11 settembre 1973 – Quando gli americani assassinarono Allende e decisero il massacro del popolo Cileno con la dittatura di Pinochet…!

 

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11 settembre 1973 – Quando gli americani assassinarono Allende e decisero il massacro del popolo Cileno con la dittatura di Pinochet…!

LE RAGIONI PER CUI L’IMPERIALISMO AMERICANO DISTRUSSE IL GOVERNO ALLENDE

Non vedo alcuna ragione per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.

Di tutti i capi di governo dell’America Latina, noi ritenemmo Allende il più pernicioso per gli interessi del nostro paese. Egli era palesemente pro-Castro e si opponeva agli Stati Uniti. Le sue politiche interne erano una minaccia per la democrazia cilena e per i diritti umani.

(Henry Kissinger)

Anche prima della sua vittoria elettorale (avvenuta nel 1970), Allende attirò rapidamente su di sé il veto dell’establishment politico statunitense. A causa delle sue idee socialiste, si cominciò a temere che ben presto il Cile sarebbe diventato una nazione comunista e sarebbe entrato nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica. Per di più gli USA avevano cospicui interessi economici in Cile, con società come ITT, Anaconda, Kennecott ed altre. L’amministrazione Nixon, in particolare, fu la più strenua oppositrice di Allende, per il quale nutriva un’ostilità che il Presidente ammetteva apertamente. Durante la presidenza Nixon, i cosiddetti “consiglieri” statunitensi (che avrebbero imperversato in buona parte dell’America Latina per tutti gli anni settanta e ottanta) tentarono di impedire l’elezione di Allende tramite il finanziamento dei partiti politici avversari.

Una volta al potere il governo di Allende avviò un programma di nazionalizzazione delle principali industrie private, fra cui le miniere di rame fino ad allora sotto il controllo della Kennecott e della Anaconda (aziende americane), si diede mano alla riforma agraria, fu creata una sorta di tassa sulle plusvalenze. Il governo annunciò una sospensione del pagamento del debito estero e al tempo stesso non onorò i crediti dei potentati economici e dei governi esteri. Tutto ciò irritò fortemente la media e alta borghesia e da qui la tensione politica nel paese, oltre ovviamente a creare un discreto dissenso internazionale. Vi fu la nazionalizzazione delle banche, delle compagnie di assicurazione e, in generale, di tutte quelle attività che condizionavano lo sviluppo economico e sociale del paese. Tra queste la produzione e la distribuzione di energia elettrica, i trasporti ferroviari, aerei e marittimi, le comunicazioni, la siderurgia, l’industria del cemento, della cellulosa e della carta. Nel 1973 lo Stato controllava il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’84% delle imprese edili, l’80% delle grandi industrie, il 75% delle aziende agricole ed il 52% delle imprese medio-piccole.

Oltre ad altri importanti provvedimenti riguardanti la laicità, l’alfabetizzazione, lo stato sociale e la protezione dell’infanzia il governo Allende propose una politica culturale radicale: si cercò di diffondere l’arte tra la popolazione cilena, attraverso il finanziamento di una serie di attività culturali. Con la concessione del voto ai giovani di 18 anni e agli analfabeti, la partecipazione di massa al processo decisionale fu incoraggiato, e le tradizionali strutture gerarchiche contestate dall’egualitarismo socialista.

Il governo Allende virò il sistema educativo verso i cileni più poveri, ampliando le iscrizioni attraverso sussidi governativi. La “democratizzazione” della formazione universitaria venne così ottenuta, rendendo il sistema quasi gratuito. Ciò ha portato ad un aumento dell’89% nelle iscrizioni universitarie tra il 1970 e il 1973. Il governo Allende ha aumentato anche l’iscrizione nelle scuole secondarie dal 38% del 1970 al 51% nel 1974. L’iscrizione nella formazione ha raggiunto livelli record, tra cui 3,6 milioni i giovani, e otto milioni di libri scolastici sono stati distribuiti tra 2.600.000 alunni nella scuola primaria. 130.000 studenti sono stati immatricolati dalle università, che divenne accessibile a contadini e operai. Il tasso di analfabetismo venne ridotto dal 12% del 1970 al 10,8% nel 1972, mentre l’iscrizione alla scuola primaria è aumentato da una media annua del 3,4% nel periodo 1966-1970 al 6,5% nel 1971/72. L’istruzione secondaria è cresciuta ad un tasso del 18,2% nel 1971/72 e l’iscrizione alla scuola media di bambini tra i 6 ei 14 anni è passata dal 91% (1966-1970) a 99%.

