera di piccoli produttori”. Ieri ha raccontato un’altra storia ancora: “Arata mi ha detto che rappresentava un’associazione dei piccoli imprenditori dell’eolico… mi ha fatto una testa così e io gli ho detto: va bene, mandamelo”. A prescindere dalle accuse di corruzione (da dimostrare) e dall’asservimento della sua funzione pubblica a interessi privati (dimostrata), Siri è un bugiardo seriale: non basta questo per dimissionarlo dal “governo del cambiamento”?

9. Ministro Salvini, lei ha difeso Siri perché è “soltanto” indagato per corruzione e ha ricordato ai 5Stelle il precedente di Virginia Raggi, più volte indagata. Ora, la Raggi non c’entra nulla: non è mai stata indagata per corruzione, è stata assolta e prosciolta e archiviata da tutto, e non si comprende perché lei ne abbia chiesto le dimissioni, se non per coprire lo scandalo Siri. Ma, sulla presunta corruzione di Siri, lei ha ragione: finché non si proverà che Arata se l’è comprato con 30mila euro, il fatto resta controverso e nulla autorizza nessuno a cacciarlo dal governo in quanto corrotto (semmai per le sue bugie e i suoi traffici per una norma ad aziendam, e che aziendam!). Però il suo “garantismo” su Siri “solo” indagato cozza col fatto che la sua fedina penale riporta già una sentenza definitiva di colpevolezza: un patteggiamento del 2014 a 1 anno e 8 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Cioè: è stato lui stesso a concordare la pena per avere svuotato le casse di una società, lasciando 1 milione di buco e occultando parte del bottino nel paradiso fiscale del Delaware. Quindi Siri non deve uscire dal governo perché indagato: non avrebbe dovuto entrarvi perché ha patteggiato. Che le è saltato in mente di nominare sottosegretario e ideologo della politica fiscale leghista un bancarottiere e frodatore del fisco?

10. Se lei, ministro Salvini, avesse tenuto a distanza, se non dalla Lega, almeno dal settore energia, un faccendiere in conflitto d’interessi come Arata e, se non dalla Lega, almeno dal governo un sicuro bancarottiere e frodatore come Siri, oggi il governo non sarebbe scosso dal suo primo scandalo e la Lega non sarebbe in imbarazzo per il suo ennesimo scandalo. Non è il momento di fare un po’ d’autocritica e di pulizia, di cestinare le mele marce, di presidiare meglio le porte del partito e di chiedere scusa al premier Conte, agli alleati, ai leghisti e soprattutto agli italiani?

“10 domande a Salvini” di Marco Travaglio sul Il Fatto Quotidiano del 21 Aprile 2019

Salvini sul ‘Salva-Roma’: “Noi regali non ne facciamo” …Per rinfrescargli la memoria: 2008, sindaco Alemanno, il governo Berlusconi vara l’unico vero ‘Salva-Roma’ e la lega vota compatta a favore, compreso Salvini…

 

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Salvini sul ‘Salva-Roma’: “Noi regali non ne facciamo” …Per rinfrescargli la memoria: 2008, sindaco Alemanno, il governo Berlusconi vara l’unico vero ‘Salva-Roma’ e la lega vota compatta a favore, compreso Salvini…

Da Fanpage:

Salvini protesta, ma nel 2010 la Lega votò per risanare il debito di Roma con i soldi dello Stato

Nel 2010 la Lega Nord ha avallato la scelta dell’allora governo Berlusconi di concedere aiuti economici statali per risanare il debito di Roma. Dal 2011 il Ministero dell’Economia e delle Finanze versa 300 milioni i euro l’anno per ripianare i debiti giganteschi della Capitale. Il Campidoglio, grazie a parte dei soldi dell’addizionale Irpef pagata dai contribuenti romani, versa 200 milioni l’anno per risanare il debito.

In queste ore Matteo Salvini sta protestando duramente contro il cosiddetto ‘Salva Roma’, la norma inserita nel ‘dl crescita’ che trasferirebbe allo Stato una parte del gigantesco debito della Capitale. L’obiettivo, come ha spiegato la sindaca Raggi con le note ‘molliche di pane’, è consentire di rinegoziare i tassi di interesse dei mutui e permettere così un risparmio di denaro per le casse pubbliche e per i cittadini. Oggi i 5 Stelle, ma anche il deputato del Partito democratico, Luigi Marattin, hanno attaccato il ministro degli Interni su un punto: nel 2010 è stato lui, o meglio il suo partito, la Lega, a votare affinché il debito della ‘Città Eterna’ venisse pagato anche con i soldi dello Stato. “Nel 2008, il governo Berlusconi ha varato il cosiddetto ‘Salva-Roma’. Cioè ha avviato una gestione commissariale che prevede, ogni anno, la spesa di 500 milioni di euro l’anno di soldi pubblici. Per intenderci: ogni anno gli italiani pagano un pezzo del debito di Roma grazie alla legge fatta dal governo di centrodestra. L’unico vero ‘Salva-Roma’ lo ha fatto nel 2008 il governo Lega-Berlusconi, con Alemanno sindaco. L’allora giovane deputato Matteo Salvini votò a favore”, si legge sul blog delle Stelle. D’accordo il deputato dem Luigi Marattin: “Dice che non vuole che i debiti di Roma finiscano sulle spalle dello Stato? Forse non si e’ accorto che questo fu fatto nel 2010, con la Lega al governo e il suo collega sovranista Alemanno in Campidoglio. Noi rifiutiamo la logica del travisare i fatti per mera convenienza politica. Non lo meritano i cittadini romani e non lo meritano tutti gli italiani”.

