Come trent’anni di Maastricht hanno distrutto l’Italia – Uno spartiacque: prima decenni di forte crescita che ha portato la nostra economia ai livelli di Francia e Germania. Dopo il costante, inesorabile declino che ha letteralmente cancellato tutti i successi conseguiti fino a quel momento.

 

 

Maastricht

 

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Come trent’anni di Maastricht hanno distrutto l’Italia – Uno spartiacque: prima decenni di forte crescita che ha portato la nostra economia ai livelli di Francia e Germania. Dopo il costante, inesorabile declino che ha letteralmente cancellato tutti i successi conseguiti fino a quel momento.

In un paper appena pubblicato, il noto economista olandese Servaas Storm, tutt’altro che radicale, si occupa delle cause della “lunga crisi” italiana. La sua conclusione è lapidaria: «Nello studio, dimostro empiricamente come la recessione italiana debba considerarsi una conseguenza del nuovo regime economico post-Maastricht adottato dall’Italia a partire dai primi anni Novanta».

Storm nota come fino ai primi anni Novanta l’Italia abbia goduto di trent’anni di robusta crescita economica, durante i quali è riuscita a raggiungere il Pil pro capite delle altre nazioni principali della futura zona euro (soprattutto Francia e Germania).

Da allora, però, «è iniziato un costante declino che ha letteralmente cancellato trent’anni di convergenza». Al punto che oggi il divario tra il Pil pro capite italiano e quello degli altri paesi europei è pari se non addirittura inferiore a quello che era negli anni Sessanta.

Tutti gli altri principali indicatori economici hanno registrato lo stesso crollo: reddito pro capite, produttività, investimenti, quote del mercato mondiale, ecc.

«Non è un caso – scrive Servaas Storm – che la repentina inversione delle fortune economiche dell’Italia si sia verificata in seguito all’adozione della “sovrastruttura politica e giuridica” imposta dal Trattato di Maastricht, che ha spianato la strada alla creazione dell’UME nel 1999 e all’introduzione della moneta unica nel 2002. Come mostro nel paper, l’Italia è stata l’allievo modello della zona euro, impegnandosi nell’implementazione dell’austerità fiscale e delle riforme strutturali che rappresentano l’essenza delle regole macroeconomiche dell’UME con maggiore veemenza e solerzia di qualunque altro paese dell’eurozona – molto più di Francia e Germania. E ha pagato un prezzo molto alto: il consolidamento fiscale permanente, la persistente moderazione salariale e il tasso di cambio sopravvalutato hanno distrutto la domanda interna italiana, e la carenza di domanda, a sua volta, ha asfissiato la crescita della produzione, della produttività, dell’occupazione e dei redditi. L’operazione è stata un successo, ma purtroppo il paziente è morto».

Per mostrare quanto sia stata radicale «l’austerità fiscale permanente» perseguita dall’Italia negli ultimi decenni, Storm traccia un confronto tra Italia e Francia: tra il 1995 e il 2008, l’Italia ha registrato un avanzo di bilancio primario del 3 per cento circa in media, rispetto ad un deficit primario dello 0,1 per cento della Francia nello stesso periodo.

In pratica, nel periodo in questione, «lo Stato francese ha fornito all’economia uno stimolo fiscale pari a 461 miliardi di euro, mentre lo Stato italiano ha drenato dall’economia 227 miliardi. … Non oso immaginare che forma avrebbero assunto le proteste dei gilet gialli se la Francia avesse praticato un consolidamento fiscale pari a quello dell’Italia».

Storm mostra come il regime post-Maastricht abbia anche comportato anche una moderazione salariale (leggasi: guerra di classe) senza pari. L’economista mostra come tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta il divario tra i salari reali italiani e quelli degli altri principali paesi europei si sia progressivamente ridotto fino a scomparire del tutto. Da quel momento in poi la forbice ha cominciato ad allargarsi nuovamente e – incredibilmente – oggi è più grande di quanto non fosse negli anni Sessanta. Come nel caso del PIL pro capite, trent’anni di convergenza spazzati via da trent’anni di Maastricht.

Storm pone anche l’accento sulla natura di classe di questo processo (cioè su come il “vincolo esterno” di Maastricht sia stato lo strumento col quale i capitalisti nostrani hanno spezzato le reni dei lavoratori italiani, come spiego in Sovranità o barbarie): tra il 1991 e il 2008 la quota profitti dell’Italia – già superiore alla media europea – è passata dal 36 al 40 per cento. Un dato che sarebbe il caso di ricordare ai sindacati che firmano appelli – per l’Europa! – insieme a Confindustria perché “siamo tutti sulla stessa barca”.

Come spiega Storm, la guerra condotta ai lavoratori negli ultimi decenni è stata così feroce che i capitalisti hanno finito per segare il ramo su cui sedevano. Come scrive Storm, «seguendo pedissequamente le regole macroeconomiche europee, l’Italia ha determinato una carenza cronica di domanda interna. Questa è il risultato dell’austerità fiscale permanente, del persistente contenimento dei salari e della mancanza di competitività tecnologica delle imprese italiane [acuita dal crollo degli investimenti, a sua volta determinato dalla domanda carente], che, in combinazione con un tasso di cambio sopravvalutato, riduce la capacità delle imprese italiane di mantenere le loro quote di mercato a fronte della concorrenza dei paesi a basso reddito. Questi tre fattori stanno deprimendo la domanda; riducendo l’utilizzazione degli impianti e danneggiando gli investimenti, l’innovazione e la crescita della produttività, bloccando dunque il paese in uno stato di declino permanente, caratterizzato dall’impoverimento costante della matrice produttiva dell’economia italiana e della qualità dei suoi flussi commerciali».