Altro fronte era quello della politica estera: nel 1971, a seguito di una singolare visita ufficiale, durata addirittura un mese, del presidente cubano Fidel Castro (con il quale aveva stretto una profonda amicizia personale), Allende annunciò il ripristino delle relazioni diplomatiche con Cuba, nonostante in una dichiarazione dell’Organizzazione degli Stati Americani, cui il Cile aderiva, si fosse stabilito che nessuna nazione occidentale avrebbe concesso aperture verso quello Stato. Allende strinse un rapporto anche col presidente argentino Héctor José Cámpora, peronista di sinistra, e incontrò nel 1973 anche Juan Domingo Perón, leader da sempre malvisto dagli Stati Uniti.

La politica di Allende, sempre più sbilanciata a sinistra verso il socialismo (nel 1972 Allende ricevette il premio Lenin per la pace da parte dell’Unione Sovietica), e gli stretti rapporti con Cuba, allarmarono Washington. L’amministrazione Nixon cominciò ad esercitare una pressione economica sempre più crescente attraverso molti canali, alcuni dei quali erano legali (come l’embargo), ma molti di più illegali, attraverso il finanziamento degli oppositori politici nel Congresso Cileno e nel 1972 attraverso l’inconsueto appoggio economico erogato al sindacato dei camionisti, che paralizzò il paese. Infine con il piano “Track II” della CIA (autorizzato dal presidente Nixon) si cercò di convincere gli ufficiali chiave delle Forze Armate cilene ad effettuare il colpo di stato. Cosa che infine riuscì l’11 settembre 1973, mostrando la vera natura violenta e imperialista del “liberalismo” americano.

 

 

“La dittatura perfetta avrà sembianza di Democrazia” – L’inquietante profezia dello scrittore Aldous Leonard Huxley

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“La dittatura perfetta avrà sembianza di Democrazia” – L’inquietante profezia dello scrittore Aldous Leonard Huxley

“La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia. Una Prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù”.

Autore di questa breve ma significativa riflessione fu a suo tempo lo scrittore britannico Aldous Leonard Huxley (Godalming, 26 luglio 1894 – Los Angeles, 22 novembre 1963). In un discorso tenuto nel 1961alla California Medical School di San Francisco, Huxley disse che “ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici”.

Tratto da GloboChannel

Le “cose buone” di Mussolini? Sono solo idiozie …Come lo storico smonta le falsità dei nostalgici fascisti…!

 

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Le “cose buone” di Mussolini? Sono solo idiozie …Come lo storico smonta le falsità dei nostalgici fascisti…!

«Idiozie, le “cose buone” di Mussolini». Uno storico smonta le falsità fasciste

Dalle bonifiche avviate prima del duce alla presunta incorruttibilità alle leggi razziali, Francesco Filippi riepiloga in un saggio le menzogne propagandate dalla destra

«Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere». Lo proclamò Mussolini alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925. Nel 1924 i suoi sgherri avevano ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti, oppositore del fascismo, che aveva scoperto casi di corruzione che investivano i diritti su eventuali giacimenti petroliferi in Sicilia e nella pianura padana. Quel discorso fu l’inizio conclamato della dittatura fascista e a chi continua a blaterare che «fece anche cose buone» risponde un pamphlet documentato e pungente di Francesco FilippiMussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri, pp. 151, € 12,00). Dove lo studioso della mentalità che presiede l’Associazione di Promozione Sociale Deina smonta mistificazioni e menzogne diventate perfino opinioni condivise.