La storia del debito di Roma
La storia del debito di Roma comincia il 28 aprile del 2008: Gianni Alemanno batte Francesco Rutelli al ballottaggio e diventa il nuovo sindaco di Roma. Si accorge che le casse del Comune sono vuote e anzi a pesare sui bilanci della Capitale è un debito gigantesco di diversi miliardi di euro. Nei mesi successivi ottiene dal governo ‘amico’ guidato da Silvio Berlusconi un decreto legge, il 112 del 2018, che la nomina di Alemanno a Commissario Straordinario “per la ricognizione della situazione economico-finanziaria dello stesso Comune e delle società da esso partecipate e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall’indebitamento pregresso”. La gestione commissariale, con tutti i debiti accumulati prima del 28 aprile 2008, avrà un bilancio separato rispetto alla gestione ordinaria del Comune di Roma. Una ‘bad company’ dove scaricare il debito di Roma. E ad amministrarla, per due anni, è lo stesso sindaco Alemanno.

I soldi dello Stato arrivano solo nel 2010, con il decreto numero 78 del 31 maggio su “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica”. Viene costituito un fondo con apposito capitolo di bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze con una dotazione di 300 milioni di euro l’anno a decorrere dal 2011. In più ci sono 200 milioni che vengono presi dai tributi di Roma Capitale, in pratica grazie a un amento dello 0,4 per cento (massimo. L’addizionale è dello 0,9 per mille, con lo 0,4 che serve a ripagare il debito) sull’addizionale Irpef e 1 euro a passeggero per chi parte con l’aereo dagli scali della Capitale.

A quanto ammonta il debito di Roma
Il debito di Roma Capitale certificato nel luglio del 2010 ammontava a 22,4 miliardi di euro. Nel 2014, per stessa ammissione del nuovo commissario al debito, Massimo Varazzani, era sceso a 14,9 miliardi di euro interessi compresi. Per smaltirlo al ritmo attuale si arriverà al 2039. Pochi mesi dopo l’allora commissario del governo ed ex assessore al Bilancio della giunta Marino, Silvia Scozzese, quantificò il debito in una cifra pari a 13,6 miliardi di euro. Consisteva e consiste tuttora in mutui stipulati prima del 2008 e in penali sulle espropriazioni. Secondo la sindaca Raggi il debito attualmente ammonta a 12,8 miliardi di euro.

In un’intervista rilasciata al Messaggero, l’ex commissario al debito Varazzani spiegava le difficoltà nel rinegoziare i tassi dei mutui:

“Di fondo c’è un’idea comune, quella di poter rinegoziare i vecchi mutui del Comune di Roma. Questo piano, poi, ha diverse declinazioni: c’è chi dice che si potrebbero sostituire i vecchi mutui con un nuovo maxi mutuo concesso dalla Cassa Depositi e Prestiti a tassi più bassi, e chi dice, addirittura, che il Tesoro potrebbe anticipare circa 9 miliardi di euro senza interessi per 30 anni. Estinguendo anticipatamente i vecchi mutui e quindi pagando meno interessi, è la tesi, si potrebbe ridurre il contributo di 200 milioni a carico dei romani in modo da abbassare, meritoriamente, l’aliquota Irpef. 1.686 contratti relativi ai vecchi mutui, 1.491 sono stipulati con la Cassa Depositi e Prestiti, e la loro estinzione anticipata prevede pesanti penali. Il mancato incasso delle penali da parte Cdp potrebbe configurare un danno erariale. La Cassa Depositi e Prestiti non può, per legge, rinegoziare i mutui senza un provvedimento di carattere generale, essendo tenuta a praticare tempo per tempo condizioni uniformi per tutti i prenditori della specie”.

continua su: https://roma.fanpage.it/salvini-protesta-ma-nel-2010-la-lega-volle-risanare-il-debito-di-roma-con-i-soldi-dello-stato/
http://roma.fanpage.it/

 

Gli stipendi in Italia sono fermi a vent’anni fa. Così ci hanno rubato il futuro!

 

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Gli stipendi in Italia sono fermi a vent’anni fa. Così ci hanno rubato il futuro!

La classe politica italiana che ha governato negli ultimi trent’anni ha fallito. Non lo dice un esponente del governo del cambiamento, lo dicono i numeri. Dal 2000 al 2017 gli stipendi dei dipendenti italiani sono aumentati in media soltanto di 400 euro all’anno, mentre nello stesso periodo in Germania si è registrata una crescita media di 5mila euro annui e in Francia la crescita media dei salari ha raggiunto i 6mila euro. Mentre i lavoratori nel resto del continente europeo hanno guadagnato potere di acquisto, la nostra classe media è praticamente scomparsa dai radar, scatenando nel Paese quello che il Censis ha definito “sovranismo psichico” e generando una prevedibile ondata di rancore.

L’Italia ha smesso di crescere da decenni, alternando gravi fasi di recessione a momenti di debole ripresa. Oltre al danno per le finanze pubbliche, l’economia che arranca ha un effetto diretto anche sullo stipendio che arriva nelle tasche degli italiani ogni mese. Così, negli ultimi anni, la forbice salariale si è ulteriormente ampliata a favore di Paesi come la Spagna che all’inizio del nuovo millennio aveva un livello medio salariale molto simile a quello italiano, mentre adesso c’è una distanza reale di circa 2mila euro. D’altronde, se alla mancata crescita aggiungiamo l’assenza di una seria politica industriale in grado di favorire lo sviluppo tecnologico e delle competenze la stagnazione dei salari diventa quasi ineluttabile.