La soluzione per Storm sarebbe ovvia: grandi investimenti pubblici e politiche industriali per promuovere l’innovazione, l’imprenditorialità e una maggiore competitività tecnologica. Peccato, scrive l’economista, che questo approccio sia del tutto «incompatibile con il rispetto delle regole macroeconomiche dell’UME» e più in generale con l’architettura economico-politica europea.

Alla luce di tutto ciò, cosa fanno i sindacati e le sinistre? Continuano a invocare “più Europa”. Ormai la cosa non fa più neanche ridere; fa solo incazzare.

 * dal profilo Fb

Link all’articolo e al paper: https://www.ineteconomics.org/perspectives/blog/how-to-ruin-a-country-in-three-decades.

tratto da: http://contropiano.org/interventi/2019/04/13/come-trentanni-di-maastricht-hanno-distrutto-litalia-0114450?fbclid=IwAR0kdF73MBuWGB6WeSMqE5iVmBGcIMod8DiZYVAc416veIIN7Ev0xeM6_LU

Gentiloni festeggia per un PIL all’1,8%? Ma è idiota, o pensa che lo siamo noi? Nella zona Euro siamo 25esimi su 28! Per non parlare dei Paesi senza Euro che hanno PIL anche 4 volte il nostro!

Gentiloni

 

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Gentiloni festeggia per un PIL all’1,8%? Ma è idiota, o pensa che lo siamo noi? Nella zona Euro siamo 25esimi su 28! Per non parlare dei Paesi senza Euro che hanno PIL anche 4 volte il nostro!

GENTILONI FESTEGGIA IL PIL? SIAMO 25° SU 28. MEGLIO L’ITALIA DI VENTURA

di Franco Bechis

Ancora una volta il governo di Paolo Gentiloni festeggia oltremisura il dato Istat sulla crescita del Pil come se fosse la dimostrazione di una particolare efficacia delle politiche economiche italiane. Certo, meglio crescere dell’1,8% che essere in recessione. E’ ovvio.

Allo stesso modo a livello calcistico meglio fare 0-0 che perdere 4-0. Però dipende dal contesto: con lo zero a zero l’Italia di Gian Piero Ventura è stata eliminata dalla Svezia e dopo più di 50 anni non parteciperà ai miondiali.

L’Italia di Gentiloni e di Pier Carlo Padoan con quell’1,8 di Pil sta facendo perfino peggio di quella di Ventura… Il risultato tanto celebrato dal governo italiano una volta visti anche quelli degli altri paesi è banalmente il 25° in Europa, su 28 paesi. La crescita media dell’area dell’euro è 2,5%, e la crescita media dell’Europa a 28 è 2,5%. La Spagna cresce del 3,1%, la Germania del 2,8%, il Portogallo del 2,5%, la Francia del 2,2%. Quasi tutti i paesi ex Est Europa sono sopra il 5%, con la Romania addirittura all’8,6%.

Il dato italiano è dunque misero misero e una volta di più dimostra come le politiche economiche del governo Gentiloni frenano la ripresa che senza nessun governo in carica farebbe da sola andare molto meglio di così l’Italia. Quella di palazzo Chigi dunque è la sola squadra peggiore dell’Italia di Ventura…

www.limbeccata.it

Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

debito pubblico

 

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Crisi, povertà, disoccupazione… tutta colpa di un debito pubblico abnorme: 130% del Pil… Sicuro? Il Giappone raggiunge il 250%, ma c’è la quasi piena occupazione e la produzione industriale è in piena cresciuta! Ma lì non hanno l’Euro…!

 

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro!

Il Giappone è ormai praticamente alla piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3% di gennaio al 2,8% a febbraio, il minimo da 22 anni. La disponibilità di posti rispetto alla domanda si è confermata al favorevole rapporto di 1,43: si sono dunque 143 posizioni disponibili per ogni 100 richieste.

Anche la produzione industriale vola. A febbraio è aumentata del 2% (il ritmo più’ veloce in otto mesi) rispetto al mese precedente, trainata da auto, macchinari e prodotti chimici, e ciò a fronte di previsioni del 1,2%.

 

 

Ricordiamo che il Giappone non solo ha sovranità monetaria, ma ha anche un rapporto debito pubblico/PIL ben oltre il 250% (noi in Italia, che siamo tacciati per puttanieri, spreconi e alcolizzati, lo abbiamo poco sopra il 130%)!

Insomma, loro hanno moneta sovrana e Banca Centrale prestatrice illimitata di ultima istanza; noi invece abbiamo l’euro, la BCE (che non funge da prestatrice di ultima istanza), economisti a libro paga del capitale internazionale e scribacchini di regime!

 

fonti:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-03-31/giappone-la-piena-occupazione-074905.shtml?uuid=AE0TVxw

In Giappone è quasi piena occupazione. Ma lì non hanno l’euro! (di Giuseppe PALMA)

La Brexit fa volare il PIL britannico: altro + 0,6 nel IV trimestre… Ma i Tg MUTI… Noi non lo dobbiamo sapere… Ci dobbiamo tenere l’Euro e la disoccupazione giovanile al 40%…!!!

Brexit

 

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La Brexit fa volare il PIL britannico: altro + 0,6 nel IV trimestre… Ma i Tg MUTI… Noi non lo dobbiamo sapere… Ci dobbiamo tenere l’Euro e la disoccupazione giovanile al 40%…!!!

 

La Brexit fa volare il PIL britannico: altro + 0,6 nel IV trimestre…

 

Il governo britannico, nel frattempo, ha presentato in Parlamento il progetto di legge sull’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona per autorizzare l’avvio della Brexit