Corruzione e case popolari
I gerarchi e Mussolini non erano corrotti o corruttibili? «Una bugia grande e grossa. Un recente saggio di Mauro Canali e Clemente Volpini, Mussolini e i ladri di regime, è dedicato proprio alle ruberie dei gerarchi», ricorda Corrado Stajano in un articolo sul libro di Filippi sul Corriere della Sera. Il duce bonificò le paludi? Le bonifiche del Regno d’Italia erano iniziate ben prima che lui prendesse con la violenza il potere. Le pensioni? «I lavoratori ebbero diritto alla pensione dal 1919, con garanzie previdenziali fin dai tempi del governo Crispi, nel 1895», scrive ancora Stajano. E le case popolari? «La legge è del 1903: Luigi Luzzatti, deputato della destra storica, ne ebbe il merito: i fascisti furono sempre abili nell’appropriarsi delle idee di chi li aveva preceduti», dice sempre il recensore sul Corsera.

Le vittime degli “italiani brava gente” e le leggi razziali
Il duce prosciugò anche le casse del Regno per invadere paesi come l’Albania e l’Etiopia. E nelle occupazioni militari il mito degli «italiani brava gente» è stato smentito dai fatti e dalle ricostruzioni storiche documentate. In Etiopia i militari italiani lanciarono gas asfissianti «iprite, arsine, fosfene — e la micidiale bomba c-500-T, goccioline corrosive e mortali dall’odor di senape, che fece migliaia e migliaia di vittime innocenti», scrive il giornalista. Per non dire che le leggi razziali del 1938 che discriminarono gli ebrei non furono «il primo passo, ma solo una delle molte tappe del cammino razzista del totalitarismo italico», come scrive Filippi nel libro.

“Dite il falso molte volte, diventerà una verità”
Il saggio è suddiviso per capitoli che, già nei titoli, rivelano un sano atteggiamento quasi irridente: «Il duce previdente e previdenziale, Il duce bonificatore, Il duce costruttore, Il duce della legalità, Il duce economista, Il duce femminista, Il duce condottiero e statista, Il duce umanitario». E Carlo Greppi, storico e scrittore, nella prefazione “La rivincita della realtà, riflette su quanto sta accadendo oggi: «Mai come ora l’idra risolleva la testa, soprattutto su Internet, ma non solo. Frasi ripetute a mo’ di barzelletta per anni, che parevano innocue e risibili fino a non molto tempo fa, si stanno sempre più facendo largo in Italia con tutt’altro obiettivo. E fanno presa».
Infatti le prove di insulsaggine, violenza, dispotismo, meschinità, nel duce e negli esponenti del regime fascista abbondano: «La storiografia ha indagato il fascismo e la figura di Mussolini in tutti i suoi dettagli e continua a farlo. Il quadro che è stato tracciato dalla grande maggioranza degli studiosi è quello di un regime dispotico, violento, miope e perlopiù incapace. L’accordo tra gli studiosi, che conoscono bene la storia, è piuttosto solido e i dati non mancano». Non bastano, le prove storiche? «Ma chi la storia non la conosce bene – e magari ha un’agenda politica precisa in mente – ha buon gioco a riprendere quelle antiche storielle e spacciarle per verità. È il meccanismo delle fake news, di cui tanto si parla in relazione a Internet; ma è anche il metodo propagandistico che fu tanto caro proprio ai fascisti di allora: “Dite il falso, ditelo molte volte e diventerà una verità comune”», opportunamente ricorda Greppi sempre nella prefazione.

 

fonte: https://www.globalist.it/storia/2019/04/13/idiozie-le-cose-buone-di-mussolini-uno-storico-smonta-le-falsita-fasciste-2040087.html

Il caso Venezuela: l’unica dittatura nella storia mondiale dove si è votato 29 volte in 20 anni e dove l’opposizione manifesta una volte al mese… Ma ha il petrolio che piace tanto, ma proprio tanto agli Stati Uniti…!

 

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Venezuela. Roma crocevia diplomatico e della mobilitazione solidale

Il caso Venezuela: l’unica dittatura nella storia mondiale dove si è votato 29 volte in 20 anni e dove l’opposizione manifesta una volte al mese… Ma ha il petrolio che piace tanto, ma proprio tanto agli Stati Uniti…!

Ieri il plenipotenziario di Trump per il Venezuela, Elliott Abrams, ha fatto tappa a Roma accompagnato dal vicesegretario di Stato Cristopher Robinson per un riservatissimo incontro con il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov.