In Italia c’è un evidente problema di produttività: non riusciamo a produrre valore aggiunto e ci accontentiamo di quello che abbiamo, cercando di recuperare quanto abbiamo perso attraverso la svalutazione del lavoro. Il risultato è che i nostri salari si stanno pericolosamente avvicinando a quelli dell’Europa dell’Est, non compensati però dai ritmi di crescita elevati. L’Italia dovrebbe essere in prima linea nelle produzioni ad alto valore aggiunto e nell’erogazione di servizi di eccellenza. Dovremmo puntare sulle competenze specialistiche e operai altamente specializzati. Dovremmo, appunto.

A partire dal secondo dopoguerra, una buona parte della forza lavoro è stata vincolata a contratti collettivi nazionali, con il sindacato che negoziava il compenso minimo per una larga fetta di lavoratori. Negli ultimi trent’anni, la precarietà introdotta nel mercato del lavoro ha ridotto il potere contrattuale esercitato dai sindacati con le imprese e di conseguenza quello, dei loro iscritti. Nel frattempo i dati negativi sulla crescita retributiva e l’aumento del lavoro precario hanno portato al centro del dibattito l’idea di stabilire un salario minimo legale – idea tutt’altro che peregrina. Le decine di migliaia di lavoratori della Gig Economy riceverebbero così il giusto compenso per l’attività svolta, così come i giovani professionisti, che rappresentano la fascia meno tutelata nell’attuale mondo del lavoro.

Se il contratto a tempo indeterminato è diventato una chimera, sono i contratti a tempo determinato e stage a conoscere un vero boom. Tra il 2012 e il 2017 il numero degli stage è cresciuto del 100%, arrivando a 368mila attivazioni in un anno. La precarietà dei tirocini non conosce crisi: più del 10% di quelli attivati riguarda persone di età compresa tra i 35 e i 54 anni e sono in aumento anche gli over 55. La formazione professionale, motivo dell’introduzione degli stage nel mondo del lavoro, viene ignorata dalla maggior parte delle aziende che hanno come unico obiettivo quello di risparmiare sul costo della forza lavoro.

Dietro l’insopportabile strumentalizzazione che è in atto sulla questione dell’immigrazione si nasconde un altro dramma diametralmente opposto, e ignorato, l’emigrazione. I cittadini italiani vanno all’estero per cercare un’occupazione ben pagata e in linea con le loro competenze professionali. Soltanto nel 2017 hanno lasciato il Paese circa 130mila cittadini italiani, confermando un dato che cresce anno dopo anno. Addirittura secondo i dati elaborati dal centro studi Idos, il numero di italiani che sono emigrati nello stesso periodo raggiungerebbe addirittura 285mila. Secondo l’Istat, il 64% dei 244mila i giovani che negli ultimi 5 anni sono andati a cercare un futuro all’estero possiede un diploma o una laurea. Tanto per capirci, negli anni Cinquanta lasciavano l’Italia circa 290 mila persone ogni anno. Stiamo raggiungendo livelli di emigrazione vicini a quelli del secondo dopoguerra ma ci appassioniamo alle vicende di 47 migranti che scappano dalle torture libiche.

In un contesto simile, l’idea che il solo reddito di cittadinanza possa migliorare la qualità del lavoro in Italia e il livello dei salari è un’illusione che non ha nessuna conferma nella realtà, soprattutto se si paragona il livello dei salari medi del Sud Italia con le cifre promesse dal governo con il reddito di cittadinanza. Nell’analisi depositata al Senato dal presidente dell’Inps Tito Boeri viene messo nero su bianco che circa il 45% dei lavoratori subordinati privati del Meridione guadagna meno dei 780 euro che verranno percepiti da alcuni dei beneficiari della misura simbolo del M5S. Chi riceve un reddito da lavoro dipendente potrebbe rimanere spiazzato da questo intervento, arrivando a pensare che mettersi nelle mani dello Stato sia un’alternativa migliore allo sfruttamento da parte di un privato per uno stipendio troppo basso. Se i partiti all’opposizione, centrosinistra in testa, denunciano l’eccessiva generosità delle cifre previste dal reddito di cittadinanza, nessuno riporta l’attenzione sul fatto che l’Italia è diventata un’economia basata sul precariato con milioni di italiani e stranieri sottopagati.

Vent’anni di pessima politica ci hanno portato fino a qui. Schiavi del nostro debito pubblico, innamorati del clientelismo, incapaci di innovare e, soprattutto, diffidenti verso ogni sforzo volto al miglioramento. L’Italia ha ancora le risorse sociali e tecnologiche per rimettere al centro del suo sistema produttivo i lavoratori, le loro competenze e la creatività. Sì, di strada da fare ce n’è parecchia, ma iniziare riconoscendo il giusto compenso a chi lavora è un ottimo punto di partenza.

 

fonte: https://thevision.com/attualita/stipendi-italia-futuro/

Come trent’anni di Maastricht hanno distrutto l’Italia – Uno spartiacque: prima decenni di forte crescita che ha portato la nostra economia ai livelli di Francia e Germania. Dopo il costante, inesorabile declino che ha letteralmente cancellato tutti i successi conseguiti fino a quel momento.