Ma prima di vedere la delegazione russa, “l’uomo nero” di molte amministrazioni Usa , ha incontrato anche Pietro Benassi, consigliere diplomatico del Presidente del consiglioGiuseppe Conte, insieme ad alti funzionari della Farnesina. L’Italia infatti fino ad ora non si è arruolata nell’elenco di 53 Stati (meno di un terzo di quelli riconosciuti dall’Onu, ndr) chehanno riconosciuto il golpista Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela. “Certo, con l’Italia c’è un disaccordo di fondo, perché il governo italiano non ha ancora riconosciuto Guaidó” ha affermato Elliot Abrams, “Dagli incontri avuti ieri – dice l’inviato di Trump – posso dire che sono più i punti di incontro che le divisioni”. Di negoziati con la Russia sulla situazione in Venezuela Abrams afferma invece di non volerne sentir parlare.

Intanto sulla solidarietà con il Venezuela bolivariano, anche in Italia si va configurando una proposta di mobilitazione nazionale nelle prossime settimane. Sabato 23 marzo a Roma, ci sarà una riunione nazionale convocata dalla pluralità delle organizzazioni che stanno dando vita al Forum Venezuela come ambito di iniziativa ampia per tutti coloro che riconoscono il diritto all’autodeterminazione del popolo venezuelano, ripudiano ogni intervento militare ostile contro quel paese e invocano la fine delle sanzioni adottate da Usa e Unione Europea.

All’ordine del giorno della riunione la proposta di una manifestazione nazionale a Roma per il prossimo 13 aprile. Su questo obiettivo è stata elaborata una proposta di appello nazionale che verrà discussa ed eventualmente sottoscritto nella riunione nazionale del 23 per poter passare alla fase organizzativa della manifestazione.

Qui sotto il testo dell’appello proposto alla discussione:

Lanciamo un appello a scendere in piazza a Roma sabato 13 aprile affinchè il governo italiano e l’Unione Europea pongano fine alle sanzioni, rifiutino ogni complicità con un intervento militare e cessino ogni ingerenza sul processo politico ed elettorale sovrano del Venezuela.

Stiamo chiedendo a molte e a molti nel nostro paese di prendere parte contro ogni ingerenza esterna e di rispettare il diritto all’autodeterminazione di un paese e di un popolo.

Il governo venezuelano si è mosso finora in rispetto della Costituzione di cui quel paese si è dotato e sulla quale il popolo ha votato, un processo monitorato e certificato come regolare da moltissimi osservatori internazionali e neutrali.

Negli ultimi venti anni, gli Stati Uniti hanno cercato più volte di rovesciare il governo venezuelano, attuando con tentativi di colpo di stato, con una feroce guerra economica che colpisce la popolazione, assoldando mercenari e miliziani all’esterno e all’interno del paese.

Come in ogni altra guerra o aggressione alle quali abbiamo dovuto assistere in questi anni, è stato messo in campo un impressionante apparato massmediatico di disinformazione e manipolazione delle notizie, teso a legittimare un intervento militare o le ingerenze esterne sul Venezuela. Il risultato è un umiliante panorama informativo al quale si piegano acriticamente anche i mass media nel nostro paese.

Ma la destabilizzazione del Venezuela non vuole solo riportare all’indietro la storia di quel paese e dell’America Latina progressista, sarebbe anche la sanzione del ritorno del dominio degli Stati Uniti su quello che arbitrariamente considerano il loro cortile di casa, una egemonia che venti anni di processi e governi progressisti, popolari, democratici hanno spezzato e che adesso Washington e la destra latinoamericana vorrebbero restaurare.

L’Unione Europea e il governo italiano non devono prestarsi alla complicità con questa restaurazione, tolgano le sanzioni e rispettino il processo politico ed elettorale che si è dato e si darà il Venezuela.

In passato troppe volte la loro subalternità agli interessi strategici degli Stati Uniti è stata causa del coinvolgimento in guerre e tragedie: dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Somalia alla Jugoslavia, dalla Libia alla Siria.