 

 

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Come trent’anni di Maastricht hanno distrutto l’Italia – Uno spartiacque: prima decenni di forte crescita che ha portato la nostra economia ai livelli di Francia e Germania. Dopo il costante, inesorabile declino che ha letteralmente cancellato tutti i successi conseguiti fino a quel momento.

In un paper appena pubblicato, il noto economista olandese Servaas Storm, tutt’altro che radicale, si occupa delle cause della “lunga crisi” italiana. La sua conclusione è lapidaria: «Nello studio, dimostro empiricamente come la recessione italiana debba considerarsi una conseguenza del nuovo regime economico post-Maastricht adottato dall’Italia a partire dai primi anni Novanta».

Storm nota come fino ai primi anni Novanta l’Italia abbia goduto di trent’anni di robusta crescita economica, durante i quali è riuscita a raggiungere il Pil pro capite delle altre nazioni principali della futura zona euro (soprattutto Francia e Germania).

Da allora, però, «è iniziato un costante declino che ha letteralmente cancellato trent’anni di convergenza». Al punto che oggi il divario tra il Pil pro capite italiano e quello degli altri paesi europei è pari se non addirittura inferiore a quello che era negli anni Sessanta.

Tutti gli altri principali indicatori economici hanno registrato lo stesso crollo: reddito pro capite, produttività, investimenti, quote del mercato mondiale, ecc.

«Non è un caso – scrive Servaas Storm – che la repentina inversione delle fortune economiche dell’Italia si sia verificata in seguito all’adozione della “sovrastruttura politica e giuridica” imposta dal Trattato di Maastricht, che ha spianato la strada alla creazione dell’UME nel 1999 e all’introduzione della moneta unica nel 2002. Come mostro nel paper, l’Italia è stata l’allievo modello della zona euro, impegnandosi nell’implementazione dell’austerità fiscale e delle riforme strutturali che rappresentano l’essenza delle regole macroeconomiche dell’UME con maggiore veemenza e solerzia di qualunque altro paese dell’eurozona – molto più di Francia e Germania. E ha pagato un prezzo molto alto: il consolidamento fiscale permanente, la persistente moderazione salariale e il tasso di cambio sopravvalutato hanno distrutto la domanda interna italiana, e la carenza di domanda, a sua volta, ha asfissiato la crescita della produzione, della produttività, dell’occupazione e dei redditi. L’operazione è stata un successo, ma purtroppo il paziente è morto».

Per mostrare quanto sia stata radicale «l’austerità fiscale permanente» perseguita dall’Italia negli ultimi decenni, Storm traccia un confronto tra Italia e Francia: tra il 1995 e il 2008, l’Italia ha registrato un avanzo di bilancio primario del 3 per cento circa in media, rispetto ad un deficit primario dello 0,1 per cento della Francia nello stesso periodo.

In pratica, nel periodo in questione, «lo Stato francese ha fornito all’economia uno stimolo fiscale pari a 461 miliardi di euro, mentre lo Stato italiano ha drenato dall’economia 227 miliardi. … Non oso immaginare che forma avrebbero assunto le proteste dei gilet gialli se la Francia avesse praticato un consolidamento fiscale pari a quello dell’Italia».

Storm mostra come il regime post-Maastricht abbia anche comportato anche una moderazione salariale (leggasi: guerra di classe) senza pari. L’economista mostra come tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta il divario tra i salari reali italiani e quelli degli altri principali paesi europei si sia progressivamente ridotto fino a scomparire del tutto. Da quel momento in poi la forbice ha cominciato ad allargarsi nuovamente e – incredibilmente – oggi è più grande di quanto non fosse negli anni Sessanta. Come nel caso del PIL pro capite, trent’anni di convergenza spazzati via da trent’anni di Maastricht.

Storm pone anche l’accento sulla natura di classe di questo processo (cioè su come il “vincolo esterno” di Maastricht sia stato lo strumento col quale i capitalisti nostrani hanno spezzato le reni dei lavoratori italiani, come spiego in Sovranità o barbarie): tra il 1991 e il 2008 la quota profitti dell’Italia – già superiore alla media europea – è passata dal 36 al 40 per cento. Un dato che sarebbe il caso di ricordare ai sindacati che firmano appelli – per l’Europa! – insieme a Confindustria perché “siamo tutti sulla stessa barca”.

Come spiega Storm, la guerra condotta ai lavoratori negli ultimi decenni è stata così feroce che i capitalisti hanno finito per segare il ramo su cui sedevano. Come scrive Storm, «seguendo pedissequamente le regole macroeconomiche europee, l’Italia ha determinato una carenza cronica di domanda interna. Questa è il risultato dell’austerità fiscale permanente, del persistente contenimento dei salari e della mancanza di competitività tecnologica delle imprese italiane [acuita dal crollo degli investimenti, a sua volta determinato dalla domanda carente], che, in combinazione con un tasso di cambio sopravvalutato, riduce la capacità delle imprese italiane di mantenere le loro quote di mercato a fronte della concorrenza dei paesi a basso reddito. Questi tre fattori stanno deprimendo la domanda; riducendo l’utilizzazione degli impianti e danneggiando gli investimenti, l’innovazione e la crescita della produttività, bloccando dunque il paese in uno stato di declino permanente, caratterizzato dall’impoverimento costante della matrice produttiva dell’economia italiana e della qualità dei suoi flussi commerciali».