La manifestazione del 13 aprile a Roma, l’appello che abbiamo lanciato agli artisti e al mondo della cultura, la lotta che abbiamo ingaggiato contro la manipolazione massmediatica chiedono un radicale cambiamento di atteggiamento. Per questo chiediamo di scendere in piazza per:

  • La fine delle sanzioni contro il Venezuela
  • Il rifiuto di qualsiasi intervento militare
  • Il rispetto del diritto del popolo venezuelano a decidere autonomamente il suo processo elettorale

Forum Venezuela

 

tratto da: http://contropiano.org/news/politica-news/2019/03/20/venezuela-roma-crocevia-diplomatico-e-della-mobilitazione-solidale-0113625?fbclid=IwAR0CjFxA9dYhTb869rYOF7Yl-8TuW5hwzRVq6z49jDbpvKciea55beGGScM

“In Italia servirebbe una dittatura democratica” …lo ha detto Flavio Briatore, un idiota intelligentissimo.

 

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“In Italia servirebbe una dittatura democratica” …lo ha detto Flavio Briatore, un idiota intelligentissimo.

Flavio Briatore: “In Italia servirebbe una dittatura democratica”

“In Italia, la burocrazia è una cosa spaventosa, che ostacola tanti italiani che si rimboccano le maniche la mattina. Ci vorrebbe una dittatura democratica come negli Stati Uniti, per cui chi vince le elezioni comanda davvero, fino a nuove elezioni”, ha dichiarato Flavio Briatore al quotidiano La Verità.

Cosa servirebbe all’Italia in questo momento storico? Secondo l’ex manager di Formula 1, Flavio Briatore, una dittatura democratica. In un’intervista concessa al quotidiano La Verità, Briatore spiega: “In Italia, la burocrazia è una cosa spaventosa, che ostacola tanti italiani che si rimboccano le maniche la mattina. Ci vorrebbe una dittatura democratica come negli Stati Uniti, per cui chi vince le elezioni comanda davvero, fino a nuove elezioni”. E poi, ancora, sull’Unione europea: “L’Europa per come la vedo io dovrebbe essere composta da sette, otto Paesi al massimo. Invece ci siamo presi la Grecia, che ha creato solo problemi. Dovrebbero restar dentro soltanto Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito…”.

Parlando nello specifico del governo, Briatore ricorda a Salvini l’impegno disatteso sulla Flat Tax: “Matteo, ricordati della flat tax: è fondamentale. Ricordati di parlare con gli imprenditori, che sono quelli che si prendono i rischi e danno lavoro alla gente. E ricordati del cuneo fiscale, che in Italia è una roba enorme: se ho un dipendente che costa 1.500 euro ma all’azienda ne costa tremila e rotti, non saremo mai competitivi. I francesi sul turismo hanno abbassato l’Iva, e noi ci inventiamo le tasse sulle auto di lusso?”.

Briatore ne ha anche per i 5 Stelle:”In campagna elettorale Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista erano considerati i fustigatori della morale. Però a quanto pare vale solo per la morale degli altri. Ora scopriamo che anche le persone più vicine ai leader pagavano i lavoratori in nero e avevano problemi con i fornitori. Vedo molta incompetenza. Voglio dire, c’è gente che fa il ministro come primo lavoro. Questo che stiamo vivendo è il piano B, vale a dire raccogliere i voti di protesta. Adesso però non vedo il piano C. E quindi forse torneremo al piano A”.

tratto da: https://www.fanpage.it/briatore-in-italia-servirebbe-una-dittatura-democratica/

Gli Stati Uniti? Quelli che dicono di esportare democrazia? Forniscono aiuti e assistenza militare al 73% delle dittature nel mondo!

 

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Gli Stati Uniti? Quelli che dicono di esportare democrazia? Forniscono aiuti e assistenza militare al 73% delle dittature nel mondo!

Promotori della democrazia? Gli USA forniscono assistenza militare al 73% delle dittature nel mondo
Una ONG, finanziata però da Washington, afferma che ci sono 49 paesi nel mondo in cui mancano libertà politiche e civili. Di questi, 35 hanno continuato a ricevere il sostegno militare degli Stati Uniti recentemente.
Un’organizzazione non governativa statunitense ha pubblicato un rapporto in cui descrive dozzine di paesi del mondo come “non liberi”. I lettori più attenti hanno subito sottolineato che la stragrande maggioranza di quelle nazioni riceve il supporto militare da Washington.