La soluzione per Storm sarebbe ovvia: grandi investimenti pubblici e politiche industriali per promuovere l’innovazione, l’imprenditorialità e una maggiore competitività tecnologica. Peccato, scrive l’economista, che questo approccio sia del tutto «incompatibile con il rispetto delle regole macroeconomiche dell’UME» e più in generale con l’architettura economico-politica europea.

Alla luce di tutto ciò, cosa fanno i sindacati e le sinistre? Continuano a invocare “più Europa”. Ormai la cosa non fa più neanche ridere; fa solo incazzare.

 * dal profilo Fb

Link all’articolo e al paper: https://www.ineteconomics.org/perspectives/blog/how-to-ruin-a-country-in-three-decades.

tratto da: http://contropiano.org/interventi/2019/04/13/come-trentanni-di-maastricht-hanno-distrutto-litalia-0114450?fbclid=IwAR0kdF73MBuWGB6WeSMqE5iVmBGcIMod8DiZYVAc416veIIN7Ev0xeM6_LU

Il post fascista del presidente di un municipio di Genova: “Grazie a Mussolini per la 13esima” …La risposta di un nostro lettore: “E quindi per regalare la tredicesima a questo str…., Mussolini ha fatto crepare i miei tre dei miei nonni e altri 500.000 Italiani?”

 

Mussolini

 

 

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Il post fascista del presidente di un municipio di Genova: “Grazie a Mussolini per la 13esima” …La risposta di un nostro lettore: “E quindi per regalare la tredicesima a questo str…., Mussolini ha fatto crepare i miei tre dei miei nonni e altri 500.000 Italiani?”

 

Da Globalist:

Il post fascista del presidente di un municipio di Genova: “Grazie a Mussolini per la 13esima”

Come già aveva fatto in passato, sulla sua pagina Facebook è tornato a omaggiare Benito Mussolini.

Francesco Carleo, presidente del Municipio levante (Nervi) per Fratelli d’Italia, non è riuscito a trattenersi. Come già aveva fatto in passato, sulla sua pagina Facebook è tornato a omaggiare Benito Mussolini. Lo racconta su Repubblica.it Marco Preve.
Il dittatore che ha sulle spalle il peso della Storia, con le leggi razziali, gli omicidi, le stragi l’alleanza con il nazismo, per Carleo, fiero sostenitore della giunta Bucci, il duce è colui che ha “istituito al tanto attesa tredicesima come regalo di natale per i lavoratori. Da mussolini precisa il post di Carleo non dai sindacati.
Questo ritorno di fiamma nei confronti di un massacratore Carleo ha pensato bene di farselo venire a ridosso del 25 Aprile che è la festa della Liberazione proprio da Mussolini.
Pochi giorni fa un consigliere del Medio levante, Igor D’Onofrio, aveva scatenato reazioni polemiche e indignate per un suo post fascista. Si era dimesso dal gruppo della Lega in consiglio e tutto è finito lì. Carleo già durante la campagna elettorale del 2017 aveva postato su Facebook commenti e immagini nostalgiche del ventennio, il candidato Bucci non aveva avuto nulla da ridire anche perché, proprio in quei gironi c’era chi contestava il suo avversario Gianni Crivello facendo il saluto romano mentre parlava.
Di recente il sindaco Bucci ha riconosciuto finalmente i valori della Resistenza e ha spiegato che il Comune quest’anno non omaggerà ufficialmente i caduti di Salò. Resta da capire che Carleo sarà perdonato anche questa volta, come un ragazzino birbante.

……………………..

Fin qui la notizia – Ci scrive un nostro lettore lamentando a modo suo la squallida uscita di Francesco Carleo: “Grazie a Mussolini per la 13esima”

Riportiamo testuale:

Ho letto da squallida uscita del sig. Francesco Carleo “Grazie a Mussolini per la 13esima”…

Vorrei solo far presente a questo str**** che mio nonno paterno è morto al fronte nel 1944 e i miei nonni materni sono entrambi morti sotto un bombardamento, mentre mia madre si è salvata solo per miracolo.

Vorrei ancora far presente che oltre ai miei nonni, quel pezzo di m**** di Mussolini ha fatto crepare per la sua guerra fascista altri 500.000 Italiani.

Vorrei ancora ricordare allo str***one degli avversari politici soppressi, dei diritti negati, dell’atroce complicità con il nazismo nello sterminio di ebrei, omosessuali, rom etc…

Tutto questo e tanto altro ancora per regalare la tredicesima a questo str****?

Va vaffanculo tu e quella merda che cosa buona l’ha fatta, una sola e neanche di sua volontà: crepare!

L.P.

 

Nota: gli asterischi li abbiamo aggiunti noi…

Per la serie “figure di m..da storiche”: la Meloni lancia “La sfida dell’anno” un sondaggio per stabilire “chi rappresenta l’anti-italiano” – Il risultato? Per la Gente chi rappresenta gli anti-taliani sono la stessa Meloni e Mussolini…!

 

Meloni

 

 

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Per la serie “figure di m..da storiche”: la Meloni lancia “La sfida dell’anno” un sondaggio per stabilire “chi rappresenta l’anti-italiano” – Il risultato? Per la Gente chi rappresenta gli anti-taliani sono la stessa Meloni e Mussolini…!