L’ONG Freedom House, fondata nel 1941, nel suo rapporto annuale dal titolo ‘La libertà nel mondo’ categorizza i diversi stati del mondo come “liberi”, “parzialmente liberi” o “non liberi” in termini di libertà e diritti politici e civili dei suoi abitanti.

Finanziato quasi interamente dal governo degli Stati Uniti, Freedom House considera gli Stati Uniti e i suoi alleati come “liberi” e designati come “non liberi” in 49 paesi per un totale di circa 2.700 milioni di abitanti, compresi la Russia e la Cina.

Tuttavia, oltre il 70% di questi stati “non liberi” sono stati clienti del complesso militare-industriale statunitense o hanno ricevuto una sorta di assistenza militare dal Pentagono negli ultimi tre anni, secondo l’organizzazione di notizie indipendente Truthout, riguardante l’ultima edizione del rapporto.

Nel 2018, le nazioni “non libere” legate a Washington salgono a 35, che di solito è proclamato promotore della democrazia e oppositore delle dittature. Dodici di questi, classificati come “i peggiori dei peggiori”, ricevono finora assistenza militare USA, tra cui la Somalia, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, la Repubblica Centrafricana e l’Arabia Saudita.

Il regno saudita, in particolare, figura tra i peggiori classificati della lista, al di sotto della Cina, della Russia, del Venezuela e persino dell’Iran. Tuttavia, continua ad essere “il più grande cliente di vendite militari straniere” negli Stati Uniti, secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

A causa dello scandalo relativo all’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, l’Arabia Saudita ha cominciato a perdere contratti d’acquisto milionari con altri paesi, ampiamente attribuito all’alto comando del regno. Allo stesso tempo, Washington si aspetta un “significativo aumento” nella cooperazione militare con Riad.

Fonte: Freedom House – Truthout

Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti – “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”

Italo Calvino

 

 

 

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Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti –  “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”

Italo Calvino, Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Gabriella Giudici

Nell’ottobre scorso (2012), riflettendo sul declino della scuola pubblica e sul particolare accanimento mostrato dai governi degli ultimi vent’anni nel portare a compimento l’opera di decostituzionalizzazione della pubblica istruzione, mi era tornato in mente L’apologo sull’onestà, uno degli ultimi interventi di Calvino sulla stampa, nel quale lo scrittore tratteggiava la singolare antropologia di un paese nel quale i “responsabili” od “onesti” non siedono nell’assemblea dei “rappresentanti del popolo”, ma tra le macerie delle istituzioni da questa bombardate.

Avevo osservato, allora, che “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”, concludendo che il senso di questa constatazione era meglio spiegato proprio dal testo calviniano che riproponevo in lettura.

Da quell’ottobre, questo post è stato rilanciato su facebook e visionato centinaia di volte, fino a smarrire la distinzione tra la mia introduzione e il testo calviniano.

Dopo l’affermazione erroneamente attribuita a Calvino, proseguivo: “mi pare che lo spieghi perfettamente Calvino in questo testo, tragicamente attuale, uscito su La Repubblica [ora in Romanzi e raccontivol. 3, Arnoldo Mondadori Editore] del 15 marzo 1980, agli albori di un’era che oggi sta finendo insieme con il bene pubblico ancora difeso dai molti che

«non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese [in cui] loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare».

La scuola è per definizione il luogo in cui gli insegnanti si chiedono di tutto, salvo quanto vale in denaro l’intelligenza che sto formando quanta ne ho prodotta oggi, come test sempre più insulsi e dannosi chiedono di fare. Questo è lo spirito con cui ho riletto l’Apologo, in una delle molte interpretazioni possibili [qui, ad esempio, quella di Rodotà].

Sperando di aver reso un contributo alla leggibilità dell’insieme, vi lascio alla lettura di Calvino.

 

QUI il video

C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo ( e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri. Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.

In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla. Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi  unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.

fonte: http://gabriellagiudici.it/italo-calvino-apologo-sullonesta-nel-paese-dei-corrotti/