Meloni lancia il sondaggio “chi è anti-italiano”: vincono lei e Mussolini

Autogol social per la leader di Fratelli d’Italia che viene massacrata sul suo stesso sondaggio

“La sfida è iniziata”, scrive la pagina ufficiale Facebook e Twitter di Fratelli d’Italia. Di che mai parlerà? Ma del sondaggio “cosa pensi che sia anti-italiano”, lanciato sui social con spregio della ormai arcinota regola che su Internet non esiste rispetto per niente e per nessuno: né per chi lo merita davvero, figuriamoci per i neofascisti.
E infatti, come era ampiamente prevedibile tranne, a quanto pare, dai geniali social media manager di Giorgia Meloni, il popolo di twitter si è sbizzarrito: dal canonico “li mortacci tua” ai più elaborati “Per me antitaliano è chi candida un tizio chiamato Mussolini che ha sempre vissuto all’estero, tra l’Argentina e Dubai” con riferimento a Caio Giulio Cesare Mussolini, ultimo acquisto di FdI.

Alcune delle risposte ricevute…

  • Il fascismo!
  • Chi non ha mai lavorato un giorno in vita sua e perde tempo lanciando ‘sti sondaggi per imbecilli…
  • Tu!
  • Chi cerca di mettere gli italiani l’uno contro l’altro per ottenere un miserevole tornaconto personale.
  • Mussolini!
  • Salvini Meloni Berlusconi

Niente da dire, un’altra figura di m..da nel curriculum…!

Per rinfrescarVi la memoria – La proposta di Draghi: abbassare gli stipendi per salvare l’Euro! La nostra proposta: Perchè non vi togliete dalle palle tu e l’Euro così ci salviamo noi??

 

Draghi

 

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La proposta di Draghi: abbassare gli stipendi per salvare l’Euro! La nostra proposta: Perchè non vi togliete dalle palle tu e l’Euro così ci salviamo noi??

 

La proposta di Draghi: abbassare gli stipendi per salvare l’Euro! La nostra proposta: Perchè non vi togliete dalle palle tu e l’Euro così ci salviamo noi??

Per rinfrescarVi la memoria:

L’ultima di Draghi: abbassare gli stipendi per salvare l’euro

Svalutazione non monetaria ma salariale. Bce vuole abbassare remunerazioni mantenendo l’obiettivo di una inflazione vicina alla soglia del 2%.

La Bce vuole abbassare le remunerazioni degli europei pur mantenendo l’obiettivo di una inflazione vicina alla soglia del 2% prestabilita. Draghi ha lanciato un appello nemmeno troppo velato in cui chiede di poter aggiustare gli stipendi per aiutare l’euro. Si tratta in pratica di una svalutazione non monetaria bensì salariale nel blocco a 18. Abbandonare così come salvare la moneta unica ha un prezo. “Il prezzo da pagare per voler mantenere a tutti i costi l’euro comporta dei costi economici, ma anche dei costi in termina di perdita di crescita e dei costi sociali”, dice Charles Sannat, giornalista e analista ‘contrarian’, professore di economia in diverse università di business parigine. Ricapitolando, nelle sue ultime uscite ufficiali in pubblico, Draghi ha detto che “ogni economia deve essere abbastanza flessibile da trovare e sfruttare i suoi vantaggi concorrenziali, per poter beneficiare del mercato unico”. Aggiungendo anche ogni paese deve essere abbastanza flessibile da “rispondere agli shock di breve termine, inclusi gliaggiustamenti al ribasso degli stipendi o il ribilanciamento delle risorse tra i settori“.

Il banchiere centrale ha spiegato che l’unione monteraria, sebbene irrevocabile rimane ancora incompleta senza il trasferimento del budget permanente tra i paesi e senza una forte mobilità di disoccupati tra i confini dell’Europa.

“La mancanza di riforme strutturali ha creato lo spettro di una divergenza economica permamente tra i membri del blocco a 18″, ha osservato Draghi.

Interrogato sui rischi di ritornare al sistema del XIX secolo, in cui i salari e i prezzi potevano abbassarsi e aumentare fortemente, Draghi ha difeso la necessità di adottare una “svalutazione interna” (ovvero abbassare i costi di un paese se non è possibile abbassare i tassi di cambio). La principale lezione, secondo Draghi, che ci ha fornito la crisi è che “in seno all’Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino”. “Dobbiamo stare molto attenti a mantenere i paesi competitivi“. Ma senza aggiustamenti monetari, non restano che aggiustamenti dei salari. La sola maniera relativamente rapida per ritrovare la competitività è abbassare gli stipendi, come è successo in Grecia e in Spagna.

In media gli spagnoli sono pagati 675 euro al mese e un greco 480 euro. Ma il vero problema è che la riduzione delle buste paga non è accompagnata da un calo dei prezzi necessari per poter veramente ritrovare la crescita economica o piuttosto dell’attività economica. In pratica anche in caso di salario dimezzato, se l’affitto passasse da 600 euro al mese a 100 ovviamente il contraente ne uscirebbe vincitore. Ma non è il caso nel Sud d’Europa. Parlando di “aberrazione economica” di proporzioni “storiche”, Sannat scrive che se la Bce ci chiede di abbassare i salari, lo stesso Draghi vuole mantenere l’inflazione vicina al 2%, ovvero un rincaro dei prezzi al consumo rispetto ai valori bassi attuali. Il board della Bce dovrebbe decidere a maggioranza sulle nuove misure non convenzionali anti-deflazione, tra cui l’acquisto di titoli di Stato. Lo ha detto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, secondo cui nella riunione della Banca centrale europea giovedì “mi sembra di aver capito chiaramente” che si va verso una “decisione a maggioranza”. “Mi aspetto ragionevolmente delle scelte che non siano penalizzate da qualcuno che deve essere contrario per forza”.

La scrittrice Michela Murgia stronca Salvini che l’aveva etichettata “intellettuale radical chic e snob”: “Io ho lavorato. E tu?”

 

Michela Murgia

 

 

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La scrittrice Michela Murgia stronca Salvini che l’aveva etichettata “intellettuale radical chic e snob”: “Io ho lavorato. E tu?”

Michela Murgia zittisce Salvini dopo l’ennesimo insulto: standing ovation dal web

“Ieri il ministro degli interni Matteo Salvini ha pensato bene di fare l’ennesimo tweet contro di me virgolettandomi come intellettuale radical chic e snob”.

Dopo l’ennesimo insulto del ministro dell’Interno alla scrittrice, Murgia risponde con un post su Facebook che anno per anno confronta la sua vita con quella del leader leghista che si scopre non ha mai lavorato un giorno.
Ve lo riproponiamo.

Ieri il ministro degli interni Matteo Salvini ha pensato bene di fare l’ennesimo tweet contro di me virgolettandomi come intellettuale radical chic e snob. È il suo giochetto preferito quello di far passare chiunque lo critichi per un ricco altolocato che non ha contatto con la gente e con la realtà, che non conosce i problemi veri e che non sa cosa sia la fatica del lavoro, ambiti in cui lui invece si presenta come vero esperto. Le propongo un gioco, signor Ministro: si chiama “sinossi dei curriculum”.

Nel 91, anno in cui mi diplomavo come perito aziendale, mi pagavo l’ultimo anno di studi lavorando come cameriera stagionale in una pizzeria. Purtroppo feci quasi due mesi di assenza perché la domenica finivo di lavorare troppo tardi e il lunedì mattina non sempre riuscivo ad alzarmi in tempo per prendere l’autobus alle 6:30 per andare a scuola. A causa di quelle assenze, alla maturità presi 58/60esimi.

Nel 92, mentre lavoravo in una società di assicurazioni per sostenermi gli studi all’istituto di scienze religiose, lei prendeva 48/60 alla maturità classica in uno dei licei di Milano frequentati dai figli della buona borghesia. Sono contenta che non abbia dovuto lavorare per finire il liceo. Nessuno dovrebbe.

Nel 93 iniziavo a insegnare nelle scuole da precaria, lavoro che ho fatto per sei anni. Nel frattempo lei veniva eletto consigliere comunale a Milano e iniziava la carriera di dirigente nella Lega Nord, diventando segretario cittadino e poi segretario provinciale. Non avendo mai svolto altra attività lavorativa, è lecito supporre che la pagasse il partito. Chissà se prendeva quanto me, che allora guadagnavo 900 mila lire al mese.

Nel 1999 per vivere consegnavo cartelle esattoriali a domicilio con un contratto co.co.pro. Ero pagata 4mila lire a cartella e solo se il contribuente moroso accettava di firmarla. Lei invece prendeva la tessera giornalistica facendo pratica alla Padania e a radio Padania, testate di partito che si reggevano sui finanziamenti pubblici, ai quali io non ho nulla in contrario, ma contro i quali lei ha invece costruito la sua retorica.

Nel 2000 ho iniziato a lavorare in una centrale termoelettrica, dove sono rimasta fino al 2004. Mi sono licenziata perché ho scelto di testimoniare in tribunale contro il mio datore di lavoro per un grave caso di inquinamento ambientale. Mentre lasciavo per coscienza l’unico lavoro stabile che avessi trovato vicino a casa, lei era segretario provinciale della lega Nord, suppongo sempre pagato dal partito, dato che anche allora non faceva mestieri.

Nel 2004 ho lasciato la Sardegna per lavorare come cameriera in un albergo al passo dello Stelvio, in mezzo alla neve, con un contratto stagionale a poco più di mille euro. Mentre io da precaria rifacevo letti lei si faceva eleggere al parlamento europeo a 19.000 euro al mese.

Nel 2005 ho lavorato un mese e mezzo in un call center vendendo aspirapolveri al telefono ed ero pagata 230 euro lordi al mese più 8 euro per ogni appuntamento che riuscivo a fissare. Durante quella esperienza ho scritto un blog che ha attirato l’attenzione di un editore. Nello stesso periodo lei a Bruxelles bruciava un quarto delle sedute del parlamento ed era già lo zimbello dei parlamentari stranieri, che nelle legislature successive le avrebbero poi detto in faccia quanto era fannullone. Io sono a favore della retribuzione dei politici, purché facciano quello per cui li paghiamo.

Nel 2006, mentre usciva il mio primo libro, io facevo la portiera notturna in un hotel, passando le notti in bianco per lavorare e riuscire anche a scrivere. Lei invece decadeva da deputato, ma atterrava in piedi come vicesegretario della lega nord e teneva comizi contro i terroni e roma ladrona. Non facendo ancora altro mestiere che la politica, immagino che la politica le passasse uno stipendio. Chissà se somigliava al mio, che per stare sveglia mentre gli altri dormivano prendevo appena più di mille euro al mese.

Dal 2007 in poi ho vissuto delle mie parole, della fiducia degli editori e di quella dei lettori e delle lettrici. Negli stessi anni lei ha campato esclusivamente di rappresentanza politica e da dirigente in un partito da dove – tra il 2011 e il 2017 – sono spariti 49 milioni di soldi pubblici senza lasciare traccia.

Se adesso le è chiaro con chi è che sta parlando quando virgoletta il mio nome nei suoi tweet, forse le sarà altrettanto chiaro che è lei, signor Ministro, quello distaccato dalla realtà. Tra noi due è lei quello che non sa di cosa parla quando parla di vita vera, di problemi e di lavoro, dato che passa gran tempo a scaldare la sedia negli studi televisivi, travestirsi da esponente delle forze dell’ordine e far selfie per i social network a dispetto del delicatissimo incarico che ricopre a spese dei contribuenti. Lasci stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro, invece che l’assaggiatore alle sagre. Io lavoro da quando avevo 14 anni e non mi faccio dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/news/2019/04/18/michela-murgia-zittisce-salvini-dopo-l-ennesimo-insulto-standing-ovation-dal-web-2040290.html

Libero colpisce ancora: insulta Greta Thunberg in prima pagina (come fa con tutte le donne)… Ora la domanda è questa: quanto si può essere idioti per comprare una porcheria come questa specie di giornaletto?

 

Libero

 

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Libero colpisce ancora: insulta Greta Thunberg in prima pagina (come fa con tutte le donne)… Ora la domanda è questa: quanto si può essere idioti per comprare una porcheria come questa specie di giornaletto?

Da Globalist:

Anche questa volta Libero se la prende con una donna in prima pagina. Si tratta di Greta Thunberg, la leader ambientalista svedese, 16 anni, coraggiosa e determinata, in questi giorni è in Italia per tenere alcune conferenze. Ieri ha incontrato il Papa. Sul ruolo che possono avere i giovani a difesa dell’ambiente, Greta ha detto: “Ci sono molte cose che i giovani possono fare per migliorare la situazione: soprattutto fare pressione sulle persone al potere e sugli adulti, perché sono coloro che possono avere più influenza. Ma ci sono anche cose che si possono fare a livello individuale per cambiare le proprie abitudini, cercando di vivere nel modo più neutro possibile dal punto di vista delle emissioni di carbonio”. “La cosa più importante che possono fare è cercare di capire la portata della situazione, che cosa sta succedendo e il motivo per cui devono lottare per fermare ciò che sta avvenendo – ha aggiunto la 16enne – Non mi dispiace fare quello che faccio. Sul piano personale sono contenta di fare qualcosa che è importante, per cui mi sento necessaria”.
Oggi la ragazza parlerà al Senato Italiano.
Libero stamane le ha dato il buon giorno definendola “rompiballe”. Che gran giornalismo!

…La domanda che ci facciamo è: quanto si può essere idioti per comprare una porcheria del genere?

 

 

Da “precario” a “primario”? Si può, basta scappare dall’Italia – La storia di Simone Speggiorin, uno di quelli che Poletti preferisce non avere tra i piedi. Da precario in Italia a più giovane Primario d’Inghilterra!

precario

 

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Da “precario” a “primario”? Si può, basta scappare dall’Italia – La storia di Simone Speggiorin, uno di quelli che Poletti preferisce non avere tra i piedi. Da precario in Italia a più giovane Primario d’Inghilterra!

La storia che vi stiamo per raccontare è la testimonianza dell’ormai consolidato fenomeno dell’emigrazione dei cervelli, o dei cervelli in fuga. Prendiamo in esame una sola esperienza, ma di simili ne esistono a migliaia: esperienze di giovani talenti, volenterosi di dare il proprio contributo alla scienza, all’arte o a qualsiasi altra professione, bloccati però dagli arrugginiti meccanismi tipicamente italiani, che non sembrano voler creare spazio vitale per le nuove menti: e così, senza pensarci due volte, i giovani si dirigono all’estero con la certezza di poter finalmente esprimere le proprie capacità.

Simone Speggiorin, 36 anni, si è lasciato alle spalle un posto da precario in Italia ed è diventato il primario più giovane di tutta l’Inghilterra.

Nato in un paese in provincia di Venezia, si è specializzato a Padova nel 2009: ansioso di poter mettere in atto la sua vocazione, quella per la cardiochirurgia, non ha esitato molto nel fare le valigie e abbandonare un posto da precario e scambiarlo con quello di primario di unità.

Di mezzo non c’è nessuna raccomandazione: non serve quando basta il sorriso e la vitalità negli occhi per comunicare la propria passione. È bastato questo al professor Martin Elliott per proporre al giovane Simone un’esperienza inglese.

Nonostante Padova sia un polo eccellente nella cardiochirurgia, Simone non vedeva davanti a sé altro che la precarietà ad oltranza.

La sua certezza era basata sui racconti dei suoi colleghi forse troppo affezionati all’Italia che dopo anni si sono ritrovati nello stesso Paese nelle stesse condizioni di incertezza lavorativa.

Sicuro di come (non) doveva essere il suo futuro, il dottor Speggiorin è atterrato a Londra e qui in pochissimo tempo ha fatto valere i suoi precedenti anni di studio: l’Inghilterra lo ha premiato promuovendolo a primario, il più giovane in tutta la nazione.

Un orgoglio per l’Italia che però, ingenuamente, ha perso allo stesso tempo un grande cervello (e non solo il suo).